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3.4 Gestione delle carriere: una nuova sfida per le imprese
Tra gli stakeholders una posizione di rilievo hanno, ovviamente, i
dipendenti, per i quali giova fare alcune considerazioni.
I continui processi di cambiamento che coinvolgono le aziende
impongono infatti a queste ultime di riformulare la gestione dei percorsi
di carriera. La necessità principale è quella di individuare percorsi
che valorizzino, premino e favoriscano lo sviluppo continuo di
nuove competenze da parte delle risorse umane aziendali. L’obiettivo
non è facile, poiché individui diversi hanno competenze differenziate
e, di conseguenza, esprimono bisogni e aspettative diverse riguardo
alle carriere.
Le imprese, da parte loro, dovrebbero quindi adottare un approccio
pluralistico alla gestione delle carriere, che comprenda modalità
diverse e personalizzate, in modo da venire incontro alle specifiche
esigenze dei dipendenti ed essere in grado di favorire e premiare lo
sviluppo di un insieme più vario di competenze al proprio interno.
Ciò è possibile solo se si sposa una nuova accezione del concetto di
carriera: “crescere in azienda” non vuol più dire solo fare carriera scalando
la gerarchia aziendale, ma anche avere la possibilità di essere
assegnati a incarichi nuovi e più sfidanti, che favoriscano l’acquisizione
di nuove competenze utili per il futuro. Nell’analisi dello scenario
nel quale opera l’impresa di questo millennio va sottolineato il ruolo
che avrà la robotizzazione. Nel seguito analizzerò quattro effetti.
3.4.1 Il ruolo della robotizzazione
Il primo è l’estinzione dei posti di lavoro meno qualificati perché le
attività manuali, ripetitive ed esecutive saranno affidate ai robot. Quelle
macchine che già nel 1930, agli occhi di John Maynard Keynes, sarebbero
state responsabili della disoccupazione tecnologica.
Il secondo è la proliferazione dei posti di lavoro qualificati su cui i
robot al momento non competono con l’uomo. Per rendersene conto
basta osservare quanto è accaduto dal 1995, agli albori della rivoluzione
tecnologica, nel Nord America: secondo uno studio di Jeremy
Rifkin, appena il 20% della forza lavoro, costituito dai knowledge
workers, ha tratto vantaggio da questa rivoluzione, mentre il restante
80%, costituito dai lavoratori meno qualificati, è rimasto impoverito.
Il terzo effetto è la proliferazione di posti di lavoro legati allo
sviluppo delle tecnologie, come già ora lo sono quelli figli della digitalizzazione
della produzione, dell’ICT, dei big data e via dicendo.
L’ultimo è la proliferazione dei posti di lavoro che hanno la finalità
di riempire il tempo libero, perché lo smart working avrà l’effetto di
darne molto ai lavoratori. Si tratta soprattutto dei lavori che curano
il benessere fisico e psicofisico, come stima il recente rapporto del
governo inglese intitolato T
he Future of Work: Jobs and Skills.
Su questi effetti della robotizzazione dovrà focalizzarsi anche l’attenzione
di coloro che desiderano entrare nel mondo dell’impresa.
Eugenio Caruso - 26 settembre 2019
Tratto da