I DRAMMI STORICI
ENRICO VI
Enrico VI, parte prima (King Henry VI, Part I).
Con quest'opera si apre, anche da un punto di vista semplicemente cronologico (la sua stesura è fatta risalire dagli studiosi agli anni 1588-1592), la lunga e complessa produzione shakespeariana.
Il dramma storico, basato sulla vita del monarca Enrico VI d'Inghilterra, si compone di altre due parti: l'Enrico VI, parte II e l'Enrico VI, parte III; ma allo stesso tempo è il primo capitolo della tetralogia minore del Bardo assieme a Riccardo III.
È il dramma del potere, indagato nei suoi aspetti più torbidi e oscuri, vissuto come fatalità e maledizione - come testimonia la maledizione contro gli inglesi di Giovanna d'Arco sul rogo, nella quarta scena del V atto - che incombe come una cappa asfissiante non solo su chi se lo ritrova a gestire senza averlo cercato (come appunto Enrico VI) ma anche su coloro la cui vita è presentata invece come un'interminabile sforzo per raggiungerlo, agguantarlo e mantenerlo. Il tema del peso del potere è un elemento centrale, che continua a svilupparsi nelle successive parti dell'opera.
«Ci fu mai monarca che occupasse un trono in terra e fosse meno felice di me? Appena uscito di culla fui fatto re all’età di nove mesi; e non vi fu mai suddito che desiderasse di essere sovrano quanto io desidero di essere suddito»
(Enrico VI, parte II - Atto 4, scena 9)
Shakespeare, non ancora trentenne, dimostra di ben conoscere gli arcana imperii, i meccanismi segreti del governo e delle lotte di potere, le logiche spietate che presiedono alle alleanze e ai tradimenti, alle promesse di fedeltà eterna e ai repentini spergiuri, alle richieste di perdono o di pietà da parte dei vinti e alla sete di vendetta dei vincitori.
Il sottofondo di ogni vicenda è quello eterno della lotta fratricida di Caino che colpisce suo fratello Abele (evocata esplicitamente da Winchester nella scena terza del primo atto) e delle inevitabili tristi conseguenze che questo delitto originario riproduce nella storia senza mai trovare redenzione, come un veleno versato alla sorgente di un fiume e che mai si diluisce o dissolve durante il suo corso, mantenendo intatti nel tempo il suo potere letale e la sua capacità di infettare le valli che attraversa; forse, soltanto quando le acque sfoceranno e si disperderanno nel mare aperto, alla fine della storia umana, questo veleno perderà la sua concentrazione mortale.
Trama
Nella prima parte assistiamo alle celebrazioni per la morte prematura di Enrico V (padre di Enrico VI), grande re e condottiero, che con la battaglia di Azincourt (1415) aveva piegato a sé la Francia e poi riportato alla corona inglese tutta la Normandia. L'evento inatteso inaugura per l'Inghilterra un periodo di incertezza e di torbidi politici.
«Ora che Enrico è morto, o generazioni future, attendetevi anni di dolore: i bambini suggeranno agli umidi occhi materni, quest’isola diverrà nutrice di amaro pianto, e non resteranno che donne a piangere i morti» (Atto I, Scena 1)
Ma la ribellione e la riscossa delle forze francesi, (“Tristi notizie vi porto dalla Francia, di perdite, di stragi e di sconfitte; la Guienna, la Sciampagna, Reims, Orléans, Parigi, Guysors, Poitiers, sono tutte perdute”, Atto I, Scena 1) alla cui guida vediamo una figura di Giovanna d'Arco non valorizzata da Shakespeare, (scriveva per un uditorio inglese, certamente non ben disposto verso la pulzella d'Orléans), sono solo la conseguenza esteriore, non la causa del problema; questa infatti va individuata in un fattore interiore, cioè nelle discordie, nell'odio, nelle rivalità meschine che crescono come un tumore negli animi della nobiltà inglese e da qui si trasmettono nel popolo.
Storicamente, questi torbidi sono rappresentati dalla cosiddetta Guerra delle due rose, e appunto nella scena 4 del secondo atto viene descritta plasticamente l'origine di tale rivalità tra le opposte fazioni degli York e dei Lancaster, in una contesa che si protrarrà sanguinosamente per oltre trent'anni:
«E qui faccio una profezia: questa contesa fra rosa bianca e rosa rossa, divenuta oggi fazione nel giardino del Tempio, manderà mille anime nelle tenebre della morte.
[...]
Sì, marciamo pure in Inghilterra o in Francia, senza capire quello che probabilmente seguirà. Questa discordia nata da poco fra i pari cova sotto le ceneri fallaci di un amore simulato, e da ultimo eromperà in fiamma: come le membra infette imputridiscono a poco a poco finché ossa e carne e muscoli cadono in disfacimento, tali saranno i frutti di questa vile discordia nata dalla rivalità. Ed ora temo quella fatale profezia che al tempo di Enrico V correva persino sulle bocche dei lattanti: che Enrico di Montmouth avrebbe conquistato tutto e Enrico di Windsor tutto avrebbe perduto»
(Atto II, scena 4 e Atto III, scena 1)
Sullo sfondo di questa crisi drammatica, Enrico VI è il re, ma la sua figura è quella di chi il potere regale lo subisce invece che esercitarlo. Già la sua ascesa al trono d'Inghilterra all'età di appena nove mesi aveva qualcosa di innaturale; la sua incoronazione a re di Francia (procuratagli da un'accorta politica dinastica predisposta da suo padre Enrico V, che aveva sposato Caterina di Valois figlia di Carlo VI di Francia, Delfino e poi re di Francia) era avvenuta quando aveva 9 anni (nel 1430 a Parigi) e il regno di Enrico VI fu necessariamente un lungo periodo di reggenza, di governo per interposta persona (quella dei Lord Protettori); e Shakespeare fa commentare ad uno dei suoi personaggi:
“ grave quando lo scettro è in mano di un fanciullo”.
Enrico VI è giovane e non ama la guerra; la sua indole meditativa e introversa, come egli stesso ammette lo rende inadatto al suo ruolo, dati i tempi; la sua figura tragica è quella di chi vive credendo nella buona fede di quelli che lo circondano, sicuro che tutti siano come lui e quindi vogliano indefettibilmente il bene e rifiutino sempre e comunque il male. Ma il mondo non funziona così. Persino la sua intimità, la sua vita sentimentale è pregiudicata dall'inganno: il conte Suffolk gli propone in matrimonio la bella Margherita, di cui però egli stesso è invaghito e di cui si propone di fare la sua amante nonché la leva per la sua ascesa al potere, una volta condottala alla corte d'Inghilterra dalla nativa Francia.
Enrico VI d'Inghilterra
Enrico VI, parte seconda
Trama
La parte prima si era aperta con il cordoglio per un funerale; la parte seconda si apre invece con la gioia per un matrimonio annunciato, quello di Enrico VI con Margherita d'Angiò. Ma questa felicità non è affatto condivisa da molti membri autorevoli della corte, per i quali “questo matrimonio è fatale”, essendo parte di un accordo di tregua in cui il re, “ben felice di barattare due ducati con la bella figlia di un duca”, accordava condizioni molto favorevoli alla Francia di Carlo VI.
