PUBBLICO QUESTO ARTICOLO DI ALESSANDRO BERTIROTTI, comparso su blog.ilgiornale.it PERCHE' AFFRONTA UN TEMA CHE COINVOLGE LA CRISTIANITA'. CIO' NON SIGNIFICA CHE LA REDAZIONE LO APPROVI IN TOTO.
È tutta questione di… chiarezza e coraggio.
Soltanto un mese e mezzo fa, all’apertura del summit sulla pedofilia, abbiamo ascoltato le parole con cui Papa Bergoglio ha aperto i lavori: “Ascoltiamo il grido dei piccoli che chiedono giustizia. Grava sul nostro incontro il peso della responsabilità pastorale ed ecclesiale che ci obbliga a discutere insieme, in maniera sinodale, sincera e approfondita su come affrontare questo male che affligge la Chiesa e l’umanità. Il santo Popolo di Dio ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre. Ci vuole concretezza”.
Ascolto delle vittime, aperta condivisione pastorale ed ecclesiale di una piaga interna alla Chiesa, adozione di concrete misure a prevenzione e contrasto della pedofilia. Questo il manifesto di Papa Francesco, nell’ambito della lotta alla pedofilia da parte degli ecclesiastici, lotta che non si può – sempre nell’ottica del Santo Padre – esaurire soltanto in mere sentenze di condanna.
Tutto questo soltanto un mese e mezzo fa.
Il 19 aprile scorso, il Papa Emerito Benedetto XVI ha affidato al mensile bavarese Klerusblatt ed alla testata italiana del Corriere della Sera, una sua personale lettera (che egli definisce “appunti”) in cui affronta il tema della pedofilia.
Il testo del Papa Emerito ha suscitato immediatamente grandi polemiche su molteplici versanti, primo fra tutti quello relativo all’attribuzione della responsabilità storica del sorgere della pedofilia all’interno della Chiesa alla Rivoluzione culturale del ’68. La prima affermazione importante, sempre secondo me e dal mio punto di vista (duplice, come cattolico cristiano e come uomo di scienza), è la seguente: “La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità”. Una affermazione corroborata, se si continua la lettura, da una serie di esempi concreti, di vita quotidiana, a dir poco interessanti. Anche perché, rivelano esempi di esperienze vissute direttamente dal Papa Emerito. E continua affermando che “tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollera alcuna norma”. E più avanti si legge che “(…) Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente”. Dunque, il percorso logico e teologico con cui si snoda questa ricostruzione storica è il seguente: il movimento del ’68 ha sdoganato qualsiasi forma di libertà umana, compresa la sessuale. Inoltre, l’evidenza scientifica di una sessualità infantile ha determinato la volontà politica di proporre una educazione sessuale quasi massificata. Infine, la pedofilia, come espressione di libertà sessuale, tanto adulta quanto infantile, si è lentamente affrancata in alcune menti ecclesiastiche.
Come dicevo, questo è, mediaticamente, il passaggio più controverso di questa lunghissima lettera. Quello in cui si sono volute riconoscere le orme di un Papa Emerito colpito da un attacco di giustizialismo storico, alla ricerca di una causa della pedofilia clericale, ma una causa che si ponesse al di fuori della Chiesa. Persino al di fuori delle responsabilità attribuite allo stesso Cardinale Ratzinger, quando si trovava alla guida della Congregazione della Dottrina della Fede, in merito a una sua presunta sistematica opera di insabbiamento di casi di abusi sessuali su minori perpetrati da preti. Peraltro, sempre nella lettera, Benedetto XVI spiega chiaramente come per il Diritto Canonico fosse molto difficile procedere definitivamente contro questi abomini, e proprio in nome di un Diritto che tutelava molto di più gli accusati che gli accusatori. A questo proposito, cita l’Enciclica Veritatis splendor, del 6 agosto 1993, promulgata da Giovanni Paolo II, con la quale Papa Wojtyla esponeva chiaramente la presenza di un Bene supremo in contrasto ad un Male, altrettanto teologicamente supremo, sul quale non era possibile derogare o produrre atteggiamenti relativistici.
