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Lev Tolstoj. Guerra e Pace - Anna Karenina

«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.»
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio)

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.

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Lev Nikolàevic Tolstòj, in italiano anche noto come Leone Tolstoi (Jàsnaja Poljàna, 9 settembre 1828 – Astàpovo, 20 novembre 1910), è stato uno scrittore, filosofo, educatore e attivista sociale russo.

 

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Lo scrittore in un ritratto di Il'ja Efimovic Repin (1887)

Divenuto celebre in patria grazie a una serie di racconti giovanili sulla realtà della guerra, il nome di Tolstoj acquisì presto risonanza mondiale per il successo dei romanzi Guerra e pace e Anna Karenina, a cui seguirono altre sue opere narrative sempre più rivolte all'introspezione dei personaggi e alla riflessione morale. La fama di Tolstoj è legata anche al suo pensiero pedagogico, filosofico e religioso, da lui espresso in numerosi saggi e lettere che ispirarono, in particolare, la condotta nonviolenta dei tolstoiani e del Mahatma Gandhi. La vita di Tolstoj fu lunga e tragica, dominata da una profonda tensione. Tolstoj ebbe un'incessante, tormentosa evoluzione interiore, lottò con se stesso e con il mondo, e questa lotta, talora impetuosa, alimentò senza sosta l'impulso creativo. Perciò lo studio della sua vita, come ha scritto Igor Sibaldi, richiede impegno e fatica: «Lo sforzo lo richiede, e notevole, la biografia tolstoiana: per non smarrirsi tra le sue fasi, tanto radicalmente diverse l'una dall'altra, contraddittorie, e tanto intense tutte, mai «minori» – giacché in ciascuna di esse Tolstoj metteva immancabilmente tutto sé stesso [...]» Una traccia per accostarsi alla sua vita la offrì Tolstoj stesso, quando scrisse, negli ultimi anni, che essa poteva essere divisa in quattro periodi fondamentali:

«[...] quel primo tempo poetico, meraviglioso, innocente, radioso dell'infanzia fino ai quattordici anni. Poi quei venti anni orribili di grossolana depravazione al servizio dell'orgoglio, della vanità e soprattutto del vizio. Il terzo periodo, di diciotto anni, va dal matrimonio fino alla mia rinascita spirituale: il mondo potrebbe anche qualificarlo come morale, perché in quei diciotto anni ho condotto una vita familiare onesta e regolata, senza cedere a nessuno dei vizi che l'opinione pubblica condanna. Tutti i miei interessi però erano limitati alle preoccupazioni egoistiche per la mia famiglia, il benessere, il successo letterario e tutte le soddisfazioni personali. Infine il quarto periodo è quello che sto vivendo adesso, dopo la mia rigenerazione morale [...]»

Tolstoj nasce il 9 settembre 1828 nella tenuta Jasnaja Poljana nel distretto di Šcëkino (governatorato di Tula). I genitori sono d'antica nobiltà: la madre, di cinque anni maggiore del marito, è la principessa Marja Nikolàevna Volkonskaja (Jasnaja Poljana era la sua dote di matrimonio), mentre il padre Nikolàj Il'ìc è discendente di Pëtr Andreevic Tolstoj, che aveva ottenuto il titolo di conte da Pietro il Grande. La madre, di cui Lev non conserverà alcun ricordo, muore quando egli ha appena due anni. Dopo qualche anno gli muore anche il padre (corse voce che l'avessero avvelenato i suoi due servi prediletti; Lev lo ricorderà come mite e indulgent) lasciandolo precocemente orfano. Fu così allevato da alcune zie molto religiose ed educato da due precettori, un francese e un tedesco, che diventeranno poi personaggi del racconto Infanzia. Scriverà di sé:

«Chi sono io? Uno dei quattro figli di un tenente colonnello in pensione, rimasto orfano a sette anni, allevato da donne e da estranei e che, senza aver ricevuto alcuna educazione mondana né intellettuale, a diciassette anni è entrato nel mondo.»