L'intrigo e la ribellione covano sotto la cenere attorno al re e assediano la sua lieve felicità; persino le donne sono contagiate da questo fascino mortale del potere, e se in questo sembrano "presuntuose e perverse", tuttavia esse testimoniano una diversa autocoscienza.
Nella seconda scena del secondo atto, durante una passeggiata serale nel giardino della casa di York, accade un fatto centrale per l'intera vicenda narrata nell'Enrico VI: York esce allo scoperto con i suoi buoni amici Salisbury e Warwick, del grande e potente clan dei Nevil, e chiedendo loro apertamente “che cosa pensino del suo indiscutibile diritto alla corona d'Inghilterra” ne ottiene il prezioso appoggio, ancorché segreto. Sulla base di questo patto, la corda dell'intrigo si stringe sempre più attorno a Gloucester, il fedele protettore del re, cui vengono estesi i sospetti che si nutrono sul conto di sua moglie Eleonora e pertanto gli viene revocato il ruolo di Protettore; nonostante dubiti della veridicità delle accuse
(“Il duca è virtuoso, mite e di troppo buoni costumi per sognare il male o per adoperarsi per la mia rovina”, e “è mia viva speranza che riusciate a giustificarvi pienamente di ogni sospetto: la coscienza mi dice che siete innocente”),
Enrico non ha la forza di opporsi alle accuse che vengono rivolte al suo ex protettore, con lo scopo di farlo cadere e di eliminare un ostacolo ai piani di coloro che agiscono e si comportano da congiurati, anche se – e non è paradossale in Shakespeare questa ulteriore complessità della trama - da un punto di vista giuridico sono nel giusto e rivendicano il loro buon diritto. Ma con i mezzi dei congiurati.
Del resto, lo stesso Gloucester avverte che
“questi sono tempi pericolosi: la virtù è soffocata dalla vile ambizione e la carità cacciata di qui dal rancore; l'istigazione al male domina e la giustizia è sparita”
e, prima di essere arrestato, mette in guardia Enrico sulle trame che si stanno compiendo alle sue spalle.
In questo frangente decisivo, York incoraggia se stesso all'impresa, e la fortuna aiuta gli audaci: una sommossa in Irlanda consente a York, incaricato di sedarla, di radunare sotto il suo comando, senza destare sospetti, un grande esercito. La morte di Gloucester, assassinato durante la sua prigionia e prima del processo, consente ai veri alleati di York, cioè Salisbury e Warwick, di accusare davanti al re e al popolo Suffolk, Wichester e la stessa regina Margherita. Complice una sommossa, Suffolk viene così esiliato e deve dire addio all'Inghilterra e a Margherita, sua amante. E, come spesso avviene in Shakespeare, proprio in questo frangente al perfido Suffolk vengono ispirate parole d'addio a Margherita di una struggente bellezza:
«Così il povero Suffolk è dieci volte bandito, una volta dal re e nove da te medesima. Non è questa terra che mi importi, quando tu non ci sia; il deserto sarebbe anche troppo popolato se Suffolk avesse la tua celestiale compagnia, perché dove sei tu, colà è il mondo con tutti i piaceri che può dare; e dove non sei tu, non è che desolazione. Non posso più parlare, vivi e godi: io stesso avrò gioia soltanto dal sapere che tu vivi»
(Enrico VI parte II, Atto terzo, scena II)
Intanto anche il cardinale di Winchester muore “bestemmiando Dio e maledicendo gli uomini” in un delirio di sensi di colpa e di disperazione]; e muore Suffolk, ucciso da pirati che hanno intercettato la sua barca mentre egli, insieme ad altri gentiluomini, attraversava lo stretto per raggiungere il suo esilio in Francia.
Il piano di York prosegue senza intoppi; tutte le sue mosse riescono; i suoi nemici si eliminano tra di loro senza che egli debba scoprirsi o destare sospetti. Manca ancora una mossa per preparare il terreno propizio alla sua azione: come egli stesso ammette
"Susciterò in Inghilterra una tenebrosa tempesta che manderà migliaia di anime in paradiso o le precipiterà all'inferno; e questo tremendo turbine non cesserà di infuriare finché l'aureo serto sul mio capo, come i raggi luminosi dello splendido sole, non calmi la furia di questo pazzo uragano". Lo strumento di questi disordini sarà Jack Cade, una losca figura di “demonio… e furfante”, un abile sobillatore senza scrupoli, che ama presentarsi come giustiziere del popolo e rivoluzionario che
“vuol dare nuova veste allo stato, o rivoltarla e farvi nuovo pelo… animato dallo spirito di buttar giù re e principi...e giura di fare una riforma generale: in Inghilterra le pagnotte da sette soldi e mezzo saranno vendute per un soldo; la capacità del boccale sarà triplicata...tutto il regno sarà di tutti...e quando sarò re non ci sarà più denaro, tutti mangeranno e berranno a mie spese e vi vestirò tutti con la stessa livrea perché andiate d'accordo come buoni fratelli e mi riveriate come vostro signore”.
Il motto di questo brigante del Kent è: “Il nostro ordine è il massimo disordine!”. Alla testa del suo esercito costituito da "una moltitudine cenciosa di servi e contadini rozzi e spietati", Cade avanza verso Londra, se ne impadronisce, costringe il re alla fuga e assapora l'ebbrezza del potere:
«La mia bocca sarà il parlamento d’Inghilterra…e non si sposerà ragazza che non mi dia il tributo della sua verginità, prima che l’abbiano gli altri; gli uomini saranno miei vassalli diretti; inoltre ordiniamo e comandiamo che le loro mogli siano tanto libere quanto il cuore sa desiderare o lingua sa dire.»
(Atto IV, scena 7)
Ma ben presto viene abbandonato da quella stessa folla che lo aveva poco prima acclamato e reso padrone di Londra.
“Ci fu mai piuma che si movesse al vento come questa moltitudine?”.
Con questo amaro commento, fugge e poco dopo viene ucciso. In questo frangente, il duca di York torna in Inghilterra alla testa dell'esercito che gli era stato messo a disposizione per sedare la rivolta irlandese. Nella sua mente un solo pensiero:
Dall'Irlanda viene York in armi per rivendicare il suo diritto e togliere la corona dal capo del debole Enrico…Ah, santa maestà! Chi non vorrebbe comprarti a qualunque prezzo? Obbediscano coloro che non sanno comandare”. Ma egli pensa di dover ancora dissimulare le sue intenzioni “finché Enrico non sia più debole ed io più forte”.
Tuttavia gli eventi precipitano e in conclusione i giochi finora nascosti si rivelano apertamente:
«Allora, York, schiudi i tuoi pensieri a lungo celati e lascia che la tua lingua vada di pari col tuo cuore. Falso re! Ti ho chiamato re? No, tu non sei re, né atto a governare e a reggere moltitudini, tu che non osi né sai importi a un traditore. Alla tua testa non si addice una corona; la tua mano è fatta per stringere un bordone di pellegrino e non per onorare lo scettro temuto del principe. Codesta corona d’oro deve cingere la mia fronte, che spianandosi o accigliandosi può, come la lancia di Achille, uccidere o sanare. Ecco qua una mano adatta a tenere alto uno scettro e con quello sancire leggi sovrane. Cedimi il tuo posto, per il Cielo!» (Atto V, scena 1) .
