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Dante, Paradiso, Canto XIII. Re Salomone

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

INTRODUZIONE
Il Paradiso è la terza delle tre cantiche che compongono la Divina Commedia, dopo l'Inferno e il Purgatorio; a differenza delle altre due Cantiche questa è, a volte, un po' noiosa, come ricordiamo anche dai nostri studi liceali.
La struttura del Paradiso è costruita sul sistema geocentrico di Aristotele e di Tolomeo: al centro dell'universo sta la Terra, nella regione sublunare, e intorno a essa nove sfere concentriche, responsabili del movimento dei pianeti. Mentre l'Inferno è un luogo presente sulla Terra, il Paradiso è un mondo immateriale, etereo, diviso in nove cieli: i primi sette prendono il nome dai corpi celesti del sistema solare (nell'ordine Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile (concepito come un cielo purissimo senza astri). Il tutto è contenuto nell'Empireo. Il rapporto tra Dante e i beati è molto diverso rispetto a quello che il poeta ha intrattenuto coi dannati e i penitenti: tutte le anime del Paradiso, infatti, risiedono nell'Empireo, e precisamente nella Candida Rosa, dal quale essi contemplano direttamente Dio; tuttavia, per rendere più comprensibile al viaggiatore l'esperienza del Paradiso, le figure gli appaiono di cielo in cielo, in una precisa corrispondenza astrologica tra la qualità di ogni pianeta e il tipo di esperienza spirituale compiuta dal personaggio descritto: ad esempio, nel cielo di Venere appaiono gli spiriti amanti, e in quello di Saturno gli spiriti contemplativi.
All'ingresso del Paradiso terrestre, situato sulla cima della montagna del Purgatorio, Virgilio, che secondo l'interpretazione figurale rappresenta la Ragione, scompare (Purgatorio, canto XXX) e viene sostituito da Beatrice, raffigurante la Teologia. Ciò simboleggia l'impossibilità per l'uomo di giungere a Dio per il solo mezzo della ragione umana: è necessario un diverso livello di "ragione divina" (ossia di verità illuminata), rappresentato appunto dall'accompagnatrice.
Successivamente, a Dante si affiancherà una nuova guida: Beatrice, infatti, lascia maggiore spazio a san Bernardo di Chiaravalle, pur restando presente e pregando per il poeta nel momento dell'invocazione finale del santo alla Madonna. La Teologia (Beatrice) non è sufficiente per elevarsi alla visione di Dio, alla quale si può giungere solo attraverso la contemplazione mistica dell'estasi, rappresentata allegoricamente da san Bernardo. Nello scandire i tempi del viaggio attraverso il Paradiso, Dante ha presente lo schema dell'Itinerario della mente in Dio di San Bonaventura, che prevedeva platonicamente tre gradi di apprendimento: l'Extra nos, ovvero l'esperienza dei sette cieli, corrispondente alla conoscenza sensibile della teoria platonica; l'Intra nos, o l'esperienza delle stelle fisse, corrispondente alla visione immaginativa; il Supra nos, o l'esperienza dell'Empireo, corrispondente alla conoscenza intellettuale. In questa scansione sono tuttavia presenti anche elementi di carattere scolastico-aristotelico (vita mondana, attiva e contemplativa) e agostiniano (la vita attiva secondo la Scientia, e la vita contemplativa secondo la Sapientia).
Nel Paradiso dimora l'eterna beatitudine: le anime contemplano la divinità di Dio e sono colme di grazia. Via via che Dante ascende, intorno a lui aumenta la luminosità, e il sorriso di Beatrice diviene sempre più abbagliante. Dante arriverà a vedere Dio e a contemplare la Trinità grazie all'intercessione della Madonna invocata da San Bernardo. Durante il viaggio in Paradiso, Dante affronta molte questioni filosofiche e teologiche spiegandole sulla base del sapere medievale.
Gli angeli delle gerarchie si suddividono in tre sfere di tre cori (o ordini) ciascuno, secondo la dottrina già abbozzata da san Paolo. I tre ordini superiori rivolgono lo sguardo direttamente a Dio, e vivono completamente immersi in Lui. Sono Serafini, angeli il cui atto è solo amore; i Cherubini che sussistono nella conoscenza; i Troni la cui caratteristica consiste nella partecipazione attiva all'altissima presenza di Dio. Seguono le Dominazioni, le Virtù, le Potestà: la loro esistenza si attua nella collaborazione, attraverso la contemplazione e l'amore, al piano di Dio. Gli ultimi tre cori, Principati, Arcangeli e Angeli, vivono partecipando dell'atto stesso divino che crea e regge il mondo, al divenire del cosmo e alla storia dell'uomo. Gli angeli sono anche messaggeri di Dio di cui Egli si serve per agire nel mondo.
Secondo un'antichissima dottrina le intelligenze angeliche muovono le sfere celesti, poiché il primo effetto dell'azione divina è l'anelito verso di Lui, consistente nel movimento, e questo si attua nel circolo che è forma di eternità. La sfera più esterna gira più rapidamente poiché più vicina all'empireo, il luogo dove risiede Dio.