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Tolstoj con la moglie, uno dei figli e un cane



Nel 1844 si iscrive all'università di Kazan' (nell'attuale Tatarstan), prima alla facoltà di filosofia (sezione di studi orientali, dove supera gli esami di arabo e turco), poi, l'anno dopo, a quella di giurisprudenza, ma per via dello scarso profitto non riuscirà mai a ottenere la laurea; provvede quindi da solo alla propria istruzione, ma questa formazione da autodidatta gli provocherà spesso un senso di disagio in società. La giovinezza dello scrittore è disordinata, tempestosa: a Kazan passa le serate tra feste e spettacoli, perdendo grosse somme al gioco d'azzardo (circa dieci anni dopo, a Baden-Baden, perderà ancora rovinosamente al gioco e lo salverà l'amico Turgenev concedendogli un prestito) ma intanto legge molto, soprattutto filosofi e moralisti. Particolare influenza ha su di lui Jean-Jacques Rousseau: «Rousseau e il Vangelo hanno avuto un grande e benefico influsso sulla mia vita. Rousseau non invecchia.» Non a caso, l'opera della conversione di Tolstoj, scritta trent'anni dopo, si intitolerà appunto – similmente all'autobiografia rousseauiana – La confessione (1882). Autori come Rousseau, Sterne, Puškin, Gogol' insegnano allo scrittore in erba un principio fondamentale: in letteratura sono importanti soprattutto la sincerità e la verità. Proprio sotto questi influssi nascono le opere letterarie di Tolstoj: nel 1851 avviene la prima redazione del racconto Infanzia (che uscirà sulla rivista di Nekrasov Sovremennik nel 1852, firmato con le sole iniziali) e la stesura di un altro racconto, incompiuto, Storia della giornata di ieri. Lo scopo di quest'ultimo, secondo le parole dell'autore, era estremamente semplice e insieme complicatissimo, quasi irrealizzabile: «descrivere una giornata, con tutte le impressioni e i pensieri che la riempiono». Da questo germe si può già intravedere lo sviluppo della possente pianta: tendenza all'introspezione e alla vita reale. Tolstoj resterà fino alla fine un incrollabile realista. L'immaginazione slegata dalla realtà è quasi inesistente nei suoi libri. L'unica possibilità di utilizzare la fantasia consiste nell'elaborazione di qualche particolare, di qualche sfumatura che appartiene però a un oggetto assolutamente reale. Anche il successivo racconto, pubblicato sempre su Sovremennik, è ispirato a criteri di verità quasi naturalistici: L'incursione (1853), che nasce dal ricordo di un'autentica scorribanda compiuta da un battaglione russo in un villaggio caucasico.
Tra il 1851 e il 1853 Tolstoj, seguendo il fratello maggiore Nikolaj, partecipa alla guerra nel Caucaso, prima come volontario, poi come ufficiale d'artiglieria. Nel 1853 scoppia la guerra russo-turca e – dietro sua richiesta – Tolstoj viene trasferito in Crimea, dove difende il bastione N. 4 di Malakoff durante l'assedio di Sebastopoli. Qui conduce la vita del soldato, combatte coraggiosamente, affronta rischi d'ogni sorta, osserva tutto con attenzione, guarda in faccia il pericolo, e tuttavia gli avvenimenti più tragici avvengono dentro di lui: si sente inquieto, costantemente in bilico tra la vita e la morte, ma col desiderio di dedicare la propria esistenza a nobili ideali. Nel Diario del 1854 – anno in cui pubblica Adolescenza (Otrocestvo) – annota:

«La cosa più importante per me è liberarmi dai miei difetti: la pigrizia, la mancanza di carattere, l'irascibilità». Nel marzo del 1855 decide finalmente riguardo al proprio destino: «La carriera militare non fa per me, e prima me ne tirerò fuori, per dedicarmi totalmente alla letteratura, tanto meglio sarà».

Scriveranno di lui

«Tolstoj fu la luce più pura che abbia illuminato la nostra giovinezza in quel crepuscolo denso di ombre grevi del diciannovesimo secolo che tramontava.» (Romain Rolland, Nobel per la Letteratura)

«In quegli anni di fine secolo suscitò enorme risonanza in noi studenti la pubblicazione di scritti molto diversi fra loro: quelli di Nietzsche e di Tolstoj [...] Lo scrittore e pensatore russo esprimeva una visione ben diversa da quella del filosofo tedesco. Tolstoj era un sostenitore della cultura etica, e la considerava la verità profonda, raggiunta attraverso lunghe riflessioni ed esperienze di vita. Leggendo i suoi racconti noi ripercorrevamo assieme a lui il cammino verso la conoscenza della vera umanità e di una spiritualità semplice e schietta.» (Albert Schweitzer, Nobel per la Pace)

«Quarant'anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio è dentro di noi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa. Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità. Fu l'uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l'aveva trovata. [...] Fu il più grande apostolo della non-violenza che l'epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. [...] La vera ahimsa dovrebbe significare libertà assoluta dalla cattiva volontà, dall'ira, dall'odio, e un sovrabbondante amore per tutto. La vita di Tolstoj, con il suo amore grande come l'oceano, dovrebbe servire da faro e da inesauribile fonte di ispirazione, per inculcare in noi questo vero e più alto tipo di ahimsa.» (Mahatma Gandhi)

