Io lavoro sempre con la convinzione che non esista, in fondo, nessun problema irrisolvibile.
Jung
INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI
In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei grandi capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia e del made in Italy. Anche con riferimento alle piccole e medie imprese che hanno contribuito al progresso del Paese.
Biografie precedenti
A - Abarth - August Abegg - Adamoli - Giovanni Agnelli - Franco Angeli - Agusta - Alemagna - Amarelli - Amato - Angelini - Ansaldo - Aponte - Richard Arkright - Auricchio -
B - Barilla - Barovier - Bastogi - Beneduce - Karl Benz - Beretta - Bertone - Bialetti - Bianchi - László József Bíró - Coniugi Bissel - Bocconi - William Edward Boeing - Bombassei - Bombrini - Borghi - Borletti - Bormioli - Borsalino - Bracco - Branca - Breda - Brugola - Brustio - Buitoni -
C - Cabella - Campagnolo - Campari - Cantoni - Caproni - Caprotti - Cassani - Louis Chevrolet - Cicogna - Cini - Cirio - André Gustave Citroen - Colussi - Costa - Cosulich - Crespi - Cristaldi -
D - Gottlieb Wilhelm Daimler - Danieli - De Angeli - De Cecco - De Ferrari - Del Vecchio - Rudolf Diesel - Walt Disney - Donegani - Ennio Doris - Cavalieri Ducati - William Durant -
E - Thomas Edison - Erba -Esterle -
F - Enrico Falck - Fassini - Fastigi - Feltrinelli - Anna Fendi - Ferragamo - Ferrari - Ferrero - Ferruzzi - Figari - Florio - Henry Ford - Enrico Forlanini - Fumagalli -
G - Egidio Galbani - Edoardo Garrone - Peter Giannini - Giuseppe Gilera - Giugiaro - Gobbato - Francesco Gondrand - Riccardo Gualino - Gucci - Carlo Guzzi -
H - Hewlett e Packard - Ulrico Hoepli -
I - Ferdinando Innocenti -Isotta e Fraschini -
J - Steve Jobs
K - Krizia - Raymond Albert Kroc - Alfred Krupp
L - Lamborghini - Vincenzo Lancia - Vito Laterza - Achille Lauro - Roberto Lepetit - Mattia Locatelli - Florestano de Larderel - Luigi Lavazza -
M - Macchi - Marchetti - Marelli - Marinotti - Martini - Maserati - Marzotto - Mattei - Melegatti - Menada - Menarini - Merloni - Fratelli Michelin - Miller - Mondadori - Montesi - Morassuti - Angelo Moratti - Angelo Moriondo - Angelo Motta - Giacinto Motta - Ugo Mutti -
N - Giuseppe Nardella - Nardi -Vittorio Necchi
O - Adriano Olivetti
P - Pagani - Parano - Pavesi - Peretti - Perrone - Pesenti - Armand Peugeot - Piaggio - Pininfarina - Pirelli - John Pemberton - Pomilio - Stephen Poplawski - Ferdinand Porsche - Prada -
R - Guglielmo Reiss Romoli - Louis Renault - Alberto Riva - Angelo Rizzoli - Agostino Rocca - Gianfelice Rocca- John Davison Rochefeller - Nicola Romeo - Alessandro Rossi -
S - Angelo Salmoiraghi - Savoia e Verduzio - Isaac Merrit Singer - Alfred Sloan - Luisa Spagnoli - Otto Sundbäck
T - Franco Tosi - Nicola Trussardi -
V - Gianni Versace - Vittorio Valletta - Alfredo Vignale - Carlo Vichi - Giuseppe Volpi
W - Edoardo Weber
Z - Ugo Zagato - L. Zambeletti - Lino Zanussi - E. Zegna
Leonardo Del Vecchio
Leonardo Del Vecchio (Milano, 22 maggio 1935 – Milano, 27 giugno 2022), ultimo di quattro fratelli, era nato a Milano il 22 maggio 1935. Portava il nome del padre, un commerciante di frutta di origini pugliesi che morì prima della sua nascita. A sette anni fu affidato al collegio dei Martinitt per gli orfani e i bambini abbandonati, in cui crebbero anche Angelo Rizzoli ed Edoardo Bianchi (e alcuni imprenditori minori che ho avuto l'onore di conoscere persolamente). Nel suo fascicolo si leggeva: “Urge immediato ricovero, perché viene dall’ambiente delle case minime e passa la giornata nel più completo abbandono”. In un’intervista a Tommaso Ebhardt, pubblicata poche settimane fa nel libro Leonardo Del Vecchio, l’imprenditore ha dichiarato: “Il collegio è stato la mia fortuna. È diventato la mia famiglia. Stavo bene, mi hanno insegnato delle regole”.