cherubini

Cherubini - Raffaello

RIASSUNTO DEL CANTO XIII

Il Canto, essendo dedicato in gran parte alla questione dottrinale della vera natura della sapienza di Salomone: può sembrare un argomento ozioso e di scarso interesse anche per i contemporanei del poeta, ma in realtà Dante affronta la questione assai più delicata dei limiti della sapienza umana rispetto al giudizio divino, che da un lato si collega al suo «traviamento» intellettuale tante volte evocato, dall'altro anticipa il grande tema della giustizia divina che sarà trattato nel Cielo di Giove.
Il Canto si apre con la descrizione delle due corone di spiriti che ruotano in senso opposto, per la quale Dante ricorre a una similitudine apparente tratta dall'ambito astronomico: il lettore deve immaginare le quindici stelle più lucenti del cielo, più le sette dell'Orsa Maggiore e le due più basse dell'Orsa Minore (24 in tutto) che formino per assurdo due corone concentriche, e avrà solo una pallida idea del meraviglioso spettacolo cui lui ha assistito nel Cielo del Sole.
È il consueto tema della visione inesprimibile con parole umane, per cui il poeta è costretto a ricorrere a complesse e intellettualistiche similitudini per rappresentare solo una traccia di quanto ha visto, ma è anche il preannuncio del tema al centro del Canto, ovvero il limite insuperabile della sapienza (e dunque della ragione) umana che non può conoscere tutto, come nel caso di complesse questioni filosofiche e scientifiche e del delicato problema della salvezza che sarà ampiamente discusso dall'aquila nel Canto XX. Dante sottolinea che il canto dei beati va al di là di ogni realtà umana, quindi non si può descrivere col solo ausilio della parola, anche perché esso inneggia alla Trinità il cui mistero, pochi versi più avanti, sarà oggetto della dotta spiegazione di san Tommaso.
È il beato a riprendere la parola dopo la fine del canto degli altri spiriti, per sciogliere il dubbio di Dante riguardo a quanto da lui detto a proposito di Salomone, ovvero che in lui fu posta da Dio tanta sapienza che a veder tanto non surse il secondo. Tale affermazione trae spunto dal passo biblicoin cui Dio appare in sogno al re d'Israele e gli chiede cosa desideri, al che Salomone risponde di volere la saggezza necessaria a giudicare il suo popolo e distinguere il bene dal male; Dio esaudisce la sua richiesta e dichiara dedi tibi cor sapiens et intelligens, in tantum ut nullus ante similis tui fuerit nec post te surrecturus sit («ti ho dato un cuore saggio e sapiente, al punto che nessuno è stato simile a te in precedenza, né alcuno nascerà in futuro»). Il dubbio di Dante nasce dal fatto che egli sa in base alla dottrina che la massima sapienza fu quella infusa da Dio in Adamo e Cristo-uomo, che erano perfetti in quanto creati direttamente da Dio, quindi ciò sembra contraddire il passo scritturale, ma Tommaso dimostra con una lunga e complessa spiegazione filosofica che così non è, partendo dal mistero della Trinità che egli non spiega in quanto inconoscibile all'uomo, ma che gli permette di illustrare come solo ciò che è creato direttamente da Dio è perfetto, cosa che non si può certo dire per Salomone. La sapienza chiesta a Dio da Salomone e a lui concessa riguardava il suo ufficio di re, la necessità di giudicare e distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ovvero il tema trattato nel libro della Sapienza attribuito a Salomone stesso (da lì Dante trae il monito Diligite iustitiam, qui iudicatis terram), non certo questioni filosofiche o matematiche come quelle esemplificate nei vv. 97-102 e neppure quella dottrinale del numero degli angeli, che altrove il poeta definirà insolubile per l'intelletto umano. Tommaso sottolinea dunque il limite invalicabile della ragione umana, che deve arrestarsi di fronte ad argomenti superiori alle sue forze come quelli della fede, per cui sembra di leggere un riferimento abbastanza trasparente al cosiddetto «traviamento» di Dante, al suo tentativo di arrivare alla piena conoscenza solo grazie alla ragione e all'intelletto: da qui, probabilmente, nasce il monito finale del beato a non emettere giudizi precipitosi e superficiali, come hanno fatto in passato filosofi pagani quali Parmenide, Melisso e Brisone, nonché eretici come Sabellio e Ario, quasi ad affermare che troppa facilità nel giudicare su delicati argomenti filosofici può portare a pericolose deviazioni sul piano dell'ortodossia.
Altrettanta prudenza è necessaria anche rispetto al tema, ugualmente delicato sul piano dottrinale, della salvezza, che viene decretata dalla giustizia divina in modi non sempre conoscibili dalla ragione umana: ciò è legato anzitutto al destino ultraterreno dello stesso Salomone, cui la Scrittura attribuiva il peccato di lussuria senile e la cui salvezza era dubbia per gli uomini, ma si riferisce in generale a tutti i casi di inattese dannazioni e clamorose salvezze che Dante ha mostrato nel corso del poema, di cui Guido da Montefeltro e Manfredi erano gli esempi più lampanti. Tommaso ribadisce che solo Dio nella sua infinita saggezza può conoscere in anticipo il destino delle persone, per cui un uomo può rubare e poi ravvedersi guadagnando la salvezza, mentre un altro può fare pie offerte e in seguito peccare e finire all'Inferno; è il delicatissimo problema della predestinazione, che sarà ampiamente spiegato dall'aquila nel Cielo di Giove e che vedrà anche in quel caso due clamorosi esempi di salvezza imprevedibile, ovvero l'imperatore Traiano e Rifeo che saranno fra i beati dell'occhio dell'aquila e che la sola sapienza umana, con tutti i limiti che san Tommaso ha ben evidenziato in questo Canto, non può pretendere di comprendere razionalmente.