Ma, nel considerare focale questa parte della lettera rispetto all’intero testo, si rischia di non tenere nel dovuto conto almeno un paio di circostanze. Innanzi tutto, il resto del testo è semplicemente stupendo, e questa è ovviamente una mia personale opinione. Leggere Benedetto XVI è sempre una esperienza emotiva che sa di cervello che alimenta le proprie cognizioni esistenziali, e lo fa secondo principi antropologici, nei quali si riconosce perfettamente tutto l’impianto riflessivo del nostro Occidente. Cosa importante, perché avviene proprio quando, da molte parti, si ritiene che questo nostro mondo occidentale sia in crisi, privo di riferimenti. No, secondo Benedetto XVI siamo noi che ci stiamo voltando da un’altra parte, rispetto a contenuti di una antropologia teologica che invece ne garantirebbe la sopravvivenza.
Seconda considerazione. Joseph Ratzinger nasce nel 1927 e, successivamente all’esperienza militare, durante la seconda guerra mondiale, inizia a frequentare l’Istituto Superiore di Filosofia e Teologia di Frisinga, nel 1946. Riceve l’ordinazione diaconale nel 1950. Formatosi nell’ambito del neoplatonismo agostiniano, le sue due stelle polari in ambito teologico, sino ed oltre l’assunzione delle cattedre di Teologia Fondamentale e Teologia Dogmatica, sono Sant’Agostino e San Bonaventura. Dunque, non deve stupire l’atteggiamento culturale del Papa Emerito dinanzi alla Rivoluzione del 1968, in quanto coerente con l’approccio psicologico di un uomo del suo tempo, che volontariamente aderisce agli impianti teologici dei Padri della Chiesa appena citati.
Il movimento del ’68 vede le “libertà” come innesco dell’attività umana: ogni “diritto”, per il 1968, nasce come “diritto di liberta da/di”. Si tratta di una prospettiva culturale antitetica rispetto a quella in cui si è formato Joseph Ratzinger. A questo proposito, illuminante è la frase seguente, nella quale personalmente mi trovo in agio: “Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento”. Non a caso, nel corpo della lettera affidata a Klerusblatt, ciò che il Papa Emerito definisce “collasso spirituale”, strettamente legato alla “propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni” (quelli a partire dal 1968), si pone, storicamente, come un fenomeno parallelo e coevo al “collasso della teologia morale che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società”. Al collasso spirituale come causa del 1968 fa, da contraltare, il collasso morale nella Chiesa. Nella narrazione degli “appunti”, il riferimento all’epoca del ’68 si conclude qui. D’altro canto, Benedetto XVI è un teologo. E per un teologo della sua epoca, è perfettamente naturale vedere il 1968 come un terremoto morale che, pur tuttavia, non è l’unico di quel periodo.
La lettera prosegue denunciando la decadenza morale all’interno della Chiesa con la riaffermazione del relativismo morale figlio dell’allontanamento della Chiesa stessa dal giusnaturalismo, un relativismo contro cui Giovanni Paolo II si batte, con grandissimo vigore fino all’emanazione della enciclica Veritatis splendor, come già accennato. Ratzinger spende parole fortissime a sostegno della reazione di Papa Woytila: ”Non ci poteva e non ci doveva essere alcun dubbio che la morale fondata sul bilanciamento di beni deve rispettare un ultimo limite. Ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica”.
Terza considerazione. Oltre al relativismo morale, Benedetto XVI individua anche un altro sintomo della dissoluzione interna alla Chiesa, ovvero la diffusione della tesi secondo cui il magistero ecclesiale può assumere decisioni infallibili solo nell’ambito della fede, ma non in quello della morale. Si tratta di una tesi che, secondo il Papa Emerito, ha fortemente contribuito al decadimento morale interno alla Chiesa; con accenti accorati scrive “E tuttavia, c’è un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta”.
Ecco, in questo contesto storico della morale, in questo “processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale”, si inserisce, secondo Benedetto XVI, il “problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari”. Ossia del “collasso della forma vigente sino a quel momento di questa preparazione. In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari”. Crisi morale all’interno della Chiesa, come matrice della cattiva preparazione dei seminaristi, una preparazione che evidenziava i suoi frutti sotto l’aspetto sessuale, e le cui perversioni principali, sempre secondo Ratzinger, erano l’omosessualità e la pedofilia. “La questione della pedofilia è, per quanto ricordi, divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni ’80. Negli Stati Uniti nel frattempo era già cresciuta, divenendo un problema pubblico”, altro passaggio della sua lettera.