Segue uno scontro cruento tra i partigiani di York, cioè innanzitutto i suoi figli Edoardo e Riccardo, e quindi Salisbury e Warwick, contro i partigiani di Enrico, ovvero Somerset e i due Clifford, padre e figlio. Nella sera di quella giornata, la vittoria arride agli York; il re e i resti dei suoi sostenitori si sono ritirati a Londra per salvare il salvabile e tentare una controffensiva. Il duca di York sa che deve incalzarli e non dare loro tregua..
Margherita d'Angiò, miniatura del 1445 circa
Enrico VI, parte terza
Trama
Lo scontro militare tra gli York e i Lancaster sembra far pendere definitivamente il piatto della bilancia dalla parte di York, ma in realtà lo scontro non è ancora concluso. Enrico VI è ancora libero a Londra e può far leva su potenti appoggi politici nel Consiglio dei Pari e nel paese. Gli York occupano nella notte il Parlamento e lì attendono i loro nemici. Il sole sta sorgendo su una giornata decisiva e tutti sono consapevoli della gravità dell'ora:
"Questo sarà chiamato il Parlamento sanguinoso se Riccardo Plantageneto, duca di York, non sarà fatto re e non verrà deposto il pauroso Enrico la cui viltà ci ha fatti passare in proverbio presso i nemici".
Dopo una convulsa trattativa piena di minacce reciproche, Enrico cede all'ultimatum di York, strappando tuttavia una condizione: egli stesso potrà continuare a regnare vita natural durante, e solo dopo la sua morte, il duca di York potrà far valere i suoi legittimi diritti dinastici e diventare re. Ma non c'è onore in questo accordo ed Enrico è abbandonato con disprezzo anche dai suoi partigiani più irriducibili, dalla moglie e dal figlio Edoardo, che si vede preclusa la successione al trono.
Del resto, anche nella fazione di York c'è chi non è soddisfatto di questo accordo ed Edoardo, figlio maggiore di York, incita a riprendere immediatamente le armi:
"Se date alla casa di Lancaster agio di respirare, alla fine vi oltrepasserà nella corsa"; e se il duca di York teme di violare un accordo su cui ha giurato, è ancora Edoardo a vincere i suoi scrupoli: "Ma per un regno si può rompere qualsiasi giuramento: per conto mio verrei meno a mille giuramenti pur di regnare un anno".
La guerra dunque è decisa: la pace appena sancita solennemente in Parlamento si rivela una fragile e breve tregua. Ma la volubile fortuna adesso gira le spalle a York e le forze raccolte dalla regina Margherita e dai suoi sostenitori prevalgono in battaglia; lo stesso duca di York è fatto prigioniero ed ucciso.
"Vostro padre fu vinto da molti nemici, ma ucciso soltanto dal braccio irato del crudele Clifford e della regina. Questa per dispregio prima incoronò il grazioso duca, gli rise in faccia e quando piangeva pel dolore gli diede, perché si asciugasse le guance, una pezzuola intinta nel sangue innocente del piccolo Rutland" [figlio minore e beniamino di York] "già ucciso dal crudele Clifford. Dopo molti scherni e turpi beffe gli tagliarono la testa e la posero sulla porta della città di York e colà è ancora, il più triste spettacolo che abbia mai visto". E il codice atavico della vendetta si attiva immediatamente.
Dice Riccardo: "Piangere è diminuire la profondità del dolore: piangano dunque i fanciulli; per me, colpi e vendetta!".
Ma certo occorre ponderare bene le proprie mosse: “Ma in questo difficile momento, che cosa si deve fare?” (ivi). Si decide nuovamente per lo scontro frontale, senza lasciarsi aperte vie di fuga. Tutti sono consapevoli che l'odio ha ormai creato una matassa inestricabile; né il dialogo né il diritto possono sciogliere il nodo gordiano della successione al trono d'Inghilterra.
Intanto, l'ennesima battaglia viene rappresentata a tinte fosche sulla scena. Enrico VI ne attende fatalisticamente l'esito:
"Questa battaglia è come la guerra del mattino quando le nubi morenti contendono con la luce che cresce, e il pastore soffiandosi sulle dita intirizzite non sa se sia giorno o notte. Ora la vittoria inclina da questa parte, come un mare possente forzato dalla marea a combattere col vento; ora inclina dall'altra parte, come quello stesso mare che la furia del vento forzi a ritirarsi; talora la vince il vento e talora la marea; ora l'uno è più forte ora l'altra fortissima: lottano entrambi per la vittoria corpo a corpo, e nessuno è vincitore o vinto: così ugualmente bilanciata è questa terribile battaglia. Mi siederò qui su questa tana di talpa: conceda Dio la vittoria a chi vuole! (…) O volesse Dio farmi morire! Poiché, che vi è in questo mondo se non dolori e guai? O Dio! Che vita felice se fossi un semplice campagnuolo!".
La battaglia è sempre più cruenta e il suo orrore cresce inesorabilmente secondo una logica perversa che travalica le stesse intenzioni degli uomini. Da opposti schieramenti, si avanzano sulla scena padri che si rendono conto di aver ucciso il figlio, e figli che si avvedono di aver ucciso il padre.
Finalmente, il pendolo della fortuna si sposta nuovamente dalla parte di York. Edoardo torna a Londra a prendersi il titolo di re per cui si è tanto combattuto versando fiumi di sangue ma la sua indole buontempona e godereccia lo induce ad usare il suo potere non per occuparsi primariamente degli affari di stato e degli interessi politici del suo regno bensì per cercare di costringere un'avvenente vedova, Lady Grey, a diventare la sua amante. Ma Lady Grey resiste alla impacciate avances del re (definito da lei "il più goffo corteggiatore della Cristianità") e questi finisce, contro ogni logica politica e dinastica, col chiederle addirittura di sposarlo. Suo fratello Riccardo assiste a questa miserevole tresca e la collera di Caino, origine di tutto, torna nuovamente protagonista della scena. Riccardo confessa le sue intenzioni più segrete, le sue mire a spodestare il fratello e tutti quelli che lo precedono nella linea di successione al trono. Un sogno a occhi aperti, difficile da realizzare, anzi quasi impossibile. Però, supponendo
"che non vi sia possibilità di regno per Riccardo: quale altro piacere può fornirmi il mondo? Troverò forse il mio paradiso in grembo a una donna, coprirò il mio corpo di gai ornamenti, e affascinerò il bel sesso con le parole e con gli sguardi? O miserabile pensiero e più difficile a mettere in atto che ottenere venti corone d'oro! Già! L'amore mi abbandonò fin da quando ero in seno a mia madre e perché non m'impacciassi con le sue tenere leggi corruppe con qualche dono la fragile natura e la indusse ad atrofizzarmi il braccio come un ramo secco, a crearmi un'odiosa prominenza sul dorso dove la deformità siede a scherno del mio corpo, a dar forma disuguale alle mie gambe, a far di me un ammasso caotico, un orsacchiotto mal leccato che non ha alcuna delle sembianze materne. Come potrei essere fra quelli che piacciono alle donne? Mostruoso errore nutrire un tal pensiero! Dunque, giacché questa terra non mi offre alcuna gioia se non nel comandare, nel tenere a freno e nell'usar prepotenze a coloro che son fatti meglio di me, sarà mio paradiso sognare il trono e per tutta la mia vita considerare il mondo come un inferno, finché il mio capo, portato dal tronco deforme, non sia circondato da una splendente corona".
