Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l' Alcibiade minore, mi dedico ora all'Ipparco.
COMMENTO
L'autenticità dell'Ipparco é stata spesso messa in dubbio sia dagli antichi sia dai moderni. Il dialogo si svolge tra Socrate e un amico, in un'epoca e in un luogo lasciati imprecisati. Molto insolita é per Platone l'intitolazione del dialogo a un personaggio che non partecipi alla discussione. Si tratta di Ipparco, figlio di Pisistrato, che dominò Atene con il fratello Ippia dal 527 al 514 a.c., anno in cui venne ucciso dai fratelli. Platone scrive una vera e propria apologia di Ipparco, stimandolo grande politico e protettore delle arti. Occorre però ricordare che in molti sostengono che l'Ipparco sia una scherzosa rielaborazione della leggenda con carattere senz'altro ironico. Socrate esordisce domandando all'amico che cosa sia la cupidigia e chi siano gli avidi di denaro. Questi risponde affermando che per lui gli avidi sono coloro che credono di trarre profitto da cose di nessun valore. Interviene Socrate: ma essi sanno che quelle cose sono prive di valore o lo ignorano? Perchè se lo ignorassero sarebbero degli stolti! L'amico dice che non sono affatto stolti, anzi sono scaltrissimi; cercano di trarre profitto da cose che non hanno valore. Allora Socrate dice che l'uomo avido é consapevole del valore di ciò da cui fa conto di trarre vantaggio. Un cavaliere, pur sapendo di dare al proprio cavallo della biada di nessun valore, ignora forse di rovinarlo in questo modo? E un pilota di barche, equipaggiando la sua nave con vele e timoni di nessun valore, non sa di esserne danneggiato e di correre il rischio di morire, di perdere il carico e la nave? Quindi non penserà di trarre vantaggio da attrezzi di nessun valore. Quindi gli avidi di guadagno non sono nè i cavalieri, nè i piloti nè nessun altro uomo: nessuno infatti pensa di trarre profitto da cose prive di valore. Ciò significa che l'avido pensa di guadagnare da cose che ritiene di valore, ma che non lo sono: egli ignora che quelle cose non abbiano valore. Gli avidi amano il guadagno, che é contrario alla perdita. Non vi é nessuno per cui perdere sia un bene: la perdita é un male, di conseguenza il suo contrario, il guadagno, é un bene. Dunque gli avidi, che mirano solo al guadagno, mirano al bene. Allora non sono certo stolti! Tutti gli uomini, dice Socrate, amano il bene (il guadagno) e odiano il male (la perdita), di conseguenza tutti gli uomini sono avidi. Ma in base al ragionamento precedente (gli avidi sanno che le cose di cui sono avidi sono prive di valore), nessun uomo é avido, perchè mira alla perdita. Socrate e l'amico arrivano poi a dire che la cupidigia consista nel trarre vantaggio da ciò che gli onesti rifiutano. Nel bel mezzo del dialogo, Socrate fa un elogio di Ipparco, protettore delle arti e della cultura (a differenza del fratello Ippia ). Poi i due amici ritornano a dare definizioni di cupidigia: arrivano a dire che ci sono guadagni buoni e guadagni cattivi; però son pur sempre guadagni, come il cibo, che sia buono o che sia cattivo, é sempre cibo. Ma il guadagno mira all'utile di chi vuole guadagnare. L'utile é indubbiamente un bene, ne consegue che il guadagno può solo essere un bene e non un male. Tutti gli uomini buoni desiderano il bene, che é guadagnare, i cattivi vogliono il guadagno. Tutti gli uomini, buoni e cattivi, mirano dunque a guadagnare, dice Socrate. Quindi quando si accusa qualcuno di essere avido non ci si comporta bene. Anche chi muove la critica, infatti, si trova nella medesima condizione dell'accusato.
Ipparco - Testo
SOCRATE
Dimmi: che cos'è l'avidità di guadagno? Che cosa può essere, e chi sono questi avidi?