Note
- Le quindici stelle citate al v. 4 sono le più luminose della volta celeste, ovvero quelle di prima grandezza catalogate nell'Almagesto di Tolomeo (Dante conosceva questo trattato di astronomia per via indiretta).
- Il carro  citato al v. 7 è l'Orsa Maggiore, che essendo una costellazione circumpolare non tramonta mai e resta sempre nel polo artico.
- I vv. 10-12 si riferiscono all'Orsa Minore, descritta come un corno la cui punta coincide con la Stella Polare, mentre la parte bassa (la bocca) è formata dalle due stelle più basse dell'Orsa. La Stella Polare si trova sull'asse sul quale Dante immagina che ruoti il Primo Mobile (la prima rota).
- I vv. 12-14 alludono al mito di Arianna, la cui ghirlanda venne tramutata da Bacco nella costellazione della Corona: Dante si rifà certo a Ovidio (Met., VIII, 177-182), anche se attribuisce la trasformazione ad Arianna morente.
- Il v. 18 viene interpretato nel senso che le due corone ruotano in senso opposto, ma alcuni pensano che quella esterna semplicemente ruoti più velocemente dell'altra.
- La Chiana (v. 23) è un fiume della Toscana, che al tempo di Dante si impaludava nella Val di Chiana e scorreva lentissimo. Il ciel che tutti li altri avanza è il Primo Mobile, che ruota più rapidamente di tutti gli altri.
- Al v. 25 Peana indica l'inno che si cantava in onore di Apollo, quindi per metonimia indica il dio stesso.
- I vv. 34-36 alludono alla trebbiatura del grano, le cui spighe vengono battute sull'aia e le cui sementi sono poi riposte nel granaio. Tommaso vuol dire che, dopo aver risolto il primo dubbio di Dante, è pronto a risolvere il secondo.
- Ai vv. 36 ss. Adamo è indicato come il petto da cui fu tratta la costola che creò Eva, la bella guancia / il cui palato a tutto 'l mondo costa (il riferimento è al peccato originale), mentre Cristo-uomo è il petto forato da la lancia sulla croce che, morendo, riscattò lo stesso peccato originale. In entrambi venne infusa da Dio la massima sapienza.
- I vv. 50-51 indicano che le due affermazioni fanno parte della stessa verità, come tutti i punti del cerchio sono alla stessa distanza dal centro.
- I vv. 52 ss. illustrano il mistero della Trinità: il Figlio è idea, «logos», del Padre, che la genera amando (con lo Spirito Santo); il Figlio o Verbo Divino (quella viva luce) deriva dal Padre (dal suo lucente) ed è da Lui inscindibile, come lo è lo Spirito Santo che s'intrea, si unisce a Loro come terzo. Mea è latinismo, nel senso di «procede», mentre s'intrea è neologismo dantesco come s'incinqua di IX, 40.
- I vv. 58 ss. contengono molti termini tecnici della Scolastica: le nove sussistenze sono i nove cori angelici, le ultime potenze sono gli elementi del mondo sublunare e materiale, le contingenze sono le cose che possono essere e non essere, quindi le cose create in modo effimero.
- I vv. 79-81, di difficile interpretazione, vogliono probabilmente dire: «ma se lo Spirito Santo dispone e suggella il Verbo del Padre, nella natura si ottiene tutta la perfezione». Tommaso intende che solo ciò che è creato direttamente da Dio è perfetto.
- Il v. 93 si riferisce al passo biblico in cui Salomone chiese la sapienza (III Reg., III, 5-12).
- I vv. 97-102 elencano quattro problemi insolubili per la mente umana: quale sia il numero degli angeli, una quesione di logica aristotelica, l'esistenza di un primo moto non generato da altro moto e se in un semicerchio si può inscrivere un triangolo non rettangolo.
- Al v. 104 impàri è aggettivo («impari», «senza pari») e non verbo come inteso da alcuni commentatori.
- Il v. 106 chiarisce che il senso di surse nelle parole di Tommaso (X, 114) era «fu innalzato alla dignità di re» e non semplicemente «nacque».
- Al v. 125 sono citati alcuni filosofi greci: Parmenide di Elea (V sec. a.C.), autore di un poema didascalico Sulla natura, oggi perduto; Melisso di Samo (metà V sec. a.C.), discepolo di Parmenide e anch'egli autore di un poema con lo stesso titolo; Brisone di Eraclea, figlio di Erodoto e discepolo di Socrate, che tentò di risolvere la quadratura del cerchio. Dante li critica in quanto tentarono di trovare risposte su questioni inconoscibili per l'uomo.
- Al v. 127 sono citati l'eretico Sabellio (III sec. d.C.), autore di una dottrina che negava la Trinità, e Ario (IV sec. d.C.), che negava la natura divina di Cristo; entrambi dunque negavano i due articoli di fede  citati da Dante ai vv. 26-27. I vv. 128-129 vogliono dire che furono come spade la cui lucida superficie deformò, riflettendole, le verità scritturali, oppure che le mutilarono orrendamente.
- Berta e Martino (v. 139) sono nomi convenzionali di uso assai frequente nella lett. medievale, a indicare persone qualunque (come i nostri Tizio e Caio); i titoli donna e ser  vogliono forse indicare saccenteria presuntuosa.
- Il vb. offerere (v. 140) indica «fare pie offerte» e contiene forse un riferimento polemico alla vendita delle indulgenze.

