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Alcune domande a Draghi su tamponi e lockdown.

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca


Quando il Presidente del Consiglio parla dei “dati” che dettano la sua politica dell’emergenza e gli impediscono qualsiasi prossima apertura, si riferisce alla “curva dei contagi” cioè l’andamento dei tamponi che risultano positivi. Diciamolo subito: ha ragione Draghi a osservare che la curva dei casi positivi non sta ancora diminuendo come si vorrebbe. Dobbiamo però chiederci: è questa la ragione sufficiente per la nuova chiusura? Analizziamo i diversi profili della cosa.
Primo punto. I “casi” – cioè i tamponi positivi che indicano qualcuno che potrebbe aver avuto il virus (anche se nell’80% non ha avuto sintomi rilevanti) – sono arrivati a 3,5 milioni cumulativamente in Italia, con una media attuale sui 24 mila al giorno dopo un picco di 40 mila. In marzo e aprile, quando la mortalità era ai massimi, i tamponi erano intorno a 3-4 mila al giorno con un picco di 6 mila al giorno.
I “contagi” oggi sono cinque volte quelli della primavera scorsa, anche se i morti sono diminuiti, semplicemente perché si fanno circa dieci volte più tamponi e a persone che non hanno sintomi. In totale in Italia si sono fatti 48 milioni di tamponi, circa 800 tamponi per 1,000 abitanti. Più tamponi fai più contagiati trovi. Ma è giusto andare alla caccia di contagiati sani per chiudere tutti in casa? Questa è la prima concreta domanda a Mario Draghi.
In Giappone, ad esempio, si sono fatti fin dall’inizio pochissimi tamponi, in totale circa 60 tamponi per 1,000 abitanti, 115 volte meno tamponi che in Italia. La politica del Giappone è fare il tampone solo a chi sia malato, abbia sintomi seri, non a chi è stato, forse, in contatto con qualcuno che è risultato positivo, anche se magari anche lui non aveva sintomi e così a catena come facciamo noi. È quindi ovvio che ci siano più “contagi” ora, per la semplice ragione che si fanno molti più tamponi, sia rispetto alla primavera scorsa, sia rispetto ad altri paesi.

Secondo punto. In Usa i casi positivi sono calati dal 20 gennaio dopo che la Cdc ha pubblicato linee guida che indicavano di abbassare il parametro dei “cicli” a cui si calcola il tampone e lo stesso ha fatto l’OMS il 27 gennaio. Se si abbassa la soglia dei cicli da 40 o 45, a 35 o 32 cicli automaticamente i casi “positivi” si riducono. Seconda domanda al Presidente del Consiglio: in Italia seguiamo il parametro consigliato dall’OMS o la soglia dei 40 “cicli”? Insomma, che linee guida abbiamo per l’uso dei tamponi?

In aggiunta, i virus dell’influenza sono spariti nel mondo e il tampone non distingue tra la rilevazione di micro frammenti di Covid o di altri virus influenzali, per cui non si sa esattamente se tanti “positivi” non risultino tali a frammenti di virus influenzali di altro genere. È giusta o falsa questa considerazione? Questa è una ulteriore domanda che rivolgiamo a Draghi.

Un ulteriore fenomeno statistico anomalo, che però è stato rilevato nei test stessi di Pfizer e Moderna su campioni di vaccinati e non vaccinati, è che dopo la prima iniezione si rilevano più casi positivi e solo dopo il richiamo questi si riducono. Questo è evidente dai dati di Israele e Uk dove nei primi due mesi di vaccinazione i casi aumentavano e solo ora si sono ridotti. Poiché l’Italia ha appena iniziato a vaccinare con la prima iniezione un aumento di “positivi” potrebbe essere dovuto proprio al vaccino. È consapevole Draghi di questi dati?

Insomma, se i “dati” di cui parla il Presidente del Consiglio sono solo i casi positivi al tampone, siamo invischiati in problemi statistici di ogni genere. Se si fanno pochi tamponi come in Giappone e in genere in Asia, ovviamente la “curva” risulta molto più bassa. Se si abbassa il parametro con cui vengono calcolati i tamponi a 35 o 30 cicli il numero di positivi si riduce moltissimo. Quando stai vaccinando ci si può aspettare un aumento dei casi positivi perché sembra che tra la prima iniezione e la seconda si possa contagiare e anche più di prima. E così via. Non c’è niente di più relativo del calcolo del numero dei contagi. Ma è possibile fondare solo su questo parametro la chiusura di mezzo Paese? Anche questa domanda riassuntiva la rivolgiamo a Draghi.
Si potrebbe inoltre osservare che i tamponi sono un esperimento fatto nell’ultimo anno. Non si è mai considerata una persona che si sente bene e non è di fatto malata come “contagiata” perché “positiva” a un test che rileva tracce di virus. L’idea dei tamponi attuali viene da uno studio di un affermato virologo tedesco Christian Drosten pubblicato a gennaio 2020 peraltro con una “review” durata due giorni contro i due o tre mesi che vengono richiesti di solito. Lo studio è stato successivamente criticato da dozzine di scienziati, ma una volta che i governi hanno adottato la politica dei tamponi non si è più tornati indietro.
In conclusione, se i dati su cui si appoggia la politica del lockdown di Draghi, dopo quella di Conte, si basano, esattamente come quella di Conte, solo sui “tamponi” positivi non c’era bisogno di Draghi. A ben vedere non sono i dati che impongono le chiusure, sono le chiusure che impongono quei dati.

Paolo Becchi e Giovanni Zibordi - nicolaporro.it - 30-03/2021

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Tratto da nicolaporro.it

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