AMICO
Penso che siano quelli che fanno conto di trarre guadagno da cose di nessun valore. [1]
SOCRATE
Ritieni, dunque, che essi sappiano che sono prive di valore, oppure che lo ignorino? Perché, se lo ignorano, tu definisci gli avidi di guadagno gente priva dì intelligenza.
AMICO
Tutt'altro che privi di intelligenza! Io piuttosto li definirei uomini scaltri, furfanti e incapaci di resistere al guadagno; pur riconoscendo come prive di valore le cose dalle quali ardiscono trarre profitto, tuttavia osano, a motivo della loro sfrontatezza, cercare il guadagno.
SOCRATE
Intendi forse dire che l'avido di guadagno è simile, per esempio, a un contadino che pianta un albero e, pur sapendo che esso non ha alcun valore, fa conto di trarne guadagno, una volta fatto crescere? è forse questo che dici?
AMICO
Da tutto, certo, o Socrate:, l'avido di guadagno pensa di dover trarre profitto.
SOCRATE
Non rispondermi così, alla leggera, come se qualcuno ti facesse torto, ma prestami attenzione e rispondi, come se ti interrogassi di nuovo dal principio: sei disposto o no ad ammettere che l'uomo avido di guadagno sia consapevole del valore di ciò da cui fa conto di trarre vantaggio?
AMICO
Sì. Lo ammetto.
SOCRATE
Chi è, dunque, colui che, esperto del valore degli alberi, sa in quale stagione e in quale terreno questi debbano essere piantati - tanto per introdurre, anche noi, alcune di quelle dotte espressioni con cui gli abili avvocati abbelliscono i loro discorsi?
AMICO
Penso si tratti del contadino.
SOCRATE
Con l'espressione far conto di trarre vantaggio intendi, forse, qualcosa dì diverso dal pensare di dover trarre vantaggio?
AMICO
è proprio questo che intendo.
SOCRATE
Allora non tentare di ingannarmi, benché io sia ormai vecchio, mentre tu sei così giovane, dandomi risposte come quelle di poco fa, a cui neppure tu credi, ma dimmi la verità: è possibile secondo te che uno, il quale sia contadino e, quindi, sappia che l'albero da lui piantato è privo di valore, pensi di trarre vantaggio da esso?
AMICO
Per Zeus, no di certo.
SOCRATE
E ancora: pensi che un cavaliere, consapevole di dare al proprio cavallo biada di scarsa qualità, ignori che sta rovinando l'animale?
AMICO
No, di certo.
SOCRATE
Pertanto, da questa biada di nessun valore non crede di poter guadagnare.
AMICO
No.
SOCRATE
E ancora: credi che un pilota, il quale abbia fornito la sua nave di vele e timoni di nessun valore, ignori di subire, in seguito, dei danni e di correre il rischio di perdere la sua stessa vita, insieme con la nave e con tutto quanto essa si trovi a trasportare?
AMICO
Assolutamente no.
SOCRATE
Pertanto, egli non pensa di trarre guadagno da un equipaggiamento di nessun valore.
AMICO
Senz'altro, no.
SOCRATE
Ma uno stratega, consapevole che il proprio esercito possiede armi di nessun valore, crede dì trarre da esse vantaggio e pretende di guadagnare?
AMICO
Niente affatto.
SOCRATE
Allora un suonatore di flauto, che disponga di flauti di nessun valore o un citaredo o un arciere con una lira e un arco di bassa qualità o, in generale, un qualsiasi altro artigiano o uomo di talento, dotati di strumenti e attrezzi privi di valore, credono di trarre guadagno da queste cose?
AMICO
Non mi sembra proprio.
SOCRATE
Ebbene, chi sono mai coloro che chiami avidi di guadagno? Non certo questi che abbiamo passato in rassegna, ma quanti, pur riconoscendo di possedere cose di nessun valore, pensano di poterne trarre un guadagno; ma, così, caro mio, stando alle tue parole, non esiste fra gli uomini alcuno che possa essere detto avido di guadagno.