salomon

Il giudizio di Salomone di G B. Tiepolo


TESTO DEL CANTO XIII

Imagini, chi bene intender cupe 
quel ch’i’ or vidi - e ritegna l’image, 
mentre ch’io dico, come ferma rupe -,                            3

quindici stelle che ‘n diverse plage 
lo ciel avvivan di tanto sereno 
che soperchia de l’aere ogne compage;                       6

imagini quel carro a cu’ il seno 
basta del nostro cielo e notte e giorno, 
sì ch’al volger del temo non vien meno;                         9

imagini la bocca di quel corno 
che si comincia in punta de lo stelo 
a cui la prima rota va dintorno,                                        12

aver fatto di sé due segni in cielo, 
qual fece la figliuola di Minoi 
allora che sentì di morte il gelo;                                     15

e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, 
e amendue girarsi per maniera 
che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;                  18

e avrà quasi l’ombra de la vera 
costellazione e de la doppia danza 
che circulava il punto dov’io era:                                     21

poi ch’è tanto di là da nostra usanza, 
quanto di là dal mover de la Chiana 
si move il ciel che tutti li altri avanza.                             24

Lì si cantò non Bacco, non Peana, 
ma tre persone in divina natura, 
e in una persona essa e l’umana.                                 27

Compié ‘l cantare e ‘l volger sua misura; 
e attesersi a noi quei santi lumi, 
felicitando sé di cura in cura.                                           30

Ruppe il silenzio ne’ concordi numi 
poscia la luce in che mirabil vita 
del poverel di Dio narrata fumi,                                       33

e disse: «Quando l’una paglia è trita, 
quando la sua semenza è già riposta, 
a batter l’altra dolce amor m’invita.                                36

Tu credi che nel petto onde la costa 
si trasse per formar la bella guancia 
il cui palato a tutto ‘l mondo costa,                                 39

e in quel che, forato da la lancia, 
e prima e poscia tanto sodisfece, 
che d’ogne colpa vince la bilancia,                                42

quantunque a la natura umana lece 
aver di lume, tutto fosse infuso 
da quel valor che l’uno e l’altro fece;                             45

e però miri a ciò ch’io dissi suso, 
quando narrai che non ebbe ‘l secondo 
lo ben che ne la quinta luce è chiuso.                           48

Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, 
e vedrai il tuo credere e ‘l mio dire 
nel vero farsi come centro in tondo.                               51

Ciò che non more e ciò che può morire 
non è se non splendor di quella idea 
che partorisce, amando, il nostro Sire;                         54

ché quella viva luce che sì mea 
dal suo lucente, che non si disuna 
da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,                              57

per sua bontate il suo raggiare aduna, 
quasi specchiato, in nove sussistenze, 
etternalmente rimanendosi una.                                    60

Quindi discende a l’ultime potenze 
giù d’atto in atto, tanto divenendo, 
che più non fa che brevi contingenze;                            63

e queste contingenze essere intendo 
le cose generate, che produce 
con seme e sanza seme il ciel movendo.                    66

La cera di costoro e chi la duce 
non sta d’un modo; e però sotto ‘l segno 
ideale poi più e men traluce.                                           69

Ond’elli avvien ch’un medesimo legno, 
secondo specie, meglio e peggio frutta; 
e voi nascete con diverso ingegno.                               72

Se fosse a punto la cera dedutta 
e fosse il cielo in sua virtù supprema, 
la luce del suggel parrebbe tutta;                                   75

ma la natura la dà sempre scema, 
similemente operando a l’artista 
ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.                        78

Però se ‘l caldo amor la chiara vista 
de la prima virtù dispone e segna, 
tutta la perfezion quivi s’acquista.                                   81

Così fu fatta già la terra degna 
di tutta l’animal perfezione; 
così fu fatta la Vergine pregna;                                        84

sì ch’io commendo tua oppinione, 
che l’umana natura mai non fue 
né fia qual fu in quelle due persone.                             87

Or s’i’ non procedesse avanti piùe, 
‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ 
comincerebber le parole tue.                                          90

Ma perché paia ben ciò che non pare, 
pensa chi era, e la cagion che ‘l mosse, 
quando fu detto "Chiedi", a dimandare.                        93

Non ho parlato sì, che tu non posse 
ben veder ch’el fu re, che chiese senno 
acciò che re sufficiente fosse;                                         96

non per sapere il numero in che enno 
li motor di qua sù, o se necesse 
con contingente mai necesse fenno;                             99

non si est dare primum motum esse
o se del mezzo cerchio far si puote 
triangol sì ch’un retto non avesse.                                102

Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, 
regal prudenza è quel vedere impari 
in che lo stral di mia intenzion percuote;                     105

e se al "surse" drizzi li occhi chiari, 
vedrai aver solamente respetto 
ai regi, che son molti, e ‘ buon son rari.                       108

Con questa distinzion prendi ‘l mio detto; 
e così puote star con quel che credi 
del primo padre e del nostro Diletto.                             111

E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, 
per farti mover lento com’uom lasso 
e al sì e al no che tu non vedi:                                        114

ché quelli è tra li stolti bene a basso, 
che sanza distinzione afferma e nega 
ne l’un così come ne l’altro passo;                               117

perch’elli ‘ncontra che più volte piega 
l’oppinion corrente in falsa parte, 
e poi l’affetto l’intelletto lega.                                          120

Vie più che ‘ndarno da riva si parte, 
perché non torna tal qual e’ si move, 
chi pesca per lo vero e non ha l’arte.                            123

E di ciò sono al mondo aperte prove 
Parmenide, Melisso e Brisso e molti, 
li quali andaro e non sapean dove;                              126

sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti 
che furon come spade a le Scritture 
in render torti li diritti volti.                                                129

Non sien le genti, ancor, troppo sicure 
a giudicar, sì come quei che stima 
le biade in campo pria che sien mature;                     132

ch’i’ ho veduto tutto ‘l verno prima 
lo prun mostrarsi rigido e feroce; 
poscia portar la rosa in su la cima;                               135

e legno vidi già dritto e veloce 
correr lo mar per tutto suo cammino, 
perire al fine a l’intrar de la foce.                                    138

