In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
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29. Le cassandre del capitalismo
Come già detto, nei primi anni novanta, in Italia, ma anche in altri paesi a forte presenza dello stato nel sistema produttivo, come in Germania e in Francia, la spinta verso la privatizzazione delle grandi imprese di stato diventa più forte e la gente mostra sempre maggiore insofferenza verso questi santuari dell'inefficienza e del corporativismo.
Contestualmente a questa politica neoliberista si assiste a un fiorire di pubblicazioni che preconizzano la fine del capitalismo.
Già negli anni '70 le analisi condotte dal Club di Roma (AA..VV, Mondadori 1972 e 1973) avevano indicato nella tecnologia, con i suoi effetti su crescita demografica, risorse naturali e inquinamento, la causa della prossima fine del pianeta e avevano creato il terreno nel quale è radicato quel catastrofismo ecologico che ancora oggi sopravvive specie tra i gruppi ambientalisti americani ed europei.
Nel 1991, Albero Ronchey, diagnostica i limiti del capitalismo nell'incompatibilità a far convivere due finalità divergenti, quella delle aspettative crescenti, che conduce a forme aberranti di iperconsumo e di edonismo, e quella dei diritti crescenti, cioè l'insieme delle rivendicazioni economiche, sindacali, localistiche, sessuali e generazionali. Aspettative e diritti che sommandosi, secondo Ronchey, nemmeno una società iperindustriale sarebbe in grado di soddisfare (Ronchey, 1991). Prima o poi, afferma Ronchey, la curva della crescita della produzione si spezzerà secondo la norma dei fenomeni di forte crescita in presenza di fattori limitanti, quali le finite riserve di energia e materie prime, l'inquinamento, la paralisi delle aree urbane. Ronchey non è catastrofico come il Club di Roma, con le sue insulsaggini, ma il suo segnale è di forte perplessità nei riguardi del capitalismo.
Nel 1993, il filosofo Emanuele Severino svolge un'analisi tesa a mostrare, invece, che l'apparato scientifico-tecnologico sarà la causa del dissolvimento del capitalismo, inteso nella sua essenza di soggetto economico che ha come scopo il profitto (Severino, 1993). Sostiene Severino che tra l'apparato tecnico-scientifico, che trae la propria forza da condizioni di abbondanza di beni economici, e il capitalismo, che tende invece a favorire quella scarsità di beni, che assicurerebbe al potere economico di restare nelle mani di pochi, si creerebbero condizioni di forte contraddittorietà.
La chiesa, crollato il comunismo e non avendo più interesse alla lotta contro il socialismo, si starebbe rivolgendo criticamente al capitalismo «oggi la chiesa riconosce che il capitalismo, a differenza del marxismo, è uno strumento efficace di produzione di ricchezza. Ma quando la chiesa chiede al capitalismo che lo scopo ultimo della produzione economica non sia il profitto privato, ma il bene della società, la chiesa chiede al capitalismo - né più né meno - di non essere più capitalismo», il dissidio tra capitalismo e chiesa sarebbe destinato quindi ad acuirsi, anche perché il capitalismo moderno sarebbe, secondo il filosofo italiano, sempre più ostile a un'economia orientata verso il bene comune.
Per Severino il capitalismo si troverebbe su di una parabola la cui discesa sarebbe già avviata perché esso starebbe per cedere di fronte all'avversario più agguerrito: il capitalismo stesso. Infatti, con gli attuali ritmi e forme di produzione, il capitalismo porterebbe la Terra alla distruzione; ma a un certo punto il capitalismo si dovrebbe arrendere all'evidenza che esso, distruggendo la Terra, distruggerebbe la base naturale della propria produzione economica e quindi distruggerebbe se stesso. Per sopravvivere esso si rivolgerebbe alla tecnologia, alla quale chiederebbe di creare un modo di produrre che salvaguardi la base naturale e quindi la produzione e il profitto. Il capitalismo sarebbe costretto quindi a subordinare il profitto alla salvaguardia della natura e a riconvertire il proprio sistema produttivo, non per accrescere il profitto, ma per non distruggere la Terra. Poiché per un'azione cambiare il proprio scopo significa cambiare la propria essenza, il capitalismo, «O distrugge la Terra, e quindi distrugge se stesso; oppure si dà uno scopo diverso da quello per il quale esso è quello che è, e anche in questo caso distrugge se stesso».
La tesi di Severino, secondo cui il capitalismo declinerà poiché dovrà anteporre l'interesse collettivo della salvezza dell'uomo a quello privato del profitto, è una tesi intellettuale e suggestiva, ma forse non tiene conto di un aspetto importante, il capitalismo tende a monetizzare tutto. Ricorda Severino che per Marx il capitalismo incomincia quando il "vendere per comprare" cede il passo al "comprare per vendere", ebbene il capitalismo ha scoperto che anche "la difesa della terra" è un bene che si può comprare per vendere.
La difesa del pianeta non sembra quindi affidata alla lotta per la sopravvivenza del capitale, ma alla mano invisibile del libero mercato, il rispetto per l'ambiente non è più un vincolo, ma un prodotto, il consumatore, così come è stato abituato dalle tecniche del marketing a comprare prodotti utili e non utili, sta subendo ora, più o meno passivamente, l'azione promozionale di un nuovo prodotto: l'ecologia. Che essa rappresenti lo strumento per salvare il pianeta, è scontato, ma essa è anche in grado di produrre profitto salvando così l'essenza del capitalismo.
