In questo 2020, in piena emergenza Coronavirus, stiamo assistendo all'ennesimo tentativo di spostare il baricentro della politica italiana decisamente verso sinistra; mostrerò come, anche se ho già avuto modo di affrontare l'argomento " faziosità della sinistra" in occasione delle elezioni regionali in Emilia Romagna.Ma prima di affrontare le argomentazioni dell'oggi, vorrei ripercorretre le tappe che dal 1946 hanno più volte visto tentativi di questo tipo cadere per le più svariate ragioni. Oggi ha ripreso voga una dizione degli anni passati i catto-comunisti, stavolta però non c'è nulla di sbagliato. Se si leggono il Manifesto (organo dell sinistra-sinistra) e l'Avvenire (organo de vescovi) ci si accorge che stiamo leggendo lo stesso giornale.
LA COSTITUENTE
Il 2 giugno 194 6 le elezioni della Costituente dànno alla DC (Democrazia Cristiana) il 35,2% dei voti, allo Psiup (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) il 20,7%, al Pci (Partito Comunista Italiano) il 18,9%, ai liberali dell’Unione Democratica Nazionale il 6,8%, all’Uomo Qualunque il 5,1%, al Pri (Partito Repubblicano Italiano) il 4,4%, ai monarchici del Blocco Nazionale della Libertà il 2,8%, al PdA (Partito d’Azione) l’1,4%.
Con la vittoria dei tre partiti di massa, l’Italia si libera definitivamente del notabilato legato ai vecchi equilibri e ai vecchi giochi dell’Italia prefascista. La vittoria della DC è propiziata dall’appoggio della Santa Sede, dall’Azione Cattolica, dalla Fuci e dalle organizzazioni fiancheggiatrici, come la Coldiretti e le Acli. La vittoria è sfruttata dal segretario della DC Alcide De Gasperi «per un’operazione tattica di grande rilievo: la presentazione della DC, che è l’asse portante dello schieramento conservatore, come un partito al centro dello schieramento politico globale», operazione che si rivelerà il cardine dei cinquant’anni di politica democristiana. Giova notare che il confronto tra il referendum istituzionale e le elezioni per la Costituente dà un segnale che sarà all’origine della politica ondivaga della DC. «Circa sette milioni di democristiani hanno votato per la monarchia, mostrando che l’elettorato democristiano è più a destra della maggior parte dei dirigenti del partito».
La delusione nel Pci per le elezioni nella Costituente è grande, il partito si rende conto, per la prima volta, che al pieno delle piazze non corrisponde automaticamente il pieno elettorale e dell’esistenza di una maggioranza moderata che rappresenta il vero ago della bilancia politica in Italia. Il primo tentativo di comunistizzare l'Italia fallisce miseramente. Dopo la sconfitta, Pietro Secchia, trovando appoggio in Giuseppe Longo, impone la “svolta di Firenze”; sono costituite le cellule di strada e di fabbrica, è inaugurata l’era zdanoviana del controllo ideologico sugli intellettuali, nasce l’agit-prop, anche se Togliatti prosegue nel suo disegno di alleanza tattica con la DC. Il segretario del PCI si rende conto che potrebbe essre più facile condurre una sotterranea lotta di spostamento a sinistra dell'asse politico, piuttosto che insistetre nel condurre l'Italia sotto l'ala dei Soviet.
Nel giugno 1946, Togliatti, come ministro della Giustizia, promulga un’amnistia che segna la fine delle epurazioni e, con un colpo di spugna, cancella reati e responsabilità del fascismo. La decisione di Togliatti consente anche di non perseguire penalmente migliaia di partigiani per i reati e le vendette commessi dopo il 25 aprile 1945, facendo calare il silenzio sul ruolo dei partigiani italiani negli eccidi perpetrati in Venezia Giulia e Dalmazia e nei massacri delle foibe. Con il Governo De Gasperi, le forze della conservazione e la cultura del perdonismo hanno il sopravvento, e le epurazioni si trasformano in una commedia. Sono colpiti alcuni fascisti dei livelli più bassi, mentre i funzionari più alti in grado, come questori e prefetti, restano ai propri posti. L’Amministrazione statale rimane, pertanto, affidata alla burocrazia in servizio sotto il regime fascista: la magistratura non viene toccata, e, nel 1960, si constaterà che 62 dei 64 prefetti erano stati funzionari durante il fascismo.
Il 25 giugno 1946 la Costituente elegge il proprio presidente nel socialista Giuseppe Saragat e, per compensare la sconfitta dell’Italia monarchica, i partiti convengono che il primo Capo dello Stato repubblicano debba essere una personalità filo-monarchica e meridionale. De Gasperi indica Enrico De Nicola, napoletano, ex consigliere della corona e giurista, che il 28 giugno è eletto Presidente provvisorio della Repubblica.
L’AUTUNNO CALDO DEL 1969.