Non creda donna Berta e ser Martino, 
per vedere un furare, altro offerere, 
vederli dentro al consiglio divino;

ché quel può surgere, e quel può cadere».                142

saba
Salomone e la Regina di Saba



PASRAFRASI CANTO XIII

Chi desidera capire bene ciò che io vidi, immagini (e mentre parlo tenga fissa l'immagine nella sua mente, come una roccia), quindici stelle che in diversi punti del cielo lo illuminano in modo tale da vincere ogni nebulosità;

immagini poi il Carro dell'Orsa Maggiore, a cui lo spazio del nostro polo è sufficiente per il moto diurno e notturno, cosicché al volgere del suo timone non tramonta mai;

immagini la parte bassa di quel corno (l'Orsa Minore) che ha il vertice nella punta (la Stella Polare) dell'asse attorno a cui ruota il Primo Mobile, come se queste 24 stelle avessero formato due corone in cielo, simili a quella in cui Arianna, vicina alla morte, si tramutò;

e immagini che queste due corone, concentriche, ruotino in modo che ciascuna proceda in una direzione opposta;

e avrà quasi un'ombra della vera costellazione (le due corone di beati) e della doppia danza che circondava il punto dove ero io:

infatti quello spettacolo trascende a tal punto le cose del mondo, quanto lo scorrere lento della Chiana è superato dal Primo Mobile, il Cielo più veloce di tutti.

Lì non si inneggiava agli dei Bacco o Apollo, ma alle tre persone della Trinità e alla duplice natura di Cristo.

Il canto e la danza dei beati si compì; e quelle sante luci si rivolsero a noi, gioiose di passare da una cura (il canto e la danza) a un'altra (risolvere i dubbi di Dante).

In seguito a rompere il silenzio di quei beati concordi fu la luce (san Tommaso) che prima mi aveva raccontato la meravigliosa vita del poverello di Dio (san Francesco), e disse: «Quando una parte delle spighe è stata trebbiata e le sementi riposte nel granaio, il dolce amore di Dio mi invita a trebbiare l'altra parte.

Tu credi che nel petto di Adamo, da dove fu presa la costola per creare la bella guancia (Eva) il cui palato è costato all'umanità il peccato originale (per aver gustato il frutto proibito), e nel petto di Cristo che, forato dalla lancia, redense tutti gli uomini vissuti prima e dopo dallo stesso peccato originale, fosse infusa tutta la sapienza che è lecita alla natura umana, da Dio stesso che creò l'uno e l'altro;

e perciò ti meravigli di quanto ho detto prima, quando ho spiegato che il beato (Salomone) chiuso nella quinta luce non ebbe un altro pari a lui.

Ora ascolta bene quello che ti spiegherò e vedrai che la tua convinzione e le mie parole fanno parte della stessa verità.

Ciò che è incorruttibile e ciò che è corruttibile non è altro che riflesso di quell'Idea (il Figlio) che il nostro Signore (il Padre), amando, genera con lo Spirito Santo;

perché quella viva luce (il Figlio) che promana da chi la genera (il Padre), che non si disunisce da Lui né dallo Spirito Santo che si inserisce come terzo fra Loro, per la sua bontà raccoglie i suoi raggi nei nove cori angelici, come specchiandosi, restando eternamente una sola persona.

Da qui scende in basso alle creature materiali, di Cielo in Cielo, riducendosi al punto che produce solo cose effimere;

e intendo che queste cose effimere sono le cose generate, che i Cieli col loro movimento creano con seme (gli esseri viventi) o senza (gli esseri inanimati).

La materia di queste creature e l'influsso celeste non sono uguali; e dunque esse riflettono in maggiore o minor misura l'idea divina che le suggella.

Per questo accade che alberi della stessa specie fanno frutti in modo migliore e peggiore; e voi uomini nascete con indole differente.

Se la materia fosse la migliore possibile e il Cielo esercitasse la sua virtù al massimo grado, allora la luce divina apparirebbe in modo perfetto;

ma la natura presenta la materia sempre in modo imperfetto, operando come l'artista che ha la mano tremante mentre esercita la sua arte.

Dunque, se lo Spirito Santo imprime la luce della potenza divina, allora la cosa creata è pienamente perfetta.

Così la Terra fu creata degna di tutta la perfezione degli esseri animati (quando fu creato Adamo); così la Vergine fu resa incinta di Cristo-uomo;

pertanto approvo la tua opinione, che la natura umana non fu mai perfetta né mai lo sarà come in quelle due persone (Adamo e Cristo-uomo).

Ora, se io non dicessi altro, tu obietteresti: 'Dunque, come può essere che Salomone fu senza pari?'

Ma affinché questa verità risalti chiaramente, pensa chi era e quale ragione lo spinse a chiedere la sapienza quando Dio lo invitò a chiedere cosa volesse.

Non ho parlato in modo che tu non possa capire che egli fu re, e che chiese la sapienza per svolgere in modo adeguato il suo ufficio di sovrano;

(chiese la sapienza) non per sapere il numero degli angeli, o se una premessa necessaria e una contingente hanno mai prodotto una conseguenza necessaria;

non per sapere se è ammissibile un primo moto non generato da altro moto, o se in un semicerchio si può inscrivere un triangolo non rettangolo.

Allora, se pensi a questo e a quello che ho detto prima, ecco che quella sapienza senza pari che ho voluto intendere non è altro che la sapienza di un re;

e se ripensi a quando ho detto "surse", capirai che volevo solo riferirmi ai re, che sono molti, mentre i re buoni sono rari.