La guerra di Crimea – cruenta e rovinosa per l'esercito russo – lascia un solco profondo nel giovane Tolstoj e gli offre, d'altra parte, abbondante materiale per una serie di racconti: il ciclo dei tre Racconti di Sebastopoli ( 1855) e poi Il taglio del bosco (1855), La tempesta di neve (1856) e I due ussari (1856). Ispirate alle violenze della guerra, queste opere sconvolgono la società russa per la spietata verità e l'assenza di qualsiasi forma di romanticismo guerriero o di patriottismo sentimentale. Nessuno prima di lui ha descritto la guerra in quel modo: è una voce nuova nell'epoca d'oro della letteratura russa. Nel gennaio del 1856, Fëdor Dostoevskij scrive dalla Siberia a un corrispondente, parlando di Tolstoj: «mi piace molto, ma secondo me non scriverà molto (ma del resto, chissà, forse mi sbaglio)». La censura esita ad autorizzare la pubblicazione dei tre Racconti di Sebastopoli: cerca di vietare il secondo «per l'atteggiamento derisorio nei confronti dei nostri coraggiosi ufficiali», ma alla fine lascia correre, pur imponendo tagli e modifiche. Nel 1856 vengono raccolti in un unico volume con il titolo Racconti di Guerra.
Nel 1856 Tolstoj assiste il fratello Dmitrij, che muore di tubercolosi. Si interessa poi per migliorare le condizioni dei contadini di Jasnaja Poljana, ma questi sono diffidenti e rifiutano le sue proposte, come accade al protagonista de La mattinata di un proprietario terriero, racconto che Tolstoj pubblica in quell'anno, e come accadrà anche al protagonista di Resurrezione, romanzo di molti anni più tardi, di ispirazione parzialmente autobiografica. Si apre per Tolstoj un periodo ricco di riflessioni, con ricerche, viaggi, un crescente interesse per l'istruzione popolare e l'attività di giudice di pace nelle contese tra proprietari e contadini – proprio a cavallo dell'abolizione della servitù della gleba (1861) – che stimolano in lui lo svilupparsi di una particolare sensibilità verso le ingiustizie sociali. Sul versante della produzione letteraria, nei nove anni che vanno dai Racconti di guerra alla prima parte della grandiosa epopea Guerra e pace (1865), lo scrittore pubblica diversi altri racconti: Giovinezza (1857 ultimo della trilogia comprendente Infanzia e Adolescenza), Tre morti (1858), Al'bèrt (1858), Felicità familiare (1859), Idillio (1861) e Polikuška (1863). Quest'ultimo riscuoterà, nel XX secolo, particolare apprezzamento da parte di Ignazio Silone, che scriverà:

«Sapevo che Tolstoj era celebrato come un grande scrittore, ma non avevo mai letto niente di lui. Cominciato a leggere, andai avanti dimenticando il tempo e l'appetito. Ero turbato e commosso. Mi colpì soprattutto la storia di Polikusc'ka, quel tragico destino di un servo deriso e disprezzato da tutti [...] Come doveva essere stato buono e coraggioso lo scrittore che aveva saputo ritrarre con tanta sincerità la sofferenza d'un servo. Quella triste lentezza del raccontare mi rivelava una compassione superiore all'ordinaria pietà dell'uomo che si commuove alle disgrazie del prossimo e ne distoglie lo sguardo per non soffrire. Di questa specie, pensavo, dev'essere la compassione divina, la compassione che non sottrae la creatura al dolore, ma non l'abbandona e l'assiste fino alla fine, anche senza mostrarsi. Mi pareva incomprensibile, anzi assurdo, di essere arrivato a conoscenza di una storia come quella soltanto per caso. Perché non veniva letta e commentata nelle scuole?»