A 15 anni Del Vecchio lasciò i Martinitt e iniziò a lavorare alla Johnson, un’azienda di medaglie e distintivi. Per tre anni e mezzo fu garzone degli incisori. “Non mi chiamavano neanche per nome”, ha raccontato. “Solo ‘fiö’”. I proprietari lo spinsero a iscriversi all’Accademia di Brera, per studiare design e incisione.
Dopo un periodo in Trentino come capo stampista, Del Vecchio tornò a Milano e creò un laboratorio di stampi. Entrò così in contatto con gli imprenditori che sarebbero diventati, di lì a poco, i primi clienti di Luxottica. Nel 1958 si trasferì così ad Agordo, in provincia di Belluno, nel distretto dell'occhialeria, dove aprì una bottega di montature per occhiali. Ottenne un capannone gratuito dal comune, che regalava impianti a chi voleva avviare imprese, e cominciò come terzista, cioè fornitore di parti per le tante occhialerie della regione. Tre anni più tardi, la bottega divenne Luxottica. Proprietario unico dal 1967, decise presto di produrre occhiali completi e di commercializzarli a marchio Luxottica. “Ho sempre odiato la dipendenza da altri”, ha ricordato Del Vecchio. “Ho sempre preferito il poco, magari subito, determinato da me. Quando si lavora per altri, si è nelle mani di altri”.
Nel 1969, come ha raccontato il libro di Ebhardt, Luxottica fu sull’orlo del fallimento, quando il direttore della Banca del Friuli di Agordo negò il prestito necessario per pagare creditori e operai. La salvò un finanziamento della Cassa di Risparmio di Belluno. “Mi è sempre rimasta la curiosità di sapere se Del Vecchio, applicando gli attuali sofisticati algoritmi che misurano il merito di credito, avrebbe superato l’esame”, ha scritto Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera. “Per fortuna ebbe di fronte all’epoca, almeno in una banca, funzionari di buon senso che lo guardarono in faccia. E credettero in lui, nelle sue capacità, nel suo spirito di sacrificio, nella voglia di farcela contro ogni vento contrario”.
Leonardo Del Vecchio – sei figli e tre matrimoni, di cui gli ultimi due con la stessa donna, Nicoletta Zampillo – ha passato i 50 anni successivi a costruire il più grande gruppo mondiale degli occhiali. “Tutto è partito dalla paura che il mio futuro fosse condizionato da altri”, ha dichiarato. “Un anno un nostro importatore americano ordinò meno occhiali del solito. Cominciai a pensare che anche il distributore non mi stava più bene. Perciò iniziai a comprare i distributori che più mi piacevano”.
Poi vennero l’acquisizione della più grande catena di vendita al dettaglio d’America e quelle di alcuni dei principali marchi di occhiali al mondo: Vogue nel 1990, Persol nel 1995, Ray-Ban nel 1999, Oakley nel 2007. Luxottica produce oggi occhiali anche per brand come Bulgari, Chanel, Ralph Lauren, Prada e Tiffany. È quotata a New York dal 1990 e a Milano dal 2000.
