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Dante, Paradiso, Canto XIV. Sulla resurrezione dei corpi.

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

INTRODUZIONE
Il Paradiso è la terza delle tre cantiche che compongono la Divina Commedia, dopo l'Inferno e il Purgatorio; a differenza delle altre due Cantiche questa è, a volte, un po' noiosa, come ricordiamo anche dai nostri studi liceali.
La struttura del Paradiso è costruita sul sistema geocentrico di Aristotele e di Tolomeo: al centro dell'universo sta la Terra, nella regione sublunare, e intorno a essa nove sfere concentriche, responsabili del movimento dei pianeti. Mentre l'Inferno è un luogo presente sulla Terra, il Paradiso è un mondo immateriale, etereo, diviso in nove cieli: i primi sette prendono il nome dai corpi celesti del sistema solare (nell'ordine Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile (concepito come un cielo purissimo senza astri). Il tutto è contenuto nell'Empireo. Il rapporto tra Dante e i beati è molto diverso rispetto a quello che il poeta ha intrattenuto coi dannati e i penitenti: tutte le anime del Paradiso, infatti, risiedono nell'Empireo, e precisamente nella Candida Rosa, dal quale essi contemplano direttamente Dio; tuttavia, per rendere più comprensibile al viaggiatore l'esperienza del Paradiso, le figure gli appaiono di cielo in cielo, in una precisa corrispondenza astrologica tra la qualità di ogni pianeta e il tipo di esperienza spirituale compiuta dal personaggio descritto: ad esempio, nel cielo di Venere appaiono gli spiriti amanti, e in quello di Saturno gli spiriti contemplativi.
All'ingresso del Paradiso terrestre, situato sulla cima della montagna del Purgatorio, Virgilio, che secondo l'interpretazione figurale rappresenta la Ragione, scompare (Purgatorio, canto XXX) e viene sostituito da Beatrice, raffigurante la Teologia. Ciò simboleggia l'impossibilità per l'uomo di giungere a Dio per il solo mezzo della ragione umana: è necessario un diverso livello di "ragione divina" (ossia di verità illuminata), rappresentato appunto dall'accompagnatrice.
Successivamente, a Dante si affiancherà una nuova guida: Beatrice, infatti, lascia maggiore spazio a san Bernardo di Chiaravalle, pur restando presente e pregando per il poeta nel momento dell'invocazione finale del santo alla Madonna. La Teologia (Beatrice) non è sufficiente per elevarsi alla visione di Dio, alla quale si può giungere solo attraverso la contemplazione mistica dell'estasi, rappresentata allegoricamente da san Bernardo. Nello scandire i tempi del viaggio attraverso il Paradiso, Dante ha presente lo schema dell'Itinerario della mente in Dio di San Bonaventura, che prevedeva platonicamente tre gradi di apprendimento: l'Extra nos, ovvero l'esperienza dei sette cieli, corrispondente alla conoscenza sensibile della teoria platonica; l'Intra nos, o l'esperienza delle stelle fisse, corrispondente alla visione immaginativa; il Supra nos, o l'esperienza dell'Empireo, corrispondente alla conoscenza intellettuale. In questa scansione sono tuttavia presenti anche elementi di carattere scolastico-aristotelico (vita mondana, attiva e contemplativa) e agostiniano (la vita attiva secondo la Scientia, e la vita contemplativa secondo la Sapientia).
Nel Paradiso dimora l'eterna beatitudine: le anime contemplano la divinità di Dio e sono colme di grazia. Via via che Dante ascende, intorno a lui aumenta la luminosità, e il sorriso di Beatrice diviene sempre più abbagliante. Dante arriverà a vedere Dio e a contemplare la Trinità grazie all'intercessione della Madonna invocata da San Bernardo. Durante il viaggio in Paradiso, Dante affronta molte questioni filosofiche e teologiche spiegandole sulla base del sapere medievale.
Gli angeli delle gerarchie si suddividono in tre sfere di tre cori (o ordini) ciascuno, secondo la dottrina già abbozzata da san Paolo. I tre ordini superiori rivolgono lo sguardo direttamente a Dio, e vivono completamente immersi in Lui. Sono Serafini, angeli il cui atto è solo amore; i Cherubini che sussistono nella conoscenza; i Troni la cui caratteristica consiste nella partecipazione attiva all'altissima presenza di Dio. Seguono le Dominazioni, le Virtù, le Potestà: la loro esistenza si attua nella collaborazione, attraverso la contemplazione e l'amore, al piano di Dio. Gli ultimi tre cori, Principati, Arcangeli e Angeli, vivono partecipando dell'atto stesso divino che crea e regge il mondo, al divenire del cosmo e alla storia dell'uomo. Gli angeli sono anche messaggeri di Dio di cui Egli si serve per agire nel mondo.
Secondo un'antichissima dottrina le intelligenze angeliche muovono le sfere celesti, poiché il primo effetto dell'azione divina è l'anelito verso di Lui, consistente nel movimento, e questo si attua nel circolo che è forma di eternità. La sfera più esterna gira più rapidamente poiché più vicina all'empireo, il luogo dove risiede Dio.

