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Commento della Divina Commedia fuori dagli schemi classici

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

versi
Editio priceps del 11/04/1472


Da diversi anni mi sono impegnato a commentare i canti della divina Commedia e sono arrivato a metà della Cantica del Paradiso. Dal Canto I dell'Inferno, al Canto I del Purgatorio, al Canto I del Paradiso il lettore, nella sezione editoriali può scalare, per ritrovare tutti i Canti; vorrei sottolineare che per arrivare a comprendere il valore di Dante è necessario attraversare il mondo di Shakespeare, degli scrittori russi, di Proust ecc, ecc. Sono arrivato a Dante poco prima dei 40 anni e ogni rilettura mi regala qualcosa di nuovo.
Un amico, che segue il mio lavoro, mi ha fatto notare che sarebbe interessante anche una sorta di introduzione al mio lavoro, cosa che farò con questo articolo. Considero Dante il più grande poeta mai esistito e quel Dio nel quale egli credeva, se esiste, ha voluto farci il dono della Divina Commedia

La Commedia, è un poema scritto in terzine incatenate di endecasillabi in lingua volgare fiorentina; alcune volte la licenza poetica consente a Dante di formilare "endecasillabi", di 12, 13 e anche 14 sillabe. Giova notare che la terzina, come struttura metrica di un poema l'ha inventata lui. Essa veniva, infatti, utilizzta nei leggiadri sonetti dei poeti del dolce stil novo, come Guido Guinizzelli, Giacomo da Lentini, Guido Cavalcanti; in gioventù Dante si divertiva a scrivere sonetti goliardici con gli amici, gente del calibro di Forese Donati, Cecco Anmgiolieri e Cino da Pistoia.
Dante aveva un amico carissimo, Guido Cavalcanti, un poeta finissimo, che seguiva la linea elegiaca lirica che con il Petarca influenzerà tutta l'Europa, Guido ebbe la sfortuna di nascere al tempo di Dante. Cavalcanti apparteneva a una cerchia di poeti e intellettuali nobili e ricchi e Dante per entrare in quella cerchia di personaggi scrisse il famoso sonetto nello stile di Cavalcanti:

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

Guido lo lesse, apprezzò immediatamente il valore del poeta e lo accolse nella sua cerchia.

Nella terzina dantesca compare la rima incatenata perché, tramite il secondo verso, ciascuna terzina si aggancia alla successiva come gli anelli di una catena; inoltre, il poeta ha introdotto la novità di inserire alla fine di ogni canto un quarto verso. La struttura a terzine incatenate facilita la memorizzazione della sequenza dei versi, inoltre impedisce che un copista possa aggiungere o cancellare terzine o singoli versi perché così facendo si interromperebbe la sequenza. La Divina Commedia non esiste nella sua forma originale, essendo stata prodotta prima della diffusione della stampa. Essa veniva scritta e ricopiata a mano e parte era stata affidata alla tradizione orale; tra tutti i manoscritti giunti a noi non esistono due versioni uguali, come per tutti i testi antichi, i casi di diversificazione sono tantissimi e variano da semplici modifiche ortografiche, fino all'uso di versi simili ma diversi, o parole completamente differenti che danno anche significati diversi. Come nel terzo canto dell'inferno alcuni editori scrivono

E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?».

altri

E io ch’avea d’orror la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?».

La straordinaria invenzione di Dante è che nel poema compaiono personaggi della Bibbia, della storia, oppure ancora in vita all'epoca di Dante, molti della mitologia; in questo caso gli attori sono presi in parte dall'Eneide e in parte dalle Metamorfosi di Ovidio.
La Divina Commedia è una sorta di Facebook del medioevo. Si trovano, invettive violente, indirizzate a chi non è politicamente dalla parte dell'autore, vi si trova lo spirito toscano che divide il mondo tra amici e nemici (il più bersagliato è il papa Bonifacio VIII); naturalmente i nemici sono destinati all'inferno. Nel poema, l'invettiva è molto frequente. Le più famose sono: contro Firenze (Inferno - Canto sesto); contro i papi simoniaci (Inferno - Canto diciannovesimo); contro Pistoia (Inferno - Canto venticinquesimo); contro Firenze (Inferno - Canto ventiseiesimo); contro Pisa e contro Genova nel canto del conte Ugolino (Inferno - Canto trentatreesimo); Sordello da Goito contro l'Italia e invettiva contro l'imperatore tedesco Alberto d'Asburgo (Purgatorio - Canto sesto); Marco Lombardo contro la corruzione umana, contro Papato e Impero (Purgatorio - Canto sedicesimo); contro la cupidigia (Purgatorio - Canto ventesimo); Giustiniano contro guelfi e ghibellini (Paradiso - Canto sesto); San Tommaso d'Aquino contro la corruzione fra i domenicani (Paradiso - Canto undicesimo); San Pietro contro la corruzione nella Chiesa (Paradiso - Canto ventisettesimo). Ma quando Dante incontra Filippo Argenti, un arricchito, sbruffone e arrogante, disprezzato dagli intellettuali fiorentini, il nemico per eccellenza, quello che si impadronì dei suoi beni quando fu esiliato, allora l'invettiva è veramernte feroce:

Mentre noi corravam la morta gora, 
dinanzi mi si fece un pien di fango, 
e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».                    

E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango; 
ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?». 
Rispuose: «Vedi che son un che piango».                

E io a lui: «Con piangere e con lutto, 
spirito maladetto, ti rimani; 
ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto».

Dante nella sua Commedia raggiunge vette straordinarie e forse il canto di Ulisse è uno dei più famosi; Ulisse è posto, nel XXVI canto, tra i consiglieri fraudolenti ed è abbastanza strano che Dante lo abbia confinato nel fondo dell'inferno. E' come se Dante avesse inventato un Ulisse diverso da quello tramandato dalla storia; Dante fa parlare Ulisse perchè sente di essergli simile, perchè Ulisse ha osato l'inconoscibile e ora Dante sta osando l'inconoscibile e si è collocato al posto di Dio giudicando, e come se Dante dicesse a Ulisse "Questo è il tuo camminio" ed escono quei versi insuperabili, nella belleza e nella perfezione che mostrano come non sia la verità a creare il bello, ma il bello a creare la verità; anche nel caso di Ugolino della Gherardesca la verità del poeta oscura la verità dei fatti.

"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia114

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.117

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".120

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;123

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.126

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.129

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,132

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.135

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.138

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,141


Melville deve aver letto il canto di Ulisse, nella splendida traduzione di Longfellow; quando Moby Dick muore, il capitano Achab è simile all'Ulisse di Dante.
Nella Commedia troviamo sensualità, persone insignificanti, prostitute e assassini, la ragazza vicina di casa della quale si era innamorato, oppure Maria e Santa Lucia che si preoccupano che il viaggio di Dante prosegua senza incidenti, si trovano angeli, demoni e mostri.. Troviamo Beatrice che promette di "raccomandare" Virgilio a Dio. Dante è convinto da Virgilio di proseguire il viaggio quando sente che è protetto da tre donne Maria, Lucia e Beatrice e Dante trova l'ispirazione per scrivere una delle terzine più belle dell'opera:

Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo,

tal mi fec’io di mia virtude stanca,
...