Negli anni sessanta, il vaso scoperchiato da Giovanni XXIII, Kennedy e Chruscev impone alla politica un passo che essa non è in grado di tenere, perché frenata dai piccoli e grandi centri di potere. In questo quadro internazionale scoppia una protesta generazionale di proporzioni inusitate.
Berkeley, 1964: nella città universitaria, uno dei simboli della più avanzata società statunitense, prende vita la rivolta. Il contagio è immediato, secondo un meccanismo imitativo la contestazione giovanile investe tutto il mondo industrializzato. «Vogliamo riprenderci la vita», gridano gli studenti della Sorbona. La rivoluzione investe e mette fuori gioco il modo di essere della generazione dei “vecchi”: il modo di vestire, la cultura, la musica, i rapporti sociali. Konrad Lorenz spiega il fenomeno sia con l’aggressività, un istinto naturale dell’uomo che si può mascherare o dirigere, ma non sradicare e dominare del tutto, sia con l’educazione permissiva, che porterebbe paradossalmente a rifiutare quella gerarchia che si riveli incapace di mantenere vivo il principio d’autorità.
In Italia vengono organizzate alcune manifestazioni nell’anno accademico 1966-1967, ma il segnale di una vera rivolta contro le istituzioni si ha all’inizio dell’anno accademico successivo, nella facoltà di Sociologia dell’Università di Trento. A novembre viene occupata la Cattolica di Milano, dove regna un duro e retrivo autoritarismo; il rettore chiama la polizia ed espelle alcuni studenti. Il crogiolo della contestazione resta in ebollizione per tutto il 1968; i movimenti hanno individuato il nemico nei poliziotti, considerati lo strumento che lo Stato utilizza per la propria sopravvivenza. In questa fase, si impone il Movimento studentesco che inizia ufficialmente l’attività politica nei primi mesi del 1968, continuandola fino al 1976.
La contestazione nasce dall’esigenza di nuovi diritti e nuovi spazi da parte dei giovani, si sviluppa contro ogni forma d’autoritarismo, come critica nei riguardi della società dei padri, con l’intento di rafforzare gli ideali di tolleranza e libertà, ma essa finisce col praticare comportamenti autoritari e discriminatori, che, miscelati al settarismo ideologico, faranno perdere unità d’azione ai vari movimenti. Alberto Ronchey afferma che si assiste a una forma di «estremismo rivoluzionario-permissivo», che trova terreno fertile in una società nella quale «nessuno comanda e nessuno obbedisce». E' in quegli anni che nasce la generazione dei portatori sani del dna della sinistra settaria, i cui figli e nipoti troviamo oggi nelle redazioni dei giornali, nelle televisioni tra magistrati e scienziati. Io insegnavo fisica presso la facoltà di Milano e assistevo impotente a quella deriva; dopo poco lasciai l'Università per un incarico di dirigente in un'impresa medio-grande.
La risposta all’inerzia della classe politica è l’attivismo radicale e incontrollato della base, con la saldatura tra i movimenti studenteschi e frange di lavoratori. Nascono così i gruppi rivoluzionari: i maoisti di Servire il popolo, i leninisti filo-maoisti di Avanguardia Operaia, i libertari di Lotta Continua, i leninisti di Potere Operaio. La loro ispirazione è intellettualistica e manichea, ma i gruppi che vanno costituendosi sembrano miniature dei partiti politici, con tanto di leader, gerarchie, correnti e statuti.
Il segretario del Pci, Longo, nel maggio 1968, pubblica un articolo con il quale disegna le ragioni strutturali di un’alleanza tra movimento studentesco e classe operaia. L’apertura al movimento dà ragione a Longo, infatti, le elezioni del 19 maggio 1968 vedono una forte confluenza del voto giovanile nel Pci. Quando alla fine del 1968 la contestazione studentesca si affloscia e scompare in tutto il mondo occidentale, in Italia, le frange più radicali confluiscono nelle formazioni marxiste-leniniste, che a loro volta danno vita a “gruppuscoli” rivoluzionari, che iniziano la loro guerra alle “tigri di carta” dell’imperialismo, trovando il clima favorevole delle grandi lotte operaie del 1969; eredità di questo mondo sarà la nascita delle brigate rosse. Se il 1968 è stato l’anno degli studenti, il 1969 è quello delle tute blu: la lotta si trasferisce dalle università ai cancelli della Fiat, della Pirelli, dell’Alfa, della Sit-Siemens, della Magneti Marelli. Il cosiddetto “autunno caldo” ha sullo sfondo il rinnovo di ben 32 contratti collettivi di lavoro; oltre cinque milioni di lavoratori sono decisi a far sentire il peso delle loro rivendicazioni. I sindacati sono scavalcati dallo spontaneismo e dall’attivismo dei Cub, i Comitati unitari di base. Ma l’azione rivoluzionaria nelle fabbriche si scontra e si frantuma contro una realtà: la mancanza di una concreta coscienza anticapitalista e la fedeltà della classe operaia al sindacato, che riesce a riprendere il controllo della situazione con la mobilitazione in occasione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Il Pci, preoccupato da possibili scavalcamenti a sinistra, è incapace di sviluppare una critica efficace nei riguardi dei movimenti eversivi che trovano nella contestazione giovanile il miglior “brodo di coltura”; all’interno del partito si acutizza il conflitto con i settori più vicini ai movimenti, e, nell’estate del 1969, il gruppo del Manifesto viene radiato. Peraltro, Berlinguer, appena nominato vicesegretario, mantiene aperto il dialogo con il movimento studentesco; osserva Folena: «Un atteggiamento diverso avrebbe probabilmente condannato il Pci a un’involuzione operaista e settaria, come successe poi, in larga parte, ai comunisti francesi».