Interpreta le mie parole con queste distinzioni e così si accordano perfettamente con ciò che credi del primo padre (Adamo) e del nostro Diletto (Cristo).

E questo ti induca sempre a procedere coi piedi di piombo, con la cautela di chi cammina lentamente e stanco, quando giudichi di qualcosa che non riesci a comprendere:

infatti è decisamente stolto colui che afferma o nega una cosa senza riflettere, sia in un caso che nell'altro;

e avviene spesso che l'opinione corrente spinge verso una falsa convinzione, e poi l'amore per la propria idea impedisce all'intelletto di ragionare.

Non solo invano ma anche con danno lascia la riva chi va a pesca del vero e non ne è capace, perché non torna nella condizione con cui è partito.

E questo nel mondo è dimostrato da Parmenide, Melisso e Brisone, che procedettero senza sapere dove andavano;

così fecero Sabellio, Ario e quegli stolti che furono come spade verso le Scritture, deformando i volti regolari.

Le genti, inoltre, non siano troppo frettolose a giudicare, come colui che calcola il valore delle messi quando non sono ancora mature nel campo;

infatti io ho visto il pruno tutto l'inverno stare rinsecchito e sterile, e poi in primavera fare sbocciare una rosa sul suo ramo;

e ho visto una nave procedere rapida e veloce lungo la sua rotta, per poi affondare all'entrata nel porto.

Non credano donna Berta e ser Martino che, se vedono un uomo che ruba e un altro che fa pie offerte, essi siano già giudicati da Dio; infatti il primo può salvarsi, l'altro può finire dannato».

