In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
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27. Il governo Ciampi (1993)
I risultati del referendum del 18 aprile 1993 suggeriscono un cambiamento; nelle sue trattative segrete, Scalfaro propone, prima un governo Napolitano, che dc e socialisti contestano, poi, un governo con Prodi premier e Segni vice premier, ma Segni gioca al rialzo, vuole essere primo ministro. I democristiani, che non gli perdonano di essere uscito dal partito, pongono il veto alla sua candidatura e Scalfaro affida l'incarico al governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, per un "governo del presidente" . Ciampi si presenta con le carte in regola per preparare il terreno al governo delle sinistre che, sull'onda di tangentopoli, sono pronte a mettere in movimento, l'occhettiana "gioiosa macchina da guerra" per nuove elezioni. Ciampi non ha un'origine partitica e si presenta, pertanto, come l'uomo super partes ideale per la transizione verso un governo delle sinistre; l'establishment sembra aver dimenticato i suoi errori da governatore della Banca d'Italia.
Ciampi, nell’aprile 1993, forma un governo di tecnici, detto "il governo dei professori" (28/4/93-10/6/94); ben dodici ministri non sono parlamentari, ma persone della società civile. Secondo lo storico inglese Mack Smith «la loro presenza fece di questo gabinetto il più competente e rispettato nell'intero quarantennio seguito alla morte di De Gasperi» (Smith, 1997). Del gabinetto fanno parte quattro progressisti: il verde Rutelli, nonché Visco, Berlinguer e Barbera del Pds. Il 29 aprile 1993, il giorno stesso in cui Ciampi giurava la Camera respimge l’autorizzazione a procedere contro Craxi, presentata dal pool di Mani Pulite: i ministri progressisti si dimettono seduta stante e la rabbia dilaga tra gli italiani.
Il gabinetto risulta comunque costituito, per lo più, da personaggi della sinistra Dc e dell'area Pds. Il governo Ciampi, definito dal giornalista Federico Orlando una «teocrazia bancaria», è affollato di esperti economici e bancari, che dànno una marcata impronta economica e finanziaria alla maggioranza dei provvedimenti governativi, allo scopo di proseguire l'opera, avviata da Amato, di risanamento economico del Paese. Al governo Ciampi si deve l'accordo sul costo del lavoro, stilato con sindacati e confindustria per favorire la ripresa economica, la rinuncia parziale delle camere all'immunità parlamentare, la nuova legge elettorale.
Inaspettatamente, il Paese viene sconvolto da una ripresa degli atti di terrorismo: il 14 maggio '93, un'autobomba esplode in via Fauro, resta incolume il vero obiettivo, Maurizio Costanzo. Nella notte tra il 26 e 27 maggio 1993 esplode la torre del Pulci, a un passo dagli Uffizi. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio tre autobombe scoppiano contemporaneamente a Roma e a Milano. Ricorda Vespa che avendo chiesto, a caldo, al capo della polizia Parisi, che parentela ci potesse essere tra queste bombe e le altre della storia del Paese ne ebbe la seguente criptica risposta «Quelle bombe stabilizzavano. Queste mi preoccupano di più» (Vespa, 1999).
Nella stessa notte del 27 luglio, subito dopo le esplosioni, Palazzo Chigi resta isolato telefonicamente dal resto del Paese per due ore e mezzo. Il portavoce di Ciampi, Peluffo, chiama con il cellulare i cronisti politici dei principali quotidiani invitandoli a correre a palazzo Chigi; si voleva il maggior numero di persone nel più importante palazzo del potere nazionale. Il 6 giugno 1998, la Corte d'Assise di Firenze, per quelle bombe condannerà alcuni mafiosi d'alto rango.
Dopo le "confessioni" di Giovanni Brusca, una spiegazione a quella ripresa del terrorismo mafioso può essere attribuita all'ipotesi che "facevano la guerra perché volevano la pace", mettevano le bombe per tornare amici, tritolo e stragi per trovare un accordo con lo stato o con spezzoni dello stato. Silenzio e bombe, i messaggi di una trattativa sotterranea; ma, forse, anche questi episodi sono destinati a finire nel libro della storia italiana, che mai nessuno leggerà.
Scrive Paolo Mieli sul Corriere, «Se si era parlato di terremoto per i risultati delle elezioni del 5 aprile 1992, come dobbiamo definire quello che è venuto fuori dalle urne domenica scorsa? Un cataclisma, un'esplosione termonucleare, un big bang….Da un giorno all'altro abbiamo visto ridursi ai minimi termini l'insieme di forze che ha governato l'Italia per cinquant'anni». La Lega Nord, durante le elezioni comunali parziali del giugno '93 (elezioni effettuate con la nuova legge elettorale), straripa nell'Italia del Nord; a Milano viene eletto sindaco il leghista Marco Formentini. I mass media continuano ad affermare che si tratta solo di un fenomeno di protesta, senza rendersi conto di come sia nato un modo nuovo, per l'Italia, di fare politica, al di fuori degli schemi politichesi o di quel parlare che Gian Luigi Beccaria così definisce «... per un potente essere comprensibile e concreto significa farsi subito scoprire, giocarsi la propria forza».