In questa situazione ancora fluida e non assestata, una leggerezza di re Edoardo fa di nuovo precipitare la situazione. Infatti, mentre Warwick si trova in Francia per chiedere al re Luigi il consenso al matrimonio fra Edoardo stesso e madama Bona, la sorella del re, giunge notizia che intanto proprio Edoardo, sconfessando di fatto l'operato del suo plenipotenziario e il suo disegno politico di alleanza con la Francia, ha sposato Lady Grey, "spinto alle nozze dall'appetito e non dall'onore né dal desiderio di rafforzare e garantire il nostro paese". Questa azione di Edoardo offende profondamente Warwick e ne determina il passaggio al campo dei sostenitori dello spodestato Enrico. Ma anche nell'entourage di Edoardo c'è malcontento e preoccupazione per questa sua scelta non meditata.
Ben presto si giunge allo scontro armato ed Edoardo cade prigioniero di Warwick, che gli notifica la sua deposizione e l'imminente ritorno al trono di Enrico. La ruota della fortuna, come la gigantesca pala di un mulino, si rimette in moto cigolando. Le scene si susseguono velocemente, fino a giungere al grande finale dell'atto V, con lo scontro campale tra le opposte fazioni che culmina col trionfo di Edoardo di York e il conseguente assassinio di Enrico VI e di suo figlio Edoardo. Ma ora che tutto è finito, proprio ora la maledizione di Caino si mostra di nuovo furtivamente all'opera, increspando minacciosamente la superficie liscia della storia. Ed è ancora Riccardo di Gloucester che incarna questa sete sanguinaria, Riccardo che confessa: "non ho né pietà né amore né paura… giacché il cielo ha foggiato così il mio corpo, l'inferno mi storpiò la mente in proporzione. Non ho fratelli, non somiglio a nessun fratello; e questa parola amore che i barbogi chiamano divina, stia con gli uomini che si somigliano l'un l'altro, non con me; io sono soltanto me stesso. Re Enrico e il principe suo figlio sono morti; Clarence ora tocca a te e poi agli altri" [che mi precedete nella linea di successione al trono] "perché continuerò a ritenermi infimo finché non sia salito più alto di tutti".
Così, Shakespeare conclude l'Enrico VI quasi preannunciando e gettando il seme del successivo dramma storico, il Riccardo III.
Riccardo di Gloucester, poi Riccardo III d'Inghilterra.
RICCARDO III
Riccardo III (The Life and Death of King Richard III, Vita e morte di re Riccardo III) è l'ultima di quattro opere teatrali nella tetralogia minore di William Shakespeare sulla storia inglese: conclude un racconto drammatico cominciato con Enrico VI, parte 1 e continuato con Enrico VI, parte 2 e Enrico VI, parte 3. Dopo Amleto, questa è l'opera teatrale più lunga di Shakespeare.
L'intera tetralogia è stata composta verso l'inizio della carriera di Shakespeare: il periodo più probabile di composizione è tra il 1591 e il 1592.
Culminando con la sconfitta di re Riccardo III di York nella battaglia del campo di Bosworth alla fine dell'opera, Riccardo III è una drammatizzazione degli eventi storici recenti per Shakespeare, conclusi nel 1485, dopo la guerra tra le due famiglie dei Lancaster e degli York (Guerra delle due rose) e la presa di potere definitiva dei Tudor. Il monarca Riccardo III è descritto in modo particolarmente negativo.
Ritratto postumo di Edoardo IV d'Inghilterra, 1540 circa, National Portrait Gallery.
Trama
Il dramma ha inizio con Riccardo che elogia il fratello, re Edoardo IV d'Inghilterra, il maggiore dei figli di Riccardo, Duca di York.
«Ormai l'inverno del nostro scontento
s'è fatto estate radiosa ai raggi di questo sole di York»
Da notare come nella traduzione italiana si perda la consonanza fra il termine sole (sun) e figlio (son). Il monologo rivela l'invidia e l'ambizione di Riccardo, in quanto suo fratello Edoardo regna sul paese con successo. Riccardo è un orrendo gobbo, che descrive se stesso come:
«plasmato da rozzi stampi" e "deforme, monco", privo della minima attrattiva per "far lo sdilinquito bellimbusto davanti all'ancheggiar d'una ninfa".»
Egli risponde all'angoscia della sua condizione affermando la sua volontà:
«Ho deciso di fare il delinquente
E odiare gli oziosi passatempi di questa nostra età.»
Senza molte pretese di accuratezza cronologica (che egli professa di disprezzare), Riccardo cospira affinché suo fratello Giorgio, che lo precede come erede al trono, sia condotto nella Torre di Londra come sospettato di assassinio; Riccardo, per riuscire nel suo intento, corrompe un indovino per confondere il re sospettoso.
Successivamente Riccardo entra nelle grazie di Lady Anna, la vedova di un Lancaster, Edoardo di Westminster, il principe di Galles. Riccardo si confida con il pubblico:
«Prenderò per moglie la figlia più giovane di Warwick.
Sì, le ho ucciso marito e padre, ma che importa?»
Nonostante il pregiudizio di lei nei confronti di Riccardo, Anna è vinta dal suo corteggiamento e accetta di sposarlo. Riccardo, in collaborazione con il suo amico Buckingham, Enrico Stafford, secondo duca di Buckingham, trama per la successione al trono, e si presenta agli altri signori come un uomo devoto e modesto, senza alcuna pretesa di grandezza. Riesce così a convincerli a sceglierlo come re alla morte di Edoardo IV - la morte del quale, ironicamente, non vede Riccardo coinvolto in alcun modo - finendo con l'ignorare le rivendicazioni dei giovani nipoti innocenti, i due principi nella Torre.
Riccardo si assicura attivamente il possesso della corona. Egli assassina chiunque si frapponga ad esso nella scalata al potere, inclusi il giovane principe, Lord Hastings, il suo precedente alleato Buckingham, e addirittura sua moglie e i figli. Questi crimini non passano inosservati, e quando Riccardo perde ogni tipo di appoggio, egli si trova ad affrontare il conte di Richmond, Enrico VII d'Inghilterra nella battaglia di Bosworth Field. Prima della battaglia, Riccardo riceve la visita dei fantasmi delle persone che ha ucciso (tra cui Enrico VI e suo figlio Edoardo di Lancaster, entrambi assassinati in Enrico VI, parte III), i quali gli dicono:
«Dispera e muori!»
