Gode in sommo grado delle ricchezze personali chi ne sente meno il bisogno.
Seneca Lettere morali a Lucilio
1. Introduzione
In un recente articolo ho affermato che negli ultimi anni, specialmente nelle Business School anglosassoni, è invalso il principio di affiancare alla lettura degli economisti classici, e dei vari mostri sacri della gestione d’impresa, come Levitt, Drucker, Porter, Kotler, Welch, Peters, Thurow, McKenna anche quella di autori classici e lo studio della vita dei grandi condottieri, come Alessandro, Cesare, Sun Tzu, Napoleone.
Filosofi greci, e pensatori latini stoici come Seneca, Livio, Catone Uticense, Cicerone, Epitteto, Marco Aurelio, sono diventati oggetto di analisi per coloro che frequentano i Master in Business and Administration.
Tra i testi più approfonditi un posto di rilievo gode I ricordi di Marco Aurelio.
Lo stoicismo dai circoli culturali greci e medio orientali entra in Roma, nel 155 a.C., a opera di Diogene di Babilonia e Carneade di Cirene, dove si arricchisce dello spirito pragmatico della civiltà latina. Cicerone ne divulga le idee attraverso un gran numero di scritti. Catone Uticense, Bruto, Manilio, Persio, i frequentatori del "circolo degli Scipioni" vi attingono le proprie norme di vita. Seneca, infine, in una forma letteraria originale e coinvolgente, ne sviluppa tutti gli aspetti: la miseria dell’uomo di fronte alle avversità e all’assalto del male e delle passioni, il rifugio nella solitudine della sapienza e la partecipazione al destino di ogni altro individuo, la morte come impegno finale della coscienza.
Gli stoici non accettarono il trapasso dalla repubblica alla “tirannide”, cosicché molti di essi caddero vittima di Cesare, Antonio, Ottaviano, Nerone. D’altra parte, la situazione politica di Roma sollecitò in tutte le opposizioni intellettuali, non solo tra gli stoici, un titanismo etico che non si ritroverà più e che non esiste nemmeno nella storia della Grecia antica.
Lo stoicismo non è tanto una filosofia di ricerca teorica, ma un’arte di vivere, una continua ricerca del sapere e dei valori della vita; lo stoicismo spiana la strada alle esigenze di una nuova cultura che andava maturando tra Alessandria, Gerusalemme e Roma e apre le porte al cristianesimo; al materialismo con il suo determinismo si contrappone la libertà di un elemento spirituale. L’umanità è una sola grande famiglia stretta dal vincolo della ragione comune a tutti gli uomini, e il mondo è una sola grande città di uomini e Dei (1). Nel suo ambito, virtù sovrana è la giustizia; l’”altro” non è mai uno sconosciuto, ma un fratello, il compagno di un comune destino. La speculazione teorica non esaurisce la figura del saggio al quale viene richiesto, invece, un impegno pratico di ammaestramento e di attuazione nella vita sociale.
Marco Aurelio, fin da giovane, si abituò a confidare nell’etica stoica per combattere le ansie del suo spirito.
La ragione del successo de I ricordi, che il grande imperatore scrisse, in greco (2), durante le sanguinose campagne militari condotte a difesa dei confini dell’impero, non è tanto nella sua celebrata serenità, ma, all’opposto, nello sforzo etico, nel travaglio di una ricerca del bene comune che non si conclude e che, partendo dalla complessità della realtà, lascia aperte infinite strade. Il filo conduttore che guida gli aforismi di cui è composto il libro, è rappresentato dai principi della filosofia stoica dell'inseparabilità tra l'utile (la politica) e l'onestà e che dall'uomo venga all'uomo il maggior bene e il maggior male. Di qui la necessità di conciliarsi gli uomini con la benevolenza, con il beneficarli, con la rettitudine, con la dedizione al bene comune. Il vero utile, specie dell'uomo politico, sta nel subordinare il proprio interesse e la propria ambizione all'interesse e all'onore della società. Giova notare che l'autonomia della politica dall'etica venne proposta molto più tardi, dal Machiavelli, e la mediazione dialettica tra politica ed etica fu operata ancora più tardi, da Benedetto Croce.
L’opera è tra le più alte per intensità morale e intellettuale della storia del pensiero umano e, forse, questa è la spiegazione del perché quando essa ci capita tra le mani difficilmente ce ne separiamo.
In questo saggio mi concedo una rilettura de I ricordi, associando alcuni aforismi alle necessità del mondo dell’impresa e dell’imprenditore.
2. Riconoscenza per i valori etici e intellettuali ricevuti in eredità
Ritengo interessante riprendere, quasi integralmente, il primo capitolo nel quale Marco Aurelio dichiara i propri debiti morali e dimostra riconoscenza in coloro che hanno instillato in lui una serie di disposizioni positive che potrebbero essere le pietre miliari per la vita e il successo di un imprenditore, come di un capo famiglia o di chiunque voglia affrontare la vita come una sfida e che voglia fare tesoro dei consigli di collaboratori, insegnanti, parenti, amici.
Da Vero, mio avo, costumi retti e mitezza d’animo.
Dalla reputazione e dalla memoria del padre mio, modestia e carattere virile.
Da mia madre, il rispetto per gli Dei, la liberalità, la frugalità, il rifuggire la vita fastosa dei ricchi.