salomone 2
Salomone in tarda età


SALOMONE

Salomone (in ebraico moderno Š?lomo o Šlomo, Gerusalemme, 1011 a.C. ca – Gerusalemme, 931 a.C. ca) è stato, secondo la Bibbia, il terzo re d'Israele, successore e figlio di Davide. Il suo regno è datato circa dal 970 al 930 a.C. e fu l'ultimo dei re del regno unificato di Giuda e Israele. Secondo il racconto biblico era figlio di Davide e Betsabea, che era stata moglie di Uria l'Ittita. Gli succedette il figlio Roboamo, che Salomone aveva avuto dalla moglie ammonita Naama, ma solo sul regno di Giuda. Il suo regno viene considerato dagli ebrei come un'età ideale, simile a quella del periodo augusteo a Roma. La sua saggezza, descritta nella Bibbia, è considerata proverbiale. Durante la sua reggenza venne costruito il tempio di Salomone, che divenne leggendario per le sue molteplici valenze simboliche. Particolari su vita, opere e saggezza di Salomone sono narrati anche nel Kebra Nagast (testo etiope redatto tra il IV e il VI secolo d.C., ma nella sua versione definitiva nel XII secolo). Di Salomone non esistono fonti documentali coeve, oltre ai Libri dei Re ed ai Libri delle Cronache, e mentre alcuni studiosi ne sostengono la storicità, pur non concordando sulle dimensioni del suo regno, altri dubitano della sua esistenza storica. Del periodo precedente la sua incoronazione le scritture non dicono nulla di più.
Salomone divenne re] per designazione divina, e la congiura di Adonia, suo fratellastro, accelerò solo i tempi. Il primo atto della reggenza di Salomone fu la messa a morte del fratello Adonia e di Joab, generale di Davide, per la congiura; condannò a morte anche Shimei per essere venuto meno al giuramento di residenza a Gerusalemme dopo che gli era stata condonata la vita per aver offeso Davide. Importante fu anche la destituzione dalla carica di sommo sacerdote di Abiatar a favore di Tsadok. Il punto di snodo del regno di Salomone fu la richiesta a Dio di dargli il discernimento tramite il dono della sapienza, necessario secondo lui per governare un popolo. Dopo questo fatto la sua potenza e ricchezza divennero leggendarie. L'argento di Re Salomone proveniva da Sardegna e Spagna, portato in oriente dalla flotta di Tartesso, ovvero l'Isola di Sardegna.
"Il Libro della Sapienza", scritto in greco, porta il suo nome: Sapienza di Salomone. Alla metà del X secolo a.C. iniziò la costruzione del tempio che terminò in circa sette anni. Questo dato è importante per capire la grandezza di Salomone, poiché Erode impiegò ben quarantasei anni per ampliare il secondo tempio, probabilmente senza riuscire a riportarlo allo stato originario. Il Tempio di Salomone ha provocato numerosi dibattiti tra gli studiosi: gli studiosi di scuola minimalista (come Israel Finkelstein, Ze'ev Herzog e Thomas L. Thompson) ritengono infatti che il Tempio in realtà sarebbe stato edificato molto tempo dopo da re Giosia, che l'avrebbe retrodatato ai tempi di Salomone per motivi nazionalistici; a questa tesi si oppongono gli studiosi della scuola massimalista e "centrista" (come Amihai Mazar, Kenneth Kitchen, William G. Dever e Baruch Halpern), che ritengono che il Tempio sia stato effettivamente costruito da Salomone, nonostante i testi biblici contengano senza dubbio delle esagerazioni. Ad esempio, le descrizioni bibliche del Tempio e del suo palazzo reale - dei quali, nonostante ripetute ricerche archeologiche, non sono state trovate tracce - sono incompatibili con il periodo salomonico e lo storico ed archeologo Mario Liverani sottolinea come "questi edifici, nelle dimensioni riportate dal testo biblico, superano di molto lo spazio disponibile nella piccola Gerusalemme che l'archeologia consente di assegnare al X secolo (cioè la sola «città di David»). Si tratta di progetti di età persiana, proiettati indietro al tempo di Salomone per conferir loro un valore fondante", e anche la Bibbia Edizioni Paoline evidenzia che "l’amplificata descrizione della fabbrica del tempio e del suo mobilio armonizza i dati del tempio di Salomone con quelli dell’epoca post-esilica". Va comunque rilevato come le cifre indicate nella Bibbia, in riferimento a Salomone, siano a volte sproporzionate e in contraddizione tra loro e la sua figura, soprattutto nei Libri delle Cronache, venga spesso idealizzata. Anche "le entrate di Salomone sono descritte in termini favolosi" e le quantità d'oro riportate nel testo biblico del tutto inverosimili, mentre storicamente "non esiste neanche un singolo testo egiziano fra quelli noti che nomini David o Salomone per la loro ricchezza e la loro potenza".
Le storie dell'amore tra Salomone e la regina di Saba, Makeda, e della nascita del loro figlio primogenito, Menelik, sono narrate con ricchezza di particolari nel libro sacro Kebra Nagast, il libro della Gloria dei Re. Questo antico testo sostiene anche che «un tempo tutto il mondo fu composto da tre regni (…) guidati da tre Re, i tre figli di Salomone», e che ci fu un lungo periodo in cui «i Re di tutto il mondo discendevano dalla stirpe di Sem».
Come ogni altro re di quel periodo, Salomone prese a circondarsi di mogli straniere (Moabite, Ammonite, Idumee, Sidonie, Ittite), sia per motivi politici (poteva così stringere alleanze coi popoli vicini) sia per dimostrare il proprio potere. Ma per questa via attuò anche una decadenza spirituale all'interno d'Israele, dato che ogni nuova moglie adorava diverse divinità e pure Salomone si lasciò corrompere dall'idolatria. Oltre alla figlia del faraone, Salomone aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine. Quando fu vecchio, le sue donne l'attirarono verso dèi stranieri. Seguì Astarte, divinità dei Sidoni, e Milcom, divinità degli Ammoniti. Fu allora che costruì, sul monte che sta di fronte a Gerusalemme, un alto luogo per Chemosh, la divinità di Moab, e per Moloch, la divinità dei figli di Ammon. Fece così per tutte le sue donne straniere, le quali offrivano profumi e sacrifici ai loro dèi. Il Signore gli era apparso due volte e gli aveva comandato di non seguire altri dèi, ma Salomone non osservò quanto gli aveva comandato. Il fatto di aver infranto il primo e più importante dei Dieci comandamenti, quello che vieta l'idolatria, portò alla decisione divina di dividere il regno in due parti, ma solo dopo la morte di Salomone: una parte a Roboamo, discendente legittimo, che regnò sulle tribù di Giuda e Beniamino e l'altra parte a Geroboamo, che regnò su tutte le altre, creando il regno di Israele. Il profeta Achia di Silo, sdegnato, gli predisse questo scisma politico e religioso dopo la sua morte, ungendo re delle tribù del nord il suo generale Geroboamo. Salomone tentò di ucciderlo, ma egli si rifugiò in Egitto.
Secondo la tradizione ebraica, l'Arca Santa si trova invece ancora in uno dei meandri sotterranei del tempio di Gerusalemme: questi furono costruiti appositamente in previsione della futura distruzione del tempio. A ogni modo, l'Arca non è più menzionata nella Bibbia dopo l'incontro di Salomone con la regina di Saba descritto anche nell'Antico Testamento.
