Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca
INTRODUZIONE
Dall’alba dei tempi, l’uomo si è sempre chiesto quale fosse l’origine della vita e per spiegarla ha utilizzato miti e leggende. Per la scienza la teoria del brodo primordiale come culla della vita sulla Terra è tutt’ora l’ipotesi più accreditata. Negli ultimi decenni gli studi in merito hanno continuato a confermare questa ipotesi, aggiungendo dettagli alla storia del nostro pianeta. Tuttavia, sono ancora tanti i tasselli che gli scienziati stanno cercando di scoprire. Ma partiamo dalle basi.
C’era una volta l’universo. Era omogeneo, stabile, e temperatura e pressione erano elevate; ma questa condizione durò molto poco: l’energia accumulata diede una forte spinta all'espansione dell’universo. Da questa energia iniziarono a formarsi le prime particelle elementari – neutroni, protoni ed elettroni – che aggregandosi crearono i primi atomi e i primi elementi chimici. Tredici miliardi di anni fa vide così la luce l’universo, con le galassie e i pianeti, con tutto quello che oggi conosciamo e che ancora dobbiamo scoprire.
Poco dopo la formazione dell’universo si formò la Via Lattea, che diede vita quattro miliardi di anni fa al sistema planetario che ci ospita. Circa un miliardo di anni dopo, questo sistema si organizzò attorno al Sole e si formarono i pianeti, tra cui la nostra Terra. Nacque così il sistema solare.
All’inizio la Terra era un pianeta molto caldo. Con l’allontanamento della Terra dal Sole, il pianeta iniziò a raffreddarsi esternamente e si formò la crosta terrestre. A quel tempo la Terra era molto diversa da oggi. Non vi erano le foreste né gli oceani, ma era costellata di tanti vulcani attivi, che eruttando riscaldavano l’atmosfera. L’acqua che si trovava sul pianeta arrivava dalle comete ghiacciate cadute sulla Terra e altra acqua era rimasta intrappolata nelle rocce primordiali terrestri.
Queste elevate temperature fecero evaporare l’acqua nell’atmosfera. Poco meno di quattro miliardi di anni fa la Terra venne colpita da una pioggia di meteoriti che liberarono nell’aria grandi quantità di idrogeno. Si formò così il secondo strato della nostra atmosfera che contribuì all’abbassamento delle temperature. L’aria era ricca di acqua, elementi chimici come il carbonio, l’idrogeno, il fosforo e l’azoto, ma anche composti organici come ammoniaca e metano. Con il progressivo raffreddamento della crosta terrestre si formarono grandi nubi cariche di pioggia e la Terra venne così invasa da piogge, che permisero anche la formazione degli oceani.
Neppure gli oceani erano come li conosciamo oggi. A quel tempo non c’erano né pesci colorati né coralli, non esistevano meduse o i grandi mammiferi, e nessuna distesa di alghe sui fondali. Le profondità marine erano disabitate e ostili alla vita.
Se ancora oggi non si sa bene quale fu la spinta per l’origine della vita sulla Terra, gli scienziati concordano che la culla dei primi organismi viventi furono proprio gli oceani. Nelle profondità oceaniche vi erano – e vi sono ancora oggi – delle fratture che partono dal centro della Terra, ricco di magma bollente. Queste fratture della crosta terreste si chiamano fumarole. Sono delle bocche idrotermali, dalle quali fuoriesce acqua bollente ricca di diversi minerali. Elementi chimici e minerali disciolti nell’acqua hanno interagito tra loro grazie all’energia ceduta dai fulmini e dalle elevate temperature.
Le acque dei fondali marini in prossimità delle fumarole erano ricche di ferro, rame, silicio, ma erano anche un ambiente ostile alla vita per le alte temperature e l’ambiente fortemente acido. Ma lungo la faglia della dorsale medio-atlantica altre fumarole – dette bianche – miglioravano l’ambiente rilasciando acqua più alcalina e metano.