La Commedia è un poema tutto al femminile, il primo dannato che parla è Francesca, il canto finale è dedicato a Maria e tutta l'opera è scritta per rivedere una donna: Beatrice. Il canto dedicato a Francesca è di una bellezza che lascia senza parole e la frase "la bocca mi bascio tutto tremante" è uno degli endecasillabi più belli di tutta la stoiria dela poesia.
Nell'oltretomba l'inferno non fa paura, ma il luogo più spaventoso è il Limbo; è un incubo al quale sono destinati tutti coloro che non hanno ricevuto il battesimo: nel Limbo non succede nulla e tutto è colmo dell'assenza di Dio che viene evidenziata da un continuo sospiro di chi sa di non poter sperare. Dante si ritrova in una spianata immensa piena di uomini, donne bambini; tutta gente che non ha ricevuto il battesimo e non ha altra colpa, è il posto ove è condannato anche Virgilio.
La Chiesa aveva inventato il Limbo, dal quale non c'è speranza di poter uscire, poi si cominciò a parlare di Purgatorio e fu un'invenzione strepitosa poichè la Chiesa che aveva giurisdizione solo sulle anime dei vivi con il purgatorio la acquisiva anche su quella dei morti e a rendere popolare il purgatorio fu proprio Dante con la sua "accurata" descrizione, ma questa volta Dante si muove al di fuori degli schemi canonici. Il purgatorio danteco è un luogo nel quale le anime sono pervase dalla beatitudine e dalla grazia, perchè sono certe di essere destinate al Paradiso; con il suo purgatorio Dante ha voluto riscattarsi dall'incubo e dall'"ingiustizia" del Limbo. Dante nella descrizione del Limbo non si antepone a Dio, egli sostiene che a Dio non importa quello che noi pensiamo e ce lo insegna anche il libro di Giobbe, quando dice che Dio "Tiene sospesa la Terra sopra al nulla ," e con ciò vuol dire che la nostra vita è un enigma. Ecco perchè i grandi libri sono eterni e squarciano il buio della nostra ignoranza. L'Eneide ci dice che la vita è una continua ricerca, l 'Iliade che essa è una guerra, l'Odissea che è un viaggio, le Metamorfosi che la viata è sogno e fantasia, e la Divina Commedia che la vita è desiderio e amore.
Un'altra invenzione è quella della profezia; Dante mette nella bocca di alcuni personaggi la storia di avvenimenti realmente accaduti, ma che il poeta trasforma in profezie da parte dei suoi interlocutori; Ciacco, ad esempio, profetizza l'alternarsi del dominio tra bianchi e neri a Firenze e le interferenze di Binifacio VIII. La profezia più analizzata dagli studiosi è quella del veltro; secondo me è una pura invenzione letteraria.

Il titolo
Il titolo originale, con cui lo stesso autore designa il suo poema, fu Comedia; e così è intitolata anche l'editio princeps del 1472. L'aggettivo «Divina» le fu attribuito dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362 e stampato nel 1477. Ma è nell'edizione curata da Ludovico Dolce e stampata da Gabriele Giolito de' Ferrari nel 1555, che la Commedia di Dante viene per la prima volta intitolata come da allora sarà sempre conosciuta, ovvero "La Divina Comedia". Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 1321, anni del suo esilio in Lunigiana e Romagna, la Commedia è universalmente ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale, tanto da essere conosciuta e studiata in tutto il mondo. Il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto che funge da proemio) formati da un numero variabile di versi, fra 115 e 160, strutturati in terzine. Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium mentis in Deum, attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica. Dante, amante dei numeri e delle simmetrie fa sì che tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle» (Inferno: "E quindi uscimmo a riveder le stelle"; Purgatorio: "Puro e disposto a salir a le stelle"; Paradiso: "L'amor che move il sole e l'altre stelle").
L'opera ebbe subito uno straordinario successo e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana; l'80% delle parole contenute nell'opera sono ancora oggi di uso comune. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione e fino all'avvento della stampa in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo (si calcolano circa sessanta commenti e tra le 100.000 e le 200.000 pagine), dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta. La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato un'oggettiva difficoltà nella definizione del testo: nella seconda metà del Novecento l'edizione di riferimento è stata quella realizzata da Giorgio Petrocchi per la Società Dantesca Italiana. Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza e Federico Sanguineti.
La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, scopo didascalico e morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, espressa anche con l'uso di neologismi creati da Dante e da espressioni che sono divenute correnti come "far tremare le vene e i polsi", "caddi come corpo morto cade".
Il nome "Commedia" (nella forma comedìa) appare solo due volte all'interno del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce "poema sacro". Dante non rinnega il titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche o i singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la possibilità di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il termine Commedia dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono profondamente cambiati rispetto ai canti che compongono l'Inferno; infatti nell'ultimo canto, il sostantivo commedia viene sostituito da poema sacro.
L'Inferno si apre con un Canto introduttivo (che serve da proemio all'intera opera), nel quale il poeta racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale e dell’incontro con Virgilio, che lo condurrà poi a intraprendere il viaggio ultraterreno. Dante si ritrova, infatti, "in una selva oscura", allegoria del peccato, nella quale era giunto avendo smarrito la "retta via", la via della virtù, e giunto alla fine della valle (“valle” come “selva oscura” sono allegorie entrambe dell’abisso della perdizione morale ed intellettuale) scorge un colle illuminato dal sole "vestito già dei raggi del pianeta/che mena dritto altrui per ogne calle".
Dante descrive con una similitudine il suo stato d’animo, come quello di chi salvatosi dai flutti giunge a riva e si volge indietro a scrutare le acque pericolose alle quali è appena scampato, così l’animo del poeta si volge a “rimirar lo passo” che non può essere superato da persona vivente. Ma ecco che, dopo essersi riposato e poi incamminato lungo la spiaggia deserta verso il colle, mentre si appresta ad affrontare la salita "quasi al cominciar de l'erta" gli si parano davanti, in sequenza, una lince (lonza) dal pelo maculato, un leone e una lupa. Le tre fiere sono il simbolo, rispettivamente, di lussuria, superbia e avidità. La lince gli sbarra il cammino, impedendogli di avanzare e quasi forzandolo a tornare sui suoi passi "‘mpediva tanto il mio cammino/ch'i' fui per ritornar più volte vòlto", il leone pareva andargli incontro fiero, affamato e ruggente, mentre la lupa, ultima delle tre fiere a pararglisi davanti, incede verso il poeta, respingendolo indietro, verso l’abisso dal quale Dante sta tentando di allontanarsi. Ed ecco che, mentre Dante rovina in “basso loco”, gli appare “chi per lungo silenzio parea fioco”, qualcuno la cui immagine era resa più flebile dal lungo silenzio, cioè morto da lunghissimo tempo. Dante invoca aiuto "«Miserere di me», gridai a lui" pur non riuscendo a distinguere se ciò che scorge è una persona o un’ombra.

Virgilio
L’anima di Virgilio risponde "non omo, omo già fui" e si presenta dichiarando le sue origini mantovane, il tempo in cui visse e le sue opere, si che Dante lo riconosce. Trovandosi di fronte la fonte della sua ispirazione letteraria, Dante, con una punta di vergogna, dichiarandosi suo discepolo e dichiarando l’opera sua figlia dell’opera Virgiliana chiede aiuto per sfuggire alla lupa "la bestia per cu’ io mi volsi". Importante sottolineare che l’atteggiamento di Dante nei confronti di Virgilio non è di deferenza ma di ammirazione vera, Dante ha esplorato e conosce perfettamente l’opera Virgiliana e la stessa Divina Commedia vi si ispira e ne attinge direttamente. Virgilio redarguisce Dante riguardo alla strada che ha imboccato, che non è quella giusta "a te convien tenere altro viaggio", si sofferma sulla natura mortifera e malvagia della "bestia" che gli sbarra il cammino e accenna una profezia sibillina circa il "Veltro" che ricaccerà la lupa nell'inferno dal quale proviene. Profezia che trova riscontro in altre profezie complementari molto più avanti nell'opera enunciate da Beatrice e da San Pietro, mentre sul Veltro, indubbiamente figura della provvidenza, innumerevoli teorie sono state proposte.
Infine Virgilio comunica al poeta smarrito che per il suo bene ("per lo tuo me’ " – dove “me’” sta per meglio) Dante dovrà seguirlo e Virgilio gli farà da guida “per loco eterno”, prima nell’inferno "ove udirai le disperate strida", poi in purgatorio "e vederai color che son contenti/nel foco, perché speran di venire/quando che sia alle beate genti", ma non in paradiso. Essendo un’anima del limbo a Virgilio non è permesso di ascendere fino a quelle altezze, un’anima più pura lo condurrà nell'ultima parte del viaggio "anima fia a ciò più di me degna:/con lei ti lascerò nel mio partire" e quell’anima pura è Beatrice, sostituita da San Bernardo al termine del viaggio, in paradiso. Il gioco è fatto, Dante in nome di Dio e per salvarsi dalla misera condizione morale e intellettuale nella quale si trova "a ciò ch'io fugga questo male e peggio" prega Virgilio di condurlo nei luoghi ultraterreni che gli ha appena descritto "che tu mi meni là dov' or dicesti". L’ultimo verso non ha bisogno di commenti, è chiarissimo, e ci spalanca le porte dell’opera intera: Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Sembra anacronistica la scelta di Virgilio, come guida, infatti il poeta latino era stato pagano, vicino ai potenti dell'impero romano e nel medioevo era considerato un mago dotato di doti paranormali. Giova ricordare che la magia era molto praticata all'epoca di Dante perchè il cristianesimo non era riuscito a estirpare questa cultura e in particolare, in ambito culturale, era molto seguita la numerologia; Leonardo Fibonacci, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi era coetaneo di Dante. Ma Dante amava Virgilio come letterato e poeta, conosceva a memoria tutte le sue opere e per lui era una scelta obbligata.