cherubini

Cherubini - Raffaello

RIASSUNTO DEL CANTO XIV

Il Canto è strutturalmente diviso in due parti, corrispondenti al dubbio di Dante sulla resurrezione dei corpi svelato da Salomone e all'ascesa al Cielo di Marte con l'apparizione della croce degli spiriti combattenti, per cui è una sorta di «passaggio» che chiude l'ampia parentesi dedicata agli spiriti sapienti del Cielo del Sole per introdurre il lettore al «trittico» di Canti (XV, XVI, XVII) dedicati all'avo Cacciaguida e alla definizione dell'alta missione del poeta.
Il Canto si apre con Beatrice che dopo un silenzio durato tre canti (XI, XII, XIII) riprende il suo ruolo di guida e si rivolge alle anime, invitandole a sciogliere il dubbio di Dante che lei ha intuito ancor prima che il poeta lo abbia formulato nella sua mente: Dante ricorre a un'immagine semplice e familiare, quella delle onde concentriche sulla superficie d'acqua di un vaso che vanno dall'orlo al centro se il vaso è percosso, e viceversa se si getta qualcosa nell'acqua, per rappresentare la voce di san Tommaso che va dalla corona a Beatrice e da lei ai beati (non sarà l'unica immagine volutamente modesta usata da Dante nel Canto).
Il dubbio del poeta riguarda la resurrezione dei corpi mortali e la loro luminosità quando i beati se ne saranno rivestiti, se cioè essa aumenterà e, in tal caso, se i loro occhi corporei potranno sostenerne la vista: la questione, ampiamente dibattuta dalla dottrina cristiana del tempo, era stata già accennata da Virgilio in Inf., VI, 103-111, che alla domanda di Dante circa la maggiore o minore intensità delle pene dei dannati dopo la resurrezione aveva risposto al lume della fisica aristotelica e aveva precisato che l'unione di corpo e anima rende quest'ultima più perfetta, quindi accresce la sensibilità al dolore e alla gioia; Beatrice era poi tornata sull'argomento della resurrezione dei corpi in Par., VII, 121-148, affermando che essi sono incorruttibili in quanto creati da Dio e perciò destinati a risorgere alla fine dei tempi, dopo aver perso temporaneamente tale perfezione in seguito al peccato originale. Il problema viene poi definitivamente risolto da Salomone, l'anima che risponde all'appello di Beatrice e svela il dubbio di Dante, presentato come la luce più dia («splendente») della corona interna e che si rivolge al poeta con voce modesta (l'identificazione di questo beato trova concordi quasi tutti i critici, anche se con alcune eccezioni data l'ambiguità del passo): il re biblico spiega che la luce di cui i beati sono rivestiti non solo resterà dopo la resurrezione dei corpi, ma aumenterà a causa della loro accresciuta capacità di vedere Dio, il che amplificherà la loro gioia e, di conseguenza, il loro splendore.
Non per questo il corpo sarà invisibile, poiché lo si potrà vedere come il carbone avvolto dalla fiamma, per cui i beati saranno visibili l'uno all'altro e la luminosità dei loro corpi non arrecherà danno alla loro vista, poiché i loro occhi saranno rafforzati come tutti gli organi dei loro corpi terreni. Dante precisa dunque che i beati riacquisteranno il loro aspetto terreno e potranno vedersi reciprocamente, il che sarà una consolazione e una gioia in quanto permetterà di rivedere i volti delle persone amate sulla Terra: è quanto il poeta afferma, sia pure in modo dubitativo, descrivendo la gioia dei beati alle parole di Salomone e il loro desiderio di riavere i loro corpi materiali, per poter rivedere le mamme... li padri e... li altri che fuor cari / anzi che fosser sempiterne fiamme, mentre già prima aveva dichiarato che la morte del corpo non va temuta, in quanto permette a chi si salva di viver colà sù e di godere dell'eterna beatitudine che deriva dalla visione di Dio. Questa sarà del resto maggiore quando l'anima sarà unita al corpo, come afferma Salomone, spiegando che la maggior grazia fa aumentare la visione divina, quindi la gioia, quindi la beatitudine, termini che vengono ribaditi in ordine inverso ai vv. 49-51 attraverso la triplice anafora crescer. La gioia dei beati alle parole di Salomone è poi accompagnata dall'apparizione di altre anime di spiriti sapienti, che circondano le due corone e fanno aumentare ancora lo splendore del Cielo, preparando l'ascesa del poeta e di Beatrice a quello successivo di Marte.
Questo viene descritto di un colore rosseggiante che si fa più vivo a causa della bellezza di Beatrice, per cui alla luce bianca e abbagliante del Cielo del Sole si sostituisce quella rossa della stella di Marte, su cui spicca ben presto la croce biancheggiante in cui si muovono le luci degli spiriti combattenti (è stato osservato che questo Canto può essere definito «della luce», anche per l'argomento trattato nella prima parte).
La croce è paragonata alla Via Lattea che si distende fra gli opposti poli celesti, quindi il suo colore è bianco come quello della Fede (gli spiriti di questo Cielo combatterono in nome di essa) e il suo simbolo rimanda certo al sacrificio di Cristo e alla redenzione dal peccato orginale, anche se alcuni l'hanno messa in relazione alle Crociate cui rimandano personaggi come Cacciaguida e altri spiriti inclusi da Dante in questa schiera.
I beati non formano la croce ma si muovono lungo gli assi orizzontale e verticale di essa, come luci di colore rosso e bianco (così pare di capire dai vv. 94-96 che descrivono i lumi con tanto lucore e robbi) e paragonati ai corpuscoli di polvere che attraversano un raggio di luce che filtra attraverso una fessura, con un'immagine altrettanto familiare rispetto a quella di apertura di Canto. Nonostante ciò la raffigurazione ha qualcosa di grandioso e prepara in tono solenne la presentazione dell'avo Cacciaguida nel Canto seguente, in quanto nella croce sembra lampeggiare Cristo (Dante si scusa col lettore di non poterne dare una descrizione adeguata, in accordo alla poetica dell'«inesprimibile») e i beati intonano un inno di lode di cui il poeta non coglie che poche parole, «Risorgi» e «Vinci» che quasi certamente rimandano alla resurrezione di Cristo stesso; la melodia del canto è di bellezza indicibile, paragonata alla nota indistinta emessa da uno strumento a corde e tale da rapire Dante in estasi, al punto di posporre la gioia per questo spettacolo alla bellezza degli occhi di Beatrice (e già al suo ingresso in questo Cielo il poeta aveva sentito l'esigenza di fare olocausto, «offerta di tutto se stesso» a Dio per ringraziarlo della grazia che gli ha concesso).
L'insistenza con cui, nei versi finali, Dante si scusa per aver osato mettere in secondo piano la bellezza della donna rispetto allo spettacolo celeste si spiega con il valore allegorico di Beatrice-teologia, che può tuttavia essere posposto alla magnificenza del trionfo della croce: il poeta sottolinea comunque che non ha ancora guardato gli occhi di Beatrice da quando è asceso al Cielo di Marte, e poiché essi si fanno più belli man mano che si sale non può escludere che il loro splendore sia superiore a quello del Cielo stesso (sulla bellezza degli occhi di Beatrice cfr. Inf., II, 55, 116; Purg., XXXI, 115-117, 133-145; la canzone Donne, ch'avete intelletto d'amore, del cap. XIX della Vita Nova).