L’acqua calda e ricca di elementi è stata il solvente che ha aiutato la formazione delle prime macromolecole organiche, i mattoncini basi della vita. Nell’acqua presente sulla Terra, a partire da composti organici semplici – come il metano e la formaldeide – iniziarono a formarsi zuccheri semplici. Secondo quanto ipotizzato il professore dell’università americana Harvard Steven A. Benner nei suoi studi recenti che portarono al ribosio e alla formazione delle purine. Il ribosio è uno zucchero semplice e insieme alle purine costituisce l’acido ribonucleico, conosciuto come Rna. È una molecola speciale perché codifica, trascrive, regola e permette l’espressione dei geni all’interno delle cellule.
All’interno del brodo primordiale in qualche modo, ancora a noi non chiaro, l’Rna iniziò a copiarsi e si iniziarono a formare le molecole di acido desossiribonucleico (Dna) e le proteine. Come abbia fatto l’Rna a copiarsi è ancora un mistero irrisolto per gli scienziati.
Come ormai sarà chiaro, l’ambiente della Terra era molto ostile. Ricapitolando: l’ossigeno libero era poco, le temperature molto elevate e gli elementi chimici disponibili erano maggiormente inorganici. È quindi molto probabile che i primi esseri viventi sulla Terra furono organismi autotrofi, in grado di produrre energia e nutrimento da elementi inorganici trasformandoli in organici; i primi esseri viventi del pianeta potrebbero essere stati, quindi, dei batteri. Secondo lo scienziato James Lovelock, ideatore della teoria "Gaia", la vita modifica l’ambiente terrestre. I primi archeobatteri si adattano alle condizioni primordiali della Terra e progressivamente si evolvono verso forme più complesse e diversificate Gli archeobatteri traggono la propria catena alimentare dai composti inorganici. Ad esempio, i metanobatteri producono metano dalla chemiosintesi dell'anidride carbonica (CO2) dell'atmosfera, i solfobatteri traggono invece l'energia vitale dallo zolfo.
Non abbiamo certezze sulla prima forma vivente del pianeta, ma grazie alla genetica siamo riusciti ad avere delle informazioni su un certo… Luca! Vi presento la prima forma di vita che conosciamo: Luca. Il suo nome per esteso è l’acronimo di Last Universal Common Ancestor ed è nato nel brodo primordiale. In realtà, di Luca, non si è trovato nessun fossile. Ma grazie allo studio del genoma degli esseri viventi che conosciamo si è riscontrata una parte di geni in comune in tre domini della vita: gli archeobatteri, i batteri e gli eucarioti. Luca è quindi il nostro bisbisbisbis....bisnonno.
Gli interrogativi e i tasselli da inserire nella storia sono ancora tanti. Questa non è l’unica storia, mancano ancora tanti passaggi da chiarire.
Gli studi degli alberi genetici riportano tutti all'esistenza di un progenitore universale (Last Universal Common Ancestor ) , che nacque con molta probabilità in quell'ancestrale brodo prebiotico.
Il brodo primordiale, noto anche come brodo prebiotico, è un ipotetico ambiente ancestrale in cui si pensa possano essere avvenuti gli eventi chimico-fisici che avrebbero poi dato origine alla vita sulla terra. Dal punto di vista chimico il brodo primordiale è una miscela acquosa di sali inorganici e vari composti chimici semplici a base di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, sia di natura organica (idrocarburi, amminoacidi, acidi carbossilici, brevi polimeri), sia di natura inorganica (ammoniaca, anidride carbonica).