Si sveglia implorando Gesù di aiutarlo, e lentamente comprende di essere rimasto solo nel mondo che egli stesso odia. Nonostante il combattimento inizialmente sembri procedere per il verso giusto, Riccardo si ritrova presto solo in mezzo al campo di battaglia, e urla sconsolato il verso sovente citato
"Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!".
Riccardo viene quindi sconfitto in seguito ad un combattimento corpo a corpo con Richmond, che lo trafigge con la spada.
In termini drammatici, forse la caratteristica più importante (e, opinabilmente, la più divertente) è l'improvviso cambiamento del personaggio di Riccardo. Nella prima parte del dramma, infatti, appare come una sorta di anti eroe, che provoca violenza e si compiace per questo:
«Io mi sono ingannato fino ad oggi sopra la mia figura;
S'ella mi trova, al contrario di me,
Un uomo di straordinario fascino. M'accollerò, costi quel che costi, la spesa d'uno specchio;»
Quasi immediatamente dopo l'incoronazione, comunque, la sua personalità e le sue azioni prendono una piega oscura. Egli tradisce il fedele Buckingham ("Non sono in vena oggi!"), e cade vittima dell'insicurezza ("Sono così corroso dal sangue, che peccato richiamerà peccato"); ora egli vede ombre dove non ve ne sono e il suo destino che verrà. ("Dispera e muori!").
L'attore David Garrick nei panni di Riccardo III, di William Hogarth
Fonti
La fonte primaria a cui attinse Shakespeare per la sua opera furono le cronache di Raphael Holinshed, ma sembra plausibile che si sia servito del lavoro di Tommaso Moro, autore dell'incompleta 'Storia di Riccardo III', pubblicata da John Rastell dopo la morte di Moro. Rastell, fratellastro di Moro, compilò il testo da due manoscritti in via di scrittura, uno in inglese e uno in latino, in diversi stadi di composizione. Il lavoro di Moro non è storico nel senso moderno della parola. È un resoconto letterario molto variopinto che contiene (discutibilmente) dettagli storici e inventati in egual misura. Moro ebbe molte fonti a disposizione per il suo resoconto (molte delle quali, come il suo protettore, il Cardinale John Morton, altamente ostili al vecchio regime), ma come per Shakespeare la fonte principale fu la sua propria immaginazione: più di un terzo del testo consiste in discorsi inventati.
Contesto storico
Il ritratto shakespeariano di re Riccardo e del suo "regno del terrore" offre un'immagine del tutto negativa del personaggio. La verità storica, secondo i maggiori storici contemporanei, è molto diversa. Secondo e ultimo monarca della casa di York, regnò per poco più di due anni, e il suo breve regno non fu più crudele o ingiusto dei suoi predecessori o di coloro che lo seguirono.
Le opere teatrali di argomento 'storico' di Shakespeare, non sono, in ogni caso, da intendere come storicamente accurate, bensì come opere d'intrattenimento, il cui valore va oltre le persone descritte. In Riccardo III attraverso la storia del re crudele e ambizioso e della sua rovina Shakespeare descrive la sete umana di potere, e le conseguenze malsane di una smodata volontà di rivincita. Come con Macbeth, l'infamia di Riccardo è enfatizzata, resa un archetipo, anche allo scopo di aumentare l'effetto drammatico. Shakespeare, come in altri casi, approfitta di una letteratura precedente: il personaggio di Riccardo dipinto come il più vile farabutto della storia inglese era già stato descritto da numerosi scrittori in precedenza.
Per comprendere come mai Riccardo divenne simbolo di villania durante il periodo Elisabettiano, bisogna inserire il dramma nel suo contesto storico. Durante la vita di Shakespeare, era sul trono Elisabetta I, nipote di Enrico VII, il conte lancasteriano del Richmond, che sconfisse e uccise l'ultimo discendente dei Plantageneti, Riccardo III di York, dando così inizio alla dinastia Tudor. L'opera di Shakespeare, di cui la corte reale fu spesso committente, propone la versione storica dei Tudor-Lancaster, dipingendone a tinte fosche gli avversari ed esaltandone gli antenati (come nel caso dell'opera dedicata alla figura di Enrico V di Lancaster).
In realtà l'unica colpa di Riccardo Plantageneto, discendente di Edoardo III, poi duca di York, fu quella di aver preso parte alla guerra delle due rose, nella quale gli York, con il simbolo della rosa bianca si allearono con Richard Neville, Conte di Warwick per deporre il re Lancaster Enrico VI, ormai incapace e malato di mente. Nella fazione opposta le casate di Somerset e Suffolk si allearono con i Lancaster sotto il simbolo della rosa rossa, in difesa del monarca. La versione degli avvenimenti che si affermò nelle epoche successive fu, come si direbbe oggi, la storia dei vincitori.
In Enrico VI Parte III, Shakespeare aveva già iniziato il processo di costruzione del carattere di Riccardo come quello di un vile, anche se non avrebbe potuto essere stato coinvolto in nessuno degli eventi narrati. Egli difatti partecipa a battaglie quando storicamente è ancora un bambino.
AUDIO
RICCARDO II
Riccardo II (King Richard the Second o The Tragedy of King Richard the Second) è un dramma storico composto intorno al 1595 e basato sulla vita del re Riccardo II d'Inghilterra, ultimo del ramo principale dei Plantageneti. È la prima parte di una tetralogia, denominata in seguito Enrieide, a cui seguono tre parti, dedicate ai successori di Riccardo: Enrico IV, parte 1, Enrico IV, parte 2, Enrico V. Sebbene l'edizione delle opere nel First Folio ponga l'opera tra i drammi storici di Shakespeare, la precedente Quarto edition del 1597 la chiamava tragedia.
La vicenda storica da cui Shakespeare trae il suo dramma è quella della ribellione dei Pari d'Inghilterra, che terminò con l'abdicazione del monarca e la sua morte in prigione, assassinato. Sullo sfondo del passaggio di consegne che implica il crollo di un regime, anzi di una concezione di autorità, si sussegue una lotta per il potere intinta nel sangue, mentre proseguono lo sfacelo economico e il saccheggio dello Stato.
Trama
La trama si apre con un evento già compiuto che si presuppone come antefatto (cosa che ha lasciato molte perplessità nella critica), cioè la misteriosa morte di Thomas Woodstock, duca di Gloucester, dietro la quale, secondo alcune illazioni malcelate, ci sarebbe la mano del re Riccardo II. Questo episodio è propedeutico al contrasto tra Bolingbroke e Mowbray, due Pari del regno che si imputano a vicenda la morte di Gloucester.
Ne sorge una contesa che si realizza in una giostra il cui giudice e garante è proprio Riccardo. La contesa viene interrotta dal re, il quale decreta l'esilio a vita per Mowbray e un esilio di 10 anni (poi ridotti a 6) per Bolingbroke.
