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Virgilio, Eneide, Libro VII. Enea sbarca nel Lazio.

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

INTRODUZIONE

L'Eneide (in latino: Aeneis) è un poema epico della cultura latina scritto da Publio Virgilio Marone tra il 29 a.C. e il 19 a.C. Narra la leggendaria storia dell'eroe troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta della città di Troia, e che viaggiò per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano. Alla morte di Virgilio il poema, scritto in esametri dattilici e composto da dodici libri per un totale di 9.896 esametri, rimase privo degli ultimi ritocchi e revisioni dell'autore, testimoniate da 58 esametri incompleti; perciò nel suo testamento il poeta fece richiesta di farlo bruciare, nel caso in cui non fosse riuscito a completarlo, ma gli amici Vario Rufo e Plozio Tucca, non rispettando le volontà del defunto, salvaguardarono il manoscritto dell'opera e, successivamente, l'imperatore Ottaviano Augusto ordinò di pubblicarlo così com'era stato lasciato. I primi sei libri raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei troiani - alleati con i Liguri, con alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro appoggio, tra cui i Volsci e altri Etruschi; sotto il nome di Latini finiranno per essere conosciuti in seguito Enea e i suoi seguaci. Enea è una figura già presente nelle leggende e nella mitologia greca e romana, e compare spesso anche nell'Iliade; Virgilio mise insieme i singoli e sparsi racconti dei viaggi di Enea, la sua vaga associazione con la fondazione di Roma e soprattutto un personaggio dalle caratteristiche non ben definite tranne una grande devozione (pietas in latino), e ne trasse un avvincente e convincente "mito della fondazione", oltre a un'epica nazionale che allo stesso tempo legava Roma ai miti omerici, glorificava i valori romani tradizionali e legittimava la dinastia giulio-claudia come discendente dei fondatori comuni, eroi e dei, di Roma e di Troia.

Attraverso quest'opera, Virglio ha reso celebri e trasmesso ai posteri numerosissime storie e racconti mitologici della classicità greca e romana. Molti racconti sono tipici della tragedia greca; "fortunatamente" per gli antichi greci e romani l'uccisione di mogli, amanti, figli, mariti, come stupri, incesti e altre violenze sessuali erano dovute all'intervento di qualche dio, che, spesso, funge da artefice e da giudice. Giova anche notare che, dall'antichità classsica, ai giorni nostri i massimi artisti si sono cimentati, con dipinti e sculture, nel raccontare e farci godere con grande intensità i racconti della mitologia tramandatici da Virgilio. Anche Dante, nelle sue metafore, ha attinto molto da lui la cui opera conosceva molto bene, a ulteriore dimostrazione dell'immensa cultura del poeta fiorentino. Giova anche notare che, allora, non era facile trovare un manoscritto dell'Eneide: se ne potevano trovare solo nelle grandi abbazie e presso i palazzi di famiglie blasonate.

LIBRO VII

RIASSUNTO

I troiani salpano da Cuma e giungono in un porto della Campania situato a Nord, qui muore Caieta, la nutrice di Enea, nell'Esperia. Stanchissimi e affamati (tanto da mangiare le mense, piatti di focaccia dura, proprio come avevano previsto le arpie), sbarcano alla foce del Tevere; Enea decide quindi di inviare un ambasciatore di nome Ilioneo al re del luogo, Latino. Questi accoglie con favore l'emissario di Enea, e gli dice di essere a conoscenza che Dardano, il capostipite dei Troiani, era nato nella città etrusca di Corito (VII 209: ab sede Tyrrena Corythi). Ilioneo risponde: "Da qui ebbe origine Dardano ... Qui Apollo ci spinge con ordini continui"(VII 240). In ogni caso Latino si mostra favorevole ad accogliere i Troiani perché suo padre, il dio italico Fauno, gli ha preannunciato che l'unione di uno straniero con sua figlia Lavinia avrebbe generato una stirpe eroica e gloriosa: per questo motivo il re aveva in precedenza rifiutato di concedere Lavinia in moglie al giovane re dei Rutuli, Turno, anche lui semidio (in quanto figlio della ninfa Venilia): la volontà degli dei si era manifestata anche attraverso prodigi. La piega che gli eventi stanno prendendo non piace a Giunone che con l'aiuto di Aletto, una delle Furie, rende geloso Turno e spinge la moglie del re, Amata, a fuggire nei boschi con la figlia e a fomentare l'odio verso gli stranieri nella popolazione locale. L'uccisione del giovane valletto latino Almone, colpito alla gola da una freccia durante una rissa fra Troiani e Italici provocata dalla Furia, scatena la guerra: Turno, nonostante il parere contrario di Latino, raduna un esercito da inviare contro i Troiani. Il suo alleato principale è Mezenzio, il re etrusco di Cere, cacciato dai sudditi per la sua crudeltà: vi sono poi, tra gli altri, Clauso, principe dei Sabini, alla testa di un corpo militare particolarmente imponente; i due semidei italici Ceculo e Messapo, figli rispettivamente di Vulcano e Nettuno; Ufente, capo degli Equi; Umbrone, condottiero dei Marsi e noto serparo; Virbio, giovane re di Aricia e nipote di Teseo; la vergine guerriera Camilla, regina dei Volsci.

TESTO

LA PARTENZA DA GAETA(1-9)
Tu pure ai nostri lidi, nutrice di Enea,
morendo desti, Gaeta, eterna fama;
e ora il tuo onore conserva una sede e la fama
segna le ossa nella grande Esperia, se quella è gloria.
Ma il pio Enea, eseguite le esequie ritualmente,
sistemato il tumulo, dopo che l'alto mare si quietò, apre la rotta alle vele e lascia il porto.
Spirano le brezze sulla notte né la candida luna nega
il percorso, il mare splende sotto tremula luce

caieta
La morte di Caieta che diede il nome a Gaeta.


LE TERRE DI CIRCE (10-24)
Si sfiorano i vicini lidi della terra di Circe, 10
dove la ricca figlia del Sole fa risuonare i boschi
inaccessibili di continuo canto, nella casa superba
brucia l'odoroso cedro per le luci notturne
scorrendo le sottili tele col pettine vivace.
Di qui si sentono i gemiti e le ire di leoni 15
che rifiutano le catene e ruggiscono nella tarda notte,
setolosi porci e orsi nei recinti fremevano
e forme di grandi lupi ululavano, che dall'aseptto
di uomini la crudele dea Circe con potenti erbe
aveva trasformato in volti i di belve. 20
Ma perché i pii Troiani non soffrissero tali mostri
entrati nei porti e non affrontassero crudeli lidi
Nettuno riempì le vele di venti favorevoli,
favorì la fuga e li portò oltre i fervidi guadi.