Il primo Libro dei Re dà un esempio significativo della sapienza di Salomone. Nel mondo antico era un fatto comune chiedere il giudizio del re, non esistendo la moderna suddivisione dei poteri: i regnanti, quindi, erano i giudici supremi a cui venivano sottoposti i casi più difficili. E quello sottoposto al re d'Israele sembrava irrisolvibile. Due donne si presentarono da Salomone: ciascuna aveva partorito un figlio a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro ed entrambe dormivano nella stessa casa. Una notte accadde che uno dei due bambini morì e sua madre, secondo l'accusa, aveva scambiato il figlio morto con quello vivo dell'altra donna mentre questa dormiva. Salomone, dopo aver ascoltato le due donne sostenere più volte le loro tesi, fece portare una spada e ordinò che il bambino vivente fosse tagliato a metà per darne una parte a ciascuna di esse. Allora la vera madre lo supplicò di consegnare il bimbo all'altra donna, pur di salvarlo. Salomone capì così che quella era la vera madre e le restituì il bambino. Fu così reso noto a tutti che Salomone era veramente un re buono, santo, di fede e Zaddiq.
La saggezza, la ricchezza e la grandezza del regno di Salomone, secondo la Bibbia, divennero leggendarie. Attualmente, l'archeologia, inclusa quella israeliana, molto attiva nel campo dell'archeologia biblica, ridimensiona - anche supponendo l'esistenza di re Salomone, cosa che solleva molti dubbi tra gli storici - la grandezza di tale regno e i fasti descritti per Gerusalemme: dall'inizio del XXI secolo, Gerusalemme "è stata scavata come mai prima di allora. Tuttavia, come concorderebbe la stragrande maggioranza degli archeologi [...] la capitale di un regno unificato di Davide e Salomone non è stata trovata" e, in merito alle miniere di Salomone - che furono associate, dagli anni Trenta, all'area della valle del Timna - "nessun archeologo serio oggi pensa che se anche fosse esistito re Salomone, il suo dominio arrivasse fino a Timna nel sud".
Le notizie su Salomone, secondo il testo biblico, si diffusero in Oriente, tanto che molti "potenti" di allora vollero metterlo alla prova, facendogli visita e portandogli doni. Nella Bibbia ci viene proposto l'incontro con la regina di Sheba (o Saba), molto probabilmente dell'antico regno sabeo, nella zona dell'attuale Etiopia, la cui mitica ricchezza era ben nota alla cultura biblica, che dei Sabei parla nel "Libro dei Popoli". Il libro sacro dell'Etiopia intitolato Kebra Nagast narra dettagliatamente del loro incontro, del loro figlio Menyelek (o Menelik) e dello spostamento dell'Arca dell'Alleanza: secondo la tradizione etiope, seguendo la linea monarchica di discendenza diretta, il duecentoventicinquesimo erede del trono di Salomone è Ras Tafari Makonnen, il negus, ultimo Re dei Re, incoronato Imperatore il 2 novembre 1930 col nome di Haile Selassie I, letteralmente Potere della Santa Trinità. Per questa ragione il re Salomone è tenuto in particolare considerazione anche dai credenti della livity (filosofia di vita) rastafari.
La visita della regina di Saba a Salomone, secondo gli studiosi del Nuovo Grande Commentario Biblico, è "una leggenda popolare, ma può avere un nocciolo storico in una visita da parte di una delegazione commerciale araba"; secondo il racconto biblico, tra i doni che la regina portò a Salomone vi furono centoventi talenti d'oro, ovvero ben oltre le due tonnellate di oro, una quantità inverosimile.
A Salomone vengono attribuiti due salmi, la maggior parte del libro dei Proverbi e due libri del canone. Visto che non c'è accordo tra gli studiosi liberali e quelli di orientamento conservatore, in linea di massima si può dire che i primi negano la paternità al re d'Israele di queste opere, mentre i secondi gliele attribuiscono. Attualmente, comunque, anche la più autorevole esegesi cristiana riconosce come a Salomone non si possano attribuire libri biblici. Gli esegeti del Nuovo Grande Commentario Biblico ritengono, infatti, che "c'è un ampio accordo tra gli studiosi sul fatto che il contesto della composizione della letteratura sapienziale non vada collocato durante la vita di Salomone. La sua grande fama di saggio è senza alcun dubbio la ragione della sua «paternità» di tre libri sapienziali, ma nessuno dei tre [Proverbi, Qoelèt, Sapienza] può a buon diritto reclamarlo come autore […] Non c'è dubbio: l'attribuzione di questi libri a Salomone serviva ad accrescere la loro autorità"; anche gli studiosi dell'interconfessionale Bibbia TOB sottolineano come per il Cantico dei Cantici "l'autore non è certamente Salomone: come è accaduto per Proverbi, Qoelèt, Sapienza, il Cantico gli è stato attribuito" e quelli della Bibbia (Edizioni Paoline) - concordemente agli esegeti dell'École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia di Gerusalemme) - evidenziano che nel Cantico dei Cantici "l'attribuzione a Salomone è quindi fittizia (come in Qohèlet e Sapienza) ed è indice che il redattore ha inteso collocare il suo libro nell'alveo della corrente sapienzale, di cui Salomone era l'alto patrono". Anche la paternità dei due salmi 72 e 127 non sembra attribuibile a Salomone: nei Salmi - il cui testo ci è, peraltro, giunto con numerosi casi di corruzione testuale - l'attribuzione nel titolo del salmo è spesso un'aggiunta successiva, che oltretutto non intendeva forse neppure riferirsi all'autore. È stato ipotizzato[38] che già al suo tempo fosse conosciuto il valore del p, noto ai Babilonesi del XX secolo a.C. e poi impiegato dagli Egizi nel XVII secolo, entrambi popoli confinanti coi primi israeliti vissuti nella Mezzaluna Fertile. Al pi greco fu attribuito un potere magico-spirituale anche nei secoli successivi, le cui proprietà furono codificate dalla geometria sacra dei pitagorica nel VI secolo. Salomone (in arabo: Sulayman) è citato cinque volte nel Corano come profeta saggio ed in possesso della conoscenza di molteplici scienze tradizionali. A questo re sono inoltre legate numerose storie riportate da commentatori coranici antichi e da storici musulmani riguardo al suo rapporto con i jinn, che si dice fossero totalmente al suo servizio. Importante episodio coranico legato alla figura di Salomone è la storia (già presente nella Bibbia) del suo incontro con Bilqis, la regina di Saba, episodio narrato con minuzia di particolari nel libro sacro della Gloria dei Re, ovvero il Kebra Nagast. Salomone è anche ricordato come grande costruttore di edifici, strade e canalizzazioni. A tale proposito lo storico omanita al-‘Awtabi (secoli XI-XII) attribuisce a Salomone e ai suoi jinn lo scavo e la costruzione di 1000 canali. Cor 34:11-13 si riferisce al dono divino ricevuto da Salomone di essere trasportato dal vento a una velocità che aveva del miracoloso, peculiarità ripresa da alcuni storici arabi fra cui si può ricordare ?abari, che parla di un viaggio fra la Siria e Istakhr, in Iran, e al-‘Awtabi che parla di un viaggio fra Istakhr e Gerusalemme durante il quale sorvolò l'Oman dove vide a Salut, sito posto nella zona di Nizwa, un palazzo che sembrava appena terminato e abitato da un'aquila la quale, interrogata dal profeta, riferì di essere arrivata in quel luogo 800 anni prima e di avervi trovato già il palazzo disabitato ma in ottimo stato.

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Eugenio Caruso - 13 - 09 - 2021

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www.impresaoggi.com