LE BRIGATE ROSSE. Anni settanta/ottanta
Secondo fondatori e dirigenti, le Brigate Rosse dovevano «indicare il cammino per il raggiungimento del potere, l'instaurazione della dittatura del proletariato e la costruzione del comunismo anche in Italia». Tale obiettivo doveva realizzarsi attraverso azioni politico-militari e documenti di analisi politica detti «risoluzioni strategiche», che indicavano gli obiettivi primari e la modalità per raggiungerli.
I brigatisti ritenevano non conclusa la fase della Resistenza all'occupazione nazifascista dell'Italia; secondo la loro visione all'occupazione nazifascista si era sostituita una più subdola «occupazione economico-imperialista del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali)», diretta emanazione dell'imperialismo capitalista rapace e sfruttatore di matrice statunitense, a cui bisognava rispondere intraprendendo un processo di lotta armata che potesse scardinare i rapporti di oppressione dello Stato e fornire lo spazio di azione necessario allo sviluppo di un processo insurrezionale e la nascita di una democrazia popolare di stampo sovietico, o quanto meno di matrice leninista, espressione della dittatura del proletariato. Le Brigate Rosse hanno quindi sempre rifiutato la definizione di «organizzazione terroristica», attribuendosi invece l'espressione «guerrigliera».
Proprio per ribadire la ostentata «estraneità» alla natura semplicemente terroristica, dichiarata dall'organizzazione guerrigliera, il professor Giovanni Senzani nei comunicati ufficiali delle BR, nonché sugli stendardi che servivano da sottofondo per le fotografie ai cosiddetti «prigionieri politici» (le persone sequestrate dai brigatisti e tenute prigioniere nelle cosiddette «carceri del popolo») faceva iscrivere la frase: «La rivoluzione non si processa!». L'ideologia brigatista si riconduceva, a dire di chi la propugnava, a un'«incompiuta lotta di liberazione partigiana dell'Italia»; come i partigiani avevano liberato il popolo dalla dittatura nazifascista, le BR avrebbero liberato una volta per tutte il popolo dalla servitù alle «multinazionali».
Il terrorismo di fabbrica proveniva dall'esasperazione delle lotte sindacali, dalla conflittualità permanente e dal rifiuto totale dell'economia di mercato che solo la violenza e la rivoluzione avrebbero potuto abbattere, costituendo una società più equa anche a costo di spargere molto sangue. In questa visione i dirigenti di fabbrica diventavano biechi boiardi della reazione, i «capi» e «capetti» degli infami aguzzini, mentre i buoni operai erano visti come schiavi bisognosi di uno Spartaco che risvegliasse i loro istinti di rivolta. I principali brigatisti usciti dalle fabbriche Sit-Siemens erano Mario Moretti (perito industriale), Corrado Alunni (lascerà le BR per formare un'altra organizzazione) e Alfredo Bonavita (operaio).
Momento culminante dell'attività del gruppo fu l'agguato di via Fani e il sequestro e l'omicidio di Moro nella primavera 1978.
L'organizzazione entrò in crisi nei primi anni ottanta per il suo irreversibile isolamento all'interno della società italiana e venne progressivamente distrutta grazie alla crescente capacità di contrasto da parte delle forze dell'ordine, e anche grazie alla promulgazione di una legge dello Stato che concedeva cospicui sconti di pena ai membri che avessero rivelato l'identità di altri terroristi. Nel 1987 Renato Curcio e Mario Moretti firmarono un documento in cui dichiaravano conclusa l'esperienza delle BR.
Secondo l'inchiesta di Sergio Zavoli La notte della Repubblica, dal 1974 (anno dei primi omicidi ad esse attribuiti) al 1988 le Brigate Rosse hanno rivendicato 86 omicidi: la maggior parte delle vittime era composta da agenti di polizia e carabinieri, magistrati e uomini politici. A questi vanno aggiunti i ferimenti, i sequestri di persona e le rapine compiute per «finanziare» l'organizzazione.
