In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
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40. L'assetto politico dal 1998 al nuovo millennio
40.1 Il governo D'Alema
Come s’è gia detto, il 21/10/1998 nasce il governo D'Alema, ma il comportamento dei leader del centro sinistra mostra che il governo nasce «affetto da un mal sottile che l'avrebbe progressivamente indebolito». La sinistra del Ppi e Prodi hanno, già, costituito il partito della vendetta: il nuovo premier è considerato l'usurpatore che ha ucciso il padre per occuparne il posto. D'Alema non è uno sprovveduto, cerca di sottrarsi all'incarico, ma le sirene Cossiga e Marini lo incantano e l'uomo non ha la forza di Ulisse di tapparsi le orecchie e sfuggire alle lusinghe.
Secondo il ritratto che ne fa Armani, a lungo suo vicepresidente all'Iri, «Prodi gronda bonomia da tutti gli artigli». Abbandonata, quindi la bonomia il professore bolognese elabora la grande vendetta contro D'Alema e Marini: fonda il partito dei democratici (l’asinello di ispirazione clintoniana) per togliere voti a Ds e Ppi. Al partito aderiscono Di Pietro, Rutelli, Cacciari e Bianco. Grazie al credito acquisito con Schroeder nella gestione dell'affare Ocalan (leader del Pkk curdo), D'Alema pensa di sbarazzarsi di Prodi sollecitandone la nomina alla presidenza della Commissione dell'unione europea. L'elezione avviene, all'unanimità, il 24 marzo '99.
Ma le acque della politica restano, ugualmente, agitate; nell'autunno del '99, i Democratici di Parisi (nominato presidente), sotto la regia a distanza di Prodi (Cossiga, 2000), sferrano un attacco al premier perché apra il governo ai democratici, liberandosi di compagni di viaggio ingombranti, come Cossiga. D'Alema tergiversa, ma è costretto a cedere, accettando l'abbraccio mortale dei suoi nemici, per cavalcare un nuovo Ulivo. Cossiga «l'uomo senza voti, senza partito e senza truppe» raccoglie, sotto il simbolo del Trifoglio, un gruppetto di oppositori del nuovo Ulivo (i socialisti di Boselli e i repubblicani di La Malfa), mentre l'Udr si trasforma in Udeur (Unione democratici per l’Europa).
D'Alema al congresso dei Ds, a Torino, afferma «Prendo atto che all'interno del socialismo la storia nel confronto di socialdemocrazia e comunismo ha dato ragione alla socialdemocrazia»; l'ex "nipotino di Togliatti", con l'appoggio di Cossiga, aveva capito che la sinistra avrebbe dovuto imboccare, decisamente, la strada della socialdemocrazia, ma ulivisti, democratici e comunisti optano per soluzioni complicate e suicide. Il 18 aprile 1999 si tiene un altro referendum con l’obiettivo di eliminare la quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei deputati; ancora una volta i proponenti non raggiungono il quorum. Gli italiani erano più preoccupati per l’intervento del Paese nella guerra del Kosovo, azione necessaria per la caduta del dittatore serbo Milosevic, che della questione della quota proporzionale.
40.2 Ciampi presidente della repubblica
Come si è visto, se D'Alema, nell'ottobre '98, ha potuto insediarsi a Palazzo Chigi lo deve a Cossiga, ma soprattutto a Marini, che ha ricevuto in cambio la promessa che a Scalfaro sarebbe succeduto un popolare. L'ipotesi poggiava sulla convinzione che Berlusconi avrebbe favorito questa soluzione. In realtà, se, inizialmente, Berlusconi ha pensato a una candidatura Mancino, la riuscita campagna radicale "Emma for president" convince il presidente di Fi a favorire un candidato in grado di raccogliere un largo consenso da parte dell'opinione pubblica. Mancino, d'altra parte, non catalizza l'entusiasmo del centro sinistra perché considerato uomo da prima repubblica.