IL BIONDO TEVERE (25-36)
Il mare ormai rosseggiava di raggi e dall'alto etere 25
la gialla Aurora splendeva nelle rosse bighe,
quando i venti cessarono e subito ogni soffio
ristette, sulla calma superficie lottano i remi.
Allora Enea dal mare vede un grande bosco.
In mezzo a esso corre ameno il Tevere 30
con salti rapidi e biondo di molto limo
si getta in mare. Vari uccelli avvezzi alle rive
e all'alveo del fiume attorno e sopra volteggiavano
sul bosco e col canto accarezzavano l'aria.
Enea ordina ai compagni di piegare la rotta e volgere 35
le prore alla terra e lieto si inoltra nel fiume ombroso.

tevere
Enea sbarca sulle rive del Tevere di Pietro da Cortona

INVOCAZIONE ALLA MUSA (37-45)
Orsù, Erato, narrerò quali re, quali templi, quale stato
di cose ci fu nell'antico Lazio, quando lo straniero
esercito spinse la flotta alle spiagge ausonie,
e ricorderò gli inizi del primo scontro. 40
Tu, dea, tu istruisci il poeta. Dirò le orribili guerre,
dirò le schiere e i re spinti dagli animi alla morte,
la truppa tirrena tutta l'Esperia raccolta
sotto le armi. Mi nasce un maggior ordine delle cose,
muovo una impresa maggiore.

IL RE LATINO E PORTENTI DIVINI (45-80)
Il re Latino ormai vecchio reggeva 45
in lunga pace i campi e le placide città.
Lo sappiamo nato da Fauno e dalla ninfa laurente
Marica; Pico (fu) padre di Fauno ed egli dichiara
padre te, Saturno, tu ultimo capo della stirpe.
Per fato degli dei egli non ebbe un figlio e nessuna 50
prole maschile.
Una sola figlia salvava la casa e sì garndi sedi
ormai matura per il marito, nubile con anni maturi.
Molti dal grande Lazio e da tutta l'Ausonia la
pretendevano; la pretende, il più bello di tutti gli altri,
Turno, potente per avi e antenati, che la coniuge regia
con grande amore s'affrettava ad unirselo per genero;
ma portenti degli dei s'oppongono con vari terrori.
C'era un alloro in mezzo al palazzo negli alti cortili;
conservato sacro per la chioma con devozione per 60 molti anni, che si diceva lo stesso padre Latino aveva
consacrato a Febo, trovatolo, fondando le prime rocche, da esso aveva dato il nome ai coloni Laurenti.
Le api portate numerose, mirabile a dirsi, nel limpido
etere con ingente ronzio occuparono la sua sommità,
e uno sciame improvviso, intrecciati i piedi tra loro,
pendette da un ramo frondoso.
Subito l'indovino "Un uomo straniero, disse
vediamo arrivare e una schiera dirigersi alle stesse parti
dalle stesse parti e dominare la sommità della rocca". 70
Poi, mentre con caste fiaccole onora gli altari,
e la giovane Lavinia presiede vicino al genitore,
sembrò, terribile, che un fuoco s'attaccasse ai lunghi
capelli e tutto l'abbigliamento bruciasse di fiamma
crepitante, accese le chiome regali, accesa la corona 75
preziosa di gemme; allora fumante di luce rossastra
correva e spargeva Vulcano a tutti i tetti.
Si diceva che ciò era orrendo e strano a vedersi:
predicevano che lei sarebbe stata illustre per fama e
destini, ma recava al popolo grande guerra. 80

latino
Enea incontra il re Latino. Di Ferdinand Bol

GLI ORACOLI DI FAUNO (81-106)
Il re turbato dai prodigi si reca agli oracoli di Fauno,
il profetico genitore, e consulta i boschi sotto l'alta
Albunea, che, la maggiore dei boschi, risuona
di sacro fonte e oscura esala crudele puzzo. 85
Di qui i popoli italici e tutta la terra enotria 85
nei dubbi cercano responsi; qui quando il sacerdote
ha portato doni e s'è sdraiato su pelli distese di pecore
uccise sotto la notte silente e ha cercato il sonno,
vede molti fantasmi volare in forme strane
ode varie voci e gode del colloquio degli dei 90
e parla con Acheronte nei profondi Averni.
Qui anche allora lo stesso padre Latino cercando
responsi sacrificava ritualmente cento lanute di due anni
e appoggiato alla schiena di queste e su pelli distese
giaceva: improvvisa dall'alto bosco fu inviata una voce:
"Non cercare di legare la figlia con nozze latine, 96
o mia stirpe, non affidarla a nozze preparate;
verranno generi stranieri, che col sangue portino
il nostro nome alle stelle, dalla cui stirpe i nipoti
vedranno tutto volgersi e reggersi sotto i piedi, 100
dove il sole correndo vede entrambi gli Oceani".
Lo stesso Latino non blocca nella sua bocca questi
responsi del padre Fauno e i moniti dati nella notte
silente, ma la Fama ormai volteggiando attorno per le
città ausonie li aveva portati, quando la gioventù 105
laomedonzia legò la flotta all'argine della riva.


LE MENSE DIVORATE ( 107-147)
Enea, i primi capi e Iulo
posano i corpi sotto i rami di un'alta pianta,
preparano il banchetto e nell'erba mettono focacce
di farro sotto le vivande (così Giove stesso ordinava) 110
e accrescono il suolo cereale di frutti agresti.
Allora consumato già il resto, come la povertà del
mangiare spinse a volgere i morsi verso la piccola
Cerere e violare con mani e mascelle audaci il piatto
della focaccia fatale né risparmiare le larghe focacce:
"Ahi, mangiamo anche le mense? Disse Iulo,
nulla più, scherzando. Quella iniziale frase udita
portò la fine delle fatiche, il padre la strappò all'inizio
dalla bocca del parlante e stupito dalla divinità lo zittì.
Subito "Salve terra dovutami dai fati 120
e voi, disse, fidati penati di Troia, salve:
qui la casa, questa la patria. Mio padre Anchise, ora
lo ricordo, lasciò i misteri dei fati:
"Quando, figlio, spinto su ignoti lidi la fame, finite
le vivande ti costringerà a mangiare le mense,
allora stanco ricordati di sperare le case, e lì collocare
con le mani i primi tetti e fortificarli con un vallo"
Questa era quella fame, questa ultima restava per porre
un termine ai mali.
Dunque su e colla prima luce del sole, lieti 130
indaghiamo quali luoghi, quali uomini abitino, dove i popoli abbian mura e dal porto cerchiamo parti diverse.
Ora innalzate le coppe a Giove e con preghiere invocate
il padre Anchise e mettete vino sulle mense"
Poi così espressosi, cinge le tempia di ramo
frondoso e prega il genio del luogo, la Terra, prima
degli dei, le Ninfe e i fiumi ancora ignoti,
poi la Notte e le stelle nascenti della Notte,
e invoca per ordine Giove Ideo, la madre Frigia,
e i duplici genitori nel cielo e nell'Erebo. 140
Allora il padre onnipotente distinto tre volte dall'alto
cielo tuonò, e lui stesso scotendo coi raggi di luce e con l'oro mostro una nueb ardente dall'etere.
Allora subito per le schiere troiane si sparge la voce
che è ginto il giorno in cui fondare le dovute mura: 145
A gara preparan banchetti e lieti per il grande augurio
prendono coppe e incoronano i vini.