L'altra anima delle Brigate Rosse fu quella nata dalla contestazione studentesca, nella fattispecie quella sorta alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento, cui appartenevano sia Renato Curcio che la moglie, Margherita Cagol. Anche questo tentativo comunista-leninista fallì, ma lasciò parecchie schegge che si vedono ancora specie negli organi di comunicazione. A volte nel seguire un giornale radio o un programma televisivo mi dico spesso "ecco un potenziale brigatista da salotto".
IL POOL MANI PULITE
È interessante notare che Paolo Cirino Pomicino, superministro andreottiano della prima repubblica, dà alle stampe, sotto lo pseudonimo di Geronimo, la sua storia su tangentopoli.
Secondo Geronimo, la Dc era stata per cinquant'anni «il tutore felpato ma fermo del primato della politica sull'economia e che su questo terreno era scarsamente condizionabile», lo dimostrerebbe il fatto che la Dc aveva creato un forte impero di imprese pubbliche «modello di presenza dinamica dello Stato nello sviluppo del Paese (sic)», che si contrapponeva al potere del salotto buono della finanza privata. Nel momento in cui il sistema delle imprese di stato si apprestava a essere venduto, la Dc e lo Psi avrebbero «impedito al salotto buono di fare indigestione. …. L'alleanza tra Dc e Psi diventava, così, un macigno sulla strada della borghesia finanziaria. Un macigno che andava rimosso al più presto». Scatta allora il piano diabolico: la grande industria stabilisce che il Pds e la sinistra Dc potrebbero essere più malleabili della Dc e dello Psi. Questi due partiti devono essere eliminati e scatta pertanto un accordo di ferro tra industria, Pds e magistrati organici al Pds, allo scopo di procedere a questa eliminazione. Secondo Geronimo i passi di questa operazione sono riconoscibili nei seguenti episodi: Nel 1990 l'alleanza tra Dc e grande industria è saldissima, come mostra il grande successo del convegno organizzato a Milano dagli andreottiani.
Nel marzo del 1991, Carlo De Benedetti, prospetta al ministro Cirino Pomicino un "progetto degli industriali" che prevedeva la sconfitta della Dc alle elezioni del '92 e il rinnovamento della classe politica. «Il progetto prevedeva che la Dc fosse ridotta a stampella centrista di uno schieramento dominato dal partito ex-comunista». Nel settembre 1991 inizia da Cernobbio la grande offensiva degli industriali contro il governo.
Da quel momento parte una martellante campagna stampa a favore del Pds e del Pri, oltre che a favore della Lega capace di sottrarre voti alla Dc nelle regioni del Nord. «Fu Cesare Romiti …. ad attaccare la politica economica del governo. Ma era sempre il circolo liberal di Scalfari e De Benedetti a dirigere la musica, naturalmente con l'appoggio di Torino e di via Filodrammatici».
Alle elezioni del 5 aprile 1992 la Dc vince ancora con quasi il 30% dei consensi. A questo punto «… agli strateghi della destabilizzazione Scalfari e De Benedetti, innanzitutto, venne l'idea di favorire la scorciatoia giudiziaria». Nel maggio 1992 viene eletto alla presidenza della repubblica Scalfaro. Afferma Geronimo «Che Oscar Luigi Scalfaro fosse funzionale all'intero disegno lo dimostra anche il fatto che venne salvato in occasione dello scandalo Sisde…… Di qui la strenua difesa messa in campo dalla sinistra e da tutti i giornali ad essa collegati: nulla contro il capo di stato. Anche se aveva mentito alla nazione, doveva rimanere al suo posto. Il progetto non ammetteva intoppi».
Nel marzo '93 partono gli avvisi di garanzia contro Andreotti (mafia), Cirino Pomicino (camorra), oltre che contro Gava, Mannino e Misasi (per il quale la Camera respinge l'autorizzazione a procedere).
Ancora nel marzo '93 il pool di Milano impedisce a Scalfaro di firmare il decreto Conso sulla depenalizzazione del finanziamento illecito. Nell'aprile 1993 nasce il governo Ciampi in cui, per la prima volta, gli ex-comunisti entrano al governo. Nel 1994 Martinazzoli fonda il partito popolare, innescando quel processo politico che porterà la sinistra democristiana ad appiattirsi sull'alleanza con la grande borghesia azionista. Martinazzoli ha potuto, fra l'altro, contare su un'immagine di guru illibato e profetico, che gli è stata costruita ad-hoc dalla grande stampa e che è stata propagandata con insistenza per tutto il decisivo anno 1993. Potere finanziario, potere politico, potere dell'informazione: ancora una volta il circuito torna a chiudersi con l'aggiunta del potere giudiziario.
Secondo Cirino Pomicino «Questa è stata la rivoluzione italiana, questa è stata tangentopoli. Chi si schierava dalla parte del progetto della grande borghesia in cambio aveva l'immunità giudiziaria da un reato comune a tutti i partiti, quello del finanziamento illegale della politica».