Gianni Letta, intanto, promuove un incontro tra Berlusconi e Ciampi, nel corso del quale il cavaliere assicura la sua disponibilità a votare l'ex governatore della Banca d'Italia, per il Quirinale. Sul nome di Ciampi convergono progressivamente anche An, Ds e popolari. Il 13 maggio 1999, Ciampi viene eletto al primo turno con 707 voti.
Una mania del presidente, che perseguiterà gli italiani, è la pretesa di avere l'inno di Mameli a pranzo e cena. L'elezione di Ciampi avviene mentre l'Italia partecipa alla guerra mossa dalla Nato contro la Serbia (vedi swotto). Infatti, all'inizio del '99, Miloševic´ rifiuta la mediazione dell'occidente per una maggiore autonomia al Kosovo e cerca di risolvere il problema alla balcanica, costringendo centinaia di migliaia di kosovari a una migrazione biblica sotto la minaccia del genocidio. Il 24 marzo '99, una tempesta di missili della Nato si abbatte su Serbia e Montenegro; è iniziata la guerra e l'Italia ne è coinvolta. L'esile maggioranza che tiene in piedi il governo D'Alema sembra sempre sul punto di rompersi; l'idea di appoggiare una guerra della Nato contro ex compagni rende infatti "nervosi" i comunisti italiani.
Cossutta, però, non apre una crisi di governo anche perché conscio che D'Alema può sfruttare il paracadute offertogli da Berlusconi. I due mesi e mezzo della guerra alla Serbia fanno crescere la dimensione internazionale di D'Alema e gli fanno, anche, «passare gli esami» in sede atlantica (Vespa, 1999). Nelle elezioni europee, uniche ancora con il sistema proporzionale, i partiti possono misurare la propria reale forza elettorale. «La consultazione avrebbe dovuto regolare alcuni conti: di Cossutta con Bertinotti, di Buttiglione con Mastella e Cossiga, ma soprattutto di Fini con Berlusconi e di Prodi con D'Alema e Marini» (Vespa, 1999).
I risultati delle europee del 13 giugno 1999 provocano un terremoto: Fi stravince con il 25,2% (5% in più rispetto alle politiche), i Ds si fermano al 17,3% (4% in meno), An crolla al 10,3% (5% in meno), la Lista Bonino, grazie all'abile campagna elettorale e all'onda lunga del progetto "Emma for president" ottiene l'8,5% dei voti, l'Asinello di Prodi raccoglie il 7,7%, la Lega crolla al 4,5% dal 10,1% delle politiche, Rifondazione e Ppi si fermano, rispettivamente al 4,3% e al 4,2%, dimezzando i risultati delle politiche, sotto il 3% gli altri.
Il dopo elezioni è caratterizzato dalle dimissioni di Manconi dei Verdi per Grazia Francescato e di Marini del Ppi per Pierluigi Castagnetti, che vince il congresso del partito partendo dalla premessa «La nascita del governo D'Alema è stato un errore». Con la caduta di Marini, il Ppi entra nell'orbita della sinistra di ispirazione dossettiana, che è ora in grado di far pagare a D'Alema il disarcionamento di Prodi. Il 13 giugno, la sconfitta più cocente è quella di Bossi. Con un fiuto politico infallibile riesce a portare la destra al governo per la prima volta nella storia della Repubblica e ad espellerla dopo pochi mesi, garantisce la sopravvivenza del governo Dini ricevendone in cambio la legittimazione politica, con lo slogan «Roma-Polo e Roma-Ulivo» alle elezioni politiche del '96 supera la soglia del 10%, per tre anni catalizza l'attenzione del mondo politico con il progetto della secessione, ma poi, anche per lui, inizia la stagione delle sconfitte. Assume atteggiamenti antiamericani e antiglobalizzazione (la sua interpretazione è «… hanno globalizzato la povertà e accentrato la ricchezza in mano di pochi …»), critica l'intervento alleato contro la Serbia e il suo elettorato è sconcertato. Bossi si rende conto di aver sbagliato e cerca di correggere il tiro, ma oramai il danno è irreparabile. Escono dalla Lega Comino, Gnutti, Babbini, Formentini e per Bossi l'unica ancora di salvezza si chiama Berlusconi, che non dimentica che senza l'azione della Lega non sarebbe nata Fi. Forse Bossi è uno dei più intelligenti uomini politici italiani: la sua sconfitta ha le radici nel suo atteggiamento anti americano e antiglobalizzazione, che non viene accettato dagli elettori. Eppure non passeranno molti mesi perché tutto il mondo inizi ad analizzare alcuni effetti negativi, sia della globalizzazione, sia della assunzione da parte degli Usa del ruolo di "poliziotto del pianeta.