AMICO
Eppure io, o Socrate:, intendo per avidi di guadagno quelli che, a causa della loro insaziabilità, sempre bramano senza moderazione oggetti assolutamente futili e di poco o nessun valore e cercano di trarne profitto.
SOCRATE
Ciò naturalmente avviene, carissimo, senza sapere che si tratta di oggetti di nessun valore, perché, su questo, il nostro ragionamento ci ha smentiti, dimostrandoci che è impossibile.
AMICO
Sono d'accordo con te.
SOCRATE
Se, dunque, non sanno, è chiaro che ignorano, mentre pensano che cose prive di valore ne abbiano molto.
AMICO
Sembra così.
SOCRATE
Ma non è forse vero che gli avidi amano il guadagno?
AMICO
Sì. è vero.
SOCRATE
E tu affermi che il guadagno è il contrario della perdita.
AMICO
Sì, certamente.
SOCRATE
Vi è, dunque, qualcuno, per il quale perdere sia un bene?
AMICO
Nessuno.
SOCRATE
Anzi, è un male.
AMICO
Sì.
SOCRATE
Gli uomini sono, dunque, danneggiati dalla perdita.
AMICO
Sì. Sono danneggiati.
SOCRATE
Di conseguenza perdere è un male.
AMICO
Sì.
SOCRATE
Ma il guadagno è il contrario della perdita.
AMICO
Sì. è il contrario.
SOCRATE
Allora il guadagno è un bene.
AMICO
Sì.
SOCRATE
Perciò tu chiami avidi di guadagno quelli che amano il bene.
AMICO
A quanto pare.
SOCRATE
Non sono proprio pazzi, allora, Amico, quelli che definisci avidi di guadagno. Anzi, tu stesso ami o non ami ciò che è bene?
AMICO
Sì. Lo amo.
SOCRATE
Ma c'è qualche bene che non ami e qualche male, invece, che ami?
AMICO
No, per Zeus, non c'è.
SOCRATE
Allora, ami tutto ciò che è bene allo stesso modo.
AMICO
Sì.
SOCRATE
Coraggio, domandami se anche io non mi comporto allo stesso modo, perché anche io converrò con te sul fatto di amare ciò che è bene. Ma, oltre a me e a te, tutti gli altri uomini non ti sembrano amare ciò che è bene e aborrire ciò che è male?
AMICO
Mi sembra proprio così.
SOCRATE
Ma non avevamo riconosciuto che il guadagno è un bene?
AMICO
Sì.
SOCRATE
In questo modo, però, tutti appaiono avidi di guadagno, mentre nessuno di cui parlavamo prima lo era. Quale, dunque, dei due ragionamenti si dovrà seguire, per non cadere in errore?
AMICO
Questo, Socrate:, credo succederà solo se si comprenderà correttamente chi sia l'avido di guadagno: è giusto considerare tale chi si prodiga in tal senso e cerca di trarre guadagno dalle stesse cose da cui gli uomini per bene non oserebbero farlo.
SOCRATE
Ma, vedi, o dolce amico: poco fa convenimmo sul fatto che guadagnare equivalga ad ottenere vantaggio.
AMICO
Ebbene, che cosa vorresti dire con questo?
SOCRATE
Che, oltre a ciò, giungemmo anche a un'altra ammissione: tutti e sempre non vogliono altro che il bene.
AMICO
Certamente.
SOCRATE
Perciò anche i buoni vogliono ottenere ogni tipo di guadagno, se è vero che il guadagno è un bene.
AMICO
Tuttavia, o Socrate, non quei guadagni dai quali finiranno con l'essere danneggiati.
SOCRATE
Con l'essere danneggiati intendi il subire una perdita, o che altro?
AMICO
Niente d'altro: mi riferisco al subire una perdita.
SOCRATE
L'uomo viene, dunque, danneggiato dal guadagno o dalla perdita?
AMICO
Da entrambe le cose: perché ci si rimette a causa di una perdita, ma anche a causa di un cattivo guadagno.