AMBASCIERIA AL RE LATINO (148-191)
Quando il giorno seguente sorto illumina le terre
con la prima luce, separati esplorano la città, territori
e i lidi del popolo: questi gli stagni della fonte Numica, 150
questo il fiume Tevere, qui abitare i forti Latini.
Allora il figlio di Anchise comanda che cento legati
scelti da ogni ordine vadano alle auguste mura del re,
tutti velati coi rami di Pallade, portino doni all'eroe
e chiedano pace per i Teucri. 155
Nessun indugio, comandati s'affrettano e si recano
con rapidi passi. Egli delimita le mura con umile
fossato e fortifica il luogo e le prime sedi sul lido
con merli a modo di accampamento e li cinge.
Ormai compiuto il viaggio i giovani vedevano le torri 160
e gli alti tetti dei Latini e s'avvicinavano alle mura.
Davanti alla città ragazzi e gioventù nel primo fiore
si esercitano a cavallo e controllano i carri nella polvere,
o tendono forti archi o lanciano flessibili frecce
coi muscoli, si sfidano alla corsa e al tiro: 165
un araldo avanzato a cavallo riferisce alle orecchie
del vecchio re che son giunti uomini alti in abiti
sconosciuti. Egli ordina che sian chiamati dentro
il palazzo e si siede nel mezzo del trono avito.
Palazzo augusto, enorme, alto di cento colonne, 170
la reggia del Laurente Pico fu sulla cima della città,
terribile per i boschi e il culto degli antenati.
Qui era rito augurale per i re ricevere lo scettro e prendere
i primi fasci; questo tempio era per essi la curia,
queste le sedi per sacri banchetti; qui, ucciso un ariete, 175
i padri solevano sedersi a mense ininterrotte.
Addirittura le effige degli antichi avi in ordine
in vecchio cedro, Italo ed il padre Sabino
cultore di vite, conservando la curva falce sotto l'immagine,
il vecchio Saturno e l'immagine di Giano bifronte 180
stavano sul vestibolo, altri re dall'origine,
che avevan patito ferite di Marte combattendo per la patria.
Inoltre sui sacri stipiti molte armi,
pendono carri prigionieri, curve scuri,
pennachi di elmi, enormi catenacci di porte, 185
frecce, scudi, rostri tolti da navi .
Lo stesso Pico col bastone di Quirino cinto della corta
trabea portava con la sinistra lo (scudo) ancile
(Pico), domator di cavalli, che Circe sposa presa da passione,
colpito dalla verga d'oro e cosparso di veleni 190
trasformò in uccello e ne cosparse di colori le ali.

I LEGATI DAVANTI A RE LATINO (192-285)
Dentro a tale tempio degli dei Latino sedendo sul seggio
paterno chiamò a sé nel palazzo i Teucri, ed, entrati,
per primo pronunciò con volto calmo queste parole:
"Dite, Dardanidi, non ignoriamo la città e la stirpe 195
e famosi affrontate la rotta per mare,
cosa chiedete? Quale causa o di cosa mancando portò
al lido ausonio per tante onde azzurre?
Sia spinti da errore di viaggio, sia da tempeste,
quali i marinai in alto mare molto patiscono, 200
entraste tra le rive del fiume e sedete nel porto,
non rifuggite l'ospitalità, non ignorate i Latini,
popolo di Saturno, non giusto per vincolo o leggi,
ma per sua volontà si attiene secondo il costume dell'antico re.
Ricordo bene ( la fama è troppo oscurata dagli anni) 205
che i vecchi Aurunci così narravano, come Dardano nato
in queste terre emigrò verso le città della Frigia
ed alla Samo tracia, che ora si dice Samotracia.
Di qui, partito dalla sede tirrena di Corito, ora
la reggia aurea del cielo stellato l'accoglie sul soglio 210
e aumenta con gli altari il numero degli dei.
Aveva detto e pronunciata la frase così Ilioneo proseguì:
"Re, illustre stirpe di Fauno, né la nera tempesta ci costrinse
spinti dai flutti a raggiungere le vostre terre,
né stella o lido ci ingannò circa il percorso della rotta: 215
di proposito tutti con animi volonterosi ci rechiamo
in questa città, caccaiti dai regni, che un tempo il sole
venendo dall'estremo Olimpo vedeva come i più grandi.
Da Giove l'inizio della stirpe, la gioventù dardana gioisce
di Giove come avo, lo stesso re dall'alta stirpe di Giove: 220
il troiano Enea ci inviò alla tua reggia.
Quale grande tempesta mossa dalla crudele Micene
sia corsa per le piane idee, da quali fati spinto l'uno e
l'altro mondo d'Asia e d'Europa abbia corso,
udì (ognuno) anche se uno lo tiene l'estremità della terra, 225
rifluito l'Oceano su se stesso, anche se uno lo tien separato
la zona del sole rovente, stesa in mezzo alle quattro zone.
Da quel diluvio portati per tanti vasti mari
chiediamo per gli dei patrii una piccola sede e un lido
sicuro, un'nda e un'aria aperta per tutti. . 230
Non saremo indegni del regno, né la vostra fama sarà
resa piccola e non svanirà la gratitudine di tanta azione,
né gli Ausoni si pentiranno di aver accolto in seno Troia.
Giuro per i fati di Enea e per la potente destra,
che è provato in fedeltà, in guerra e nell'armi: 235
molti popoli, molte nazioni ci chiesero e ci vollero
unire a sé, non disprezzarci perché per di più portiamo
in mano bende sacre e parole invocanti;
ma i fati degli dei pretesero coi loro ordini di cercare
le vostre terre. Da qui nacque Dardano, 240
qui ritorna, con forti comandi Apollo lo impone,
al Tevere tirreno e ai sacri passaggi della fonte di Numico.
Ti dà inoltre picoli doni della precedente
fortuna, resti raccolti da Troia in fiamme.
Con questo oro il padre Anchise libava presso gli altari, 245
questa era l'insegna di Priamo, quando, chiamati i popoli,
rendeva giustizia secondo la legge, lo scettro, la sacra tiara,
le vesti, opera delle Iliadi."
A tali parole di Ilioneo, Latino tiene il volto fisso
in tensione e immobile lo fissa al suolo, 250
mantenendo gli occhi attenti. Non commuove il re
la porpora dipinta né lo commuovono gli scettri di Priamo
tanto quanto si ferma sulle nozze ed il matrimonio della figlia,
e agita nel cuore l'oracolo del vecchio Fauno:
dai fati era questo quel genero predetto, partito 255
da lontana sede e da pari auspici era chiamato
al regno, per lui sarebbe stata la stirpe illustre
per coraggio e con potenza occuperebbe tutto il mondo.
Finalmente lieto disse: " Gli dei assecondino i nostri inizi
e la loro profezia. Sarà concesso, Troiano, quel che desideri: 260
non disprezzo i doni: sotto il re Latino non vi mancherà
la fertile opulenza di ricco terreno o di Troia.
Ora lo stesso Enea, se ha tanto desiderio di noi,
se s'affretta a unirsi in ospitalità e chiamarsi alleato,
venga, né abbia paura di volti amici: 265
per me sarà una parte di pace aver toccato la destra d'un sovrano.
Voi di rimando riferite al re ora i miei impegni:
io ho una figlia, che per oracolo paterno le sorti e molti
prodigi dal cielo non permettono maritare a un uomo
della nostra razza; rivelano che i generi si presenteranno 270
da terre straniere, per portare con la stirpe il nostro nome alle stelle,
che questo si riserva per il Lazio. Che questo tale chiedano
i fati, lo penso e, se un che di vero presagisce il cuore, lo voglio".
Detto questo il padre sceglie i cavalli da tutto il gruppo
(trecento splendidi stavano in ampie stalle;) 275
Ordina che subito sian portati a tutti i Teucri in ordine,
i veloci cavalli coperti di porpora e ricamati drappi,
dorati collari appesi pindono dai petti, coperti d'oro
mordono sotto i denti rosso oro,
per Enea assente un cocchio e gemelli cavalli aggiogati 280
di sangue etereo, spiranti fuoco dalle narici,
dalla razza di quelli che l'ingegnosa Circe, rubatili al padre,
aveva creato bastardi da madre accoppiata.
Con tali doni e parole di Latino gli Eneadi, alti
sui cavalli ritornano e riportano le parole di pace. 285