Negli stessi anni, Del Vecchio divenne famoso per essere il primo contribuente d’Italia. E mentre la sua azienda cresceva, si lanciò anche in altri settori. Nel 1995, assieme alla famiglia Benetton, acquistò la Società Meridionale di Elettricità, che possedeva Autogrill e Supermercati Gs. Un’operazione che Del Vecchio, in un’intervista a Repubblica, definì “un affare finanziario”, concluso cinque anni dopo con la vendita a Carrefour. Tramite la sua holding lussemburghese, Delfin, l’imprenditore era anche il maggiore azionista di Mediobanca e possedeva il 9,82% di Assicurazioni Generali. Negli ultimi anni, assieme a Francesco Gaetano Caltagirone, si è scontrato sull’assetto delle due società con l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel.
Dopo avere ceduto la carica di amministratore delegato nel 2004, Del Vecchio ha ripreso un ruolo operativo in Luxottica nel 2016. È stato lui a condurre, nel 2018, la fusione con Essilor, gigante francese delle lenti. Un’operazione che ha portato alla nascita del gruppo EssilorLuxottica, che impiega 180mila dipendenti, ha fatturato 17,8 miliardi di euro nel 2021 e ha reso Leonardo Del Vecchio la seconda persona più ricca d’Italia e la 52esima più ricca al mondo, con un patrimonio di 27,3 miliardi di dollari.
Lo scorso anno EssilorLuxottica, assieme a Facebook (oggi Meta), ha annunciato la nascita dei Ray-Ban Stories: occhiali intelligenti che dovrebbero diventare una delle chiavi della costruzione del metaverso di Mark Zuckerberg. L’ultima avventura di una carriera durata più di 60 anni che, ha assicurato Del Vecchio, non ha lasciato nemmeno un rimpianto. “Luxottica non mi ha mai dato rimpianti. L’unico rimpianto ce l’ho quando vedo qualcuno per strada con un occhiale che non è nostro. Vorrei mettere su gli occhiali a tutti”.
Partecipazioni azionarie
Con la sua società a responsabilità limitata lussemburghese, Delfin S.à.r.l., Del Vecchio controllava il:
- 38,4% di EssilorLuxottica, multinazionale francese principale produttore mondiale di occhiali e lenti, quotata alla Borsa di Parigi;
- 28% di Covivio, immobiliare francese quotata alla Borsa di Parigi;
- 13% di Luxair, compagnia aerea Lussemburghese;
- 18,9% di Mediobanca, principale banca d'affari italiana;
- 6,62% di Assicurazioni Generali, principale compagnia di assicurazioni italiana.
Articolo di Giovanni Iozza del 27/6/22
A 87 anni è scomparso il più grande imprenditore italiano del Novecento. Leonardo Del Vecchio resta un modello per il senso di responsabilità dell’impresa. Non ha mai fatto ricorso a sostegni pubblici, è andato per la sua strada con un un grande senso di responsabilità e di innovazione. Fino ai Rayban con Facebook.
Appena ho letto della scomparsa di Leonardo Del Vecchio sono andato subito a prendere i Ray-Ban Stories. Ecco l’ultima prova di un imprenditore che a oltre 80 anni ha portato la sua azienda a dialogare con Marck Zuckerberg per trovare lo strumento più comodo per entrare nel metaverso: il Signore degli Occhiali e il Mago dei Social insieme. La conferma di un grande intuito imprenditoriale che, quando c’è, non conosce età. Un bel caso che conferma quanto potrebbe e dovrebbe fare il Made in Italy per un mondo sempre più tecnologico.
Leonardo Del Vecchio lascia le sue imprese e le sue famiglie a 87 anni dopo una vita a dir poco straordinaria: dall’orfanotrofio a Luxottica, leader mondiale nell’occhialeria, che oggi si chiama EssiLux (dopo l’acquisizione dell’azienda francese Essilor nel 2018). Grande è il cordoglio per la scomparsa del fondatore, ma le imprese (e le famiglie) restano.
Uno dei tanti Martinitt, come venivano chiamati i bambini cresciuti nello storico orfanotrofio in pieno centro a Milano per via del vicino oratorio di San Martino, che è riuscito a conquistare gli occhi del mondo con tenacia, capacità di innovazione e soprattutto una grande senso della responsabilità dell’impresa e dell’imprenditore che raramente si trova in Italia. Al di là del successo, per questa resta un modello in un Paese dove storicamente prevale una cultura imprenditoriale segnata dalla mancanza di concorrenza con una forte tendenza all’assistenzialismo e alle furbizie.