Note
- L'espressione fé sùbito caso del v. 4 vuol dire «fece improvvisa caduta», quindi «cadde all'improvviso» nella mente del poeta (caso è latinismo da casus, caduta).
- Il v. 25 va prob. interpretato come il lamento in generale per la morte, non solo per la propria o quella dei propri cari.
- Ai vv. 27-28 la Trinità è citata con un raffinato chiasmo, Quell'uno e due e tre che sempre vive / e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno, in cui vi è perfetta corrispondenza fra i tre numeri e i verbi vive / regna, separati in entrambi i versi dall'avv. sempre.
- Al v. 33 muno è latinismo da munus, «premio».
- Al v. 34 dia (come nelle altre occorrenze del poema) significa «splendente» e si riferisce con ogni probabilità a Salomone, definito da san Tommaso come la luce, ch'è tra noi più bella  (X, 109); non molto chiaro perché la sua voce sia detta modesta e paragonata a quella dell'arcangelo Gabriele al momento dell'Annunciazione, anche se forse Salomone è consapevole dei limiti della sua sapienza di re rispetto a quella dottrinale degli altri spiriti sapienti (non è ipotesi del tutto convincente).
- I vv. 40-42 chiariscono che Dio elargisce ai beati la grazia illuminante, che accresce la loro visione di Dio stesso e, quindi, la loro gioia e il loro splendore; i vv. 49-51 ribadiscono gli stessi termini ma in ordine inverso, attraverso la triplice anafora crescer.
- La similitudine del carbone che è visibile anche se avvolto dalla fiamma è forse tratta da questo passo di san Bonaventura (In IV Sent., d. XLIX, 2): corpus resurgens per naturam suam habebit colorem et claritas luminis superinduet ipsum sicut ignis carbonem, «il corpo che risorgerà avrà per sua natura un colore tale e sarà avvolto da una tale luminosità come il carbone è avvolto dalla fiamma».
- Al  v. 62 Amme è forma toscana per «Amen», ancor oggi diffusa.
- I vv. 74-75 hanno indotto alcuni commentatori a parlare di una terza corona di spiriti sapienti che circonda le altre due, anche se nulla nel testo sembra confermarlo.
- Al v. 89 olocausto significa «offerta», «sacrificio», quindi Dante ringrazia Dio facendo offerta di tutto se stesso; il termine in greco vuol dire «vittima interamente bruciata» e Dante lo conosceva attraverso san Tommaso (cfr. vv. 91-92, l'ardor del sacrificio). Al v. 93 litare è latinismo e significa «sacrificio» (è un infinito sostantivato ed è la sola occorrenza nel poema).
- Al v. 96 Eliòs è il nome greco del dio Sole, ma qui prob. Dante intende rivolgersi a Dio, poiché il poeta leggeva nelle Derivationes di Uguccione da Pisa la pseudo-etimologia da Ely, il nome ebraico di Dio.
- I vv. 100-102 indicano che i due raggi che biancheggiano simili alla Via Lattea si intersecano perpendicolarmente, come gli assi che dividono il cerchio in quattro quadranti uguali; la croce che ne risulta è quindi una croce greca, a bracci uguali.
- Ai vv. 104, 106, 108 la parola Cristo rima con se stessa, come in XII, 71-75.
- Il v. 106 prob. non indica il crociato, come inteso da alcuni commentatori, ma colui che segue Cristo rinunciando a tutto il resto (cfr. Matth., XVI, 24: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me, «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»).
- Al v. 118 la giga indica uno strumento musicale a corde, diffuso nel Medioevo ma di difficile individuazione e forse simile all'arpa citata subito dopo. Il v. 120 spesso è stato interpretato come riferimento a chi non intende la musica, ma forse Dante allude a certi suoni indistinti che sono emessi proprio dagli strumenti a corde come quelli citati (il poeta vuol dire che non è in grado di comprendere la melodia dell'inno intonato dai beati).
- Al v. 129 vinci  vuol dire «catene» ed è in rima equivoca col v. 125.
- I vv. 133-139 hanno dato filo da torcere agli interpreti, ma forse l'ipotesi più semplice e più credibile è che i vivi suggelli / d'ogne bellezza  siano gli occhi di Beatrice, per cui Dante vuol dire che essi diventano tanto più belli quanto più si sale in Paradiso ed egli non li ha ancora guardati nel Cielo di Marte.
- Il bisticcio Escusar... escusarmi  dei vv. 136-137 è di derivazione guittoniana.

