Diogene di Sinope, detto il Cinico(in greco antico: Dioghénes; Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.), è considerato uno dei fondatori della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene. La principale fonte di informazioni sulla sua vita è fornita dall'opera di Diogene Laerzio. Secondo lo storico il padre di Diogene, Icesio, un cambiavalute, fu imprigionato oppure esiliato perché accusato di contraffare le monete. Diogene si trovò anch'egli sotto accusa, e si spostò ad Atene con un servo che poi abbandonò, dicendo: «Se Mane può vivere senza Diogene, perché non Diogene senza Mane?». Attratto dagli insegnamenti ascetici di Antistene, divenne presto suo discepolo, a dispetto della rudezza con la quale era trattato e del fatto che costui non lo voleva come allievo, ben presto superò il maestro sia in reputazione che nel livello di austerità della vita. Le storie che si raccontano di lui sono probabilmente vere; a ogni modo, sono utili per illustrare la coerenza logica del suo carattere e la sua irriverenza. Si espose alle vicissitudini del tempo vivendo in una piccola botte aperta che apparteneva al tempio di Cibele. Distrusse l'unica sua proprietà terrena, una ciotola di legno, vedendo un ragazzo bere dall'incavo delle mani.
In viaggio verso Egina, venne fatto prigioniero dai pirati e venduto come schiavo a Creta a un uomo di Corinto chiamato Xeniade (o Seniade) diventando tutore dei suoi due figli nonché suo amministratore domestico. Venendo interrogato sul suo prezzo, replicò che non conosceva altro scambio possibile che quello con un uomo di governo, e che desiderava essere venduto a un uomo che avesse bisogno di un maestro.
«E chiedendogli l'araldo che cosa sapesse fare, Diogene rispose: «Comandare agli uomini». Fu allora che egli additò un tale di Corinto che indossava una veste pregiata di porpora, il predetto Seniade, e disse: «Vendimi a quest'uomo: ha bisogno di un padrone».»
(Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi VI, Vita di Diogene, 32)
Visse a Corinto per il resto della sua vita, che dedicò interamente a predicare le virtù dell'autocontrollo e dell'autosufficienza, abitando in una botte. Ai Giochi Istmici tenne discorsi a un pubblico consistente che lo seguiva.
Fu probabilmente a uno di quegli eventi che incontrò Alessandro Magno.
«Il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: "Scostati un poco dal sole". A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene".»
(Plutarco, Vite parallele, Vita di Alessandro Magno,
Diogene Laerzio, a differenza di Plutarco, riferisce che successivamente, forse irritato dalla mancanza di rispetto, Alessandro, per farsi gioco di lui che veniva chiamato "cane", gli mandò un vassoio pieno di ossi e lui lo accettò ma gli mandò a dire: Degno di un cane il cibo, ma non degno di re il regalo.
Alla sua morte, avvenuta a 89 anni proprio nel periodo nel quale anche Alessandro Magno stava concludendo la sua esistenza, sulla quale ci sono più testimonianze, i Corinzi eressero un pilastro alla sua memoria, sul quale vi era, inciso, un cane di marmo pario.
«Il medesimo Eubulo attesta che Diogene invecchiò presso Seniade e, morto, fu seppellito dai suoi figli. Chiedendogli al tempo Seniade come volesse essere seppellito, egli replicò: "Sulla faccia". Domandandogliene quello la ragione, Diogene soggiunse: "Perché tra poco quel che è sotto si sarà rivoltato all'insù". Disse questa battuta perché ormai i Macedoni dominavano, o da umili erano diventati potenti.»
Diogene Laerzio, (Vita di Diogene, 74)
«Soleva anche dire che nella vita assolutamente nessun successo è ottenibile senza strenuo esercizio, e che questo è capace di vincere qualunque ostacolo. È dunque necessario che quanti scelgono le fatiche che sono in armonia con la natura, invece di quelle improficue, vivano felicemente; mentre coloro che scelgono, contro natura, la dissennatezza siano infelici. La stessa abitudine di spregiare il piacere fisico è piacevolissima; e come quanti sono abituati a una vita piacevole si dispiacciono se vanno incontro al suo contrario, così coloro che sono esercitati al loro contrario spregiano con gran piacere proprio i piaceri fisici. Di questo genere erano i discorsi che faceva e che dimostrava mettendoli in pratica: contraffacendo effettivamente la moneta, non concedendo alla legalità l'autorità che invece concedeva alla natura, e affermando di condurre la stessa sorta di vita che era stata di Eracle, il quale nulla anteponeva alla libertà.»
(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 71)
La virtù, per lui, consisteva nell'evitare qualsiasi piacere fisico superfluo: Diogene rifiuta drasticamente, non senza esibizionismo, le convenzioni e i tabù sociali, oltre che i valori tradizionali come la ricchezza, il potere, la gloria; sofferenza e fame erano positivamente utili nella ricerca della bontà; tutte le crescite artificiali della società gli sembravano incompatibili con la verità e la bontà; la moralità porta con sé un ritorno alla natura e alla semplicità. Citando le sue parole, «l'Uomo ha complicato ogni singolo semplice dono degli Dèi». È accreditato come uno strenuo sostenitore delle sue idee, al punto da arrivare a comportamenti indecenti; tuttavia, probabilmente, la sua reputazione ha risentito dell'indubbia immoralità di alcuni dei suoi eredi. Diogene rivendica la libertà di parola, ma rifiuta la politica, rivelando un concetto proto-anarchico.