GUERRA DEL KOSOVO
La guerra del Kosovo fu un conflitto armato, svoltosi tra il 1996 ed il 1999, riguardante lo status del Kosovo, allora compreso nell'Unione delle Repubbliche di Serbia e Montenegro.
Dalla fine della seconda guerra mondiale il Kosovo era una provincia autonoma della Serbia, i cui abitanti nativi però erano a maggioranza albanesi.
Con la morte di Josip Broz Tito (1980) e con il rinascere e crescere dei vari nazionalismi, l'insofferenza etnica della popolazione albanese in Kosovo verso la Federazione Jugoslava aveva cominciato a sfumare dalla rivendicazione autonomista a quella indipendentista.
Il conflitto precipitò alla fine degli anni ottanta: nel marzo del 1989 l'autonomia della provincia risalente alla costituzione della Repubblica Jugoslava di Tito venne revocata su pressione del governo serbo guidato da Slobodan Miloševic. Fu, tra l'altro, revocato lo status allo stesso modo goduto dalla lingua albanese-kosovara (lingua co-ufficiale nel Kosovo insieme al serbo-croato), chiuse le scuole autonome, rimpiazzati funzionari amministrativi e insegnanti con serbi o persone fedeli alla Serbia.
Dal 1989 al 1995 la maggioranza della popolazione d'etnia albanese del Kosovo mise in atto una campagna di resistenza prevalentemente non violenta sotto la guida del partito LDK e del suo leader Ibrahim Rugova.
Dopo la fine della guerra in Bosnia ed Erzegovina, tra i kosovari (in maggioranza di religione musulmana) nacquero e si rafforzarono in breve tempo forze armate guidate da veterani di quella guerra con intenti indipendentisti.
La guerra del Kosovo si può dividere in tre fasi di tempo distinte:
1. I primi movimenti della guerra del Kosovo iniziano già negli anni 80, quando i movimenti politici kosovari iniziarono ad organizzarsi. Infatti nel 1982 i servizi segreti Iugoslavi uccisero i fratelli Gervalla Zeka e Kadri Zeka in Germania i quali erano alla guida del movimento politico per la liberazione del Kosovo. Successivamente nel 1989 e 1990 Slobodan Miloševic liquida le autonomie del Kosovo e della Vojvodina. Dopo tre guerre di aggressione contro la Slovenia (1991), la Croazia (1991) e la Bosnia-Erzegovina (1992-1995), dopo i crimini di guerra nella Slavonia orientale e il genocidio in Bosnia il regime di Milosevic nel marzo 1998 iniziò un'azione di repressione, stavolta contro la popolazione albanese e i gruppi guerriglieri della provincia autonoma del Kosovo.
Per dieci anni quasi due milioni di albanesi del Kosovo, guidati dal loro presidente liberamente eletto Ibrahim Rugova, si sono difesi prevalentemente con mezzi non violenti e con forme di resistenza pacifica contro i soprusi e la repressione quotidiana. I governi occidentali, invece, non hanno minimamente premiato questo atteggiamento politico, anzi, hanno assistito passivamente alla continua violazione dei diritti umani e politici in Kosovo e all'aumento dei flussi di profughi albanesi verso i paesi dell'Europa centrale (inclusa l'Italia) che dal 1990 fino ad oggi ha superato 300.000 persone, e quindi notevolmente più persone di quante ne fossero arrivate in Italia dall'Albania in tutto questo periodo. In questo periodo iniziammo a vedere albanesi agli incroci delle strade italiane di maggior traffico come pulisci vetri o venditori di accendini.