gabriele 1
L'Annunciazione di Leonardo



TESTO DEL CANTO XIV

Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro 
movesi l’acqua in un ritondo vaso, 
secondo ch’è percosso fuori o dentro:                           3

ne la mia mente fé sùbito caso 
questo ch’io dico, sì come si tacque 
la glorïosa vita di Tommaso,                                            6

per la similitudine che nacque 
del suo parlare e di quel di Beatrice, 
a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:                             9

«A costui fa mestieri, e nol vi dice 
né con la voce né pensando ancora, 
d’un altro vero andare a la radice.                                  12

Diteli se la luce onde s’infiora 
vostra sustanza, rimarrà con voi 
etternalmente sì com’ell’è ora;                                       15

e se rimane, dite come, poi 
che sarete visibili rifatti, 
esser porà ch’al veder non vi nòi».                                18

Come, da più letizia pinti e tratti, 
a la fiata quei che vanno a rota 
levan la voce e rallegrano li atti,                                      21

così, a l’orazion pronta e divota, 
li santi cerchi mostrar nova gioia 
nel torneare e ne la mira nota.                                        24

Qual si lamenta perché qui si moia 
per viver colà sù, non vide quive 
lo refrigerio de l’etterna ploia.                                         27

Quell’uno e due e tre che sempre vive 
e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno, 
non circunscritto, e tutto circunscrive,                            30

tre volte era cantato da ciascuno 
di quelli spirti con tal melodia, 
ch’ad ogne merto saria giusto muno.                           33

E io udi’ ne la luce più dia 
del minor cerchio una voce modesta, 
forse qual fu da l’angelo a Maria,                                   36

risponder: «Quanto fia lunga la festa 
di paradiso, tanto il nostro amore 
si raggerà dintorno cotal vesta.                                      39

La sua chiarezza séguita l’ardore; 
l’ardor la visione, e quella è tanta, 
quant’ha di grazia sovra suo valore.                              42

Come la carne gloriosa e santa 
fia rivestita, la nostra persona 
più grata fia per esser tutta quanta;                               45

per che s’accrescerà ciò che ne dona 
di gratuito lume il sommo bene, 
lume ch’a lui veder ne condiziona;                                 48

onde la vision crescer convene, 
crescer l’ardor che di quella s’accende, 
crescer lo raggio che da esso vene.                              51

Ma sì come carbon che fiamma rende, 
e per vivo candor quella soverchia, 
sì che la sua parvenza si difende;                                  54

così questo folgór che già ne cerchia 
fia vinto in apparenza da la carne 
che tutto dì la terra ricoperchia;                                       57

né potrà tanta luce affaticarne: 
ché li organi del corpo saran forti 
a tutto ciò che potrà dilettarne».                                      60

Tanto mi parver sùbiti e accorti 
e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», 
che ben mostrar disio d’i corpi morti:                            63

forse non pur per lor, ma per le mamme, 
per li padri e per li altri che fuor cari 
anzi che fosser sempiterne fiamme.                             66

Ed ecco intorno, di chiarezza pari, 
nascere un lustro sopra quel che v’era, 
per guisa d’orizzonte che rischiari.                                 69