Le scene successive mostrano in che modo Bolingbroke, assetato di rivalsa, sfruttando come scusa la confisca non prevista dei suoi beni, ritorna in patria dalla Francia (luogo dell'esilio), pianificando una sommossa con l'appoggio del popolo per rovesciare il trono di Riccardo. Questi, tradito da molti suoi nobili fidati, inizia a vivere il suo cammino tragico e sofferto che lo porterà, non prima di avergli dato più volte la vana illusione di riuscire a conservare il potere, ad abdicare in favore di Bolingbroke, a dover leggere le sue accuse pubblicamente dinnanzi alla Camera dei Comuni (costrizione da cui viene poi sgravato per grazia dello stesso Bolingbroke), all'arresto con conseguente carcerazione nella Torre di Londra e, infine, alla morte, anch'essa avvenuta in circostanze misteriose.
All'interno del Riccardo II, come sempre nel teatro shakespeariano, i temi storico-politici fanno da sfondo a questioni di ordine filosofico e psicologico. In particolare, ciò che il dramma mette a tema è la questione rinascimentale dell'uomo inteso come ente divino, da un lato, di contro alla secolarizzazione del soggetto, dall'altro lato.
Inoltre, centrale nel dramma è l'aspetto "narcisistico" del protagonista, che - convinto del suo essere sovrano per volere divino - presenta numerosi motivi di comparazione con la descrizione del narcisismo e dell'autismo nella riflessione della psicanalisi moderna.
L'opera conobbe un certo successo nel XVIII secolo; nel Ventesimo secolo il ruolo di Riccardo è stato interpretato da attori del calibro di John Gielgud (Old Vic, 1929), Maurice Evans (Old Vic, 1934), Paul Scofield (Old Vic, 1952); nel XXI, da Kevin Spacey (Old Vic, 2005) ed Eddie Redmayne (Donmar Warehouse, 2011).
Due allestimenti italiani di rilievo furono quelli di Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano il 23 aprile 1948 con Gianni Santuccio e quello di Gianfranco De Bosio con Glauco Mauri al Teatro Stabile di Torino il 26 febbraio 1966[2], nella splendida traduzione di Mario Luzi.
Frontespizio del Riccardo II pubblicato nel 1615.
AUDIO
Enrico IV. Parte prima e seconda
Enrico IV, Parte prima è un dramma storico in cinque atti composto nel 1597: è seguito dalla parte seconda, scritta nel 1598.
Il dramma, che ripercorre le vicende storiche di Enrico IV d'Inghilterra, è un'opera monumentale tanto da essere stata divisa dal drammaturgo in due parti da cinque atti ciascuna. Si tratta idealmente del seguito del Riccardo II, nel quale si narrano le vicende del monarca Riccardo II d'Inghilterra, al quale Enrico IV usurpò il trono. Alle due parti dell'Enrico IV succede, a completamento della tetralogia sulla storia monarchica inglese denominata Enrieide, l'Enrico V.
Fin dalla sua prima rappresentazione, è diventato estremamente popolare sia per il pubblico che per la critica.
Trama
Enrico Bolingbroke, ora re Enrico IV, cerca di gestire il suo regno nonostante la personale inquietudine per l'usurpazione del suo predecessore Riccardo II. Le sue preoccupazioni potrebbero risolversi con una crociata in terra santa, ma i problemi ai confini con la Scozia e il Galles rendono imprudente la partenza. Inoltre sono in aumento i suoi contrasti con la famiglia Percy, che lo ha aiutato a salire al trono, e con Edmund Mortimer, l'erede originariamente scelto da Riccardo II.
Ad angustiare re Enrico c'è anche il comportamento di suo figlio primogenito ed erede Enrico ("Hal"), il principe di Galles. Il giovane ha abbandonato la corte reale per passare il suo tempo nelle taverne con i compagni di bassifondi; ciò lo rende oggetto di disprezzo per i nobili e mette in discussione la sua dignità reale. Amico di Hal è Sir John Falstaff, un vecchio cavaliere grasso, alcolizzato e corrotto dotato però di un carisma e una gioia di vivere che affascinano il principe.
Nel corso dello spettacolo sono presentati tre gruppi di personaggi che all'inizio interagiscono minimamente, per poi unirsi nella battaglia di Shrewsbury, dove verrà decretato il successo della ribellione: Enrico IV e i suoi consiglieri (Enrico è il motore dell'opera, ma rimane principalmente sullo sfondo); i ribelli, tra cui spiccano l'energico Arrigo Percy ("Hotspur"), il conte di Norhumberland suo padre, suo zio Tommaso Percy, conte di Worcester (alla guida del gruppo); il conte scozzese di Douglas, Edmondo Mortimer e il gallese Owen Glendower; infine, il giovane principe Hal e i suoi compagni di scorribande Falstaff, Poins, Bardolfo e Peto, astuti e votati all'edonismo.
All'inizio dello spettacolo, il re è arrabbiato con Arrigo per aver rifiutato di consegnargli gran parte dei prigionieri catturati in un recente intervento contro gli scozzesi a Holmedon. Hotspur, da parte sua, vorrebbe che il re facesse rilasciare Edmondo Mortimer (fratello di sua moglie), recluso dal gallese Owen Glendower. Enrico rimprovera Mortimer per il suo comportamento sleale e tratta malamente i Percy, arrivando a minacciarli. Umiliati e allarmati dall'atteggiamento del re nei loro confronti, i Percy si alleano con i gallesi e gli scozzesi con l'intento di spodestare il sovrano dal trono. La ribellione fermenta nel corso del secondo atto.
Nel frattempo Hal, il figlio di Enrico, passa il suo tempo facendo baldoria, bevendo e rubando con Falstaff e i suoi soci; pur avendo in simpatia Falstaff, non intende essere come lui e si diverte a prenderlo in giro. In un'occasione, con la complicità di Poins, si traveste per terrorizzare il vecchio e tre suoi amici, sottraendo loro il bottino che si sono appena procurati rapinando alcuni uomini, divertendosi ad ascoltare il resoconto esagerato di Falstaff in seguito prima di restituire il denaro rubato. All'inizio dello spettacolo Hal informa il pubblico che questa sua fase "irrequieta" giungerà presto al termine e che riprenderà il suo legittimo posto dimostrandosi degno di suo padre e della corona attraverso qualche (non specificato) nobile impresa. Hal ritiene che questo suo cambiamento gli porterà a un maggior riconoscimento del principato e al rispetto dei membri della corte.
La rivolta di Mortimer e dei Percy permette ad Hal di realizzare il suo obiettivo; il principe fa pace con suo padre e ottiene un alto comando, giurando di combattere e uccidere il ribelle Hotspur e ordinando a Falstaff di mettersi alla guida di un gruppo di fanti per recarsi sul luogo dello scontro imminente a Shrewsbury.
La battaglia è determinante, perché se i ribelli ottengono anche solo uno stallo otterrebbero comunque un vantaggio, avendo altri alleati in attesa. L'esercito di Enrico è più numeroso, ma Hotspur guida le sue truppe in battaglia ugualmente; la giornata passa e il re viene tormentato all'idea di perdere. Il principe Hal e Hotspur si sfidano a un duello dopo essersi incontrati e il futuro re, diventato un fiero guerriero a tutti gli effetti, prevale e uccide l'avversario.