2.Tra il 1996 e il 1999 furono i separatisti albanesi dell'UCK a compiere atti di terrorismo contro le postazioni militari e contro le entità statali. Successivamente ci fu una repressione sempre più dura da parte della polizia e, più tardi, da parte di forze paramilitari ispirate da estremisti serbi.
3.Nel 1999 ci fu l'intervento della NATO contro la Serbia. Per tutto il 1998, mentre la guerra sul terreno si espandeva e la repressione dei serbi si faceva via via più pesante e sanguinosa, la NATO adottò una politica di dissuasione e minaccia contro il governo della Repubblica federale iugoslava guidato da Slobodan Miloševic. Da Aviano e dalle altre basi NATO italiane presero il volo i caccia bombardieri: la guerra si tenne tutta su questo livello (eminentemente aereo, senza presenza di truppe sul suolo), si disse per minimizzare i rischi per i soldati della NATO; a posteriori si è anche sostenuto che la scelta fu dettata dall'assenza di una chiara strategia su che cosa si volesse veramente ottenere e come ottenerla. A seguito della decisione della NATO, il governo D'Alema autorizzò l'utilizzo dello spazio aereo italiano, delle basi aeree presenti sul territorio nazionale, e mise a disposizione un'aliquota di cacciabombardieri e di caccia intercettori per le operazioni aeree. Fu il secondo intervento militare italiano a carattere offensivo dalla fine della seconda guerra mondiale (il primo era stato la guerra del golfo contro l'Iraq nel 1991). In media, la Serbia subiva almeno 600 raid aerei al giorno. Il numero esatto di vittime della guerra, sia serbe che albanesi, militari e civili, non è ancora oggi conosciuto con esattezza, ma è presumibile che si aggiri tra i 2000 e 5000. Si tratta di un'ulteriore tragedia che si somma a quella dei dieci precedenti anni di conflitti balcanici, che hanno fatto circa 250.000 vittime tra serbi ed albanesi, in gran parte civili.
Nel corso del conflitto ci sono stati diversi gravi episodi: in un'occasione un attacco aereo colpì un convoglio di civili in fuga facendo una strage. Un'altra volta, un missile finì per errore in Bulgaria, senza provocare danni. Tra le infrastrutture prese di mira anche alcuni ponti e centrali elettriche (inizialmente bombardate con speciali bombe alla grafite che non provocano danni permanenti, ma solo un black-out). Fu anche bombardata e distrutta la torre della televisione serba (gli oppositori di Miloševic in Serbia sostennero che il personale fosse stato avvisato dell'attacco, ma gli fu ordinato di rimanere nell'edificio), con 16 vittime tra giornalisti, funzionari ed impiegati. In seguito venne bombardata l'ambasciata cinese a Belgrado, nel convincimento che in quell'edificio fosse stata spostata la trasmittente della radiotelevisione Serba dopo la distruzione della sua sede. La vicenda creò una notevole tensione con la nazione asiatica.
L'esercito serbo, e truppe "irregolari" facenti capo a movimenti ultranazionalisti serbi (che già avevano operato in Bosnia-Erzegovina distinguendosi in massacri di civili ed operazioni di cecchinaggio) non mancarono di compiere diverse esecuzioni sulla popolazione del Kosovo, per provocarne la fuga e creare quello stato di fatto necessario alla realizzazione dell'obiettivo della spartizione. L'operazione militare, chiamata "ferro di cavallo", sarebbe stata preparata prima ancora delle trattative di Rambouillet, anche se prove definitive al di là di ogni ragionevole dubbio in tal senso non sono state fornite, o la stampa internazionale non ne ha mai dato un resoconto esauriente. In ogni caso l'esercito serbo sotto attacco NATO aumentò progressivamente la pressione sulla popolazione kosovara, che iniziò a rifugiarsi verso la Macedonia e l'Albania. Il numero dei rifugiati raggiunse gli 800.000.