GIUNONE E ALLETTO (286-340)
Ecco però la crudele moglie di Giove ritornava
da Argo e, portata, teneva il cielo,
e dall'etere vide lontano, fin dal siculo Pachino
Enea lieto e la flotta Dardania.
Vede che già fondano case, già si affidano alla terra, 290
hanno abbandonate le navi: si fermò colpita da acuto dolore.
Poi scotendo il capo versò dal petto queste parole:
"Ahi, stirpe odiata e destini dei Frigi contrari
ai nostri. Forse poterono cadere sulle piane sigee,
forse che catturati esser presi? Forse che Troia incendiata 295
bruciò gli uomini? In mezzo alle schere e in mezzo ai fuochi
trovaron la via. Ma, credo, le mie potenze alla fine
stanche giacciono, o sazia di odio mi quietai.
Anzi osai seguirli nemica cacciati dalla patria
per le onde e mi opposi ai profughi con tutto il mare 300
Consumate furono le forze del cielo e del mare contro i Teucri.
A che mi servì la Sirte o Scilla, a che la vasta Cariddi?
Sicuri si nascondono nell'alveo desiderato del Tevere e
del mio mare. Marte potè rovinare la selvaggia stirpe
dei Lapiti, lo stesso padre degli dei concesse 305
l'antica Calidone alle ire di Diana,
essendo colpevole Calidone o i Lapiti quale sì grave delitto?
Ma io, grande consorte di Giove, che sventurata nulla
potei lasciare non osato, che mi rivolsi a ogni cosa,
son vinta da Enea. Che se le mie potenze non sono abbastanza 310
grandi, non dubiterei certo di chiedere uno
dovunque sia;
se non posso piegare i celesti, muoverò l'Acheronte.
Non si concederà, e sia, bloccare i regni latini,
e inamovibile per i fati resta Lavinia come moglie:
ma si può tirare e aggiungere indugi a cose sì grandi, 315
ma si può disgiungere i popoli dei due re.
A questo prezzo dei loro s'uniscano genero e suocero:
avrai in dote sangue troiano e rutulo, ragazza,
Bellona ti resta pronuba. Neppure solo Cisseide pregna
tanto di fiamma partorì fuochi nuziali 320
anzi lo stesso suo partorito, altro Paride, per Venere e funeste
siano di nuovo le fiaccole (nuziali) per Pergamo rediviva.
Come espresse queste parole, spaventosa si diresse a terra;
chiama dalle tenebre infernali, la sede delle dee crudeli,
la luttuosa Alletto, cui stanno a cuore le tristi guerre, 325
le ire, le insidie e i delitti colpevoli.
Lo stesso padre Plutone odia il mostro, l'odiano
le sorelle tartaree: si trasforma in tante facce,
Volti così crudeli, nera pullula di tanti serpenti.
E Giunone la spronò con queste parole e così dice: 330
"Ora dammi, ragazza figlia della Notte, la tua speciale attività,
questo lavoro, perché il nostro onore o la fama infranta si rtiri
dal paese, né con matrimoni gli Eneadi possano circuire
Latino e occupare i territori italici.
Tu puoi armare fratelli concordi per gli scontri 335
e con gli odi rovinare le case, tu puoi dar colpi e funeree
fiamme ai tetti, tu hai mille pretesti,
mille capacità di nuocere. Scuoti il fecondo petto,
spezza la pace pattuita, semina delitti di guerra;
la gioventù voglia e chieda le armi ed insieme le prenda".

giunone
Giunone e Giove di ANNIBALE CARRACCI

ALLETTO E' INVIATA SULLA TERRA (341-372)
Quindi Alletto infetta di veleni gorgonei
dapprima si reca nel Lazio e agli alti palazzi del sovrano
di Laurento, occupa la silenziosa soglia di Amata,
che per l'arrivo dei Teucri e le nozze di Turno
gli affanni e le ire femminili, ardente la bruciavano. 345
La dea le getta dai capelli azzurri una serpe,
e si nasconde in seno nell'intimità del cuore,
e con quel mostro furibonda sconvolga tutta la casa.
Ella tra le vesti e i leggeri petti scivolando si gira
senza alcun contatto, e soffiando inganna la furente 350
anima viperina; l'enorme serpente diventa un'aurea
collana al collo, diventa un nastro di lunga benda
e lega le chiome ed erra mobile tra le membra.
E mentre il primo contagio scivolando con umido veleno
tenta i sensi ed infonde fuoco alle ossa 355
né ancora la mente percepisce la fiamma in tutto il petto,
più dolcemente e col solito modo delle madri parlò,
piangendo molto sulle nozze frigie della figlia:
"O genitore, forse che Lavina è data da sposare ai Teucri,
e non hai pietà della figlia e di te? 360
Non ha pietà della madre, che, strappata la ragazza, al primo
Aquilone un perfido predone abbandonerà, dirigendosi al largo?
Ma non così il pastore frigio era penetrato in Lacedemone,
e si portò Elena la dea alle città troiane?
A che la tua santa leltà? A che l'antico affanno dei tuoi 365
e la destra tante volte data al parente Turno?
Se si cerca un genero per i Latini da gente straniera,
e ciò è deciso, e ti spingono gli ordini del padre Fauno,
io credo straniera ogni terra, che libera dai nostri
scettri è separata e che così dicon gli dei. 370
E per Turno, se si cerchi la prima origine del casato,
(furono) padri Inaco e Acrisio e la centrale Micene".