Intanto Falstaff ha abusato dei favori del re, facendosi corrompere da uomini abili che desideravano sottrarsi dal servizio e portando invece in battaglia i più poveri, trattenendo il loro salario quando vengono inevitabilmente uccisi. Rimasto solo durante gli scontri, si finge morto con disonore per evitare pericoli e viene compianto da Hal. Dopo la sconfitta di Hotspur, Falstaff pugnala il suo cadavere alla gamba per rivendicare la sua uccisione; Hal decide di lasciare correre la sua menzogna e gli concede la grazia, al che Falstaff giura di voler cambiare la sua vita e di ripulirsi per iniziare a vivere come un nobile.
Lo spettacolo si conclude a Shrewsbury, dopo la battaglia. La morte di Hotspur abbatte i ribelli e le forze di Enrico prevalgono; il re è soddisfatto, riuscendo anche a giustiziare Tommaso Percy, uno dei suoi principali nemici. Hal mostra la sua misericordia regale ordinando il rilascio del valoroso Douglas senza riscatto. La guerra, tuttavia, continua: le forze del re devono fare i conti con l'arcivescovo di York, che si è alleato con Northumberland e con le forze di Mortimer e Glendower (storia che continuerà in Enrico IV, parte II).
Fonti
Il dramma venne registrato nello Stationers' Register il 25 febbraio 1598, mentre la prima stampa in quarto si ebbe nello stesso anno ad opera di Andrew Wise.
Il dramma di Shakespeare copre, con le sue due parti, il periodo del regno di Enrico IV che intercorre dal 1399, data di usurpazione del trono, al 1413, anno della morte del sovrano. Il re, che prima di spingere Riccardo II ad abdicare portava il nome di Henry Bolingbroke, è presentato come un uomo tormentato dall'uccisione del suo predecessore, avvenuta secondo Shakespeare per mano di uno dei sostenitori dei Bolingbroke. In realtà, storicamente non vi è prova di tale fatto.
La prima parte del dramma si chiude nel momento della frattura tra il re e la nobile famiglia dei Percy, che lo avevano aiutato a placare le rivolte scozzesi ma, rifiutatisi di consegnare i nobili scozzesi al sovrano, si alleano a loro e gli si rivoltano contro.
Enrico IV in un ritratto postumo del 1620, forse basato su un'originale oggi perduto
La seconda parte dell'Enrico IV, si apre col ritorno, da parte del principe Enrico, alla sua vita dissoluta, circondato da gente indegna. Un ulteriore motivo di preoccupazione per Enrico IV, che già doveva fronteggiare l'esercito formato dal padre di "sperone ardente". L'apice della vicenda è la scena in cui il futuro Enrico V sta al capezzale del padre e, credendolo morto, sottrae la corona al padre per indossarla. Il re si ridesta e si infuria, ma poi crede nella buona fede del figlio, a cui ricorda il modo in cui ha usurpato la corona, e gli consiglia come regnare, ovvero spostare gli eserciti fuori dall'Inghilterra per evitare la guerra civile, consiglio che il futuro Enrico V seguirà mettendo in atto le campagne di Francia.
ENRICO VIII
Enrico VIII è un dramma storico composto nel 1612 - 1613 alla cui stesura del testo collaborò probabilmente, come già ne I due nobili cugini, il drammaturgo John Fletcher.
Trama
L’azione inizia col ripudio della regina Caterina d'Aragona da parte di Enrico VIII, che l’allontana dalla corte, sia perché non gli dà il tanto sospirato erede, sia per gli intrighi del cardinale-ministro Thomas Wolsey che si vuol vendicare della donna per non aver ottenuto l’Arcidiocesi di Toledo, non essendo Caterina intervenuta in suo favore presso l’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V d'Asburgo.
Segue l’incoronazione di Anna Bolena a regina d’Inghilterra, e poi, numerosi avvenimenti tragici: i drammi del Duca di Buckingham, condannato a morte per gli intrighi del cardinale Wolsey, e del cardinale Wolsey stesso, privato di tutti gli incarichi e tutti i beni, e sostituito da Tommaso Moro nella carica di ministro, per aver scritto a Papa Clemente VII di bloccare l’istanza di divorzio di Enrico VIII. Alla fine, la nascita della figlia di Enrico, Elisabetta, e il suo battesimo concludono l’opera con un’atmosfera di serenità e di speranza, come profezia d'una futura era di pace e grandezza.
Contesto storico
Quando Shakespeare scrive il dramma (tre anni prima della sua morte), Tommaso Moro era stato giustiziato da quasi ottant'anni per aver rifiutato, sia la ratifica del divorzio del re, sia la ribellione all’autorità papale, e l'autore ne dà un'immagine positiva (aveva anche contribuito, seppur in misura minima, al dramma Sir Tommaso Moro). Anche Wolsey si riscatta nella caduta, riconoscendo umilmente la “vana pompa e gloria di questo mondo”, avendo ritrovato “una pace interiore che supera tutte le dignità della terra”. Il poeta mostra, tramite il Duca di Buckingham, Caterina e Wolsey, una particolare attenzione al dramma degli sconfitti della storia, ed è magnanimo nel giudicarli, facendo risaltare i loro meriti.
Anna Bolena, copia di dipinto, c. 1534
RE GIOVANNI
Re Giovanni è un dramma in cinque atti. Si tratta della drammatizzazione del regno di Giovanni d'Inghilterra detto "Senza Terra", figlio di Enrico II d'Inghilterra ed Eleonora d'Aquitania, padre di Enrico III d'Inghilterra. Si pensa sia stato scritto durante gli anni 1590. Fu pubblicato nel First Folio, nel 1623.
Trama
In Inghilterra Re Giovanni, il più giovane dei cinque figli del re Enrico II d'Inghilterra e della duchessa Eleonora d'Aquitania, e che governa da tempo, riceve un'ambasceria da Filippo II Re di Francia, nella quale egli chiede di cedere il trono al di lui giovane nipote Arturo. Giovanni non accetta la perentoria richiesta di Filippo e si prepara alla guerra per difendere il suo trono. Nella stessa scena interviene il diverbio tra due gentiluomini che si contendono un'eredità: Roberto di Falconbridge e suo fratello Filippo, spogliato dei beni perché ritenuto figlio illegittimo di Riccardo I detto Cuordileone, fratello di Giovanni e precedente Re. La figura fisica di Filippo ricorda molto quella del Cuordileone, mentre il testamento del defunto Sir Roberto disconosce Filippo adducendo a motivo proprio il concepimento avvenuto da parte di Riccardo mentre lui era in servizio d'ambasceria in Germania. Allora interviene la regina madre Eleonora che, riconoscendolo come nipote grazie alla forte somiglianza nel fisico e nella voce, suggerisce a Filippo di Falconbridge di cedere le terre di Falconbridge in cambio di un cavalierato, e di mutuare il proprio nome in quello del padre biologico, Riccardo Plantageneto. Di accompagnare infine lei e lo zio nella guerra francese.