Valore allegorico delle guide
Il viaggio ultraterreno di Dante richiede l'appoggio di una guida, in quanto il protagonista rappresenta l'uomo smarrito in conseguenza del peccato e pertanto incapace di recuperare da solo la retta via. Per l'intero cammino che si svolge attraverso il baratro dell'Inferno e su per la montagna del Purgatorio la guida prescelta è Virgilio. Egli, sebbene pagano, per l'alto valore morale della sua poesia, rappresenta la saggezza naturale, la ragione della cui luce l'uomo ha bisogno per riscattarsi e rendersi disponibile a comprendere la Rivelazione.
Comunque la figura di Virgilio non rimane chiusa in una schematica funzione allegorica; essa, in virtù della capacità poetica di Dante, assume il ruolo di un personaggio di grande rilievo: ora egli si anima di sollecitudine paterna e riesce a rassicurare con la sua rasserenante protezione Dante sbigottito dagli orrori dell'Inferno, ora, specialmente nel Purgatorio, resta soggetto all'incertezza, al timore e vive un suo dramma personale, in quanto egli è escluso dalla salvezza. Il suo compito si conclude nel Paradiso terrestre in quanto Virgilio, estraneo al mondo della fede, non può guidare Dante a comprendere il mistero divino che gli si svelerà nel Paradiso. Per questo occorre l'intervento della Grazia, che viene rappresentata dalla nuova guida, Beatrice, la quale condurrà Dante dalla cima del Purgatorio alle soglie dell'Empireo. In qualche caso il rapporto tra i Dante e Virgilio raggiunge il confine della comicità. Pensiamo all'ottavo canto. C'è un Dante tremebondo che, pur investito da Dio,dalla Madonna, da santa Lucia, da Beatrice, da tutti i santi, nella città di Dite proprio non ci vuole andare: ha una paura folle. Virgilio gli dice " Non ti preoccupare che ci penso io". Va a trattare con i demoni, non ottiene niente e torna "spernacchiato". Sembra una scena tolta da un film di Stanlio e Ollio. Il canto ha una sfaccettatura di comicità perchè Dante entra in gioco con il corpo e con la paura vera e i sentimenti interagiscono con la realtà che assume la stessa meccanica di uno sketch comico. Come nel canto quarto dell'inferno, quando Virgilio dice a Dante di "starsene un po' zitto" perchè continuava a fargli domande "cosa è questo e cosa è quello, dove porta questa strada e quello chi è ... ", Dante è permaloso e fino all'Acheronte non gli chiede più nulla.
Anche nel caso di Beatrice il significato allegorico si arricchisce di componenti che fanno della sua figura un personaggio altamente poetico. Beatrice è pur sempre la donna che ha illuminato la giovinezza del poeta: adesso, divenuta beata, risplende di una luce che si esprime nel suo sguardo e nel suo sorriso, rendendola bella in modo indicibile. Beatrice spiega al poeta con un linguaggio dotto ardui problemi teologici, ma lo fa salire attraverso i cieli con la forza del suo sorriso, cioè con la forza di un amore che è il riflesso di quello divino. Dopo aver condotto Dante all'interno dell'anfiteatro occupato dai beati, Beatrice ritorna al suo seggio da dove appare al poeta cinta di un'aureola luminosa e il ruolo di guida viene assunto nel momento conclusivo del viaggio da San Bernardo, il quale per la sua vita dedita, già in Terra, alla contemplazione, appare singolarmente adatto a sostenere Dante nel momento in cui, con l'aiuto della preghiera di tutti i beati, e in particolare della Vergine, riuscirà ad entrare in diretta comunione con la viva presenza di Dio.

Il viaggio
Il vero e proprio viaggio nell'oltretomba ha inizio nel Canto III (nel precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a Virgilio riguardo al viaggio che stanno per compiere e l'azione si svolge sulla Terra presso la selva). Dante e Virgilio si trovano sotto la città di Gerusalemme, davanti alla grande porta su cui sono impressi i versi celeberrimi che aprono questo canto. L'ultimo di quei versi: "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in Dante, ma il suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano perché ormai bisogna andare avanti. In questo luogo senza tempo e senza luce, l'Antinferno, stazionano per sempre gli ignavi, ossia quelli che in vita non vollero prendere posizioni, e ora sono ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo (Inferno) perché il primo sarebbe macchiato della loro presenza e nel secondo sarebbero un motivo di possibile vanto; questa dannazione eterna degli ignavi indegni anche per l'inferno, sembra eccessiva e per me, poco comprensibile.. La loro punizione consiste nel correre nudi dietro a una bandiera senza stemma ed essere perennemente punti da vespe e da mosconi; poco più in là, sulla riva dell'Acheronte (il primo fiume infernale), stanno le anime che devono raggiungere l'altra riva, in attesa che Caronte, il primo guardiano infernale, le spinga nella sua barca e le traghetti di là.
L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli numerati, sempre più stretti, che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato; l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed è interamente occupata da Lucifero che, muovendo le sue enormi ali, produce un vento gelido: è il ghiaccio la massima pena. In questo Inferno, a ogni peccato corrisponde un cerchio, e ogni cerchio successivo è più profondo del precedente e più vicino a Lucifero; più grave è il peccato, maggiore sarà la profondità del cerchio.
Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo. Qui stanno le anime di coloro che non ricevettero il battesimo e che però vissero nel bene; vi si trovano anche — in un luogo a parte dominato da un "nobile castello" — gli antichi "spiriti magni" che compirono grandi opere a vantaggio del genere umano (Virgilio stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro entrano nell'Inferno vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il secondo guardiano infernale che, da giudice giusto quale fu, indica in quale cerchio infernale ogni anima dovrà scontare la sua pena, avvolgendo la coda tante volte quanti cerchi l'anima dovrà scendere. Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi: tra essi le anime di Semiramide, Cleopatra, Elena di Troia e Achille. Celebri i versi del quinto canto su Paolo e Francesca che raccontano la loro storia e passione amorosa. Ai lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel terzo cerchio i golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo guardiano infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, presidiato da Plutone, stanno gli avari e i prodighi, divisi in due schiere destinate a scontrarsi per l'eternità mentre fanno rotolare massi di pietra lungo la circonferenza del cerchio.
Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige (il secondo fiume infernale), nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, e qui i protagonisti hanno un alterco con Filippo Argenti; i due poeti vengono traghettati sulla riva opposta dalla barca di Flegias, quinto guardiano infernale. Lì, sull'altra sponda, sorge la Città di Dite, in cui sono puniti i peccatori consapevoli del loro peccare. Davanti alla porta chiusa della città, i due sono bloccati dai demoni e dalle Erinni; entreranno solo grazie all'intervento dell'Arcangelo Michele, e vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: essi si trovano all'interno di grandi sarcofaghi infuocati; tra gli eretici incontrano il ghibellino Farinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi dell'Inferno dantesco. Assieme a lui è presente Cavalcante dei Cavalcanti, padre di Guido.
Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il settimo cerchio lungo uno scosceso burrone, alla fine del quale si trova il terzo fiume infernale, il Flegetonte, un fiume di sangue bollente presidiato dai Centauri. Questo fiume costituisce il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio. Vi sono puniti i violenti contro il prossimo; tra essi il Minotauro, ucciso da Teseo. Oltre il fiume, sull'altra sponda è il secondo girone, (che Dante e Virgilio raggiungono grazie all'aiuto del centauro Nesso); qui stanno i violenti contro sé stessi, i suicidi, trasformati in arbusti secchi, feriti e straziati per l'eternità dalle Arpie (tra loro troviamo Pier della Vigna); nel secondo girone stanno anche gli scialacquatori, inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il terzo, è una landa infuocata, e ospita i violenti contro Dio nella Parola, nella Natura e nell'Arte, ossia i bestemmiatori (Capaneo), i sodomiti (tra cui Brunetto Latini, maestro di Dante, quando il poeta era giovane) e gli usurai. A quest'ultimo girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto XVII.
Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio scendono per un burrone (ripa discoscesa) in groppa a Gerione, il mostro infernale dal volto umano, zampe leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti i traditori in chi non si fida. L'ottavo cerchio è diviso in dieci bolge; ogni bolgia è un fossato a forma di cerchio. I cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il basso, alla base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle bolge sono puniti, nell'ordine, ruffiani e seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti — tra cui Ulisse e Diomede, i seminatori di discordia (Maometto) e i falsari. Infine i due accedono al IX e ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori in chi si fida.
Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate di Cocito. Nella prima zona, chiamata Caina (dal nome di Caino, che uccise il fratello Abele), sono puniti i traditori dei parenti; nella seconda, Antenora (dal nome Antenore, il troiano che consegnò il Palladio ai nemici greci), stanno i peccatori come lui, traditori della patria; nella terza, Tolomea (dal nome del re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare fece uccidere il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti; infine nella quarta, Giudecca (dal nome di Giuda Iscariota, che tradì Gesù), sono puniti i traditori dei benefattori. Nell'Antenora Dante incontra il Conte Ugolino della Gherardesca che narra della sua segregazione nella Torre della Muda con i figli e la loro morte per fame voluta dall'Arcivescovo Ruggieri. Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che rode per l'eternità il capo del suo aguzzino. Nell'ultima zona si trovano i tre grandi traditori: Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda Iscariota; la loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche di Lucifero, che qui ha la sua dimora. Giuda si trova nella bocca centrale, a suggello della maggiore gravità del proprio tradimento.
Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta e scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero e Virgilio gli spiega che ora si trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano quindi la natural burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio, alla base della quale usciranno poco dopo "a riveder le stelle".