La Lega testimonia in quegli anni (De Marchi, 1993, Bossi, 1992, Bossi, 1993) il desiderio di una gestione dello stato più tecnica e meno politica, che privilegi i principi della sovranità popolare e delle autonomie locali (Ciuffoletti, 1994), rispetto a quelli della sovranità nazionale e del centralismo; essa rappresenta la ribellione della gente comune. Inoltre la Lega riverbera quella svolta mondiale, in senso liberista, che rivaluta meritocrazia e spirito d'impresa, opponendosi allo stato sociale keynesiano, svolta, avviata dalle politiche di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e che è stata osteggiata in Italia ed etichettata, con supponenza, con il termine di populismo conservatore.
La Lega e i movimenti referendari rappresentano il realizzarsi nel Paese della tendenza mondiale alla deregulation e alla contestazione delle teorie, delle ideologie, dei modelli culturali degli anni settanta, dell'arcaismo istituzionale, con la rivendicazione del primato dello spontaneismo e dell'empirismo. Un elemento di debolezza che caratterizza il movimento leghista è la mancanza di spessore dei suoi quadri, che appaiono motivati ed entusiasti ma, per lo più, impreparati, se non incolti.
Anche l'Msi consegue un discreto successo, specie nel Sud. Nel 1991, i moderati, capeggiati da Gianfranco Fini, hanno preso le redini del partito, consci che la loro unica speranza di affermazione elettorale stia nel ripudio del totalitarismo, del razzismo e dei metodi violenti che avevano relegato l'Msi ai margini della politica.
Afferma Smith «Ciò nondimeno, una certa misura di ambiguità rimaneva nell'Msi, perché il nuovo leader non poteva rinnegare del tutto i suoi antichi entusiasmi fascisti, e, stretto dalla necessità di tenere unite le due ali del partito, continuava, insensatamente, a parlare di Mussolini come del più grande statista del ventesimo secolo. Nell'ottobre 1992 i suoi seguaci celebrarono a Piazza Venezia il settantesimo anniversario della marcia su Roma, con tanto di camicie nere e di saluti romani. Ma Fini riuscì a convincere il grosso del partito che doveva dirsi postfascista anziché neofascista, e dissolversi in una nuova formazione politica …».
La piattaforma programmatica di un nuovo partito avrebbe dovuto includere la difesa dei valori nazionali e cattolici, e sostenere senza equivoci lo stato centralizzato, contro il federalismo della Lega Nord, il mantenimento nelle mani dello stato delle aziende statali e la salvaguardia dello stato assistenziale per lo sviluppo del Sud. Questo meridionalismo di Fini si rivela anche quando ostacola l’attività del Berlusconi Quater creando una corrente detta dei “finiani” all’interno del Popolo della libertà, tanto da far scrivere a Vittorio Feltri sul Giornale «Fini è una risorsa … ma dell’opposizione».
Si costata che lo Psi è stato spazzato via, la Dc fortemente ridimensionata, il Pds ne esce malconcio, al Nord, e in lieve salita nel Centro-Sud. Questi risultati scardinano gran parte dei partiti; nel corso del 1993, scompaiono in sostanza il partito socialista, il partito repubblicano, il partito liberale. La Dc si prepara a cambiare abito per rimettersi quello sturziano di Partito popolare italiano, sotto lo slogan di «Rinnovare senza rinnegare».
Nelle grandi città prevalgono i candidati presentatisi sotto la bandiera dei "progressisti": Rutelli a Roma, Bassolino a Napoli, Cacciari a Venezia, Sansa a Genova, Illy a Trieste; questi risultati confermano, in Occhetto, la convinzione della vittoria della coalizione dei progressisti alle prossime elezioni politiche.
Il 9 giugno '93, il procuratore capo di Roma Mele, chiede al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro il senatore Andreotti, come mandante dell'omicidio Pecorelli. Sullo sfondo della vicenda incombe il "memoriale di Moro", nel quale figurano attacchi ad Andreotti, per i suoi rapporti con il banchiere della mafia, Michele Sindona. L'azione giudiziaria sembra voglia mostrare che non esistono più sacrari inviolabili; con lui, ha osservato Sergio Romano, processeranno l'Italia e quaranta e più anni di vicende del Paese (Biagi, 1995). Successivamente anche il procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli, al termine delle sue indagini sulle connessioni tra mafia e politica, incriminerà Andreotti. L'uomo politico, che è già passato indenne da tanti altri momenti difficili, proclama la propria innocenza, dichiarando l'illegittimità dell'accusa, alla quale attribuisce l'obiettivo di voler dimostrare l'esistenza di «una sorta di reato collettivo, compiuto dalla democrazia cristiana siciliana» (Andreotti, 1995) e quindi di voler colpire quanti hanno avuto contatti con essa.
Il 6 agosto '93, il Parlamento vara la nuova legge elettorale, chiamata mattarellum, dal nome dell'estensore: dei 629 seggi di Montecitorio, i tre quarti sono assegnati su base uninominale e un quarto su base proporzionale; circa le stesse percentuali valgono per i 315 seggi del Senato (per il quale aveva già provveduto il referendum).
Nel gennaio 1994, dopo l'approvazione della legge finanziaria, Ciampi si dimette, per consentire, finalmente, alla macchina elettorale di Occhetto di mettersi in movimento nel vuoto politico creato dal disfacimento dei tradizionali partiti di governo.
Ciampi, negli otto mesi del suo mandato, ha perseguito nella politica di austerità avviata da Amato, ha privatizzato la Banca commerciale e il Credito italiano, il tasso di remunerazione dei buoni del tesoro è sceso dall'11% al 7,5%, le esportazioni sono andate a gonfie vele, la bilancia commerciale è risultata in avanzo, i corsi azionari in ripresa.
Eugenio Caruso - 12 febbraio 2019
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