Molte critiche investiranno l'azione del pool di Milano; per l'avvocato Gaetano Pecorella, deputato di Forza Italia, «tangentopoli va considerata un'inchiesta andata avanti sulla base della sofferenza carceraria di alcune persone e dell'uso distorto della custodia cautelare». Per l'avvocato Giuliano Spazzali, il pool si serviva barbaramente di questo strumento «tu confessi quello che ti attribuiamo, e in più elargisci notizie su qualche altro episodio, almeno uno in più rispetto a quelli che già conosciamo; e poiché ciò alimenta la catena delle indagini, è possibile giungere a una soluzione compromissoria». A queste critiche risponde Gerardo D'Ambrosio, coordinatore del pool, «Noi non abbiamo indagato su un singolo caso di corruzione, ma su un sistema di collusioni che avevano un'omertà molto simile a quella della criminalità organizzata; tant'è vero che un segreto dei successi delle nostre indagini è l'aver adottato sistemi molto simili a quelli che si usano contro il crimine organizzato. Era necessario rompere l'omertà che è insita nella natura stessa del reato di corruzione».
Per concludere si può affermare che in Italia per un lungo periodo politica e imprese hanno viaggiato su due binari paralleli; gli accordi stilati tra il mondo della finanza e la classe politica del dopoguerra prevedevano che lo stato non intervenisse nelle logiche d'impresa e che l'impresa non interferisse con la politica, accettando, anche, una forte presenza di aziende pubbliche, in cambio del sostegno alle aziende private in difficoltà. Per un certo periodo i partiti si sono accontentati delle rimesse provenienti dalle aziende pubbliche; ma il danaro necessario per mantenere i sempre più costosi apparati di partito, per sostenere le sempre più costose campagne elettorali, per contrapporsi al Pci, foraggiato dall'Urss e dalle sue cooperative, non basta più. Si apre un secondo periodo, i due binari iniziano ad intersecarsi e le aziende incominciano a pagare delle piccole dazioni su ogni appalto pubblico, si va dal 2-3 al 5% del valore dell'appalto, o su ogni atto che richieda un'autorizzazione pubblica.
La terza fase si sviluppa negli anni ottanta, inizi novanta, quando le tangenti salgono vertiginosamente al dieci-venti percento; esse non servono più, solo, per il finanziamento dei partiti, ma anche per gli arricchimenti personali di politici e faccendieri. Il patto dei binari separati non è più valido e inesorabilmente prima o poi i treni dell’impresa e della politica si scontrano lasciando sul terreno i resti di quella che viene chiamata prima repubblica. Il mio ricordo personale è che in quella fase divenne impossibile lavorare con la pubblica amministrazione se non si volevano correre rischi di ordine penale.
A proposito del pool di Milano giova ricordare quanto scritto da Montanelli «Nell’azione del pool di Mani pulite gli incontestabili meriti furono associati a un esibizionismo, un presenzialismo, un decisionismo, una smania di notorietà e di potere che poco si conciliavano con la discrezione cui il magistrato deve attenersi. L’Italia ebbe i magistrati divi, vaganti con scorta da un convegno a una presentazione di libro (loro), da una première a un talk-show televisivo». Sfortunatamente per il Paese questa smania di protagonismo contagierà molti magistrati in cerca di facile notorietà; non pochi passeranno dalla passerella della magistratura mediatica a quella dela politica. Il 6 agosto '93, il Parlamento vara la nuova legge elettorale, chiamata mattarellum, dal nome dell'estensore: dei 629 seggi di Montecitorio, i tre quarti sono assegnati su base uninominale e un quarto su base proporzionale; circa le stesse percentuali valgono per i 315 seggi del Senato (per il quale aveva già provveduto il referendum). Nel gennaio 1994, dopo l'approvazione della legge finanziaria, Ciampi si dimette, per consentire, finalmente, alla "gioiosa" macchina elettorale di Occhetto di mettersi in movimento nel vuoto politico creato dal disfacimento dei tradizionali partiti di governo. Con l'appoggio dei grandi mezzi di informaziuone e di parte della magistratura questa volta il terreno sembra propizio per un governo gestito dai figli del PCI. Anche questa volta il piano fallisce perchè nessuno potrà prevedere il successo di Berlusconi dopo la sua "discesa in campo" e la conseguente sconfitta dell'ex Pci.