SOCRATE
E ti pare mai che una cosa utile e buona possa essere cattiva?
AMICO
No, affatto.
SOCRATE
Non abbiamo, forse, riconosciuto, poco fa, che il guadagno è il contrario del male, rappresentato dalla perdita?
AMICO
Sì. Lo ammetto.
SOCRATE
E che, inoltre, essendo il contrario di un male, è un bene?
AMICO
Sì. Lo abbiamo riconosciuto.
SOCRATE
Ecco, allora: tu cerchi di ingannarmi, dicendo di proposito il contrario di quanto poco fa avevamo convenuto.
AMICO
No, per Zeus, o Socrate:, ma, al contrario, sei tu che inganni me e, non so come, nel corso della discussione, riesci a rivoltarmi in un senso e nell'altro.
SOCRATE
Ti prego di tacere. Non agirei certamente bene se non prestassi ascolto ad un uomo nobile e saggio.
AMICO
A chi dovresti dare ascolto e, soprattutto, che cosa dovresti ascoltare?
SOCRATE
Si tratta di un mio e di un tuo concittadino, figlio di Pisistrato, [2] del demo di Filaide:[3] Ipparco, [4] il maggiore e il più sapiente tra i figli di Pisistrato, il quale, tra le molte altre belle prove della sua sapienza, fu il primo a introdurre in questo paese i poemi di Omero e costrinse i rapsodi a recitarli alle Panatenee, [5] gli uni dopo gli altri e in ordine, come ancora oggi essi fanno; dopo averlo mandato a prendere con una nave a cinquanta remi, fece venire ad Atene Anacreonte di Teo, [6] mentre Simonide di Ceo [7] lo aveva sempre al suo fianco, persuadendolo a restare con grandi ricompense e doni. Si comportava così con l'intento di istruire i cittadini, per poter regnare su uomini che fossero i migliori possibile, nella convinzione che a nessuno si dovesse negare il diritto alla sapienza, da quell'uomo eccellente che era. Dopo che ebbe istruito gli abitanti della città e tutti lo ammiravano per la sua sapienza, con l'intenzione di istruire anche quelli che vivevano in campagna, fece per loro disporre delle Erme [8] lungo le strade, a mezzo cammino fra la città e i singoli demi; e, dopo aver scelto dal bagaglio del suo sapere le massime che riteneva più sagge, in parte apprese, in parte da lui stesso trovate, di sua mano le mise in versi elegiaci e le fece incidere sulle Erme, come documenti della sua arte e della sua sapienza, affinché, per prima cosa, i concittadini non si meravigliassero delle sapienti iscrizioni di Delfi, come il «Conosci te stesso», il «Nulla di troppo» e altre simili, ma considerassero più sagge le parole di Ipparco; e poi perché, nel percorrere le strade avanti e indietro, leggendo e gustando la sua sapienza, lasciassero i campi per recarsi in città ed essere istruiti anche nel resto. Le iscrizioni sono due: nella parte sinistra di ciascuna Erma è inciso il nome di Ermes, che dice di trovarsi a metà strada tra la città e il demo, mentre nella parte destra si legge: «Monito di Ipparco: procedi con giusti pensieri». Vi sono poi anche molte altre belle massime incise su altre Erme; in particolare, quella sulla via Stiriaca, [9] nella quale si legge: «Monito di Ipparco: non ingannare l'amico». Dunque non oserei di certo ingannare te che sei un mio amico, né, tantomeno, disobbedire ad un uomo così importante. Dopo la sua morte, per tre anni gli Ateniesi subirono la tirannide di suo fratello Ippia, [10] e da tutti i vecchi avrai avuto modo di apprendere che solo in quegli anni ad Atene ci fu la tirannide, mentre prima gli Ateniesi vivevano quasi come sotto il regno di Crono. [11] Si racconta, poi, da parte dei meglio informati, che la sua morte avvenne non, come pensano i più, per aver recato offesa alla sorella di Armodio, durante la caneforia [12] - questa sarebbe, infatti, una motivazione sciocca -, ma per il fatto che Armodio era l'amante di Aristogitone ed era stato educato da lui; di conseguenza Aristogitone andava fiero di averlo istruito e riteneva Ipparco un suo rivale. A quel tempo, ad Armodio capitò di innamorarsi di uno dei giovani belli e nobili di allora - ne riferiscono anche il nome, ma io non lo ricordo. Questo giovanotto, dunque, fino a quel momento sarebbe stato un ammiratore di Armodio e Aristogitone, a motivo della loro sapienza, ma, in seguito, col frequentare Ipparco, prese a disprezzarli: essi furono così addolorati da tale offesa, che uccisero Ipparco. [13]
AMICO
Corri, allora, il rischio, o SOCRATE:, o di non considerarmi un tuo amico oppure, se tale mi ritieni, di non dare retta ad Ipparco: perché io non riesco a convincermi di come tu non mi inganni - non so, tuttavia, in che modo - con i tuoi ragionamenti.