Il 1863 è anche l'anno di pubblicazione de I cosacchi – opera ispirata ai ricordi del Caucaso e lungamente rielaborata nel corso di un decennio – in cui sono evidenti gli echi della lettura rousseauiana e in cui si esprime, con entusiasmo, la nostalgia per la vita a contatto con la natura, semplice e felice. Intanto, lo scrittore viaggia per l'Europa, dove ha modo di conoscere Proudhon, Herzen, Dickens. A sconvolgerlo sono gli abusi del potere, la miseria dei poveri, la pena di morte, contro la quale – dopo aver assistito a una condanna – prende posizione:

«[...] ho visto a Parigi decapitare un uomo con la ghigliottina, in presenza di migliaia di spettatori. Sapevo che si trattava di un pericoloso malfattore; conoscevo tutti i ragionamenti che gli uomini hanno messo per iscritto nel corso di tanti secoli per giustificare azioni di questo genere; sapevo che tutto veniva compiuto consapevolmente, razionalmente; ma nel momento in cui la testa e il corpo si separarono e caddero diedi un grido e compresi, non con la mente, non con il cuore, ma con tutto il mio essere, che quelle razionalizzazioni che avevo sentito a proposito della pena di morte erano solo funesti spropositi e che, per quanto grande possa essere il numero delle persone riunite per commettere un assassinio e qualsiasi nome esse si diano, l'assassinio è il peccato più grave del mondo, e che davanti ai miei occhi veniva compiuto proprio questo peccato.»

Ma, non di meno, lo angoscia la vita russa, specialmente quella dei contadini. In questi anni comincia così a manifestarsi, in maniera sempre più evidente, una caratteristica fondamentale della personalità tolstoiana: l'insoddisfazione di sé stesso, della propria esistenza, della propria opera. Come Olenin – l'eroe dei Cosacchi, che rifiuta la società falsa e ipocrita per rifugiarsi nel Caucaso – anche Tolstoj, all'inizio degli anni sessanta, decide di abbandonare gli impegni mondani, compresi quelli letterari, per rifugiarsi nella propria tenuta, con l'intento di dedicarsi – nella scuola da lui stesso fondata – all'istruzione dei bambini del villaggio. Il 23 settembre 1862, dopo appena una settimana di fidanzamento, sposa la diciottenne Sof'ja Andrèevna, seconda delle tre figlie del medico di corte Bers. Lo scrittore, non volendole nascondere nulla, le fa leggere, alla vigilia delle nozze, i suoi diari intimi. La madre di Sof'ja, Ljubòv' Islàvina, era stata amica d'infanzia di Tolstoj. Avranno tredici figli, cinque dei quali morti in età precoce:

Nome ........Nascita Morte Note
Sergèj ........1863 ....1947 (Mosca) Diventerà compositore e critico musicale con lo pseudonimo di S.Brodinskij.
Tat'jana ......1864 ....1950 (Roma) Dirigerà il Museo Tolstoj a Mosca tra il 1923 e il 1925 e poi emigrerà in Francia e in Italia.
Il'jà .............1866 ....1933 (New York) Diventerà scrittore, attore, regista e sceneggiatore con lo pseudonimo di Il'jà Dubrovskij; emigrerà dopo la rivoluzione.
Lev ............1869 ....1945 (Skon) Diventerà scrittore e scultore con lo pseudonimo di L'vov; emigrerà anche lui.
Marija ........1871 ....1906
Pëtr ............1872 ....1873
Nikolàj .......1874 ...1875
Varvara ......1875 .....morta alla nascita
Andrèj ........1877 ....1916 (Pietrogrado) Combatterà come volontario in guerra e poi diventerà funzionario del governatorato di Tula.
Michaìl .......1879 ....1944 (Rabat) Intraprenderà la carriera militare ed emigrerà dopo la rivoluzione.
Aleksèj .......1881 ....1886
Aleksandra .1884 ....1979 (New York) Dirigerà delle scuole tolstojane a Jàsnaja ed emigrerà alla fine degli anni Venti.
Ivàn ............1888 ....1895

Per inciso, Tolstoj, qualche anno prima di sposarsi, nel 1858, si era innamorato di Aksin'ja, una contadina dalla quale aveva avuto un figlio, che egli non aveva accettato di riconoscere e che molti anni dopo lavorerà, come cocchiere, per i Tolstoj. Sof'ja, venuta a conoscenza di questo episodio del passato del marito, fremette non poco di gelosia e scrisse: «Se potessi ucciderlo, e poi ricrearlo esattamente eguale, lo farei con piacere».

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Jasnaja Poljana, la tenuta in cui nacque e visse.