La cosa che mi ha più colpita nel corso degli anni è non aver mai sentito o letto Leonardo Del Vecchio lamentarsi della pressione fiscale, del costo del lavoro, della pubblica amministrazione inefficiente o della giustizia lenta, tutte argomentazioni vere, per carità, ma dietro le quali spesso vengono mascherate i limiti e le incapacità di tanti manager e imprenditori. Luxottica non ha mai fatto ricorso a cassa integrazioni, contributi dello Stato o altro, come altre grandi aziende italiane che dopo anni di sostegni pubblici poi hanno confuso l’internazionalizzazione con l’allontanamento dal Paese. Leonardo Del Vecchio, invece, è andata avanti per la sua strada, dalla piccola bottega aperta in uno sperduto paese del bellunese alla grande scena internazionale del business, senza mai dimenticare il punto di partenza.
Leonardo Del Vecchio è il più grande imprenditore italiano del Novecento, con le virtù e i limiti di un uomo nato nel 1935, che non ha avuto nulla per appartenenza familiare e ha costruito un pezzo dopo l’altro un impero da circa 15 miliardi con 80mila abitanti. E dico abitanti perché in qualche modo con Luxottica Del Vecchio ha costruito la sua azienda-Stato, con un welfare diventato un modello e invidiato da molti ma forse necessario per attrarre e poi trattenere i collaboratori ad Agordo e con una governance più simile a quella di una dinastia regnante che non di una multinazionale. La forza e la debolezza di tanto made in Italy dove anche le più grandi aziende mantengono spesso una gestione familiare. Le aziende restano, dicevamo, e adesso tocca a mogli e figli garantire a Luxottica il futuro che merita.
“Se ti distrai o ti culli sugli allori, come ho visto fare a diversi imprenditori che hanno cominciato insieme a me, senza che neanche te ne accorgi arriva qualcuno a portarti via il mercato”. Era uno dei modi di parlare di innovazione per Leonardo Del Vecchio che la prima grande innovazione la fa trasformando l’occhiale da un dispositivo medico, brutto, fastidioso e quindi da tollerare, a un prodotto di design e quindi di moda. Un cambiamento epocale che poi diede vita alle innumerevoli partnership con stilisti di tutto il mondo (a proposito di stilisti, vale la pena andare a rileggere il colloquio con Giorgio Armani: due Grandi Vecchi che sostengono la “convenienza” di aiutare i più deboli).
La curiosità senza limiti in un grande imprenditore si spegne solo con l’ultimo sospiro. Gli smart glasses sono una grande dimostrazione di capacità industriale: mettere dentro la montatura di un Ray-Ban Wayfarer (quelli dei Blues Brothers John Belushi e Dan Aykroyd) due casse, due videocamere e un sistema di trasmissione bluetooth è un’opera di miniaturizzazione non da poco, che fa passare in secondo piano la scarsa qualità del suono e delle immagini. Ma è solo il primo passo verso un nuovo mondo e un nuovo mercato. “Stiamo ancora inseguendo le vendite online e non ci accorgiamo che quello che per noi sembra un traguardo è già il passato”, aveva detto Leonardo Del Vecchio al Corriere della Sera a fine 2021 in una delle sue ultime interviste, in cui aggiungeva: “Abbiamo bisogno di scelte rivoluzionarie che scardinino tutti i vincoli che vengono dal passato. Tutte le forze positive del Paese devono contribuire a costruire questo nuovo mondo, rinunciando a comode rendite di posizione”. Sentiva l’urgenza del cambiamento: “Viene più dall’evoluzione delle tecnologie e dalla velocità della globalizzazione che non dalla mia età”. Parole che oggi suonano come un testamento che è di guida e conforto per tanti giovani e meno giovani imprenditori e manager che hanno sposato la causa dell’innovazione.
Eugenio Caruso
- 24 luglio 2022
Tratto da