inferno
INFERNO

Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio si ritrovano nell'emisfero australe terrestre (che si credeva interamente ricoperto d'acqua), dove, in mezzo al mare, s'innalza la montagna del Purgatorio, nata dallo sfondamento dell'Inferno, dovuto a Lucifero cacciato dal Paradiso. Usciti dal cunicolo, i due giungono su una spiaggia, dove incontrano Catone Uticense, che svolge il compito di guardiano del Purgatorio. Dovendo cominciare a salire la ripida montagna, che si dimostra impossibile da scalare, tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il varco più vicino; sono questi la prima schiera dei negligenti, i morti scomunicati, che hanno dimora nell'antipurgatorio. A me sembra inappropriata la figura di Catone come guardiano del purgatorio; egli era un uomo retto, ma anche testardo e incapace di qiualsiasi mediazione, tanto da suicidarsi per non dover accettare la vittoria di Cesare; pur sapendo che non aveva probabilità ndi vittoria contro Cesare mandò alla morte migliaia di legionari.
Nella I schiera di negligenti dell'antipurgatorio Dante incontra Manfredi di Sicilia. Assieme a coloro che tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza e ai principi negligenti, infatti, essi attendono il tempo di purificazione necessario a permettere loro di accedere al Purgatorio vero e proprio. All'ingresso della valletta dove si trovano i principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio, chiede indicazioni a un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano della valletta, il concittadino di Virgilio, Sordello, che sarà la guida dei due fino alla porta del Purgatorio.
Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, i due varcano la porta del Purgatorio; questa è custodita da un angelo recante in mano una spada fiammeggiante, che sembra avere vita propria, e preceduta da tre gradini, il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra scura e il terzo in porfido rosso. L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e appoggiando i piedi sul gradino rosso, incide sette "P" sulla fronte di Dante, poi apre loro la porta tramite due chiavi (una d'argento e una d'oro) che aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo regno.
Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime scontano la loro inclinazione al peccato per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Al contrario dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero del cerchio, qui alla base della montagna, nella prima cornice, stanno coloro che si sono macchiati delle colpe più gravi, mentre alla sommità, vicino al Paradiso terrestre, i peccatori più lievi. Le anime non vengono punite in eterno, e per una sola colpa, come nel primo regno, ma scontano una pena pari ai peccati commessi durante la vita.
Nella prima cornice, Dante e Virgilio incontrano i superbi, nella seconda gli invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli accidiosi, nella quinta gli avari e i prodighi. In questa cornice ai due viaggiatori si unisce l'anima di Stazio dopo un terremoto e un canto Gloria in excelsis Deo (Dante riteneva Stazio convertito al cristianesimo); questi si era macchiato in vita di eccessiva prodigalità: proprio in quel momento egli, che dopo cinquecento anni di espiazione in quella cornice aveva sentito il desiderio di assurgere al Paradiso, si offre di accompagnare i due fino alla sommità del monte, attraverso le cornici sesta, dove espiano le loro colpe i golosi che appaiono magrissimi, e settima, dove stanno i lussuriosi avvolti dalle fiamme. Dante ritiene che Stazio si sia convertito grazie a Virgilio e alle sue opere, che hanno aperto gli occhi al poeta latino: egli, infatti, grazie all'Eneide e alle Bucoliche ha capito l'importanza della fede cristiana e l'errore del vizio della prodigalità: Virgilio ha fatto luce a Stazio rimanendo però al buio; fuor di metafora, Virgilio è stato un profeta inconsapevole: ha portato Stazio alla fede ma lui, avendo fatto in tempo solo ad intravederla, non ha potuto salvarsi, ed è costretto a soggiornare per l'eternità nel Limbo. Ascesi alla settima cornice, i tre devono attraversare un muro di fuoco, oltre il quale si diparte una scala, che dà accesso al Paradiso terrestre. Paura di Dante e conforto da parte di Virgilio. Giunti qui, il luogo dove per poco dimorarono Adamo ed Eva prima del peccato, Virgilio e Dante si devono congedare, poiché il poeta latino non è degno di guidare il toscano fin nel Paradiso, e sarà Beatrice a farlo.
Quindi Dante s'imbatte in Matelda, la personificazione della felicità perfetta, precedente al peccato originale, che gli mostra i due fiumi Lete, che fa dimenticare i peccati, ed Eunoè, che restituisce la memoria del bene compiuto, e si offre di condurlo all'incontro con Beatrice, che avverrà poco dopo. Beatrice rimprovera duramente Dante e dopo si offre di farsi vedere senza il velo: Dante durante i rimproveri cerca di scorgere il suo vecchio maestro Virgilio che ormai non c'è più. Dopo avere bevuto prima le acque del Lete e poi dell'Eunoè, infine, Dante segue Beatrice verso il terzo ed ultimo regno: il Paradiso.