E sì come al salir di prima sera 
comincian per lo ciel nove parvenze, 
sì che la vista pare e non par vera,                                 72

parvemi lì novelle sussistenze 
cominciare a vedere, e fare un giro 
di fuor da l’altre due circunferenze.                                75

Oh vero sfavillar del Santo Spiro! 
come si fece sùbito e candente 
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!                               78

Ma Beatrice sì bella e ridente 
mi si mostrò, che tra quelle vedute 
si vuol lasciar che non seguir la mente.                        81

Quindi ripreser li occhi miei virtute 
a rilevarsi; e vidimi translato 
sol con mia donna in più alta salute.                             84

Ben m’accors’io ch’io era più levato, 
per l’affocato riso de la stella, 
che mi parea più roggio che l’usato.                             87

Con tutto ‘l core e con quella favella 
ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, 
qual conveniesi a la grazia novella.                               90

E non er’anco del mio petto essausto 
l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi 
esso litare stato accetto e fausto;                                   93

ché con tanto lucore e tanto robbi 
m’apparvero splendor dentro a due raggi, 
ch’io dissi: «O Eliòs che sì li addobbi!».                       96

Come distinta da minori e maggi 
lumi biancheggia tra ‘ poli del mondo 
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;                         99

sì costellati facean nel profondo 
Marte quei raggi il venerabil segno 
che fan giunture di quadranti in tondo.                         102

Qui vince la memoria mia lo ‘ngegno; 
ché quella croce lampeggiava Cristo, 
sì ch’io non so trovare essempro degno;                    105

ma chi prende sua croce e segue Cristo, 
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, 
vedendo in quell’albor balenar Cristo.                         108

Di corno in corno e tra la cima e ‘l basso 
si movien lumi, scintillando forte 
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:                   111

così si veggion qui diritte e torte, 
veloci e tarde, rinovando vista, 
le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,                               114

moversi per lo raggio onde si lista 
talvolta l’ombra che, per sua difesa, 
la gente con ingegno e arte acquista.                           117

E come giga e arpa, in tempra tesa 
di molte corde, fa dolce tintinno 
a tal da cui la nota non è intesa,                                    120

così da’ lumi che lì m’apparinno 
s’accogliea per la croce una melode 
che mi rapiva, sanza intender l’inno.                            123

Ben m’accors’io ch’elli era d’alte lode, 
però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci» 
come a colui che non intende e ode.                           126

Io m’innamorava tanto quinci, 
che ‘nfino a lì non fu alcuna cosa 
che mi legasse con sì dolci vinci.                                 129

Forse la mia parola par troppo osa, 
posponendo il piacer de li occhi belli, 
ne’ quai mirando mio disio ha posa;                           132

ma chi s’avvede che i vivi suggelli 
d’ogne bellezza più fanno più suso, 
e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,                               135

escusar puommi di quel ch’io m’accuso 
per escusarmi, e vedermi dir vero: 
ché ‘l piacer santo non è qui dischiuso, 

perché si fa, montando, più sincero.                            13
gabriele 2
L'Annunciazione del Tiepolo

PASRAFRASI CANTO XIV

L'acqua in un vaso rotondo si muove dal centro all'orlo e viceversa, a seconda che il vaso sia colpito all'esterno o all'interno:

questa cosa che dico mi venne in mente all'improvviso, non appena l'anima gloriosa di san Tommaso tacque, per la somiglianza tra le sue parole e quelle di Beatrice, alla quale piacque iniziare a parlare dopo di lui:

«A costui, anche se non ve lo dice con la voce né ha formulato il pensiero, serve andare alla radice di un'altra verità (sciogliere un ulteriore dubbio).

Ditegli se la luce di cui si abbellisce la vostra anima resterà con voi per l'eternità, con lo stesso splendore;

e se rimane, ditegli in che modo, dopo esservi rivestiti del vostro corpo, essa non potrà danneggiare la vostra vista».

Come talvolta quelli che danzano in cerchio, spinti da una maggiore gioia, alzano la voce e rendono più lieti i loro gesti, così quelle sante corone mostrarono nuova felicità a quella preghiera pronta e devota di Beatrice, ruotando e cantando mirabilmente.

Chi si lamenta del fatto che si muore sulla Terra per vivere in Cielo, non ha visto in questo luogo il refrigerio (l'appagamento) dell'eterna pioggia (beatitudine).

Quel Dio che è uno e trino e vive sempre e regna in questa Trinità, non circoscritto e tale da circoscrivere ogni cosa, era cantato tre volte da quelli spiriti con una melodia tale che sarebbe il giusto premio a qualunque merito.

E io sentii nella luce più splendente della corona interna (l'anima di Salomone) una voce modesta, forse simile a quella dell'arcangelo Gabriele a Maria nell'Annunciazione, che rispose: «Per tutto il tempo in cui saremo beati in Paradiso, il nostro ardore di carità irradierà intorno a noi questo splendore.

La sua luminosità è conseguenza dell'ardore di carità; esso è conseguenza della visione divina e quella corrisponde alla grazia illuminante che Dio ci elargisce.