SOCRATE
Ebbene, come se giocassi a tavoliere, [14] in questa discussione sono disposto a ritirare quella che vuoi delle affermazioni fatte, affinché tu non creda di essere ingannato. Tutti gli uomini desiderano ciò che è bene: è, forse, questo che devo ritirare?
AMICO
Assolutamente no.
SOCRATE
Allora che il perdere, come la perdita, è un male?
AMICO
No, certo.
SOCRATE
Che il guadagno e il guadagnare sono il contrario della perdita e del perdere.
AMICO
Nemmeno questo.
SOCRATE
Che, essendo il contrario di ciò che è male, il guadagno è un bene?
AMICO
Non tutti i guadagni: è proprio questa l'affermazione che devi ritirare.
SOCRATE
Tu pensi, dunque, a quanto pare, che il guadagno a volte sia un bene, a volte un male.
AMICO
Sì.
SOCRATE
Allora ritiro questa affermazione: si ammetta pure che un guadagno sia buono e un altro cattivo. Ma di questi il buon guadagno non è più guadagno del cattivo. Non è così?
AMICO
Che cosa vuoi sapere da me?
SOCRATE
Te lo dirò: il cibo può essere sia buono che cattivo?
AMICO
Sì.
SOCRATE
Forse, dunque, uno di essi è più cibo dell'altro oppure, allo stesso modo, sono entrambi cibi e non c'è differenza tra l'uno e l'altro, quanto all'essere cibo, ma per il fatto di essere uno buono e l'altro cattivo?
AMICO
Sì.
SOCRATE
Perciò, anche le bevande e tutte le altre cose che esistono e che, pur essendo in sé le stesse, si trovano ad essere le une buone e le altre cattive, non differiscono fra di loro quanto a quello per cui sono identiche? E questo vale anche per l'uomo, che può essere buono e malvagio.
AMICO
Certo.
SOCRATE
Tuttavia, credo, nessuno dei due è più o meno uomo dell'altro, né il buono del malvagio, né il malvagio del buono.
AMICO
Hai ragione.
SOCRATE
E non pensiamo così anche del guadagno, cioè che, buono o cattivo, è pur sempre guadagno?
AMICO
Necessariamente.
SOCRATE
Colui che ottiene un cattivo guadagno non trae, certo, più vantaggio di colui che ottiene un buon guadagno; pertanto, nessuno dei due sembra essere più guadagno dell'altro, come abbiamo convenuto.
AMICO
Sì.
SOCRATE
Perché a nessuno dei due si può applicare il più o il meno.
AMICO
No, per l'appunto.
SOCRATE
Come si potrebbe fare o subire qualcosa di più o di meno, in una circostanza del genere, alla quale né il più, né il meno sono applicabili?
AMICO
è impossibile.