purgatorio
PURGATORIO

Libero da tutti i peccati, adesso Dante può ascendere al Paradiso e, accanto a Beatrice, vi accede volando ad altissima velocità. Egli sente tutta la difficoltà di raccontare questo trasumanare, andare cioè al di là delle proprie condizioni terrene, ma confida nell'aiuto dello Spirito Santo (il buon Apollo) e nel fatto che il suo sforzo descrittivo sarà continuato da altri nel tempo (Poca favilla gran fiamma seconda... canto I, 34).
Il Paradiso è composto da nove cieli concentrici, al cui centro sta la Terra; in ognuno di questi cieli, dove risiede un pianeta diverso, stanno i beati, più vicini a Dio a seconda del loro grado di beatitudine. In verità, Dante capirà in seguito che le anime del Paradiso si trovano tutte nell'Empireo, a contemplare Dio, e vengono incontro a lui nei vari cieli secondo il loro grado di beatitudine, per l'amore che nutrono per lui e spiegare i vari misteri sacri. Inoltre, nessun'anima desidera una condizione migliore di quella che già ha, poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello che si ha, e non possono far altro che volere ciò che Dio vuole ("in sua volontade è nostra pace", dice Piccarda); Dio, al momento della nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili a ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che esse godono diversi livelli di beatitudine. Prima di raggiungere il primo cielo i due attraversano la Sfera di Fuoco.
Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai voti fatti (di pertinenza degli Angeli); nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono coloro che in Terra fecero del bene per ottenere gloria e fama, non indirizzandosi al bene divino (Arcangeli); nel terzo cielo, quello di Venere, stanno le anime degli spiriti amanti (Principati); nel quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (Potestà); nel quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militanti dei combattenti per la fede (Virtù); e nel sesto, il cielo di Giove, gli spiriti governanti giusti (Dominazioni)
Giunti al settimo cielo, quello di Saturno dove risiedono gli "spiriti contemplativi" (Troni), Beatrice non sorride più, come invece aveva fatto finora; il suo sorriso, infatti, da qui in poi, a causa della vicinanza a Dio, sarebbe per Dante insopportabile alla vista, tanto luminoso risulterebbe. In questo cielo risiedono gli spiriti contemplativi, e da qui Beatrice innalza Dante fino al cielo delle Stelle fisse, dove non sono più ripartiti i beati, ma nel quale si trovano le anime trionfanti, che cantano le lodi di Cristo e della Vergine Maria, che qui Dante riesce a vedere; da questo cielo, inoltre, il poeta osserva il mondo sotto di sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra, piccola e misera in confronto alla grandezza di Dio (Cherubini). Prima di proseguire Dante deve sostenere una sorta di "esame" in Fede, Speranza, Carità, da parte di tre esaminatori particolari: San Pietro, San Giacomo e San Giovanni. Quindi, dopo un ultimo sguardo al pianeta, Dante e Beatrice assurgono al nono cielo, il Primo mobile o Cristallino, il cielo più esterno, origine del movimento e del tempo universale (Serafini).
In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto luminosissimo, contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti attorno a esso; il punto, spiega Beatrice, è Dio, e attorno a lui stanno i nove cori angelici, divisi per quantità di virtù. Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo, dove si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino più alto della quale sta la Vergine Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei beati, risiedono i più grandi santi e le più importanti figure delle Sacre Scritture, come Sant'Agostino, San Benedetto, San Francesco, e inoltre Eva, Rachele, Sara e Rebecca.
Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie all'intercessione di Maria alla quale San Bernardo (guida di Dante per l'ultima parte del viaggio) aveva chiesto aiuto perché Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione del divino, penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e vedendo così la perfetta unione di tutte le realtà, la spiegazione del tutto nella sua grandezza. Nel punto più centrale di questa grande luce, Dante vede tre cerchi, le tre persone della Trinità, il secondo del quale ha immagine umana, segno della natura umana, e divina allo stesso tempo, di Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero il suo intelletto viene meno, ma in un excessus mentis la sua anima è presa da un'illuminazione e si placa, realizzata dall'armonia che gli dona la visione di Dio, de l'amor che move il sole e l'altre stelle.

paradiso
PARADISO

Cronologia
Non conosciamo con esattezza in che periodo Dante scrisse ciascuna delle cantiche della Commedia: gli studiosi hanno formulato ipotesi anche contrastanti in base a prove e indizi talvolta discordanti. In linea di massima la critica odierna colloca: l'inizio della stesura dell'Inferno nel biennio 1304-05 oppure in quello 1306-07, in ogni caso dopo l'esilio (1302) mentre il poeta si trovava in Lunigiana. Salvo l'eccezione del riferimento al papato di Clemente V (1305-14), spesso indicato come un possibile ritocco post-conclusione, non vi si trovano accenni a fatti successi dopo il 1309. Al 1317 risale la prima menzione in un documento (un registro di atti bolognese, sulla cui copertina era trascritta un'intera terzina dell'Inferno, i versi 95-96 del Canto III, con il celebre "Vuolsi così colà dove si puote..."), mentre i manoscritti più antichi che ci sono pervenuti risalgono al 1330 circa, una decina di anni dopo la morte di Dante. La scrittura del Purgatorio secondo alcuni si accavallò con l'ultima parte dell'Inferno e in ogni caso non contiene riferimenti a fatti accaduti dopo il 1313. Tracce della sua diffusione si riscontrano già nel 1315-16. Il Paradiso viene collocato tra il 1316 e il 1321, data della morte del poeta. Non ci è pervenuta alcuna firma autografa di Dante, ma sono conservati tre manoscritti della Commedia copiati integralmente da Giovanni Boccaccio, il quale non si servì di una fonte originaria, ma di manoscritti a loro volta copiati. Si deve anche immaginare che Dante si spostò molto in vita per via dell'esilio, quindi non poté portarsi dietro molte carte: probabilmente, pertanto, i manoscritti originali si dispersero sin dalle prime diffusioni.
La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana medievale, arricchita da una straordinaria creatività immaginativa. La struttura ha tra i suoi modelli un resoconto arabo del mi'raj, l'ascensione al cielo di Maometto, la cui traduzione latina nota in Europa come Liber Scalae Machometi venne fatta nel 1264 da Bonaventura da Siena, un dotto con cui collaborò per un certo tempo Brunetto Latini, uno dei maestri di Dante. La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la rappresentazione cosmologica dell'immaginario medievale. Il viaggio all'Inferno e nel monte del Purgatorio rappresentano infatti l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito come una sfera, dalle sue profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è una rappresentazione simbolico-visuale del cosmo tolemaico. L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma conica interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di terre e l'altro di acque. La caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre inorridite al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere, cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva il suo ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata al centro della semisfera occupata dalle terre emerse, ovvero dal continente euroasiatico. Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al centro della semisfera acquea, si ergeva l'isola montagnosa del Purgatorio, composta appunto dalle terre fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca della ribellione degli angeli. In cima al Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto biblico, il luogo terrestre più vicino al cielo. Come si vede, Dante riprende dalla concezione tolemaica l'idea di una Terra sferica, ma le sovrappone un universo sostanzialmente pre-tolemaico, privo di simmetria sferica. Alla sfericità della Terra, infatti, non corrisponde una simmetria generale nella distribuzione delle terre emerse e della presenza umana; le direzioni passanti per il centro della Terra non sono equivalenti: quella che passa per Gerusalemme e per la montagna del Purgatorio ha un ruolo privilegiato, il che richiama le concezioni della Grecia arcaica, ad esempio di Anassimandro.
Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata all'epoca ellenistica con gli scritti di Tolomeo, e risistemata dai teologici cristiani secondo le esigenze della nuova religione. Nel suo rapimento celeste dietro l'anima di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del cosmo astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende l'Empireo in cui ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto contatto con la visione di Dio. Ai nove cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento circolare intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto - questo secondo la dottrina dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele. La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla struttura dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al loro interno, l'ordine delle anime (ovvero delle pene e delle grazie), corrisponde a precisi intendimenti di ordine morale e teologico.
La topografia del Purgatorio è invece così strutturata: un Antipurgatorio, costituito da una spiaggia, su cui vengono traghettate le anime dall'angelo nocchiero che le preleva alla foce del Tevere, e da una valletta fiorita; specularmente all'Inferno, in essa attendono di iniziare la loro purificazione i negligenti, i tardi cioè a pentirsi. Il purgatorio vero e proprio è un monte scosceso, formato da ampi dirupi e cerchi rocciosi, a ciascuno dei quali è preposto un angelo guardiano. Sulla cima del monte c'è il Paradiso terrestre, che ha l'aspetto di una foresta rigogliosa, popolata di figure allegoriche.
I nove cieli del Paradiso sono i sette del sistema tolemaico - Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno - più il cielo delle Stelle fisse e del Primo Mobile. La struttura dottrinale coincide con l'impianto teologico-filosofico proprio della poetica di Dante.
Le date in cui Dante fa svolgere l'azione della Commedia si ricavano dalle indicazioni disseminate in diversi passi del poema.
Il riferimento principale è Inferno XXI, 112-114: in quel momento sono le sette del mattino del sabato santo del 1300, 9 aprile o, secondo altri commentatori, del 26 marzo del 1300. L'anno è confermato da Purgatorio II, 98-99, che fa riferimento al Giubileo in corso. Tenendo questo punto fermo, in base agli altri riferimenti si ottiene che:
- Alla mattina dell'8 aprile (venerdì santo) o del 25 marzo, Dante esce dalla "selva oscura" e inizia la salita del colle, ma viene messo in fuga dalle tre fiere e incontra Virgilio.
- Al tramonto, Dante e Virgilio iniziano la visita dell'Inferno, che dura circa 24 ore e termina quindi al tramonto del 9 aprile o del 26 marzo. Nel superare il centro della Terra, però, i due poeti passano al "fuso orario" del Purgatorio (12 ore di differenza da Gerusalemme e 9 ore dall'Italia), per cui è mattina quando essi intraprendono la risalita, che occupa tutto il giorno successivo.
- All'alba del 10 aprile (domenica di Pasqua) o del 27 marzo, Dante e Virgilio iniziano la visita del Purgatorio, che dura tre giorni e tre notti: all'alba del quarto giorno, 13 aprile o 30 marzo, Dante entra nel Paradiso Terrestre e vi trascorre la mattina, durante la quale lo raggiunge Beatrice.
- A mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono in cielo. Da qui in avanti non vi sono più indicazioni di tempo, salvo che nel cielo delle stelle fisse trascorrono circa sei ore (Paradiso XXVII, 79-81). Considerando un tempo simile anche per gli altri cieli, si ottiene che la visita del Paradiso duri due-tre giorni. L'azione terminerebbe di conseguenza il 15 aprile o il 1º aprile.
Quindi con un tempo totale stimato in sette giorni di viaggio.