LA REGINA AMATA, ACCESA DA PAZZIA (7.373-403)
Come vede, accorgendosene, di contrastare invano
Latino, ed il male delle furie del serpente
completamente sceso nelle viscere la pervade tutta, 375
alorra veramente la sventurata eccitata da enormi mostri
senza ordine impazza invasata per l'immensa città.
Come quando volteggiando sotto la frusta vibrata, una trottola,
che i ragazzi in gran cerchio intorno agli ampi atrii
spingono, intenti al gioco - ella spinta dal colpo si gira 380
per gli spazi curvi; sopra si stupisce la schiera ignara
e piccola ammirando il volubile bosso;
le sferzate danno forze:non minore di quella corsa
è spinta in mezzo alla città ed ai popoli fieri.
Anzi, simulata la potenza di Bacco, vola nei boschi 385
tentando un sacrilegio maggiore ed iniziando una maggiore
Pazzia e nascondela figlia in frondosi monti,
per strappare le nozze ai Teucri e frenare le fiaccole (nuziali),
fremente: Evoè, Bacco, gridando che tu solo sei degno
della ragazza: che per te prendeva i teneri tirsi, 390
celebrava te con la danza, che per te coltivava la sacra chioma.
La fama vola, e lo stesso ardore spinge le madri
accese dalle furie a cercare nuovi strani rifugi.
Abbandonarono le case, danno colli e chiome ai venti;
Alcune poi riempiono l'etere di ululati frementi 395
cinte di pelli portano lance di pampini.
Lei in mezzo infuriata tiene un pino ardente
e canta gli imenei della figlia e di Turno
lanciando uno sguarbo di sanguee improvvisamente
in modo torvo grida: Ehi, madri latine, udite, dovunque siate: 400
se un sentimento resta negli animi pii per l'infelice
Amata, se l'affanno del diritto materno vi tormenta,
sciogliete le bende dei capelli, iniziate i riti con me.


TURNO E' SPINTO ALLA GUERRA (404-474)
Tra le selve, tra i deserti delle fiere Alletto spinge
la regina dovunque con gli stimoli di Bacco. 405
Dopo che parve alla dea d'aver abbastanza istigato i primi
furori e di aver sconvolto il piano e tutta la casa di Latino,
presto di qui, la trista, si alza con le fosche ali
fino alle mura dell'audace Rutulo, si dice che tale città
la fondò Danae con i coloni acrisei, portata 410
dal veloce Noto. Il luogo un tempo fu detto Ardea
dagli avi, ed ora rimane il grande nome di Ardea,
ma lo splendore fu. Qui Turno negli alti palazzi
ormai nella nera notte godeva la piena quiete.
Alletto svestì il torvo aspetto e le membra da furia 415,
se trasforma in sembianze di vecchia
ed ara la fronte funesta, indossò bianchi capelli
con bende, poi intreccia un ramo d'olivo;
diventa Calibe, vecchia sacerdotessa del tempio di Giunone,
e si presenta al giovane davanti agli occhi con queste frasi:
"Turno, permettera che tante fatiche sian profuse in vano,
ed i tuoi scettri siano lasciati a coloni Dardani?
Il re ti rifiuta il matrimonio e le doti cieste col sangue,
per il regno si cerca un lontanissimo erede.
Va' ora, opponiti agli ingrati pericoli, o deriso, 425
va', abbatti le schiere tirrene, proteggi di pace i Latini.
A tal punto la stessa l'onnipotente saturnia ordinò, mentre
giacevi nella placida notte, che io ate parlassi chiaramente.
Perciò su e lieto procura che la gioventù si armi e si muova
dai porti alle armi e brucia i capi frigi, che si son fermati 430
al bel fiume, e (brucia) le carene dipinte.
La grande forza dei celesti lo ordina. Lo stesso re Latino,
se non dichiara di concedere le nozze ed obbedire alla parola,
capisca e finalmente esperimenti Turno in armi."
Ma il govane deridendo l'indovina così di rimando risponde 435
con la frase : "La notizia d'una flocca arrrivata all'onda de
Tevere, non sfugge alle mie orecchie, come pensi;
Non mi creare s' grandi paure. Neppure la regale Giunone
è dimentica di noi.
Ma una vecchiaia vinta dalla ruggine ed incapace del vero, 440
o madre, invano ti tormenta di affanni ed inganna
la profetessa nellla paura tra armi di re.
Tuo affanno (sia) curare le immagini ed i templi degli dei.
Gli uomini faranno guerre e pace, loro devon fare le guerre."
A tali parole Alletto arde di ira. 445
Ma improvviso tremore occupa le membra al giovane che parla
si sbarrarono gli occhi: l'Erinni sibila con tante idri
sì grande aspetto si mostra; allora lanciando lucci di fiamma
lo bloccò mentre esitava e cercava di dire
di più e drizzò sulle chiome due serpi, 450
le schioccò come fruste e con rabbiosa bocca aggiunse questo:
"Eccomi, quella che una vecchiaia vinta dalla ruggine,
incapace del vero inganna nellla paura tra armi di re.
Guarda a questo: mi presento dalle sede delle crudeli sorelle,
con la mano porto guerre e morte." 455
Cosi dicendo gettò un tizzone al giovane e conficcò
con nero bagliore fiaccole fumanti sotto il cuore.
Un'immensa paura gli rompe il sonno, un sudore sgorgato
da tutto il corpo pervade le ossa e le membra.
Pazzo chiede armi, ricerca armi nel letto e nella casa; 460
l'amore del ferro furoreggia e la scellerata pazzia di guerra,
l'ira in più: come quando con grande strepito la fiamma
di rami è gettata sotto i fianchi caldaie di traboccante caldaia
i liquidi ribollono per il calore, dentro s'infuria il torrente
fumoso di acqua e in altro trabocca di spume, 465
né più l'onda si tiene, e nero vapore vola nell'aria.
Dunque ordina ai primi dei giovani una marcia, insozzata la pace,
contro il re Latino e comanda di preparare le armi,
di difendere l'Italia, di cacciare il nemico dai confini;
lui arriva a sufficienza per entrambi e Teucri e Latini. 470
Come diede questi ordini ed invocò in aiuto gli dei,
a gara i Rutuli si esortano alle armi.
Questo lo muove una illustre fama di gloria e di giovinezza,
quest'altro antenati re, questo una destra di famose imprese.