L'inevitabile capitolazione del governo serbo portò al dispiegamento della missione NATO-KFOR, disposta dal Consiglio di sicurezza dell'ONU a seguito di un accordo "a posteriori" includente Russia e Cina, a guida NATO e con una significativa presenza di truppe russe, a garanzia della Serbia.
Il conflitto armato ha portato molte perdite di vite umane, distruzione e danni economici, che pesano ancora sulla vita sociale del paese. E inoltre ha riacceso l'odio etnico secolare tra i due popoli che pretendevano il controllo del paese.
Le forze paramilitari serbe uccisero oltre 13.000 civili kosovari, mentre i caduti tra i combattenti albanesi si aggirano intorno a 3.000-6.000 nell'impossibilità di determinare il numero preciso e distinguere tra kosovari civili e combattenti, poiché i combattenti dell'Esercito di Liberazione del Kosovo non erano reclutati con un arruolamento formale. Mentre tra i serbi le stime variano da 2.300 a 3.000 persone uccise nel conflitto (la maggior parte morta durante l'attacco della NATO).
Inoltre circa 20 000 donne albanesi sono state stuprate dai militari serbi.
Sono state distrutte molte abitazioni, appartenenti sia ad albanesi che a serbi, scuole, istituzioni, luoghi di intrattenimento e molto altro.
La guerra del Kosovo è stata l'ultima combattuta nei territori della ex-Jugoslavia e la sua fine ha concluso dieci anni di conflitti regionali, dando inizio a un periodo di pace e di sviluppo economico e democratico per la maggior parte della regione.
I rifugiati albanesi ritornarono ma cominciò un nuovo esodo, quello serbo.
Miloševic fu arrestato il 1º aprile 2001 su mandato del tribunale internazionale dell'Aja, dopo molte titubanze del nuovo regime democratico, come imputato per crimini contro l'umanità. Il processo si è interrotto a poca distanza dalla sua conclusione, a causa della morte dell'imputato l'11 marzo 2006 per arresto cardiaco. Nel 2006 sono iniziati a Vienna nuovi colloqui bilaterali tra il governo serbo e quello kosovaro per la definizione finale dello status dell'area kosovara.
Giova ricordare che Amnesty International emise questo comunicato un anno dopo la fine della guerra, comunicato che va letto con tutte le cautele del caso.
Roma, 7 giugno 2000
Ufficio Stampa Amnesty International
I CRIMINI DELLA NATO IN SERBIA E IN KOSOVO
'La NATO ha in piu' occasioni violato i principi umanitari da applicare in
ogni conflitto armato'.
Questo e', in sostanza, il messaggio contenuto in un rapporto che Amnesty
International ha divulgato, a un anno di distanza dalla fine dei
bombardamenti della NATO sulla Repubblica Federale della Jugoslavia.
'Il non aver rispettato le regole fondamentali sancite nelle convenzioni di
Ginevra del 1949, ha causato la morte di numerosi civili', dichiara Amnesty
International.
Il rapporto, dal titolo "Danni collaterali" o Uccisioni illegittime?
contiene l'analisi dettagliata di eventi in cui le Forze Alleate del Patto
Atlantico hanno agito senza tenere conto del diritto umanitario
internazionale nel selezionare i bersagli e scegliere i modi con cui
condurre gli attacchi.
Tra le norme vi e' la proibizione di qualsiasi attacco diretto contro
persone o strutture civili, degli attacchi condotti in modo da non
distinguere obiettivi civili da obiettivi militari, e di quegli attacchi
che - seppur condotti contro obiettivi militari legittimi - comportano un
impatto sproporzionato sui civili.
'L'attacco alla sede centrale della televisione e radio di stato serba,
avvenuta il 23 aprile '99, e' senza dubbio un crimine di guerra', e'
scritto nel rapporto.
'Uno strumento di propaganda non puo' essere considerato un obiettivo
militare'.