Missione di Dante e accadimenti storici.
Nella Divina Commedia, Dante si prefigge il ruolo di poeta vate in quanto universalizza il proprio viaggio verso la purificazione, per tutti gli uomini. Leggendo, infatti, la Divina Commedia ogni uomo ripercorre il viaggio dantesco purificandosi anch'esso dai sette vizi capitali. Dante rappresenta cielo e terra, ma la terra trova nel poema una rappresentazione nuova, una profonda comprensione della realtà umana. In Dante è presente un modo nuovo e disincantato di percepire la storia: il racconto storico abbraccia il corso dei secoli con la storia dell'Impero romano e cristiano, delle lotte fiorentine tra guelfi bianchi e neri, una larga considerazione prospettica della storia della Chiesa e della storia contemporanea del papato. L'osservazione della natura è accurata e armoniosa, accentuata nel suo valore prospettico, ricca e determinata. Le note geografiche e visive si succedono. Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il reale mediante un intreccio di notazioni varie e reali. La natura dantesca scaturisce sempre da un riferimento personale. Tutto in Dante ha un valore soggettivo, il poema non è solo la storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche la vicenda personale di Dante, inestricabilmente intrecciata agli avvenimenti che narra. Dante è sempre attore e giudice. Il poeta ci presenta l'uomo nella sua complessità e ne mostra il rapporto con Dio, alla luce della tradizione ebraico-cristiana la quale si innesta in quella classica, greca e latina.
La profezia religiosa e politica si sviluppa su un terreno di esperienze personali, dichiaratamente espresse, e di aspirazioni precise. Dante sovrappone la profezia ai fatti concreti e non li dimentica, né insegue sogni vaghi e irrealizzabili di rinnovamento come i profeti medievali, infatti il suo vagheggiamento di un rinnovamento religioso, morale e politico ha obiettivi ben precisi: una ritrovata moralità della Chiesa, la restaurazione dell'Impero, la fine delle lotte civili nelle città.
L'allegoria è il fondamento del poema e il segno più scoperto del suo medievalismo, il mondo è raffigurato suddiviso: da un lato la realtà storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato della realtà storica trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno. Il costante riferimento al sopramondo attesta la subordinazione medievale di ogni realtà a un fine morale e religioso. Questa subordinazione è rigida e imperante e nell'assoluto valore dell'allegoria, nella fedeltà ai modi e allo stile ereditati dalla letteratura precedente è il medievalismo di Dante.
I sesti canti del poema sono di contenuto politico, secondo una visione che si amplia da Firenze (Ciacco, Inferno), all'Italia (Sordello da Goito, Purgatorio), all'impero (Giustiniano I, Paradiso). Nell'Inferno è presente un dialogo fra Dante e Ciacco in cui viene condannata la decadenza morale e civile di Firenze ("superbia, invidia e avarizia sono/ le tre faville c'hanno i cuori accesi"). Nel Purgatorio è Dante stesso che affronta la tematica politica. Il poeta, in veste di autore, in una digressione deplora gli imperatori germanici suoi contemporanei poiché non si occupano più del "giardino dell'impero" ("giardin de lo imperio"), cioè dell'Italia ("Che val perché ti racconciasse il freno / Iustinïano, se la sella è vòta?"). La scelta del numero 6 non è casuale, perché 6 è multiplo del 3, numero centrale nella Commedia. I tre testi contengono una profezia (VI Inferno), un compianto (VI Purgatorio) e una narrazione (VI Paradiso). In tutti e tre i canti l'intento del poeta è sempre lo stesso: criticare le divisioni politiche che minano la solidità dell'Impero creato da Dio unico ed indivisibile.
Nel Paradiso la tematica è quella della legittimità dell'impero universale, istituzione voluta dalla Provvidenza, garante di pace e di giustizia, ed è affidata all'imperatore bizantino Giustiniano, personaggio fondamentale della storia antica, colui che aveva riordinato le leggi romane (Corpus iuris civilis) consentendo la loro trasmissione alle epoche successive. Quindi sia i guelfi, simpatizzanti per la monarchia francese (i gigli gialli), opponendosi all'impero, sia i ghibellini, che strumentalizzano il pubblico segno per interessi privati e particolari, sono in errore e ostacolano i disegni della Provvidenza. Il pensiero politico del poeta ruota perciò attorno alle istituzioni del Papato e dell'Impero e alle loro funzioni, motivi già trattati nel Convivio e nel De Monarchia. Dal punto di vista filosofico Aristotele è "il maestro di color che sanno" , il cui pensiero, ripreso e interpretato in chiave cristiana da Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, è fondamentale nella filosofia dantesca. "Un peso maggiore sulla base dottrinale della Commedia lo assume il neoplatonismo, soprattutto perché in esso, soprattutto ad opera dei Padri della Chiesa alessandrini (per esempio Origene, III secolo) e dello stesso Pseudo-Dionigi l'Areopagita (V secolo) si fusero concezioni cristiane e platoniche sulla base di un criterio sincretistico. A questo proposito va notato che la disposizione e la struttura stessa di Inferno e Paradiso risentono in modo determinante delle dottrine neoplatoniche: Satana è collocato nel punto del cosmo più lontano da Dio ed è caratterizzato dalla brutalità meccanica tipica delle creature che costituiscono l'ultimo gradino della scala degli esseri, in cui prevale la materia.