Certamente, a tutta prima fa molta specie il fatto che, nella mente di un Papa, vi siano, per un verso, una progressione logica tra decadenza morale ed omosessualità e, per altro verso, un legame di causalità (spinto quasi al limite)tra omosessualità e pedofilia. Ma tant’è: anche questo rientra nella formazione culturale di Benedetto XVI. Inoltre, la Bibbia a questo proposito è chiara, e lo è rispetto alla omosessualità e alla pedofilia. Possiamo girarci attorno, ma la Bibbia condanna tanto la prima quanto la seconda. E con questo non voglio dire che gli omosessuali siano contro natura, mentre ritengo che la pedofilia sia una patologia mentale. Mi sono già espresso chiaramente su ciò che penso dei Gay, e condivido il pensiero di Papa Francesco, quello già famoso ed espresso durante un viaggio in aereo, di ritorno a Roma. Eppure, la Bibbia è chiara. Sta ad ogni cattolico, nella sua intimità con Dio, una questione comunque anche personale, problematizzare i propri comportamenti sessuali, rifletterci e chiedere spiegazioni al Padre. Anche se sembro protestante, penso che un po’ di rapporto personale con Dio non faccia male, nemmeno ai confessori.
Fatto sta che, secondo Benedetto XVI, la pedofilia è un problema cui Roma non seppe rispondere energicamente, perché il blando rinnovamento del Codice penale si fece strada con grande lentezza. Ed anche perché era invalsa, nel diritto penale, la teoria secondo cui il principio del “garantismo” degli accusati era l’unico coerente con quello “conciliare”, come ho più sopra accennato. Una censura fortissima, questa, che Ratzinger chiosa dicendo che “è importante e abbisogna di garanzia non solo il diritto dell’accusato. Sono altrettanto importanti beni preziosi come la fede. Un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, non deve dunque essere garantista solo a favore dell’accusato, il cui rispetto è un bene protetto dalla legge. Deve proteggere anche la fede, che del pari è un bene importante protetto dalla legge”.
La terza parte della lettera, che considero molto importante, dal mio punto di vista, ossia antropologico, mentale e sociale, è dedicata alle “prospettive” di soluzione che la questione della pedofilia deve avere. “Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione europea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza”. Restituire a Dio, che si è fatto uomo, il posto che gli è naturale e cioè la sua anteposizione a tutto: questa la vera cura secondo Ratzinger. Ebbene, si può non essere concordi con quanto affermato dal Papa Emerito in questi suoi “appunti”. Ed, in effetti, si potrebbe obiettare che già il canone 71 De stupratorum puerorum, del Concilio di Elvira del 305, condanna i pedofili, anche con la negazione della comunione in punto di morte. Così come nel VI° Secolo dopo Cristo, Papa Gregorio I° scrive, nella sua Regula pastoralis, che i preti pedofili dovevano attendersi pene maggiorate nell’inferno.
Dunque, il giudizio storico sul ’68 come punto di origine della pedofilia, può dirsi non condivisibile. Io, per esempio, condivido la sua sostanziale impostazione, con qualche piccolo distinguo e basta. Eppure, ridurre l’intera lettera di Benedetto XVI a questa affermazione è fuorviante di una lettura del testo che tenga conto della necessità di contestualizzazione storica che un teologo agostiniano possa e debba fare.
Il “qui” ed “ora” è rilevante per il Papa Emerito, specialmente quando si affrontano questioni che mettono in stretta relazione l’Uomo con il suo Creatore. Certo, per chi ha il dono della fede. Ma la fede non la si riceve solo in dono, bisogna anche cercarla. Altrimenti sarebbe troppo facile, tanto il professarla quanto il negarla. Non saremmo responsabili di quasi nulla.
Infatti, ci ricorda Benedetto XVI: “(…) solo dove la fede non determina più l’agire degli uomini sono possibili tali delitti”.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
22 aprile 2019
Impresa Oggi
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