Secondo Luttwak la dittatura della magistratura dura ancora. Le cifre parlano chiaro: dopo il coronavirus, l'Italia sarà il Paese più colpito dalla recessione. Come uscirne? La domanda è stata girata in un'intervista pubblicata su Affari Italiani ad Edward Luttwak, il quale spiega quelle che a suo giudizio sono le ragioni di simile crisi. E aggiunge che, probabilmente, c'è ben poco da fare: "Secondo le statistiche tra i i 196 Paesi del mondo l’Italia è il numero 8 per ricchezza totale. L’Italia è uno dei Paesi più ricchi del mondo eppure deve andare in giro come un mendicante perché è occupato da una casta. Questa è la ragione del perché lo Stato italiano non può funzionare - picchia durissimo il politologo Usa -. E non può funzionare a causa del sistema legale che è il sistema nervoso dello Stato. Ogni volta che qualcuno ha cercato di riformare questo sistema legale italiano, per aver una magistratura europea, viene bloccato dai magistrati che aprono un qualche processo contro di te o un parente". Dito puntato contro la magistratura: "In Italia non c’è giustizia. L’Italia è un Paese occupato da caste. E la principale casta è quella dei magistrati, uno dei corpi più lenti e improduttivi del mondo. Qualcuno non ti paga, tu lo porti a processo, lui perde, va in appello, riperde, va in appello di nuovo, poi va in Cassazione e il giudice della Cassazione non scrive la sentenza per un anno, per due anni, per tre anni", ricorda Luttwak. Quando gli ricordano che i magistrati dicono di non avere mezzi e strutture per rendere la giustizia più snella ed efficiente, Luttwak replica in modo secco: "Hanno sé stessi perché i giudici della Cassazione italiana sono pagati molto meglio che la media dei giudici in Europa. Si lamentano? Non hanno i mezzi perché costano troppo, sono molto ben pagati. Troppo. I giudici della Cassazione guadagnano più dei giudici della Corte Suprema americana che sono solo 7. Loro sono più di un centinaio", conclude.
IL COMPLOTTINO DEL 2011
L'esistenza di un centro destra che potesse ostacolare gli obiettivi della sinistra non andò mai giù alla parte avversa tanto che nell'agosto 2011 fece fuori il governo Berlusconi con un golpettino di stato. Il racconto parte da lontano, dal ”Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa che mostrava il passaggio dal vecchio regime all’Italia unitaria, ma arriva al recentissimo presente. Nel saggio di Alan Friedman "Ammazziamo il gattopardo" si parte proprio da quella celebre frase: ”Cambiare tutto affinché nulla cambi”.
Friedman tocca molti argomenti della nostra storia recente, ma a me preme prendere in considerazione una serie di interviste che confermano quanto affermato recentemente da Timothy Geithner, segretario al Tesoro degli Stati Uniti durante il primo governo Obama. L’esistenza di un complottino per fare fuori Berlusconi nel 2011; in realtà questo è un argomento che interessa gli storici, ma, considerando che Giorgio Napolitano ha affermato che l’iter della caduta di Berlusconi non presenta ombre è opportuno fare alcune considerazioni.
Scrive Friedman « … l’emergenza della seconda metà del 2011 si trasforma in un momento del tutto particolare nella storia anche costituzionale della Repubblica italiana. Tutti sanno che alla fine il presidente della Repubblica ha messo Mario Monti al posto di Berlusconi. Ma non tutti sanno quanto Giorgio Napolitano si era preparato e da quanto tempo. … Quando, il 16 novembre 2011, Mario Monti prestava giuramento al Quirinale, gli italiani non lo sapevano, ma a quanto pare l’idea di fare ricorso a Monti era nella testa di Giorgio Napolitano ben prima, già da mesi. Stando ad autorevoli testimonianze, il presidente era intenzionato ben prima del novembre 2011, almeno quattro o cinque mesi prima, fin dall’inizio dell’estate, a cambiare l’inquilino di Palazzo Chigi».
L’affermazione di Friedman poggia su una serie di interviste che non lasciano spazio ad altre interpretazioni. .....
Il complotto contro Berlusconi ci fu. Lo dicono l'americano Edward Luttwak, esperto di geopolitica e da sempre voce in Italia delle amministrazioni Usa e l'inglese Ambrose Evans-Pritchard, uno dei massimi analisti di economia internazionale. Il primo, intervistato su Radio24, ha confermato che il complotto «fu ordito da Sarkozy e la Merkel con l'appoggio di molte persone in Italia». Di nomi ne fa due: Giorgio Napolitano e Giuseppe Pisanu. Il nome di Napolitano è stato ampiamente indicato in molte ricostruzioni di quel periodo come il protagonista italiano del complotto. Il nome di Pisanu invece compare per la prima volta ed è ampiamente credibile come parte della congiura: l'ex democristiano già nel settembre 2011 rilasciò un'intervista a Repubblica auspicando un governo di larghe intese senza il Cavaliere. Luttwak specifica che l'obiettivo del complotto «era rovesciare un governo democraticamente eletto». Questo è il motivo per cui gli americani si rifiutarono di partecipare. Il politologo americano, pur ritenendo che «ciò che accadde non fu un vero e proprio colpo di Stato ma un complotto dietro le quinte», confessa: «non so quanto in linea con la Costituzione». In altre parole Luttwak conferma che il presidente della Repubblica (che doveva essere il garante della costituzione) partecipò attivamente a un'operazione organizzata da governi stranieri, tesa a eliminare il premier italiano legittimo e sostituirlo con un altro gradito dai mandanti internazionali.