Ipotesi sull'origine
Già Charles Darwin ipotizzava un "piccolo stagno caldo" in una lettera a Joseph Dalton Hooker il 1º febbraio 1871. Prima della comparsa della vita l'atmosfera terrestre era prevalentemente costituita da azoto, anidride carbonica, vapore acqueo e pochi altri gas, mentre l'idrosfera era caratterizzata quasi esclusivamente da acqua allo stato liquido, considerando le elevate temperature del giovane pianeta Terra. Sotto l'azione di fonti di energia libera, quali i raggi ultravioletti solari e le scariche elettriche dei primi temporali, i gas atmosferici e le sostanze presenti negli oceani avrebbero dato luogo a una serie di reazioni chimiche con la conseguente formazione delle prime molecole complesse. Quindi queste molecole si sarebbero accumulate in grande quantità negli oceani, dal momento che l'assenza di ossigeno e di qualsiasi organismo in grado di metabolizzarle ne limitava significativamente il degrado: attualmente un terreno di coltura con le caratteristiche del brodo primordiale abbandonato in natura verrebbe rapidamente ossidato e metabolizzato. In questo ambiente ancestrale, con dinamiche ancora oggi non del tutto chiare, si sarebbero formati i primi agglomerati di molecole organiche abbastanza complessi da poter essere definiti cellule.
L'esperimento di Miller-Urey è stato il primo a dimostrare che le molecole organiche nelle giuste condizioni ambientali si possono formare spontaneamente a partire da sostanze inorganiche più semplici. L'esperimento portò di fatto alla formazione di una miscela organica aventi le caratteristiche chimiche del "brodo primordiale". L'esperimento fu condotto nel 1953 da Stanley Miller e da Harold Urey, il suo docente, per dimostrare la teoria del brodo primordiale di Oparin e John Burdon Sanderson Haldane che ipotizzavano che le condizioni della Terra primordiale avessero favorito reazioni chimiche conducenti alla formazione di composti organici a partire da componenti inorganiche.
L'esperimento di Miller-Urey rappresenta la prima dimostrazione che, nelle giuste condizioni ambientali, le molecole organiche si possono formare a partire da sostanze inorganiche più semplici.
L'esperimento fu condotto nel 1953 presso l'Università di Chicago dal chimico Stanley Miller e dal suo docente, il premio Nobel Harold Urey, per dimostrare la teoria di Oparin e Haldane che ipotizzavano che le condizioni della Terra primordiale avessero favorito reazioni chimiche conducenti alla formazione di composti organici a partire da componenti inorganiche.
Per compiere questo esperimento Miller ricreò le condizioni ambientali che si pensava fossero presenti nella Terra primordiale. Partì dal presupposto che in quell'atmosfera non ci fosse ossigeno libero, quanto piuttosto abbondasse idrogeno (H2), l'elemento più diffuso nell'universo, e altri gas quali metano (CH4) e ammoniaca (NH3), oltre ad acqua (H2O). Con queste condizioni e in presenza di una fonte di energia, come i fulmini o la radiazione solare, si sarebbero potute originare molecole più complesse.
Per l'esperimento Miller e il suo professore si servirono di un sistema sterile costituito da due sfere contenenti l'una acqua allo stato liquido e l'altra i gas elencati precedentemente e due elettrodi, collegate tra loro da un sistema di tubi sigillati. L'acqua veniva scaldata per indurre la formazione di vapore acqueo mentre i due elettrodi venivano utilizzati per fornire scariche elettriche che simulavano i fulmini. Il tutto veniva poi raffreddato cosicché l'acqua potesse ricondensare e ricadere nella prima sfera per ripetere il ciclo.
Dopo circa una settimana ininterrotta in cui le condizioni erano mantenute costanti, Miller osservò che circa il 15% dell'idrogeno era andato a formare composti organici, tra cui alcuni amminoacidi ed altri potenziali costituenti biologici, come elencati nella tabella sotto riportata.