SOCRATE
Poiché, dunque, entrambi sono guadagni allo stesso modo e, per di più, vantaggiosi, occorre che noi consideriamo per quale motivo tu li chiami entrambi guadagni: che cosa vedi di uguale in essi? E come se mi domandassi, a proposito degli esempi poco fa citati, perché mai sia il cibo buono, sia il cibo cattivo io li chiami entrambi cibi allo stesso modo, ti risponderei che li chiamo così perché entrambi sono nutrimento solido per il corpo; e che il cibo consista in questo, anche tu lo riconoscerai. Non è così?
AMICO
Sì, certamente.
SOCRATE
La stessa risposta si potrebbe dare anche in riferimento alle bevande: questo è il nome che ha il nutrimento liquido per il corpo, buono o cattivo che sia: e così anche per il resto. Prova, dunque, anche tu ad imitarmi nel rispondere così. Tu sostieni che il buon guadagno e il cattivo siano guadagni entrambi: che cosa vedi di uguale in essi, che sia appunto anche questo guadagno? Se, poi, tu stesso non sai che cosa rispondere, considera le mie parole: chiami, forse, guadagno ogni acquisto che uno si trovi a fare o senza spendere nulla oppure spendendo di meno di quanto si ricava?
AMICO
Sì. Questo è, credo, quello che io chiamo guadagno.
SOCRATE
Diresti lo stesso di uno invitato a banchetto che, dopo essersi ben rifocillato, rimediasse una malattia?
AMICO
No, per Zeus, assolutamente no.
SOCRATE
E se, invece, dal banchetto ricavasse buona salute, il suo sarebbe un guadagno o una perdita?
AMICO
Un guadagno.
SOCRATE
Dunque, non è un guadagno fare un qualsiasi acquisto.
AMICO
No. Di certo.
SOCRATE
Questo non vale, forse, solo per un cattivo acquisto? O non sarebbe un guadagno neppure se si facesse un buon acquisto?
AMICO
Penso di sì, se si tratta di un buon acquisto.
SOCRATE
Se, invece, è cattivo, non sarà una perdita?
AMICO
Credo di sì.
SOCRATE
Vedi, allora, che continui a girare intorno allo stesso punto? Il guadagno sembra un bene, mentre la perdita un male.
AMICO
Non so più che cosa dire.
SOCRATE
Non senza ragione ti trovi in difficoltà. Rispondi ancora a questo: parleresti di guadagno se si trattasse di acquistare di più di quel che si spende.
AMICO
Non quando si tratta di un male, ma solo nel caso in cui uno, spendendo meno oro e argento, ne ottenesse di più.
SOCRATE
Stavo per domandarti proprio questo. Ebbene: se uno, con la spesa di mezza libbra d'oro, ricavasse una quantità doppia di argento, otterrebbe un guadagno o una perdita?
AMICO
Una perdita di certo, o SOCRATE: perché l'oro gli viene valutato il doppio, anziché dodici volte tanto.
SOCRATE
Eppure ha ricevuto di più; o, forse, il doppio non è più della metà?
AMICO
Non per il valore dell'argento rispetto all'oro.
SOCRATE
Di conseguenza, a quanto pare, al concetto di guadagno bisogna aggiungere quello di valore. Ora, per esempio, dici che l'argento, pur essendo di più dell'oro, non ne ha il valore, mentre ha più valore l'oro, anche se in minor quantità.
AMICO
Naturalmente! Le cose stanno proprio così.
SOCRATE
Il valore, dunque, grande o piccolo che sia, procura vantaggio, mentre la mancanza di esso è controproducente.
AMICO
Sì.
SOCRATE
Ciò che ha valore a che cosa vale, secondo te, se non ad essere acquistato?
AMICO
Senza dubbio ad essere acquistato.
SOCRATE
Con il valore si fa un acquisto utile o inutile?
AMICO
Utile, senz'altro.
SOCRATE
Dunque, l'utile è un bene?
AMICO
Sì.
SOCRATE
Orbene, o valorosissimo uomo, di nuovo, per la terza o quarta volta, non giungiamo a riconoscere che ciò che procura vantaggio è un bene?
AMICO
Pare di sì.