Ancora più clamoroso ciò che ha scritto Ambrose Evans-Pritchard in un articolo pubblicato sul prestigioso The Telegraph. Partendo dalle dichiarazioni di Tim Geithner sulle pressioni dell'Ue per rovesciare il governo Berlusconi, egli scrive che «ciò che ha rivelato l'ex ministro americano concorda con quanto noi sapevamo all'epoca circa le manovre dietro le quinte e l'azione sui mercati obbligazionari». Evans-Pritchard è chiarissimo nel suo giudizio: «Io ho sempre trovato bizzarro ciò che accadde». Fino a poco tempo prima «l'Italia era ritenuta un esempio virtuoso, uno dei pochissimi Stati dell'Ue che si avvicinava a un surplus del bilancio primario» e «non era in grave violazione del deficit». Poi clamorosamente aggiunge: «La crisi italiana dell'autunno 2011 fu scatenata dalla Bce che alzò per due volte i tassi provocando una profonda recessione double-dip (il tipo di recessione che segue le fasi di limitata crescita artificiale). Eppure, la colpa di questo disastroso errore politico fu fatta ricadere sul governo italiano». In altre parole il famoso imbroglio dello spread, con il quale si manipolò l'opinione pubblica facendo credere che il nostro Paese fosse a rischio default, fu costruito per generare una pressione politica violentissima contro Berlusconi e il suo governo. Evans-Pritchard è netto: quello che è avvenuto contro Berlusconi «è uno scandalo costituzionale di prim'ordine»; ciò che fu fatto in Italia (così come in Grecia con la destituzione del premier Papandreou) «furono colpi di Stato sicuramente nello spirito se non anche nel diritto costituzionale». Berlusconi ci mise del suo con lo scandalo delle olgettine e il gioco fu facile; i cattocomunisti presero il potere senza elezioni, con un presidente del consiglio nominato senatore a vita e con il comunista Napolitano Presidente della Repubblica.
LA SITUAZIONE OGGI
E'a tutti noto, al colto e all'inclita, che la nostra sinistra come l'UE, vedono con terrore l'ipotesi che alle prossime elezioni possa vincere la destra di Salvini e Meloni; Salvini fa un po' più paura perchè si trova alle spalle un partito ben strutturato che ha dato dimostrazione di capacità, leadership ed efficienza nelle regioni. Pertanto su alcuni "giornaloni" si scrive su quanto sia disponibile la Meloni all'opposto di Salvini.
In ogni caso occorre bloccare con mezzi leciti o illeciti il consenso che la destra suscita nel paese. Per riuscire nell'impresa occorrono i copmplottisti invisibili, a mio avviso la Merkel che non si tira mai indietro se è necessario penalizzare l'Italia, che osa competere con l'industria tedesca, e Mattarella che deve difendere il cattocomunismo detentore della verità. Il Presidente ha dato la sua benedizione all'assurda coalizione Pd-5Stelle il cui unico vero scopo è non mandare gli italiani al voto. Il Pd è consapevole che Conte è inadeguato, ma che al momento è utile per tagliare le gambe alla destra; d'altra parte anche la gelosia senile di Berlusconi verso Salvini e Meloni può far gioco.
La fortuna ha arriso al progetto con l'arrivo del Covid 19 che ha consentito la dittatura dei dpcm. Questa sorta di dittatura è supportata, consapevolmente o inconsapevolmente, dalla casta dei virologi; che, strappati dalle loro cattedre, concedono interviste, partecipano ai programmmi radio e televisivi e presto a qualche Grande Fratello Vip. Il gioco è facile: uno dice che il covid è poco più di un'influenza, l'altro dice è una pandemia drammatica, per poi cambiare idea entrambi, uno dice chiudiamo tutto, l'altro dice facciamo come quei paesi che non hanno chiuso o che stanno per riaprire tutto, per poi cambiare idea entrambi, uno dice che il virus resterà per sempre, l'altro dice che se ne andrà con l'estate, per poi cambiare idea entrambi. (Questi scienzati del virus ne hanno mai visto uno?) . A questo punto che cosa ti inventa il capobanda? Crea ben 15 commissioni, di professori universitari, che non hanno mai visto un'impresa, che diano le linee guida per districarsi da tanta incertezza. Come ho già scritto mai fidarsi degli scienziati (qualunque sciocchezza dicano, lo stipendio è sempre assicurato), e ora siamo nella più completa oscurità. Alla dittatura dei magistrati, capaci e coordinati, dell'epoca di mani pulite, siamo caduti nella dittatura dei professori, inadatti e disordinati che hanno, inconsapevolmente, il compito di spaventare o almeno di disorientare la gente. E allora l'obiettivo di Conte è facilitato perchè qualunque decisione egli prenda è responsabilità dei comitati scientifici preposti.