Il profetismo
Un tema ricorrente nella Commedia è la profezia. Il profetismo era largamente diffuso ai tempi del poeta, come del resto lo fu durante tutto il Medioevo. Inoltre nel 1300 papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo, segno di una volontà di rinnovamento spirituale. Nel XII secolo, il profetismo si sviluppò in due principali direzioni: una, legata a un diretto contatto con Dio da ricondurre alla monaca benedettina Ildegarda di Bingen e alle sue "visioni"; l'altra, che ebbe il suo maggior esponente in san Bernardo di Chiaravalle, avente come base l'esame della complessa realtà del proprio tempo con il fine di apportarvi miglioramenti dettati dalla carità. Ad alimentare questo clima di attesa e di speranze contribuì inoltre il commento all'Apocalisse del francescano Pietro di Giovanni Olivi (Pierre Olieu, 1248-1298), le cui idee Dante conobbe frequentando a Firenze la scuola conventuale francescana di Santa Croce, dove conobbe anche uno dei suoi più ferventi discepoli, Ubertino da Casale (1259 - 1330 circa). Proprio nel 1300 Dante colloca il suo viaggio nell'oltretomba, non a caso strutturato in forma di visione, attraverso cui denunciare agli uomini i mali del mondo e della Chiesa e indicandone allo stesso tempo i correttivi, mostrando a tutti gli uomini quale fosse la giusta strada da percorrere per il rinnovamento dello spirito.
Il profetismo della Commedia, oltre che richiamarsi in generale alla Bibbia ha radici nel gioachimismo, col quale condivide la visione di una profonda decadenza dei valori e della corruzione della Chiesa, identificata con la prostituta dell'Apocalisse di Giovanni, e l'esigenza di combatterle nella speranza di un rinnovamento. Garanzia di tale speranza sono la gravità del dolore sopportato da coloro che sono rimasti fedeli a Cristo e la promessa di Cristo stesso di non abbandonarli, nonché la certezza, basata sull'Apocalisse di Giovanni, della sconfitta finale dei malvagi. Dante ritiene infatti non lontana la fine dei tempi: Vedi nostra città quant'ella gira;/vedi li nostri scanni sì ripieni,/che poca gente più ci si disira. Come Gioacchino da Fiore e la linea spirituale del francescanesimo, anche Dante, nel suo messaggio profetico, prospetta "l'ideale di una Chiesa povera e aderente ai princìpi evangelici, che dopo Cristo è stato sostenuto solo da San Francesco, ritenuto per questo da Dante un secondo Cristo, iniziatore di una svolta decisiva nella storia cristiana. Mentre però il gioachimismo identificava nell'Ordine francescano l'artefice del processo di redenzione, Dante se ne distacca, escludendo che il rinnovamento potesse scaturire dall'interno della Chiesa. Egli basa invece il proprio messaggio profetico sul veltro, ossia un riformatore laico voluto da Dio, unica forza in grado di realizzare il piano provvidenziale svelato a Dante nell'oltretomba". In varie occasioni alcuni personaggi incontrati da Dante durante il suo viaggio oltremondano, grazie alla loro capacità di prevedere il futuro, preannunciano al poeta il suo esilio. Dopo Ciacco, il primo che pronuncia contro Dante "parole gravi" è Farinata degli Uberti; seguono Brunetto Latini; Vanni Fucci;Corrado Malaspina; Oderisi da Gubbio; Bonagiunta Orbicciani; Forese Donati e infine Cacciaguida nel Paradiso.
Il ricorso alla profezia consente a Dante anche di anticipare narrativamente la drammatica evoluzione che il Dante scrittore vede dispiegarsi sotto i suoi occhi. Nella Commedia sono dunque disseminate molte profezie post-eventum, che riguardano fatti della biografia dell'autore (l'esilio) o collettivi (per esempio il trasferimento della sede papale ad Avignone ad opera di Papa Clemente V sotto la pressione dei sovrani di Francia). Tuttavia il messaggio di Dante riguarda anche un misterioso piano provvidenziale, personificato dal veltro, che interverrebbe a punire i responsabili della corruzione morale, come la curia papale e il re di Francia. I vari commenti sull'Apocalisse fioriti nel Medioevo influirono notevolmente sull'atteggiamento profetico di Dante. La prima linea di sviluppo di tali commenti è molto attenta all'interpretazione letterale del testo e mira a un'interpretazione in senso morale (san Girolamo, Beda il Venerabile, Riccardo di San Vittore, Alberto Magno). La seconda linea si basa su un'interpretazione allegorica e tende a vedere rappresentata nel testo apocalittico una successione storica delle vicende della Chiesa.

La numerologia
Un'altra tematica frequentemente rintracciabile nel poema è il valore-simbolo del numero. Secondo la Bibbia, Dio ha organizzato il cosmo secondo criteri armonici: "tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso". I Padri della Chiesa avevano dedicato grande attenzione alla numerologia, come attestano le opere Libro dei numeri di Isidoro di Siviglia e il libro XV (De Numero) dell'enciclopedia di Rabano Mauro. Dante aveva già sperimentato il simbolismo del nove, multiplo del tre simbolo della Trinità, nella Vita Nova, dove lo applica a Beatrice: i due si incontrano la prima volta a nove anni, Beatrice rivolgerà il suo primo saluto all'ora nona, ecc.
Nella Commedia i canti sono 100 numero perfetto poiché rappresenta il 10 (moltiplicato per se stesso) denotante compiutezza. Dieci sono Le zone dell'Inferno (nove più l'antinferno); dieci le zone del Purgatorio (antipurgatorio, formato da spiaggia più primi due balzi, poi le sette cornici ed infine il paradiso terrestre); dieci sono le zone del Paradiso (sette cieli planetari, cielo delle stelle fisse, Primo Mobile, Empireo). Il numero simbolico trinitario 3 si trova nel numero delle cantiche, nei versi in terzine, nelle tre guide (Publio Virgilio Marone, Beatrice, San Bernardo) oltre che nelle tre facce di Lucifero, nelle tre fiere del primo canto dell'Inferno, nei tre gradini della porta del Purgatorio. Tre sono i gruppi di peccatori nell'Inferno (incontinenti, violenti, fraudolenti); nel Purgatorio le anime sono divise fra coloro che indirizzarono il loro amore su un oggetto sbagliato, quelli che furono poco solleciti al bene e quelli che amarono troppo i beni mondani; nel Paradiso i beati sono divisi fra gli spiriti che furono dediti alla ricerca della gloria terrena, gli spiriti attivi e gli spiriti contemplativi. Per quanto concerne il 9, i cerchi dell'Inferno sono nove, le cornici del Purgatorio 7 a cui si devono aggiungere Antipurgatorio e Paradiso Terrestre; 9 sono poi le sfere dei cieli (il decimo, l'Empireo, non è un luogo fisico). Giova ricordare che coetaneo di Dante è stato Lorenzo Fibonacci, il più grande matematico fino ad allora esistito.

La musica e la luce
La musica è un altro motivo ricorrente nel poema ed è quindi una presenza frequente nella Commedia. Nel Medioevo le teorie musicali furono influenzate dal trattato De Musica di Severino Boezio che si rifaceva alla dottrina di Pitagora e al principio di proporzione basato sul numero. L'atmosfera terrifica e dolente dell'Inferno è caratterizzata dalla disarmonia. Nel Purgatorio il canto delle anime ha effetto catartico, creando effetti di rasserenamento e i riferimenti musicali hanno valore etico. Lo si vede in vari canti: la canzone intonata dal musico Casella. Nel Paradiso Terrestre la musica è frequente con le sue melodie (lo stormire delle foglie; l'apparizione di Matelda; la melodia). Il Paradiso è la cantica in cui la musica, intrecciandosi con le immagini luminose, costituisce la sostanza della cantica stessa. Numerosi sono gli esempi di una celeste musica polifonica.
La rappresentazione della luce è frequente nel poema e a essa si contrappongono le tenebre. Tutte le divinità dell'antichità si identificavano con la luce e il Bene: il Bel semitico, il Ra egizio, l'Ahura Mazda iranico, il Bene di Platone. Attraverso il neoplatonismo la luce entra nella tradizione cristiana soprattutto grazie a Sant'Agostino e a Dionigi l'Areopagita in cui sono frequenti le immagini di Dio come luce, fuoco, fontana luminosa. Nella filosofia Scolastica fu elaborata la "teologia della luce" da Roberto Grossatesta e san Bonaventura da Bagnoregio nel XIII secolo. L'Inferno è invece il regno delle tenebre. Dante si smarrisce nella selva oscura e cerca di salire su un colle illuminato dal sole. La prima cantica è il regno che scaturisce dalla privazione di Dio e quindi è senza luce. L'Inferno è cieco mondo, cieco / carcere, valle buia, "loco d'ogne luce muto". I cerchi infernali sono scuri, l'aria è morta, nera, sanza tempo tinta; l'acqua dell'Acheronte è bruna e quella dello Stige "buia assai più che persa"; la vegetazione della selva dei suicidi è di color fosco. Attraverso la scura natural burella Dante e Virgilio giungono nel Purgatorio dove la luce riconquista lo spazio. Il sole è simbolo di Dio, l'alto Sol, l'alto lume. Dante giunge sull'Antipurgatorio alle prime ore del mattino, l'ascesa alla montagna avviene al sorgere del sole e l'arrivo sul Paradiso Terrestre al momento dello splendere della luce. Il sole concede ai due poeti di vedere l'accesso alla montagna. La luce solare è presente in vari passi. Ovviamente è il Paradiso il regno della luce che è la sostanza stessa del regno celeste. Dante guidato da Beatrice, allegoria della grazia e della teologia, sale per lo ciel di lume in lume attraverso la materia eterea dei cieli: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. I cieli sono fatti di materia eterea e pertanto riflettono all'esterno la luce che ricevono dal sole. Gli angeli vengono rappresentati come fuochi, facelle, scintille, splendori. I beati hanno un corpo etereo e sono luci, lumi, faville, stelle cadenti, rubini, gioie, lapilli, fuochi, fiammelle, lucerne, lampe. Dio è etterna luce, viva luce. Dio è definito "lume", "Sol dei beati" e nell'Empireo appare a Dante come "stella", punto luminoso molto acuto, "favilla pura" che illumina i cori angelici. Nell'Empireo Dante può contemplarlo come "trina luce....'n unica stella". La Candida rosa dei beati è fatta di luci e fiamme splendenti e, alla fine del poema, all'arcobaleno è associata la sostanza stessa della luce divina.