SOCRATE
Bene. Ricordi da dove è scaturita la nostra discussione?
AMICO
Penso di sì.
SOCRATE
Se non lo ricordi, sarò io a rinfrescarti la memoria: tu eri in disaccordo con me, sostenendo che le persone per bene non vogliono ottenere tutti i tipi di guadagno, ma di essi scelgono i buoni guadagni e scartano i cattivi.
AMICO
Sì. è vero.
SOCRATE
Ed ora la discussione non ci ha costretti a riconoscere che tutti i guadagni, piccoli e grandi, sono un bene?
AMICO
Costretto sì, o Socrate, più che persuaso.
SOCRATE
Ma, forse, più tardi, ne sarai anche persuaso: ora, comunque, persuaso, o in qualunque stato tu sia, sei d'accordo con me sul fatto che tutti i guadagni sono un bene, piccoli e grandi.
AMICO
Infatti sono d'accordo.
SOCRATE
E che gli uomini per bene vogliono tutti ciò che è bene, qualunque esso sia, lo ammetti o no?
AMICO
Sì. Lo ammetto.
SOCRATE
Invece, riguardo agli uomini malvagi, hai detto tu stesso che amano guadagni sia piccoli, sia grandi.
AMICO
L'ho detto.
SOCRATE
Insomma, secondo il tuo ragionamento, tutti gli uomini sarebbero avidi di guadagno, i buoni come i cattivi.
AMICO
Sembra di sì.
SOCRATE
Non muove, dunque, un rimprovero motivato chi rimproveri ad un altro di essere avido di guadagno; accade, infatti, che chi muove questi rimproveri si trovi nella medesima condizione.
Note
1) Il gioco di parole fra i termini "axios" 'degno' e "axioun" 'credere' ricorre anche più avanti in 225b-c; 226c.
2) Pisistrato (600-528/27 circa a.C.) fu tiranno di Atene per due volte: fra il 561 e il 556 a.C. e fra il 546 e il 528 a.C.
3) Il demo era una suddivisione territoriale della popolazione di Atene, cui tutti gli Ateniesi, dall'età di diciotto anni, erano iscritti. Con il nome di Filaide si designava un demo della tribù Eglide.
4) Per Ipparco cfr. la Premessa.
5) Le Panatenee erano le feste più famose di Atene: si svolgevano nei mese di Ecatombeone (luglio-agosto) e terminavano con una solenne processione all'Acropoli. Le piccole Panatenee avevano cadenza annuale; le grandi erano quadriennali ed avevano luogo il terzo anno dopo le Olimpiadi.
6) Celebre poeta lirico, noto soprattutto per i suoi carmi erotici (570-487 a.C.).
7) Poeta lirico, nacque a Ceo nel 559 a.C., visse per molti anni ad Atene, e, pochi anni prima di morire (469 a.C.), si trasferì alla corte dei tiranni di Siracusa.
8) Pilastri rettangolari, sormontati da una testa che rappresentava il dio Ermes.
9) La strada che conduceva ad Atene al demo di Steirià, della tribù di Pandione.
10) Per Ippia si veda la Premessa.
11) Ossia durante la mitica età dell'oro.
12) La caneforia è una processione sacra inserita nelle Panatenee: le fanciulle portavano in canestri, sul capo, oggetti per il sacrificio.
13) Riguardo alla vita e all'uccisione di Ipparco le fonti antiche presentano versioni fra loro differenti: alcuni vedono la congiura di Armodio e Aristogitone come una vendetta politica, altri come una vendetta personale, motivata da gelosie e tradimenti. C'è chi vede nel nostro dialogo un'apologia di Ipparco, scritta da qualcuno che lo considerava un grande uomo politico, artista e mecenate. Per altri, soprattutto per chi ritiene l'opera autentica, l'elogio di Ipparco è piuttosto un'ironica rielaborazione della vicenda.
14) Antico gioco a pedine, antenato degli scacchi.
Eugenio Caruso - 12-08-2019
Tratto da