Schema dell'esperimento
Ogni 59.000 micromoli (μmol = 1/1.000.000 di mole) di CH4 trasformati si sono ottenuti:
Prodotto |
Formula |
Produzione
(N° di μmol) |
Atomi
di C |
Atomi di C
in μmol |
Acido formico |
{\displaystyle H-COOH} |
2330 |
1 |
2330 |
Glicina * |
{\displaystyle H{2}N-CH{2}-COOH} |
630 |
2 |
1260 |
Acido glicolico |
{\displaystyle HO-CH{2}-COOH} |
560 |
2 |
1120 |
Alanina * |
{\displaystyle H{3}C-CH(NH{2})-COOH |
340 |
3 |
1020 |
Acido lattico |
{\displaystyle H{3}C-CH(OH)-COO |
310 |
3 |
930 |
β-Alanina |
{\displaystyle H{2}N-CH{2}-CH{2}-COOH} |
150 |
3 |
450 |
Acido acetico |
{\displaystyle H{3}C-COOH} |
150 |
2 |
300 |
Acido propionico" |
{\displaystyle H{3}C-CH{2}-COOH} |
130 |
3 |
390 |
Acido iminodiacetico |
{\displaystyle HOOC-CH{2}-NH-CH{2}-COOH} |
55 |
4 |
220 |
Acido diamminoacetico |
{\displaystyle H{3}C-NH-CH{2}-COOH} |
50 |
3 |
150 |
Acido α-ammino-n-butirrico |
{\displaystyle H{3}C-CH{2}-CH(NH{2})-COOH} |
50 |
4 |
200 |
Acido α-idrossi-n-butirrico |
{\displaystyle H{3}C-CH{2}-CH(OH)-COOH} |
50 |
4 |
200 |
Acido succinico |
{\displaystyle HOOC-CH{2}-CH{2}-COOH} |
40 |
4 |
160 |
Urea |
{\displaystyle H{2}N-CO-NH{2}} |
20 |
1 |
20 |
N-Metilurea |
{\displaystyle H{2}N-CO-NH-CH{3} |
15 |
2 |
30 |
N-Metilalanina |
{\displaystyle H{3}C-CH(NH-CH{3})-COOH} |
10 |
4 |
40 |
Acido glutammico * |
{\displaystyle HOOC-CH{2}-CH{2}-CH(NH{2})-COOH} |
6 |
5 |
30 |
Acido aspartico * |
{\displaystyle HOOC-CH{2}-CH(NH{2})-COOH} |
4 |
4 |
16 |
Acido α-amminoisobutirrico |
{\displaystyle H{3}C-C(CH{3})(NH{2})-COOH} |
1 |
4 |
4 |
Totale |
|
4916 |
|
8944 |
Forti di queste considerazioni, Miller e Urey con questo esperimento dimostrarono che scariche elettriche, simulanti i fulmini, in presenza di acqua e di una mistura di gas tra cui metano e ammoniaca portavano alla formazione di diverse molecole organiche tra cui alcuni amminoacidi.
Sulla Terra primordiale le reazioni coinvolte poterono proseguire per milioni di anni, rendendo possibile un ulteriore sviluppo delle sostanze organiche in molecole sempre più complesse.
In un recente studio pubblicato su PNAS è stata eseguita un'analisi accurata per mezzo di tecniche moderne sui campioni conservati da Miller nel 1958, mostrando la presenza di un maggior numero di composti organici rispetto alle analisi originarie. Altri studi eseguiti sulle fiale conservate da Miller hanno mostrato risultati analoghi.
Effettuando dei prelievi durante l'esperimento, Miller ed Urey osservarono che la concentrazione di ammoniaca diminuiva progressivamente mentre le concentrazioni di acido cianidrico e di cianogeno aumentavano costantemente, come anche per le aldeidi. Gli amminoacidi comparivano più tardi a spese dell'acido cianidrico e delle aldeidi. Questo fa supporre che gli amminoacidi si siano formati a partire dalle aldeidi e dall'acido cianidrico con un meccanismo ben noto in chimica organica che prende il nome di sintesi amminoacidica di Strecker.
In realtà le condizioni utilizzate dai due studiosi non riproducevano esattamente quelle dell'atmosfera primordiale, ma furono sufficienti comunque a rendere plausibile la possibilità che la vita si fosse sviluppata proprio partendo dagli elementi già presenti nel pianeta.