Non appena ci saremo rivestiti della nostra carne gloriosa e santa, la nostra persona sarà più gradita (a Dio) per essere nuovamente integra;

perciò sarà maggiore il dono di grazia divina che ci viene elargito da Dio, dono che ci permette di contemplarlo;

perciò la visione di Dio sarà più intensa, aumenterà l'ardore di carità che essa accende, aumenterà lo splendore che proviene da essa.

Ma come il carbone avvolto dalla fiamma la supera per il suo colore bianco incandescente, in modo tale da continuare ad essere visibile, così questo fulgore che già ci avvolge sarà vinto dall'aspetto del corpo che ora è sepolto in terra;

e un tale splendore non potrà abbagliarci, poiché gli organi del corpo saranno rafforzati per fruire di tutto ciò che potrà darci gioia».

Le due corone di spiriti furono pronti e solleciti a dire «Amen!», tanto che manifestarono un gran desiderio di riavere i loro corpi morti:

forse non solo per se stessi, ma per (rivedere) le madri, i padri e le altre persone che amarono prima di diventare fiamme eterne.

Ed ecco nascere tutto intorno, di uguale lucentezza, un chiarore in aggiunta a quello che già c'era, simile ad un orizzonte che si rischiara.

E come al calare della sera appaiono in cielo le prime stelle, tali che sembra e non sembra di vederle, così mi sembrò lì di vedere le nuove luci dei beati, e mi sembrò che ruotassero intorno alle altre due corone.

Oh, autentico sfolgorio dello Spirito Santo! come diventò d'improvviso incandescente ai miei occhi che, vinti, non poterono sostenere lo sguardo!

Ma Beatrice mi si mostrò tanto bella e sorridente che devo rinunciare a descriverla e tralasciarla fra quelle cose viste che la memoria non poté seguire.

Grazie a lei i miei occhi ripresero la forza di risollevarsi, e vidi che ero trasportato da solo con Beatrice a un più alto grado di beatitudine (nel Cielo seguente, di Marte).

Mi accorsi di essere salito più in alto, perché la stella era rossa come il fuoco e brillava assai più del solito.

Feci offerta di me stesso a Dio con tutto il cuore e con quel linguaggio (della preghiera) che è identico in tutti, proprio come si addiceva a quella nuova grazia.

E nel mio petto non si era ancora estinto l'ardore del sacrificio, quando mi accorsi che quella preghiera era stata bene accetta;

infatti, mi apparvero lucenti e rosseggianti degli splendori dentro a due raggi, al punto che dissi: «O Dio, tu li abbellisci così!»

Come la Via Lattea, la Galassia la cui natura fa dubitare i più saggi, biancheggia tra gli opposti poli celesti, punteggiata da stelle di maggiore e minore splendore, così quei due raggi, percorsi dai lumi, formavano nella profondità di Marte il segno venerabile (della croce) che fanno gli assi che dividono il cerchio in quattro quadranti uguali.

Qui la mia labile memoria vince sul mio ingegno, poiché quella croce faceva lampeggiare Cristo in modo tale che io non so trovare un esempio degno per descriverla;

ma chi prende la sua croce e segue Cristo mi scuserà se io rinuncio a rappresentarla, poiché io vedevo balenare in quel biancore la figura di Cristo.

Lungo l'asse orizzontale e quello verticale della croce si muovevano dei lumi (gli spiriti combattenti), che scintillavano intensamente quando si univano e passavano oltre:

così vediamo muoversi i corpuscoli di polvere (in diverse direzioni, veloci e lenti, lunghi e corti, cambiando aspetto) attraverso il raggio di luce che talvolta illumina l'ombra, che la gente si procura per difendersi dal sole con ingegno e arte.

E come la giga e l'arpa, facendo vibrare le corde tese, producono un dolce suono anche per chi non distingue le singole note, così dai lumi che mi apparivano si raccoglieva nella croce una melodia che mi rapiva, anche se io non intendevo l'inno.

Mi accorsi comunque che era un inno di alta lode, poiché afferravo le parole «Risorgi» e «Vinci», come a colui che ascolta e non comprende.

Io mi innamoravo a tal punto di quel canto che fino a quel momento non ci fu alcuna cosa che mi avvincesse con così dolci legami.

Forse le mie parole sembrano troppo ardite, visto che pospongo la bellezza degli occhi di Beatrice guardando nei quali ogni mio desiderio si acquieta;

ma chi comprende che i vivi suggelli di ogni bellezza (gli occhi di Beatrice) diventano tanto più potenti quanto più si sale in Cielo, e che io nel Cielo di Marte non mi ero ancora rivolto ad essi, può scusarmi di ciò di cui io mi accuso per scusarmi, e capire che dico la verità: infatti non ho escluso qui che la bellezza degli occhi di Beatrice fosse superiore allo spettacolo celeste, poiché essi salendo diventano più puri e splendenti.