Intanto i francesi, capeggiati da Re Filippo, assediano la città inglese di Angers e dichiarando che la lasceranno solo con l'ascesa al trono del principe Arturo. Purtroppo non c'è molto da fare perché i francesi sono alleati anche con gli austriaci che credono di aver assassinato Re Riccardo.
Nel frattempo Eleonora raggiunge Costanza, la madre di Arturo per rovesciare Giovanni, ma questi assieme a Riccardo le scopre e le punisce severamente. Inoltre affermano che il futuro re sarà solo un uomo molto saggio, chiunque sia.
Infatti il piano di Riccardo (Filippo di Falconbridge) e di Re Giovanni è semplice: lasciare Angers al suo destino e unire con un matrimonio Francia e Inghilterra: facendo sposare Delfino, figlio di Filippo, con Bianca, nipote di Giovanni. Il tutto si svolge sotto lo sguardo corrucciato di Regina Costanza che teme per la vita di suo figlio Arturo.
Per le nozze viene scelto da Roma il Cardinal Pandolfo il quale prima della cerimonia deve pretendere le scuse di Filippo per una vecchia mancanza di rispetto al papa. Questi rifiuta e allora viene scomunicato; ma le nozze si celebrano comunque. Ma in segreto Pandolfo sostiene un altro pretendente per il trono: un certo Luigi. Finalmente i progetti di Giovanni e Riccardo possono compiersi definitivamente con la ripresa della guerra; infatti Riccardo combatte e sconfigge l'Austria per vendicare il padre, Arturo viene catturato dagli inglesi dopo un sanguinoso assedio ad Angers e la sua protettrice Eleonora viene tolta di mezzo per sempre. Ora Giovanni ordina che il nipote Arturo venga ucciso immediatamente, mentre il Cardinal Pandolfo incita Luigi a invadere l'Inghilterra. Come sicario viene scelto Uberto che però non se la sente di uccidere un suo pari e propone a Giovanni di riscattarlo. Egli accetta a malincuore, ma intanto giunge una notizia della falsa morte del nipote. Tutta l'Inghilterra è in subbuglio fino a quando l'equivoco non è chiarito.
Purtroppo pochi mesi dopo Arturo muore veramente, nel tentativo di fuggire dalla prigione ov'era rinchiuso e i nobili inglesi insorgono contro Giovanni, credendolo il capo dei congiurati. Giovanni ora ripone completamente la sua fiducia in Pandolfo, che è però segretamente in accordo coi francesi, e in Riccardo che continua a servire fedelmente lo zio. Poco tempo dopo una spedizione inglese capeggiata dal Bastardo marcia verso la Francia, che risponde con una controffensiva guidata da Luigi. Lo scontro è cruentissimo e con massicce perdite. Alla fine gli inglesi sono costretti a ripiegare ma i ribelli ritornano di nuovo sotto la protezione di Re Giovanni. Infine un monaco della corte inglese avvelena Re Giovanni e Riccardo si ritrova solo ad affrontare i francesi e Luigi. Tuttavia prima di un nuovo scontro giunge il Cardinal Pandolfo con un trattato di pace, annunciando che gli inglesi avrebbero riposto fedeltà solo sul figlio di Giovanni, Enrico, fino a quel momento tenuto nascosto a tutti.
Riccardo commenta che la giusta linea di successione è così ristabilita e che nulla potrà mai causar danno all'Inghilterra se questa rimane fedele a se stessa.
Personaggi
- Re Giovanni
- Principe Enrico, figlio del re
- Arturo, duca di Bretagna e nipote del re
- I conti di Salisbury, Pembroke ed Essex
- Lord Bigot
- Robert Faulconbridge, figlio di Sir Robert Faulconbridge
- Filippo Faulconbridge, poi Riccardo Plantageneto, bastardo del Cuordileone
- Uberto, cittadino di Angiers poi al servizio di Re Giovanni
- Giacomo Gurney, al servizio di Lady Faulconbridge
- Pietro di Pomfret, un profeta
- Filippo, il re di Francia
- Luigi, il delfino
- Limoges, duca d'Austria
- Melun, nobile francese
- Chatillon, ambasciatore di Francia preso il re Giovanni
- Cardinale Pandolfo, legato papale
- Regina Eleonora, madre di re Giovanni
- Costanza, madre di Arturo
- Bianca di Spagna, nipote di re Giovanni
- Lady Faulconbridge, vedova di Sir Robert Faulconbridge.
Giovanni d'Inghilterra firma la Magna Carta
La Magna Carta
Approfittando di un momento di debolezza di Giovanni, su consiglio dell'arcivescovo, Stephen Langton, che si ispirò allo statuto delle libertà emanato da Enrico I d'Inghilterra, nel 1100, i baroni si unirono affinché il re firmasse un documento che sanciva e ampliava i loro diritti e riduceva il potere del regnante d'Inghilterra, riportandolo nei confini della monarchia feudale, sovrano legato ai vassalli da obblighi e responsabilità, quindi limitato nella sua sola volontà per il rispetto degli accordi. Così, Giovanni, fu costretto dalla rivolta dei baroni a porre il sigillo sul documento, la Magna Carta Libertatum, il 15 giugno 1215.
Papa Innocenzo III non gradì e annullò con una bolla pontificia la Magna Carta in nome della difesa della sovranità della Chiesa, coincidente con quella del sovrano, il quale gli aveva prestato omaggio feudale per riceverne l'investitura su Inghilterra e Irlanda. Giovanni da questo documento papale che scomunicava gli avversari riacquistò prestigio e, dopo aver chiesto e ottenuto dal papa lo scioglimento dal vincolo del giuramento alla Carta che dichiarava gli fosse stato estorto con le minacce, sostenuto da alcuni nobili, come Guglielmo il Maresciallo, entrò in una vera e propria guerra civile contro i baroni nei suoi territori. Staccati così da Langton, i ribelli occuparono Londra e offrirono il trono al figlio di Filippo II Augusto, Luigi, che invase l'Inghilterra e venne proclamato re nel maggio 1216 e venne, poi, incoronato nella cattedrale di Saint Paul, ricevendo l'omaggio di molti nobili e anche quello di re Alessandro II di Scozia.
Giovanni riprese spietatamente la lotta, che stava volgendo a suo favore, anche per le titubanze del francese, quando lo colse improvvisamente la morte nel castello di Newark, nel Nottinghamshire, per un acuto attacco di dissenteria, il 19 ottobre del 1216, mentre la guerra con i baroni era in corso. Come aveva chiesto, Giovanni fu tumulato nella cattedrale di Worcester.
A Giovanni successe il figlio minorenne Enrico, che divenne Enrico III sotto la tutela di Guglielmo il Maresciallo, il quale, dopo la vittoria nella battaglia di Lincoln contro i francesi, e il successivo trattato di Lambeth del 1217 siglato con Luigi (il futuro Luigi VIII), mise fine alla prima guerra baronale e segnò la rinuncia definitiva di Luigi di Francia al trono inglese.
Eugenio Caruso - 15 - 07 - 2022
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