«Tutto appartiene agli dei; i sapienti sono amici degli dei; i beni degli amici sono comuni. Perciò i sapienti posseggono ogni cosa»
(Diogene di Sinope, citato da Diogene Laerzio)
Secondo quanto tramanda Diogene Laerzio, Diogene fu anche la prima persona conosciuta ad aver utilizzato il termine «cosmopolita». Difatti, interrogato sulla sua provenienza, Diogene rispose: «Sono cittadino del mondo intero». Si trattava di una dichiarazione sorprendente in un'epoca dove l'identità di un uomo era intimamente legata alla sua appartenenza ad una polis particolare. Al filosofo megarico Diodoro Crono, che negava il movimento, Diogene rispose semplicemente mettendosi a camminare.
Inoltre, la messa in pratica degli ideali di ascetismo in netta opposizione al conformismo imperante gli meritò il soprannome di "cane":
«Durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un cane. Diogene, andandosene, urinò loro addosso, come fa un cane.»
(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 46)
Diogene riteneva, infatti, che gli esseri umani vivessero in modo artificiale e ipocrita e che dovessero essere più liberi. Oltre a praticare in pubblico le fisiologiche funzioni corporee senza essere a disagio, un sapiente mangerà di tutto, e non si preoccuperà di dove dorme, vivendo in modo naturale nel presente senza preoccupazioni.
Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva, e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona reputazione.
Una volta uscì con una lanterna di giorno, e, alla domanda su che cosa stesse facendo, rispose: "cerco l'uomo!", non intendendo con questo però "un uomo onesto", come pensano alcuni, in quanto l'onestà non era certo una delle più pregnanti esigenze civili del mondo greco del quarto secolo a.C. Egli invece cercava qualcuno che avesse le qualità che ci si aspetterebbe di trovare nell'uomo naturale, come spiegano, tra i tanti, Giovanni Reale e Dario Antiseri: "... (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l'uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l'uomo che, al di là di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e al di là dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."
Uno degli aspetti più clamorosi della sua filosofia era di conseguenza il suo rifiuto delle normali concezioni sulla decenza. Secondo gli aneddoti, Diogene mangiava in pubblico, viveva in una botte, defecava nel teatro pubblico, e non esitava ad insultare apertamente i suoi interlocutori. Diogene svolgeva in pubblico anche atti sessuali. I suoi ammiratori lo consideravano un uomo devoto alla ragione e di onestà esemplare. Per i suoi detrattori era un folle fastidioso e maleducato.
Come scrive Diogene Laerzio, si solevano attribuire a Diogene 14 dialoghi e 7 tragedie. Tuttavia lo stesso Laerzio afferma poco oltre: «Sosicrate nel primo libro delle Successioni, e Satiro nel quarto libro delle Vite affermano che nessuna di tali opere è di Diogene. Satiro afferma anche che le tragedie sono di Filisco di Egina, un conoscente di Diogene. Sozione nel settimo libro afferma che soltanto queste sono opere di Diogene: Sulla virtù, Sul bene, Erotico, Il Poveraccio, Tolmeo, Pordalo, Casandro, Cefalione, Filisco, Aristarco, Sisifo, Ganimede, Detti sentenziosi, Lettere».
Sia nei tempi antichi che in quelli moderni, la sua personalità ha attirato molti scultori e pittori. Busti e statue antichi esistono nei Musei Vaticani e al Louvre. L'incontro tra Diogene e Alessandro è rappresentato anche in un bassorilievo del XVIII secolo di Villa Albani. Rubens, Jordaens, Steen, Van der Werff, Jeaurat, Salvator Rosa e Karel Dujardin hanno dipinto numerosi episodi della sua vita.
Diogene ha ispirato anche il nome del Diogenes Club, un immaginario club londinese per gentiluomini inserito da Sir Arthur Conan Doyle in vari racconti di Sherlock Holmes.
Diogene il Cinico viene citato da Dante nel Canto IV dell'Inferno (Divina Commedia), fra gli spiriti magni che quest'ultimo incontra nel primo Cerchio o Limbo; il poeta lo descrive accanto a Democrito, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito e Zenone di Elea:
«Democrito che 'l mondo a caso pone,
Dïogenès, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone.»
(Inferno, IV, vv. 136-138)
Una volta Diogene stava cenando con un piatto di lenticchie. Per caso lo vide Aristippo, filosofo che trascorreva la vita negli agi, trascorrendo i suoi giorni a corte e adulando il re.
Disse Aristippo:
– Caro Diogene, se tu imparassi ad essere ossequioso con il re, non saresti costretto a dover vivere mangiando robaccia come quelle lenticchie.
Al che Diogene gli rispose:
– E se tu avessi imparato a vivere mangiando lenticchie, ora non saresti costretto ad adulare il re.
( Diogene Laerzio, Vita dei Filosofi).
E' impossibile valutare l'attività letteraria di Diogene che è attestata da frammenti e da titoli di opere. Comunque, il tratto certo della sua figura è la sua volontà di mutare la norma sociale vigente e di sovvertire i valori che ne stavano alla base, con l'affermazione della "indifferenza" di fronte a qualsiasi realtà esteriore, e il conseguente affrancamento dello spirito dalla necessità dell'agire.
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=XrHMIyfAjCs
Eugenio Caruso - 12 maggio 2020
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