Scienza e tecnologia
Nel poema dantesco vi sono diversi riferimenti alla scienza ed alla tecnologia. I temi affrontati nell'ambito della fisica sono: la gravità (Inferno - Canto trentaduesimo, vv. 73-74 e Inferno - Canto trentaquattresimo, vv. 110-111); la precessione degli equinozi (Inferno - Canto trentunesimo, vv. 78-84); le luci telluriche (Inferno - Canto terzo, vv. 130-135 e Purgatorio - Canto ventunesimo, v. 57); le grandi frane (Inferno - Canto dodicesimo, vv. 1-10); la formazione dei cicloni (Inferno - Canto nono, vv. 67-72); la Croce del Sud (Purgatorio - Canto primo, vv. 22-27); l'arcobaleno (Purgatorio - Canto venticinquesimo, vv. 91-93); il ciclo dell'acqua (Purgatorio - Canto quinto, vv. 109-111 e Purgatorio - Canto ventottesimo, vv. 121-123); la relatività del moto (Inferno - Canto trentunesimo, vv. 136-141 e Paradiso - Canto ventinovesimo, vv. 25-27); la propagazione della luce (Purgatorio - Canto secondo, vv. 99-107); le due velocità di rotazione (Purgatorio - Canto ottavo, vv. 85-87); gli specchi al piombo (Inferno - Canto ventitreesimo, vv. 25-27); la riflessione della luce (Purgatorio - Canto quindicesimo, vv. 16-24). Sono presenti riferimenti ai dispositivi militari (Inferno - Canto ottavo, vv. 85-87); all'accensione del fuoco con esca e acciarino (Inferno - Canto quattordicesimo, vv. 34-42), al mimetismo (Paradiso - Canto terzo, vv. 12-17). Vii sono riferimenti alla cantieristica navale (Inferno - Canto ventunesimo, vv. 7-19); alle dighe degli olandesi (Inferno - Canto quindicesimo, vv. 4-9). Vi sono inoltre riferimenti ai mulini (Inferno - Canto ventitreesimo, vv. 46-49); agli occhiali (Inferno - Canto trentatreesimo, vv. 99-101); agli orologi (Paradiso - Canto decimo, v. 139-146 e Paradiso - Canto ventiquattresimo, vv. 13-15) nonché alla bussola magnetica (Paradiso - Canto dodicesimo, vv. 29-31).

La lingua
Uno dei problemi più ardui della filologia italiana è lo studio della lingua dei principali autori della nostra tradizione letteraria. Tale problema è connesso strettamente allo studio della tradizione manoscritta delle opere. Nel caso di Dante, la questione è molto complessa e delicata in quanto nel poema dantesco si è tradizionalmente identificata l'origine stessa della lingua italiana. La definizione di "padre della lingua italiana", spesso utilizzata per Dante, non è solo una teoria della critica contemporanea; generazioni di lettori, a partire dai primi commentatori fino ai moderni esegeti, non hanno potuto fare a meno di confrontarsi, anche quando hanno anteposto alla Commedia altri modelli linguistici e letterari, con il poema dantesco. Ad esempio, la teorizzazione del Bembo nelle Prose della volgar lingua, in quanto fondamentalmente normativa, tendeva a canonizzare un modello linguistico più vicino a Petrarca che a Dante. Ciononostante, nelle Prose, il poema è comunque il testo più importante cui fare riferimento, anche e soprattutto in prospettiva critica, per la sua ricchezza linguistica e lessicale. Tuttavia, l'importanza irrinunciabile della Commedia è dimostrata dal peso attribuito al poema nella compilazione del primo Vocabolario degli Accademici della Crusca. Poiché il numero di citazioni della Commedia supera di gran lunga quello di qualsiasi altra opera e poiché è evidente che l'influenza di un vocabolario sullo sviluppo storico di una lingua è senz'altro superiore a quello di ciascuna singola opera, ne risulta dimostrata la centralità del poema per la coscienza linguistica e letteraria italiana. La storia della tradizione manoscritta dimostra d'altronde quanto il processo di copia del poema abbia contribuito fin dalle origini alla formazione di un volgare letterario italiano. Però l'esatta forma della lingua dantesca è ancora oggetto di studio e di dibattito, così come accade per le maggiori opere della letteratura antica. Solitamente, viene considerata una soluzione efficace basarsi sulla lingua del testimone più antico di un'opera. Nel caso della Commedia, si tratta del manoscritto Trivulziano 1080.

Voglio chiudere queste chiose con un memorabile sonetto di Carducci, che amava profondamenre Dante

Dante, il vicin mio grande, allor che errava
Pensoso peregrin la selva fiera,
Se in traditor se in ladri o in quale altra era
Gente di voglia niquitosa e prava

Dolce ei d'amor cantando s'incontrava,
L'acceso stral de la pupilla nera
Tra fibra e fibra (1) a i miseri ficcava;
Poi con la man, con quella man leggera

Che ne la vita nova angeli pinse (2),
Sì gli abbrancava e gli bollava in viso
E gli gettava ne la morta gora (3).

L'onta de' rei che secol non estinse
Fuma pe' cerchi de l'inferno ancora;
E Dante guarda, su dal paradiso.

1) Nell'intimo del cuore 2) Da giovane dipinse alcune tavolette con figure di angeli 3) La palude stigia


Fonti.
Bisogna ricordare il viaggio oltremondano (catabasi) di Drythelm nella Storia ecclesiastica d'Inghilterra scritta da Beda il Venerabile nel secolo VIII. In essa l'anima del protagonista, guidata da uno spirito luminoso, visita i luoghi infernali dei dannati dove teme di essere presa dai diavoli ma viene salvata dallo spirito-guida e condotta ad ammirare i prati luminosi e profumati delle anime elette che cantano cori celestiali. Dopo questa esperienza oltremondana l'anima rientra nel corpo e il protagonista vive una vita santa per meritarsi la beatitudine celeste. Nella Leggenda del viaggio di tre santi monaci al Paradiso terrestre (X secolo) si racconta invece di tre monaci di enorme bontà che dal fiume di Sion arrivano al Paradiso terrestre la cui porta è custodita da un cherubino. All'interno incontrano i profeti Enoch ed Elia. Poi ripartono credendo di essere vissuti all'interno del Paradiso terrestre tre giorni mentre in realtà vi hanno trascorso tre anni. Anche la coeva escatologia ebraica sembra essere stata presente a Dante: in particolare, si pensa abbia potuto leggere le opere di Hillel da Verona, che trascorse gli ultimi anni della sua vita a Forlì, morendovi poco prima dell'arrivo di Dante in quella città. Molto spesso è Dante, presentando i vari autori nella sua opera, a lasciare una visione superficiale della sua biblioteca; ad esempio, nel cielo del Sole (canti X e XII) del Paradiso incontra due corone di spiriti sapienti, e tra questi mistici, teologi, canonisti e filosofi si trovano Ugo di San Vittore, Graziano, Pietro Lombardo, Gioacchino da Fiore ecc. Altre fonti più recenti e di più superficiale incidenza nella Commedia vanno considerati i rozzi poemetti di Giacomino da Verona (De Ierusalem coelesti e De Babilonia civitate infernali) il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva, con la descrizione dei regni dell'Aldilà, e la Visione del monaco cassinese Alberico. Da ricordare anche il poemetto allegorico-didascalico Detto del Gatto lupesco (XII secolo), viaggio allegorico di un cavaliere-eroe che deve superare tre ostacoli, simbolo del male, per raggiungere la beatitudine eterna. Sulla biblioteca classica di Dante ci si deve accontentare di deduzioni interne ai suoi testi, delle citazioni dirette e indirette che essi contengono; si può affermare che accanto al nome di Virgilio compaiono Ovidio, Stazio e Lucano, cui seguono i nomi di Tito Livio, Plinio, Frontino, Paolo Orosio, che già erano presenti, con l'aggiunta di Orazio e l'esclusione di Stazio, nella Vita Nova (XXV, 9-10), così ci si accorge che questi erano i poeti più diffusi e più letti nelle scholae medievali lasciando aperta l'ipotesi di una loro frequentazione da parte di Dante.

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Eugenio Caruso - 08 - 08 - 2021

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www.impresaoggi.com