Amnesty International fa inoltre notare che tale attacco e' stato
sproporzionato, avendo causato la morte di sedici civili con l'unico
risultato di interrompere le trasmissioni per poco piu' di tre ore.
Il rapporto e' basato sulla raccolta di testimonianze e sull'analisi
dettagliata dei pronunciamenti ufficiali della NATO nonche' di vario
materiale prodotto da altre associazioni non governative indipendenti.
Particolarmente importante e' stato anche l'incontro di una delegazione di
Amnesty International con vertici della NATO avvenuto il 14 febbraio scorso.
Il numero dei civili morti durante le campagne di bombardamento aereo non
e' noto con esattezza.
Le fonti della repubblica Federale Jugoslava non sono attendibili.
Associazioni per i diritti umani e umanitarie stimano gli eventi in cui
sono stati colpiti dei civili in circa novanta e i morti complessivi in
circa cinquecento.
'Ma il punto non e' confrontare il numero dei civili uccisi dalla NATO con
quelli uccisi dalle altre fazioni, oppure con i civili uccisi in guerre
precedenti', ha dichiarato Daniele Scaglione, presidente della Sezione
Italiana di Amnesty International, 'il punto e' che molte di queste persone
sarebbero oggi ancora vive, se la NATO avesse rispettato le regole
internazionali sui conflitti armati'.
Tra i principi imposti dal diritto umanitario internazionale vi e' quello
secondo cui la sicurezza dei civili dovrebbe sempre essere posta come
prioritaria, rispetto a quella dei militari.
Ancora, le convenzioni di Ginevra sanciscono il dovere di sospendere un
attacco ad un obiettivo militare, se si verifica la possibilita' di colpire
dei civili.
Durante i bombardamenti in Kosovo e Serbia, le forze NATO hanno
sistematicamente violato questi principi.
In particolare, durante le prime azioni, per ridurre la possibilita' di
essere colpiti, gli aerei della NATO volavano ad altezze di circa 4.500
metri, dalle quali, per stessa ammissione dei responsabili NATO, e'
possibile distinguere un obiettivo militare da uno civile, ma non e'
possibile verificare se nei pressi di questo obiettivo vi siano dei civili.
In diversi attacchi, inclusi quelli al ponte di Grdelica del 12 aprile, al
ponte di Lunane il 1 maggio, al ponte di Varvarin il 30 maggio, le forze
NATO non hanno sospeso la propria azione, anche dopo essersi resi conto che
avevano colpito dei civili.
In altri casi, tra cui gli attacchi contro carovane di profughi a Djakovica
il 14 April e Korisa il 13 maggio, le forze NATO hanno agito senza valutare
preventivamente le proprie azioni.
La NATO e gli stati che ne fanno parte non si sono mai adoperati in modo
adeguato per far luce sulle responsabilita' nei vari eventi che hanno
causato la morte di civili, eccezion fatta per il bombardamento
dell'ambasciata cinese in Belgrado.
Il rapporto mette in luce anche alcuni problemi generali che riguardano la
possibilita' della NATO di agire coerentemente in difesa dei diritti umani.
I paesi che fanno parte dell'Alleanza aderiscono in modo differente a
diversi strumenti del diritto internazionale e gli stessi vertici della
NATO non sono in grado di specificare quali siano le leggi di guerra che,
invece, piu' volte han dichiarato di rispettare.
Ancora, il meccanismo decisionale all'interno della NATO e' piuttosto
complesso e impedisce di risalire alle reali responsabilita' per i singoli
casi.
Alla luce di quanto evidenziato nel suo rapporto, Amnesty International,
pur ricordando che e' dovere di ogni stato aderente alla NATO di
investigare seriamente sui crimini compiuti dalle proprie forze armate, ha
accolto con preoccupazione le notizie secondo le quali
il tribunale ad hoc per la ex jugoslavia avrebbe deciso di non proseguire
le indagini sulle violazioni del diritto umanitario che sarebbero state
commesse dalle forze NATO.
Eugenio Caruso - 4 ottobre 2019
Tratto da