Più appropriate sembrano le argomentazioni del premio Nobel Paul Krugman il quale si chiede come può essere che la svalutazione del baht tailandese, nel luglio 1997, abbia trascinato in una grave crisi economica tutte le cosiddette "tigri" asiatiche, e che un'economia, apparentemente forte, come quella giapponese abbia vissuto la maggior parte degli anni '90 in una situazione di quasi stagnazione. E poi, come spiegare le improvvise crisi del '73 e del '79, quelle del Sud Africa, della Russia, dei paesi dell'America latina. L'economista americano sostiene che nella nostra economia potrebbe esserci una sorta di malattia latente, tuttora sconosciuta agli economisti, che appare qua e là, senza preavvisi, e alla quale gli stati possono essere più o meno vaccinati, malattia che avrebbe avuto la sua massima espressione nella grande depressione degli anni '30 (Krugman, 1999). Inoltre Krugman da tempo va sostenendo che l'era delle aspettative crescenti sta morendo, sostituita da un'era di aspettative decrescenti, che coinvolge le classi medio-basse di tutto il mondo, e che sarà difficile far convivere la democrazia con un'economia che produce diseguaglianze sempre maggiori attraverso una continua erosione del reddito per la maggioranza dei cittadini (Krugman, 1991).
Un furioso attacco al capitalismo viene da Giorgio Bocca (Bocca, 2000), per il quale il pensiero unico del neo-liberismo avrebbe cancellato le grandi utopie del dopoguerra, a cominciare dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo , avendole sostituite con il cinismo e la filosofia del «prendi i soldi e scappa». Per Bocca la Tecnologia serve ad aumentare i profitti delle imprese, a ridurre i lavoratori ad una massa di sottoccupati, diseredati e sfiduciati e a rendere l'umanità suddita delle grandi multinazionali.
Scrittori come Bocca, che vedono l'economia attraverso il filtro delle testimonianze d'altri economisti dovrebbero analizzare la situazione di gran parte delle piccole e medie imprese che reggono il peso della maggior parte dell'economia mondiale. È ovvio che l'obiettivo principale resta l'utile, ma in queste imprese è facile trovare il senso vero dei rapporti umani, il gusto della creatività e della sfida, la preoccupazione dell'imprenditore per i problemi dei "collaboratori", il rispetto per l'ambiente e la filosofia dello stare bene.
Giova, peraltro, ricordare che, nel 1999, a Milano, il presidente della Borsa, Stefano Preda, ha presentato un "Codice di autoregolamentazione delle società quotate", che prevede l'adozione di regole di corporate governance che vanno ben al di là delle disposizioni di legge; il codice che è stato adottato da gran parte delle Società quotate. Nel 2002 il Codice Preda è stato revisionato e integrato e alcune società iniziano a far riferimento a un proprio Codice etico che comprende anche norme di rispetto ambientale (Morganti, 2002).
Come ho già detto nella premessa del libro il grande economista Lester Thurow è convinto che quella attuale sia un'epoca, caratterizzata da profondi cambiamenti e da straordinarie opportunità, confrontabile con la comparsa dei mammiferi sul pianeta. D'altra parte, secondo Thurow il capitalismo, oggi, ha un orizzonte temporale intrinsecamente limitato. Le imprese private hanno un orizzonte di pianificazione che va da tre a cinque anni e gli stati, che un tempo realizzavano investimenti a lungo termine, ora vedono i propri bilanci fortemente limitati dalla pressione esercitata dall'assistenza agli anziani e dai tagli alle spese per la difesa. Il sistema capitalistico potrà continuare ad essere fonte di ricchezza se sarà capace di investire nella ricerca scientifica e tecnologica, nella formazione intellettuale e nella salvaguardia dell'ambiente, in obiettivi, cioè, di medio lungo termine.
L'economista americano, inoltre, mette in guardia dai rischi che potrebbero derivare all'economia mondiale da una serie di fattori negativi: la presenza dell'enorme deficit commerciale degli Usa e dell'altrettanto grande avanzo commerciale del Giappone, l'ostinazione delle Banche Centrali a combattere l'inflazione e rallentare la crescita, la perdita di potere d'acquisto dei lavoratori dei paesi industrializzati, l'aumento delle disuguaglianze e il contemporaneo declino dello stato sociale, l'ascesa del fondamentalismo religioso, l'indebolimento dei principi della democrazia rispetto all'accresciuta forza del mercato (Thurow, 1997).
Secondo Thurow le tre grandi aree industriali del pianeta corrono il rischio di una lunga stagnazione se non ricorreranno a drastici cambiamenti: gli Usa hanno necessità di rinnovare il sistema sociale e politico e di ridurre i consumi basati sull'indebitamento, l'Europa dovrebbe creare maggiore ricchezza e lavoro liberandosi dalle rigidità del proprio sistema sociale e investendo nei settori ad alta tecnologia, il Giappone non può più vivere su una produzione orientata esclusivamente al mercato estero e dovrebbe fare un serio sforzo per stimolare sensibilmente la domanda interna.
Eugenio Caruso - 28 febbraio 2019
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