La sintesi di amminoacidi in laboratorio conduce alla formazione di un numero uguale di enantiomeri levogiri e destrogiri. Questo tipo di distribuzione racemica non è caratteristico delle forme di vita così come le conosciamo oggi. Infatti tutte le attuali forme di vita dipendono solamente da amminoacidi levogiri. Tuttavia la produzione di miscele racemiche in laboratorio non preclude la formazione di strutture prebiotiche in gran parte levogire nell'ambiente naturale così come non è esclusa l'azione selettiva di substrati inorganici come le rocce nella formazione di un solo enantiomero.
L'interesse degli scienziati circa l'origine abiotica della vita si è spostato in modo complementare dal pianeta Terra allo spazio profondo. Infatti si stanno accumulando numerose osservazioni della presenza di molecole organiche complesse nelle polveri e nelle nubi interstellari.
L'esperimento di Miller e Urey ha ispirato altri interessanti tentativi di riproduzione abiotica di molecole organiche di interesse biologico.
Nel 1961 Joan Oró realizzò una sintesi della base nucleotidica adenina a partire da acido cianidrico e ammoniaca acquosa. Nelle stesse condizioni si formarono anche diversi amminoacidi.
Robert Hazen, geologo della George Mason University, ha dichiarato che:
«[...] Nell'arco di circa 10.000 anni una versione moderna dell'esperimento di Urey e Miller potrebbe effettivamente produrre una rudimentale molecola autoreplicante, capace di evolvere mediante selezione naturale: in breve, la vita. [...] La spiegazione più plausibile è che le molecole autoreplicanti si siano formate prima sulla superficie delle rocce. Le superfici umide della Terra primordiale avrebbero costituito un grande laboratorio naturale, portando avanti in qualsiasi momento qualcosa come 1030 piccoli esperimenti, per un periodo durato forse da 100 a 500 milioni di anni. Un esperimento di laboratorio che duri per 10.000 anni può quindi tentare di ricreare questa situazione eseguendo un gran numero di piccoli esperimenti contemporaneamente. Dall'esterno, queste incubatrici molecolari apparirebbero come stanze piene di computer ma al loro interno ci sarebbero laboratori chimici on-chip, contenenti centinaia di pozzi microscopici, ognuno con diverse combinazioni di composti che reagiscono su una varietà di superfici minerali. [...] Sarebbe possibile ridurre il tempo necessario da milioni a migliaia di anni concentrando gli esperimenti su composti che hanno maggiori probabilità di comportarsi in modo interessante. Con un po' di fortuna, alla fine avremmo imparato abbastanza cose su come lavora la natura per riuscire a ridurre ulteriormente questo tempo a poche decine di anni.»
I metanobatteri sono una sottospecie degli Archeobatteri e prendono il nome dal loro peculiare metabolismo energetico, in cui per ridurre l'anidride carbonica a metano, viene utilizzato l'idrogeno. Sono organismi che vivono in assenza di ossigeno e solitamente vivono in paludi e acquitrini dove gli altri microrganismi hanno consumato tutto l'ossigeno disponibile. Esistono anche altre specie di archeobattteri metanogeni che abitano gli ambienti anaerobi (senza ossigeno) presenti all'interno del tratto intestinale degli animali, dove giocano un importante ruolo nella nutrizione del bestiame, delle termiti e di altri animali erbivori, la cui dieta è costituita soprattutto da cellulosa.
I termoacidofili necessitano di habitat molto acidi e molto caldi, condizioni inusuali per quasi tutti gli organismi. Le condizioni ottimali per questi archeobatteri sono temperature tra i 60-80 °C. Ad esempio il Sulfobolus abita nelle calde acque delle sorgenti termali sulfuree del Parco di Yellowstone, dove si procura l'energia ossidando lo zolfo presente in grandi quantità in queste sorgenti.
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Eugenio Caruso -02 - 03- 2022
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