IL CERVO DI SILVIA ED IL PRIMO SCONTRO
(475-539)
Mentre Turno riempie i Rutuli di audace coraggio, 475
Alletto con le ali stigie si lancia contro i Teucri,
con nuova arte, osservato il luogo, dove il bello Iulo
sul lido cacciava le fiere con trappole e corsa.
Qui la vergine di Cocito inietta ai cani una rabbia
improvvisa e tocca le narico con un noto odore, 480
perché furiosi inseguano un cervo; e questa fu la prima causa
dei travagli e accese di guerra rustici animi.
Era un cervo stupendo per la superiore bellezza e le corna,
strappato dalla mammella della madre, lo nutrivano
i ragazzi di Tirro e il padre Tirro, cui obbediscono gli armenti
del re e la sorveglianza affidata della piana per largo tratto. 486
Avvezzo agli ordini, con ogni cura la sorella Silvia
intrecciandole di tenere corone ornava le corna,
pettinava la bestia e lo lavava alla pura fonte.
Egli sopportando la mano e abituato alla mensa padronale
errava nelle selve e di nuovo alle note soglie
lui stesso si recava a casa anche a notte tarda. 490
Lui che errava lontano le rabbiose cagne di Iulo
lo stanarono, quando per caso scendeva lungo il fiume
e sulla riva verdeggiante alleviava l'arsura. 495
Lo stesso Ascanio, anche acceso dall'amore
di grande lode vibrò frecce coll'arco ricurvo;
né un dio mancò alla destra errante, lanciata con gran
strepito la freccia giunse al ventre e ai fianchi.
Ferito però il quadrupede si rifugiò dentro i tetti noti 500
e gemendo si ritirò nelle stalle, sanguinante lamento
e simile a uno che implora riempiva tutta la casa.
Silvia, la sorella, per prima percossasi le braccia con le mani
chiede aiuto e chiama i duri lavoratori.
Essi (la dura peste si nasconde nei taciti boschi) 505
improvvisi si presentano, questi armato di robusto tizzone,
questi di bastone pesante con nodi; quello che fu trovato
da ognuno che cercava, l'ra lo fa arma. Tirro chiama le squadre,
perché casualmente spaccava una quercia in quattro, piantati
i cunei, ansimante bestialmente, presa la scure. 510
Ma la crudele dea dall'alto raggiunto il momento di nuocere
raggiunge gli elevati tetti d'una capanna e dalla sommità della cima
intona il segnale dei pastori e col corno ricurvo
tende la voce tartarea, a cui subito tutto il bosco
tremò e le profonde selve risuonarono; 515
sentì pure lontano il lago di Trivia, udì il fiume Nera,
bianco di acqua solforosa e le fonti del velino,
e le madri trepidanti strinsero i figli al petto.
Allora davvero veloci al richiamo, con cui la tromba
crudele diede il segnale, strappate da ogni parte le armi, 520
gli indomiti agricoltori, e anche la gioventù troiana
aperti gli accampamenti riversa aiuto ad Ascanio.
Le schiere si disposero. Non si lotta più con scontro
rustico con duri bastoni o pali in punta bruciati,
ma lottano col ferro a due tagli e attorno una messe nera 525
di spade sguainate si drizza, i bronzi rifulgono
provocati dal sole e lanciano il bagliore sotto le nubi:
come un flutto quando al primo vento comincia a biancheggiare
a poco apoco il mare si alza e più in alto drizza
le onde, poi dal più profondo sussulta fino al cielo. 530
Allora un giovane davanti alla prima schieera è steso
da stridente freccia, Almo, che fu il maggiore dei figli
di Tirro; la ferita si aprì sotto la gola e bloccò la via
dell'umida voce e col sangue la vita leggera.
Attorno molti corpi di uomini e l'anziano Galeso, 535
mentre si offre in mezzo per la pace, che fu unico,
giustissimo e un tempo ricchissimo di campi ausonii:
gli ritornavano cinque greggi di belanti, cinque
armenti e girava la terra con cento aratri.


L'IRA SAZIATA DI GIUNONE (540-571)
E mentre nelle pianure si agisce così con Marte equo, 540
la dea potente della promessa compiuta, poiché bagnò
di sangue la guerra e compì le morti della prima battaglia,
abbandona l'Esperia e alzatasi sull'aria del cielo
vincitricce si rivolge a Giunone con voce superba:
"Eccoti, la discordia compiuta con la triste guerra; 545
di' che si alleino in amicizia e congiungano patti.
Dal momento che bagnai i Teucri di sangue ausonio,
anche questo ad essi aggiungerò, se il tuo volere mi è certo:
porterò alle guerre le città vicine con chiacchiere,
accenderò gli animi dell'amore del pazzo Marte 550
perché vengano in aiuto da ogni parte; spargero armi per i campi."
Allora Giunone in risposta: "C'è abbondanza di paure e inganno:
le cause di guerra son lì, si combatte corpo a corpo con le armi,
che la sorte ha dato per prime, nuovo sangue bagna le armi.
Celebrino tali unioni e tali imenei 555
l'iilustre stirpe di Venere e lo stesso re Latino.
Che tu troppo liberamente vagassi nell'aria
il gran padre non lo vorrebbe, il re del sommo Olimpo.
Ritirati dai luoghi. Io, se c'è qualche fortuna poi sugli eventi,
io comanderò." La Saturnia aveva risposto tali frasi; 560
Ella poi alza le ali stridenti di serpi
e si volge alla dee di Cocito lasciando in alto i cieli.
C'è un luogo in mezzo all'Italia sotto gli alti monti,
famoso e ricordato in molti posti,
la valle d'Ansanto; un lato boscoso da ogni parte 565
lo preme di dense fronde, e nel mezzo un torrente
fragoroso di sassi e tortuoso vortice dà un rimbombo.
Qui una paurosa caverna e spiragli del crudele Dite
si aprono, e sotto l'Acheronte, un'enorme voragine
apre le fauci pestifere, in cui l'Erinni nascosta, 570
odiata potenza, liberava cielo e terre.

L'IMPERTURBABILE RE LATINO (572-600)
Nondimeno intanto la regina Saturnia impone
l'ultima mano alla guerra. Dalla battaglia tutta la schiera
di pastori irrompe in città, riportano il giovane
Almone e il volto di Galeso imbrattato, 575
implorano gli dei e supplicano Latino.
Turno è presente e nel mezzo dell'accusa di strage e nel fuoco
raddoppia il terrore: che si chiamano i Teucri al potere,
che ci si mescola alla stirpe frigia, che lui è cacciato di casa.
Allora quelli, le cui madri attirate da Bacco danzano 580
negli impervi boschi (e non è piccolo il nome di Amata)
da ogni parte radunati s'uniscono e invocano Marte.
Subito tutti contro gli auspici chiedono la guerra nefanda,
contro i fati degli dei con perversa volontà.
A gara assediano i palazzi del re Latino; 585
egli resiste come una rupe immobile nel mare,
come una rupe di mare quando giunge un grande uragano,
che si tiene alla sua mole mentre attorno latrano molte
onde; invano gli scogli attorno e le rocce spumose
fremono e l'alga sbattuta si spande sul fianco. 590
Ma quando non è data nessuna possibilità di vincere
il cieco progetto, e le cose vanno al cenno della crudele Giunone,
invocati molto gli dei ed il cielo vuoto
"Ahimè, disse, siamo spezzati dai fati e colpito dalla tempesta.
Voi stessi pagherete il fio per il sangue sacrilego, 595
o miseri. Te, Turno, terribile (a dirsi), te un triste supplizio
attenderà, onorerai gli dei con voti tardi.
Mi è partorita la pace, alla sogli del porto finale
mi spoglio di morte felice." Né parlando di più
si sbarrò nel palazzo e lasciò le redini delle cose. 600