Si, arriva, finalmente alla Fase 2 o Farsa 2; con l'ultimo dpcm, assolutamente illeggibile. Quel poco che si capisce è che con l’idea del rischio zero (che non esiste in natura), gran parte delle attività commerciali e produttive di questo Paese sarà messa in ginocchio. I professori hanno talmente spaventato gli italiani che, probabilmente, saranno i primi a richiedere nuove "normalità". Ma veramente dovremo sanificare i capi di abbigliamento negli showroom? Ma davvero possiamo pensare che ci possa essere solo un individuo in quaranta metri quadri di negozio? A coloro che, comprensibilmente, pensano come tutto ciò sia necessario per contenere il contagio, ricordo solo che così facendo gli imprenditori non potranno che aumentare i prezzi e licenziare una parte del personale. La contrapposizione non è tra impresa e salute, la contrapposizione è tra paura e lavoro.
Il rischio è nell’attività umana, anzi, nella nostra stessa condizione di essere umani. Dobbiamo affrontarlo, non negarlo; se dovremo convivere con il virus convivremo con esso. La nuova normalità dei dpcm farà sì che un taglio di capelli non potrà che essere più costoso, un pasto al ristorante non potrà che essere più caro, un caffè al bar non potrà che essere più salato. Una bella condizione per aumentare le disuguaglianze, che fino a ieri erano considerate, come ho sempre detto, l’emergenza di questa civiltà. La fine delle low-cost, per i viaggi aerei, non compromette i viaggiatori di business, ma ragazzi che giravano il mondo con poche risorse. Restiamo tutti a casa, ordiniamo online e poi nei nostri centri delle città costruiamo dei bei magazzini per lo smistamento degli ordini, tipo Amazon. Non sto esagerando. È la reazione a questa pandemia che è esagerata. E, ovviamente, ce ne renderemo conto tra poco, quando, dopo l’iniziale entusiasmo salutista e i cori dai balconi, capiremo che in molti hanno preferito non aprire, e quei pochi che ci sono riusciti sono diventati esercizi commerciali per abbienti.
E, dunque, ci sarà una reazione del mercato e dei consumatori, ma il rischio è che il delicato equilibrio economico su cui già prima ci reggevamo, cada del tutto: chiudere una serranda è molto più facile che aprirla. Turismo, commercio al dettaglio e manifatturiero, tre eccellenze italiane, rischiano di pagare un prezzo altissimo, non solo per la prevedibile caduta della domanda, ma anche per le nuove leggi sanitarie, che si sommeranno a quelle sul lavoro, a quelle burocratico-amministrative e a quelle fiscali.
C'é purtroppo il forte timore che una volta finito di contare i morti di Covid 19 dovremo iniziare a enumerare i suicidi di Stato, cioe' le vittime provocate dalle conseguenze economiche e sociali di questa crisi. Penso a tutti quei lavoratori che rischiano di diventare una nuova categoria di poveri. Ci sono padri di famiglia disperati: non sanno come prendersi cura delle proprie famiglie, sono impossibilitati a pagare i debiti con i fornitori, le attrezzature o i mutui. Allora, perchè non consentire la riapertura in sicurezza di tutte le attività in grado di assicurare il distanziamento sociale con l'obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale? Se il governo prevede delle regole per riaprire, come l'uso obbligatorio di mascherine e guanti o come il distanziamento sociale, perchè chi osserva queste norme non può riaprire? Il presidente del Consiglio si limita a dare rassicurazioni, ma non basta, non più! Mentre si programma la ripartenza c'è ancora chi aspetta di ricevere i soldi richiesti a marzo. Altro che "misure poderose", liquidità mai vista, assistenza alle famiglie, aiuti ai genitori e "iniziative senza precedenti". Solo parole al vento, chiacchiere che a nulla servono per rispondere al dramma dei tanti italiani che purtroppo rischiano di perdere tutto.
Con questo orizzonte nerissimo, con l'Ue che può governare lo spread, le banche e i risparmi degli italiani, con i media che manipolano i sondaggi e spingono in quella direzione, con il governo che diffonde paure e intimidazioni, gli italiani non potranno che affidarsi alle sollecite e confortanti mani della sinistra.
Che qualcosa possa cambiare è dimostrato dall'estromissione a Repubblica del pasdaran Carlo Verdelli con il più moderato Maurizio Molinari; è un primo passo che potrebbe far ben sperare; è rimasto solo il Corriere della Sera come il giornalone del virus e il Fatto che è oramai organo ufficiale dei 5 Stelle.
Voglio concludere con una riflessione.
Vi ricordate che cosa significa la parola libertà? Qualcosa di così prezioso che rinunci a essa solo in nome di un bene superiore, ma lo devi fare spontaneamente, legittimamente e legalmente, devi poter decidere anche quando tornare indietro. Ora quella libertà, che ci hanno tolto da tre mesi a colpi di dpcm senza affrontare nel modo più adeguato l'emergenza sanitaria, senza un piano economico che sostenga il Paese e gli imprenditori grandi e piccoli, senza il consenso del Parlamento, in dispregio della Costituzione, io la rivoglio. Come milioni di italiani voglio che venga ripristinata la carta costituzionale.
Eugenio Caruso - 28 aprile 2020
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