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7.2 La globalizzazione
Nell’elenco di imprese a me note che hanno superato brillantemente
questi anni di crisi, non posso non citare quelle che hanno
intrapreso la strada della globalizzazione. Conosco imprenditori che
dall’oggi al domani, armati di coraggio e supportati dalla convinzione
di avere un buon prodotto, sono partiti per gli USA o l’Europa
dell’est, la Cina o il Subcontinente asiatico, e vi hanno impiantato
succursali della propria impresa; non sono a conoscenza diretta di
fallimenti clamorosi. Cito, invece, casi di successo: un’impresa di minuteria
metallica, una di abbigliamento, una del settore energie rinnovabili,
una del settore medicale, per esempio.
Un discorso a parte merita quindi il modello della globalizzazione.
Essa, intanto, pone i mercati sempre a più stretto contatto: da un
lato alimentando la concorrenza tra le imprese, dall’altro offrendo
crescenti opportunità di sbocco su nuovi mercati.
In Italia non è ancora radicata la cultura dell’internazionalizzazione,
in particolare di quella attiva, soprattutto con riferimento
alle PMI.
Infatti, per queste ultime, molto frequenti sono rapporti
commerciali occasionali, scarsa conoscenza del mercato estero, assenza
della ricerca del cliente, mancanza di adeguata promozione del
prodotto; esse confidano esclusivamente nelle capacità commerciali
del buyer o dell’importatore cui si affidano.
La strategia vincente
si basa invece sull’idea di affrontare l’internazionalizzazione attiva
sviluppando rapporti commerciali sistematici, selezionando i target
attraverso ricerche di mercato, utilizzando politiche promozionali e
radicando l’esportazione mediante la realizzazione di società stabilite
sul territorio prescelto.
Per le imprese italiane, intraprendere un processo di internazionalizzazione
è diventata oramai una necessità vitale. Il brancolare
nel buio senza punti di riferimento può essere superato dando uno
sguardo attento a ciò che il mercato mostra in questo campo. Sul
mercato mondiale è risaputo che il made in Italy brilla in popolarità.
Ma una buona percentuale dei prodotti con marchio italiano venduti,
per esempio, negli USA sono dei falsi. Questo dato ci porta a fare
due considerazioni: la prima è che evidentemente le aziende italiane
non sono in grado di soddisfare la richiesta di prodotti; la seconda
ci fa comprendere che laddove esistono dei falsi vuol dire che c’è richiesta
di quel prodotto.
Spesso la cultura della globalizzazione non
è presente nelle nostre aziende: la mancanza di cultura imprenditoriale
e di spirito d’iniziativa fa sì che l’imprenditore si accontenti di
realizzare la vendita al “dettaglio”, che lo lascerà perennemente nel
suo limbo, piuttosto che programmare e realizzare nel tempo strategie
vincenti e di crescita per la sua azienda.
Eugenio Caruso - 24-01-2021
Tratto da