LE PORTE DELLA GUERRA (7.601-622)
C'era tradizione nel Lazio esperio, che subito le città
albane conservarono sacra, ora Roma, la massima,
la conserva, quando muovono Marte ai primi scontri,
sia preparino a portare la lacrimevole guerra ai Geti
o agli Ircani o agli Arabi, sia dirigersi agli Indi 605
e seguire l'Aurora o riprendere le bandiere ai Parti:
le porte della Guerra sono due, così le chiaman di nome,
sacre per culto e per terrore del crudele Marte;
le chiudono cento sbarre di bronzo ed eterni potenze
di ferro, né Giano, il custode, s'assenta dalla soglia. 610
Queste, quando una sicura decisione di guerra è decisa
dai senatori, lo stesso console apre le stridenti soglie
insignito della trabea di Quirino e del cinto di Gabi,
egli chiama gli scontri; segue poi il resto della gioventù,
e le bronzee corna di bronzo risuonano di rauco consenso. 615
Con questo anche allora si comandava che Latino dichiarasse
guerra agli Eneadi secondo il costume e aprisse le tristi porte.
Il padre si astenne dal contatto e contrario rifuggì
i sozzi ministeri e si nascose in cieche ombre.
Allora scesa dal cielo la regina degli dei spinse lei stessa 620
con la mano le porte esitanti e infranto il cardine
la Saturnia rompe i ferrei battenti della Guerra.

IL LAZIO E' ARMATO (623-640)
Arde l'Ausonia, prima pacifica e immobile;
parte prepara i piedi ad andare nelle piane, parte sugli alti
cavalli freme dritto; tutti ricercano le armi. 625
Parte tergono i leggeri scudi e le lucide frecce
di grasso oleoso e sulla cote affilano le scuri;
piace portare le insegne e udire i suoni di trombe.
Così cinque grandi città, approntate le incudini,
rinnovano armi, la potente Atina, Tivoli superba, 630
Ardea, Crustumeri ed Antenna turrita.
Scavano coperture sicure delle teste piegano graticci di salice
degli umboni; altri ricavano corazze di bronzo
o leggeri gambieri dal duttile argento;
allora cessa l'onore del vomere e della falce, allora 635
l'amor dell'aratro; rifondono spade paterne nelle fornaci.
Ormai risuonano le trombe, la parola d'ordine, segnale di guerra va;
questi trepido strappa l'elmo dalle case, quello spinge i cavalli
frementi ai gioghi, lo scudo e la corazza di tre fili d'oro
si veste e si cinge della fedele spada. 640