resurrezione
La Ressurrezione

Arcangelo Gabriele
Il nome deriva dall'ebraico e significa: "potenza di El", "forza di El", "fortezza di El". Ha annunciato la nascita di Giovanni Battista e di Gesù, e per i musulmani è stato il tramite attraverso cui Dio rivelò il Corano a Maometto. Insieme a Michele e Raffaele, è uno degli angeli menzionati nella Bibbia. Rappresentato anche come "la mano sinistra di Dio", è il primo ad apparire nel Libro di Daniele della Bibbia. Nella tradizione biblica è a volte rappresentato come uno dei Messaggeri di Dio e anche come angelo del fuoco. Il Talmud lo descrive come l'unico angelo che può parlare siriaco e caldeo. Nell'Islam, Gabriele è uno dei capi Messaggeri di Dio. Nella tradizione cristiana è conosciuto come uno degli arcangeli, anche se questo non trova riscontro nella Bibbia, dove si parla sempre di un solo arcangelo (angelo capo) al singolare e mai al plurale e, comunque, mai riferito a Gabriele bensì a Michele. I riferimenti a Gabriele sono sempre e soltanto in qualità di 'angelo' ossia messaggero e mai di 'arcangelo'. Nell'Antico Testamento Gabriele interpreta la visione profetica del capro e del montone (Daniele 8:15-26) e spiega la predizione delle 70 settimane (490 anni) dell'esilio da Gerusalemme. Nel Nuovo Testamento annuncia a Zaccaria la nascita del figlio Giovanni (il Battista) e a Maria di Nazareth la nascita di Gesù. Nella tradizione ebraica l'angelo Gabriele domina su tutti gli angeli principi delle 70 Nazioni. Egli è chiamato l'uomo vestito di lino. «...Gavriel dice (a Dio): "Israele è il potente esecutore dei Tuoi ordini e proclama: "Iddio è forte", come è scritto: Dio grande, forte e terribile. Sii il loro aiuto e il loro scudo perché invero una spada a doppio taglio è nelle loro mani ... Gavriel domina tutti i principi (angeli) delle Nazioni». L'angelo Gabriele diresse la punizione divina contro Sodoma. Una delle sue missioni è anche quella di far maturare i frutti. Egli è lo scriba celeste, inoltre rivela la profezia dei sogni profetici. Nello storico contesto della distruzione del Tempio di Gerusalemme di Salomone, e nella cattività babilonese del Regno di Giuda che seguì, il profeta Daniele pensava quale fosse il significato delle diverse visioni che aveva vissuto in esilio, quando Gabriele gli apparve. Gabriele è menzionato due volte per nome: "... e egli arrivò per passare, quando io, io Daniele, ebbi la visione, che cercavo per capire; e, vedo, lì davanti a me l'apparire come di un uomo. E io sentii la voce di un uomo tra le rive dell'Ulai, che chiamava, e disse: 'Gabriele, fa che quest'uomo possa capire la visione'. Così egli venne vicino a me: e quando arrivò, io ero terrificato, e caddi; ma egli mi disse: 'Capisci, figlio dell'uomo; per la visione che appartiene al tempo della fine...". È verso la fine del potere di Babilonia che ancora Gabriele viene inviato a elaborare e spiegare i problemi relativi alla "Fine dei Giorni" come quando il regno di Persia, Grecia e Roma stavano perdendo il dominio del mondo. "...E dopo che io ebbi parlato, e pregato, e confessato i miei peccati e i peccati del mio popolo di Israele, e presentato le mie suppliche davanti al Signore mio Dio per la sacra montagna del mio Dio; e mentre stavo parlando e pregando, l'uomo Gabriele, che avevo visto nella visione all'inizio, stava volando veloce, recandosi vicino a me verso l'ora dell'offerta serale. E lui mi fece capire, e mi parlò, e disse: 'Daniele, sono ora giunto per renderti capace di capire...Settanta settimane sono dichiarate per la tua gente e per la tua santa città, per porre fine alle trasgressioni, e per porre fine ai peccati, e per perdonare l'iniquità, e per prendere l'eterna virtuosità, e per sigillare la visione e il profeta, e per raggiungere il più sacro dei luoghi". È qui che Gabriele racconta a Daniele riguardo alle misteriose "Settanta settimane" che sembrano indicare la fine della cattività Babilonese che durò settant'anni quando Ciro il Grande permise il ritorno a Sion e la ricostruzione del Tempio nel suo impero. Il suo nome ricorre anche nell'apocrifo Libro di Enoch. Talmud Nel Talmud (uno dei testi sacri dell'ebraismo), Gabriele appare come il distruttore dei soldati di Sennacherib nel Sanhedrin 95b, armato di "affilata falce che era pronta già dalla Creazione". L'arcangelo è anche indicato come colui che mostrò a Giuseppe la via, colui che evitò alla regina Vashti di apparire nuda davanti al re Ahasverus (Assuero) e i suoi ospiti, facendole spuntare una coda; e l'angelo che seppellì Mosè. Nel Talmud Yoma, è detto che Gabriele fu temporaneamente esiliato dal paradiso. L'angelo andò contro il volere di Dio, che voleva punire tutti i cittadini di Israele per i loro peccati, compresi quelli di buon cuore che però non si ribellavano ai malvagi. Risparmiando dunque le sofferenze a questi ultimi, Gabriele venne punito con 60 colpi di fuoco ed esiliato. Durante questo periodo di 21 giorni, l'angelo guardiano della Persia, Dobiel, fece le veci di Gabriele. Gabriele è anche, secondo il Giudaismo, la voce che disse a Noè di prendere gli animali prima del grande diluvio, l'invisibile forza che evitò ad Abramo di uccidere Isacco e la voce del roveto ardente.