Dal mio bisnonno, l’aver avuto in casa insigni maestri e l’aver capito che, riguardo a questo, non bisogna lesinare sulle spese.
Dal mio precettore, il non aver parteggiato né per la fazione dei “verdi”, né per quella degli “azzurri”, il saper sopportare le fatiche, l’accontentarmi di poco, il saper bastare a me stesso, il non immischiarmi negli affari altrui, il non prestare orecchio alle calunnie.
Da Diogneto, il trascurare le inezie, il non credere alle chiacchiere dei fattucchieri, il valorizzare la schiettezza, l’aver coltivato gli studi filosofici.
Da Rustico, l’aver concepito la necessità di correggere il mio carattere e di vigilare su di esso, il non ostentare austerità o prosperità per essere ammirato, a leggere attentamente e a non accontentarmi di una comprensione superficiale.
Da Apollonio, l’indipendenza dello spirito, la fermezza d’animo, la circospezione, ad essere inflessibile e mite.
Da Sesto, la benignità e l’esempio del buon padre di famiglia, l’idea della vita secondo natura, la serietà senza affettazione, la necessità di aiutare sempre gli amici, la sopportazione verso gli ignoranti, la propensione a dir bene degli altri e ciò senza strepito, l’amore per la cultura senza ostentazione.
Da Alessandro il grammatico, il non censurare alcuno, il non biasimare chi discorrendo cada in errore, ma facendogli capire, con abilità, l’essenza del suo errore sotto l’apparenza di rispondergli o di seguirlo nella sua idea.
Da Frontone, l’aver conosciuto quanta invidia, frode e simulazione esista nei tiranni e come, in complesso, coloro che tra noi sono detti patrizi abbiano meno cuore degli altri.
Da Alessandro il platonico, il non dire ad altri, o scrivere “io sono occupato”, né l’avvezzarmi in siffatta maniera a esimermi dagli obblighi verso coloro tra i quali vivo, accampando la scusa dell’urgenza degli affari.
Da Catulo, a non trascurare le lamentele di un amico, anche se egli si lagni senza motivo, ma di fare il possibile per rasserenarlo.
Da Severo, l’attaccamento verso la famiglia, la verità e la giustizia; l’aver concepito uno Stato nel quale le leggi siano uguali per tutti e così i diritti di ogni individuo e la libertà di parola.
Da Massimo, il saper padroneggiarsi, il non lasciarsi prendere la mano in nessuna evenienza, il superare con serenità le malattie come l’avversa fortuna, e la moderazione del carattere.
Dal padre mio (3), mitezza e perseveranza nelle deliberazioni ben ponderate, il disprezzo dei cosiddetti onori, l’amore per il lavoro e la tenacia, la capacità di ascoltare, la fermezza nel ricompensare secondo il merito, l’esperienza nel sapere quando sia necessaria la severità quando la clemenza, l’avere il senso della comunità, la cura nell’indagare le cose con attenzione e non accontentarsi della prima impressione, la capacità di prevedere i fatti, il reprimere plausi e adulazioni, il vigilare costantemente ai bisogni dello stato.
Nei successivi capitoli analizzerò i vari aforismi, in una versione un po’ sintetizzata, e caricandomi l’onere di collocarli, arbitrariamente, sotto una serie di voci.
3. Il tempo
In questi aforismi vengono sottolineati l’importanza del tempo presente, la necessità di essere tempestivi e di non perdere l’attimo, l’imponderabilità del tempo futuro e l’irreversibilità del passato. Questi concetti sono tra i principi fondamentali per chi voglia gestire un’impresa o qualunque organizzazione per la quale il parametro tempo è alla base di ogni attività.
Rammenta da quanto tempo vai procrastinando queste cose, e quante volte, benché te ne sia stato dato l’avviso, non ne hai approfittato. E’ indispensabile che tu sappia che ti è stato concesso un tempo determinato e che, se non lo usi, esso dileguerà, e tu pure dileguerai, e non ti sarà consentita un’altra possibilità.
Ancorché ti restasse da vivere tremila anni, e altrettante decine di migliaia d’anni, ricordati che nessuno può perdere altra vita oltre a quella che vive, né vive altra vita se non quella che perde. Confluisce a uno stesso punto e la vita più lunga e quella più breve, ché il presente è uguale per tutti e pure il passato lo è, e questo rende palese come il tempo che l’uomo perde è immensamente piccolo. Nessuno perderà mai né il passato né il futuro. Infatti in qual modo è possibile levargli quello che non ha? Perché è soltanto il presente che ci può essere tolto, dato che soltanto questo possediamo.
La vita umana ha la durata di un attimo, ……………l’esistenza è battaglia e sosta in terra straniera, la gloria postuma oblio.
Metti da parte ogni altra norma e ricordati solo di queste poche: ognuno di noi vive solo il presente, perché il rimanente o l’ha già vissuto o è incerto, piccola cosa è il cantuccio di terra dove si vive, piccola cosa la rinomanza che lascerà.
Il tempo è una specie di fiume degli eventi o un torrente impetuoso. Appena una cosa è comparsa ed è già portata via e un’altra ancora è comparsa e un’altra ancora sarà inghiottita.
Vicino è il tempo in cui avrai tutto dimenticato, vicino è il tempo in cui sarai dimenticato da tutti.
Busto di Marco Aurelio