GLI ARMATI D'ITALIA (641-802)
Aprite adesso, dee, l'Elicona e muovete i cinti,
quali re chiamati alla guerra, quali schiere, seguendo ognuno,
abbian riempito le piane, di quali uomini già allora l'Italia,
alma terra, fosse fiorente, di quali armi sia arsa;
certo ricordate, divine, e potete raccontare; 645
a noi a stento scivola un leggero soffio di fama.
Per primo entra in guerra dai lidi tirreni
l'aspro Mezenzio, disprezzator degli dei, e arma schiere.
Vicino a lui il figlio Lauso, di cui non ci fu un altro
più bello eccetto il corpo di Turno di Laurento; 650
Lauso, domator di cavalli e sterminatore di fiere,
guida dalla città di Agilla mille uomini, che l'han seguito
invano, degno di esser più fortunato nei regni
paterni e che non gli fosse padre Mezenzio.
Dopo questi ostenta sul prato un cocchio insignito 655
di palma e cavalli vincitori nato da Ercole bello
il bell'Aventino, e porta sullo scudo l'insegna paterna,
cento serpi e l'Idra cinta di serpenti;
Io nella selva del colle Aventino la sacerdotessa
Rea, furtivo lo diede col parto alle zone della luce, 660
donna unitasi al dio, dopo che il Tirinzio vincitore,
ucciso Gerione, toccò i campi di Laurento,
e lavò le vacche ibere nel fiume tirreno.
Portano per la guerra in mano lance e terribili bastoni,
e lottano con pugnale ben fatto e spiedo sabello. 665
Egli a piedi, avvolgendo una enorme pelle di leone,
scarmigliata, con la terribile criniera (e) i denti bianchi
indossandola sul capo, così s'avvicinava al palazzo reale,
spaventoso e coperto le spalle di mantello erculeo.
Poi due fratelli lasciano le mura di Tivoli, 670
popolo chiamato dal nome del fratello Tiburte,
Catillo e il forte Cora, gioventù argiva,
E si portano in prima fila tra le dense frecce:
Come quando scendono dall'alta cima del monte
i due Centauri nati da nubi, lasciando l'Omole e l'Otri 675
rivale con rapida corsa; la immensa salva dà il posto
a loro che passano e i virgulti cedono con grande fragore.
Né mancò il fondatore della città di Preneste,
chè ogni epoca credette un re generato da Vulcano
tra le mandrie agresti e trovato nei fuochi, 680
Ceculo. Lo accompagna in gran numero una legione agreste:
quegli uomini che abitano l'alta Preneste, quelli che ( abitano)
i campi di Giunone Gabina ed il gelido Aniene e le rocce Erniche
irrorate di ruscelli, quelli che (tu) ricca Anagni nutri
e (tu) padre Amaseno. Non a tutti quelli risuonano 685
armi, scudi o cocchi; la massima parte sparge ghiande
di livido piombo, parte porta in mano due lance,
e hanno come protezione sul capo caschi rossi
di pelle di lupo; fecero orme nude del piede
sinistro, cuoio rozzo copre le altre. 690
Ma Messapo, domator di cavalli, prole nettunia,
che a nessuno è lecito stendere né col fuoco né col ferro,
chiama alle armi popoli già da tempo pigri e schiere
disabituate alla guerra e subito riprende il ferro.
Questi hanno le schiere fescennine e gli Equi Falisci, 695
questi le rocche del Soratte e i campi flavini
e il lago con il monte del Cimino ed i boschi Capeni.
Procedevano uguali di numero e inneggiavano al re:
come allora quando i nivei cigni tra le limpide nubi
ritornano dal pasto e danno coi lunghi colli 700
ritmi caanori, ne risuona il fiume e lontano l'asia
palude ne è colpita.
Nessuno crederebbe che in tanto sciame si aggirino
schiere armate, ma che dall'alto gorgo una aerea nube
di rauchi uccelli s'affretti ai lidi. 705
Ecco Clauso dell'antica stirpe dei Sabini, che guida
un grande esercito e lui stesso come un grande esercito,
da cui adesso si diffonde nel Lazio sia la tribù che la gente
Claudia, dopo che Roma fu data in parte ai Sabini.
Unica ingente la coorte Amiterna e gli antichi Quiriti, 710
tutto il manipolo di Ereto e Matusca, produttrice d'olivi;
Quelli che abitano la città di Nomento, quelli che (abitan) i campi
di Rose del Velino, e le irte rupi di Tetrica ed il monte Severo,
Casperia, Foruli e il fiume dell'Imella,
quelli che bevon il Tevere e il Fabari, quelli che inviò 715
la fredda Norcia, le flotte di Orte e i popoli latini,
quelli che tagliando dvide l'Allia, nome unfausto:
quanto numerosi flutti si muovono nel mare libico
quando il crudele Orione si nasconde nelle onde d'inverno,
o quando al nuovo sole le dense spighe si arroventano 720
o nella piana di Ermo o nei campi biondeggianti di Licia.
Suonano scudi e al colpo di piedi la terra è atterrita.
Di qui l'agamennonio Aleso, nemico del nome troiano,
unisce al cocchio i cavalli e strappa per Turno mille
popoli fieri, quelli che voltano coi rastrelli il Massico, 725
ricco di Bacco, quelli che i padri Aurunci mandarono
dagli alti colli e le pianure Sidicine vicino,
quelli che lasciano Cale e l'abitante del guadoso
Volturno, ugualmente l'aspro Saticolo
e le schiere degli Osci. Essi hanno per armi frecce ben 730
fatte, ma hanno l'usanza di legarle a una flessuosa correggia.
Lo scudo di cuoio copre le sinistre, spade falcate in duello.
Né tu te ne andrai ignorato dai nostri canti,
Ebalo, che, si dice, Telone generò dalla ninfa Sebetide
Quando teneva Capri, regno dei Teleboi, 735
ormai vecchio; ma il figlio non contento dei campi
paterni già allora soggiogava col potere in largo
i popoli serrasti e le pianure che il Sarno bagna,
quelli che tengono Rufra e Batulo e i campi di Celenna,
e quelli che le mura di Abella, produttrice di mele, guardano, 740
soliti, per pratica teutonica, a vibrare armi da lancio;
essi hanno come copricapo corteccia tolta dal sughero,
le lance brillano dorate, brilla la spada d'oro.
Anche te la montuosa Nersa mandò in battaglia,
Ufente, illustre per fama e per le armi fortunate, 745
e tu (avevi) un popolo particolarmente aspro ed abituato
alla grande caccia dei boschi, gli Aquicoli dalle dure zolle.
Lavorano la terra armati e (loro) piace raccogliere
sempre nuove prede e vivere di furto.
Inoltre viene un sacerdote della stirpe Marruvia 750
ornato sull'elmo di fronda e di fecondo olivo
per incarico del re Archippo, il fortissimo Umbrone,
egli soleva col canto e con la mano infondere i sonni
alla razza delle vipere ed alle idre che esalano pesantemente,
(ne) addolciva le ire e con arte curava i morsi. 755
Ma non riuscì a medicare il colpo della punta
dardania e non gli giovarono per le ferite i canti
sonniferi e le erbe cercate sui monti dei Marsi.
Ti piansero il bosco di Angizia, te, il Fucino dall'onda vitrea,
te i limpidi laghi. 760
Avanzava pure la prole di Ippolito, bellissima in guerra,
Virbio, che illustre la madre inviò,
allevato nei boschi di Egeria attorno agli umidi lidi,
dove ( c'è) il ricco e venerabile altare di Diana.
Dicono per fama che Ippolito, dopo che cadde per l'astuzia 765
della matrigna e pagò col sangue il fio al padre, straziato
dai cavalli spaventati, e di nuovo giunse allle stelle
celesti ed alle alte zone del cielo,
richiamato dalle erbe peonie e dall'amore di Diana.
Allora il padre onnipotente sdegnato che un mortale 770
dalle ombre infernali risorgesse alle luci della vita,
lui stesso con un fulmine scagliò nelle onde stigie
il figlio di Febo, lo scopritore di tale medicina e dell'arte.
Ma la grande Trivia nascose in sedi segrete Ippolito
e lo ega al bosco ed alla ninfa Egeria, 775
dove solo ignoto in selve italiche trascorresse
la vita e dove fosse, cambiato nome, Virbio.
Perciò i cavalli, dal duro piede, sono allontanati
dal tempio di Trivia e dai bosci consacrati, perché impauriti
da mostri marini, rovesciarono il cocchio ed il giovane sul lido. 780
Nondimeno il figlio montava i cavalli ardenti nella distesa
della pianura e col cocchio si lanciava alla guerra.
Lo stesso Turno dal corpo potente si porta tra i primi
tenedo le armi e con tutta la testa sta al di sopra.
Egli (ha ) un alto elmo chiomato con triplice cresta 785
sostiene una Chimera che esala dalle fauci fuochi etnei;
tanto più ella fremente e feroce di tristi fiamme
quanto più le battaglie incrudeliscono di sangue versato.
Ma Io, già coperta di peli, già vacca, con le corna
alzate, fregiava il lucido scudo d'oro, 790
(straordinario soggetto) e Argo, custode della ragazza,
e il padre Inaco che versa un fiume dall'urna sbalzata.
Lo segue una nube di fanti e le schiere dotate di scudi
si addensano su tutte le piane, la gioventù Argiva,
i manipoli aurunci, i Rutuli, gli antichi Sicani, 795
gli eserciti sicani e i Libici con scudi dipinti.
quelli che arano i tuoi gioghi, Tevere, e il sacro lido
del Numico e che lavorano col vomere i colli rutuli e
il giogo circeo, quelli i cui campi protegge Giove
Anxuro e la Feronia feconda di verde bosco; 800
dove la nera palude di Satura ristagna ed il gelido Ufente cerca
il corso attraverso la profondità delle valli e si nasconde nel mare.


LA VERGINE CAMILLA (803-817)
Dopo questi giunse Camilla di stirpe volsca guidando
una schiera di cavalieri e squadre brillanti di bronzo, guerriera,
lei non avvezza alla conocchia ed ai cestelli di Minerva 805
con le mani femminee, ma a sopportare da ragazza i duri
scontri e con la corsa a piedi superare i venti.
Ella volerebbe anche sulle cime degli steli di una messe
intatta né avrebbe sfiorato con la corsa la tenere spighe,
pure sospesa nel mezzo del mare su flutto rigonfio 810
correrebbe la rotta né bagnerebbe con l'acqua le celeri piante.
La ammira tutta la gioventù riversata dalle case e dai campi
e la folla delle madri e la contempla mentre avanza,
con gli animi attoniti, a bocca aperta, come il regale onore
veli le spalle graziose, come la fibbia d'oro intrecci 815
la chioma, come lei porti la faretra licia
e, come pastorale, un mirto, con una punta fissatavi sopra.

AUDIO

Eugenio Caruso -30 -04 - 2021

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