Riferimenti cristiani: Nel nuovo testamento, Gabriele è l'angelo che rivela a Zaccaria che Giovanni Battista nascerà da Elisabetta, e che visita Maria rivelandole che sarà lei la madre di Gesù. La visita di Gabriele a Maria nel Vangelo di Luca, detta annunciazione è commemorata come Primo Mistero Gaudioso ogni volta che si prega il rosario. Gabriele può anche essere l'angelo che visitò Giuseppe. Dopo aver appreso della gravidanza di Maria, Giuseppe considerava l'ipotesi di non sposarla più, ma "un angelo del Signore" apparve a Giuseppe in sogno e gli disse che il concepimento era avvenuto per opera dello Spirito Santo. . Secondo la tarda leggenda,Gabriele è anche l'angelo non identificato del Libro dell'Apocalisse che soffia il corno annunciando il Giorno del Giudizio. Sia per i cattolici sia per gli ortodossi, è San Gabriele Arcangelo, conosciuto come il santo patrono dei lavoratori delle comunicazioni. Gabriele compare anche in vari scritti apocrifi dell'Antico e del Nuovo Testamento. Il Dizionario delle Creature spirituali (in I mondi ultraterreni di Giordano Berti, Milano 1998) riporta l'immagine battagliera di quest'angelo descritta nel Libro di Enoc etiope; da qui deriva un'iconografia diffusissima presso i cristiani ortodossi, che confondono però spesso Gabriele con Michele. Gli ortodossi infatti rappresentano un arcangelo mentre trafigge il demonio con una lancia: si tratta di Michele.
Per i musulmani, Gabriele è l'angelo che rivelò il Corano a Maometto. È spesso chiamato capo dei quattro angeli favoriti e spirito di verità, attribuendogli una funzione analoga a quella dello Spirito Santo. Come forma di deferenza, i musulmani lo chiamano anche Nostro Signore Gabriele, poiché si presenta come iniziatore in grado di trasmettere il messaggio divino al Profeta e di conseguenza agli uomini. Grazie al fatto di poter intercedere presso Dio, è anche considerato protettore e interprete della volontà divina. È conosciuto anche come il Grande Ordinatore, lo Spirito Santo e l'Integro. Il primo compito di Gabriele è di portare messaggi da Dio ai Suoi messaggeri. Come nel Cristianesimo, Gabriele è detto essere l'angelo che informò Maria in arabo: Maryam della sua concezione virginale di Gesù in arabo: ?Isa : «E nel Libro ricorda Maria, quando s'appartò dalla sua gente lungi in un luogo d'oriente / ed ella rese, a proteggersi da loro, un velo. E Noi le inviammo il Nostro Spirito che apparve a lei sotto forma di un uomo perfetto. / Ella gli disse: "Io mi rifugio nel Misericordioso, avanti a te, se tu sei timorato di Dio!" / Le disse: "Io sono il Messaggero del tuo Signore, per donarti un fanciullo purissimo". / "Come potrò avere un figlio, rispose Maria, se nessun uomo mi ha toccata mai, e non sono una donna cattiva?" / Disse: "Così sarà. Perché il tuo Signore ha detto: 'Cosa facile è questa per me, e Noi, per certo, faremo di Lui un Segno per gli uomini, un atto di clemenza Nostra: questa è cosa decretata".». Secondo la tradizione islamica l'Arcangelo Gabriele appoggiò varie campagne militari di Maometto aiutando e guidando il Profeta. La prima fu l'invasione di Dhi Amr. Secondo lo studioso musulmano Sami Strauch, a Dhu Amarr stava piovendo, e Maometto si tolse le vesti e le appese nel ramo di un albero perché si asciugassero, mentre il nemico lo stava guardando. Quindi Ghwarath ibn al-Harith attaccò Maometto. Lo minacciò dicendo: "Chi ti proteggerà da me oggi?" Secondo studiosi musulmani l'Arcangelo Gabriele arrivò e colpì Ghwarath nel petto e lo costrinse a gettare la spada. Maometto prese la spada e disse "Chi ti proteggerà da me?". Ghwarath rispose: "Nessuno, e io riconosco che nessun Dio merita di essere adorato eccetto Allah" e quindi si convertì all'Islam. I musulmani credono che Gabriele abbia accompagnato Maometto nell'ascesa al Paradiso, dove Mu?ammad si dice abbia incontrato i precedenti profeti di Dio, essendo informato riguardo alle modalità della preghiera islamica. I musulmani credono anche che Gabriele discenda sulla Terra nella notte detta "del Destino", un'imprecisata notte cioè degli ultimi dieci giorni del mese sacro di rama?an.
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Eugenio Caruso - 17 - 09 - 2021

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