Resurrezione
Questo romanzo, che tra tutti è quello che prediligo, rientra nella letteratura volta a perorare l’amore per gli ideali della giustizia e della spiritualità, in particolar modo, tramite la parola del Vangelo. Pubblicato nel 1899 sulla rivista “Niva” e nel 1990 in volume a Pietroburgo, l’opera fu preceduta da otto redazioni che ne sviluppano il nucleo originario dal titolo Il racconto di Koni, composto nel 1889. Con il ricavato della vendita dei diritti d’autore del libro, lo scrittore rese possibile il trasferimento in Canada dei Duchobory, una setta religiosa che predicava la non-violenza, a lungo perseguitata dal regime zarista.
Nella seconda metà dell’ Ottocento la Russia perse la guerra di Crimea e negli ultimi anni dell’Ottocento Alessandro II lo zar, venne assassinato dalla Narodnaja Volja, un’organizzazione terroristica rivoluzionaria. Il trono passò ad Alessandro III che ripristinò l’autorità e l’autocrazia.
Il titolo del libro tratta la resurrezione spirituale dei due protagonisti, il principe Dmitri Nechljudov e Katjuša. Il principe l’aveva in gioventù sedotta e abbandonata, non sapendo che lei aspettava suo figlio. Chiamato in una giuria popolare, la ritrova molti anni dopo in tribunale, accusata ingiustamente di omicidio. Il libro tratta la redenzione dei due protagonisti, il personaggio maschile, si batte in una Russia dove i privilegi sono nelle mani della nobiltà corrotta e rammollita. La vera resurrezione è quella in cui il principe sceglie la via del Cristianesimo e della giustizia terrena, in cui la vita di un uomo in povertà vale come quella dell’uomo abbiente. La protagonista invece, che si è ridotta a prostituirsi, cede il passo a una redenzione spirituale, grazie all’amore di Nechljudov e dell’uomo conosciuto nei lavori forzati, di cui si innamora.
Il libro tratta l’ingiustizia sociale e la spiritualità intensa, in cui la resurrezione verso Cristo è il passo decisivo che permette all’uomo di liberarsi dalla schiavitù della materia. L’uomo si deve elevare verso una spiritualità pura e arcaica, semplice ma giusta, tramite la quale ogni personaggio dovrebbe, per Tolstoj, essere supportato da una giustizia sana ed equilibrata. Invece i personaggi nelle galere sono trasandati e infelici, abbandonati solamente alla loro miseria e povertà. Il protagonista maschile si eleva sopra la nobiltà a cui appartiene grazie al Vangelo, perché la religione della nobiltà per lo più è una nobiltà di facciata, non appartenente alla sorgente primigenia della spiritualità. Ogni uomo nasce libero per natura, non soggetto a sfruttamento o a inedia; egli dovrebbe sostentarsi con un lavoro che gli permetta di essere autonomo e definirsi con una condizione d’essere che lo elevi sopra la materia. La vera nobiltà materiale di alcuni personaggi stride con la vera nobiltà d’animo di coloro che cercano la giustizia terrena, a costo di perdere (come il protagonista) vantaggi e privilegi tipici del proprio censo. La redenzione appartiene a tutti gli uomini, anche per quelli che compiono malvagità e si pentono, perché solamente tramite la giustizia e l’autentica sorgente di spiritualità, ci potremo evolvere in esseri umani, iberi e coscienti. Il dono più prezioso per l’autore è la difesa dei più deboli, degli emarginati e degli oppressi, vale a dire dei dimenticati e anche di coloro che hanno scordato la vera solidarietà fra uomo e uomo e fra uomo e natura. Il romanzo tratta, diffusamente, del movimento dei decabristi (vedi sotto).


Guerra e pace
Guerra e pace fu critto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Tolstoj paragonava la sua opera alle grandi creazioni omeriche, e nella sua immensità Guerra e pace si potrebbe dire un romanzo infinito, nel senso che l'autore sembra essere riuscito a trovare la forma perfetta con cui descrivere in letteratura l'uomo nel tempo. Denso di riferimenti filosofici, scientifici e storici, il racconto sembra unire la forza della storicità e la precisione drammaturgica (persino di Napoleone si fa un ritratto indimenticabile) a un potente e lucido sguardo metafisico che domina il grande flusso degli eventi, da quelli colossali, come la battaglia di Austerlitz e la battaglia di Borodino, a quelli più intimi. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio "miracolo" espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico (tra i più importanti di tutte le letterature), in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico. Rapportato al suo tempo, Guerra e pace proponeva un nuovo tipo di narrativa, in cui un gran numero di personaggi costituiva una trama in cui si dipanavano niente meno che i due capitali soggetti ricordati nel titolo, combinati con argomenti altrettanto vasti, quali gioventù, vecchiaia e matrimonio. Benché sia tuttora considerato un romanzo storico, esso infrangeva così tante convenzioni di tale genere, che molti critici coevi non ritenevano di potervelo annoverare.
Tolstoj cominciò a pensare a un vasto romanzo storico dopo la guerra di Crimea, nel 1856, quando i decabristi, promotori della rivolta del dicembre 1825, tornarono dalla deportazione. Così scrisse 3 capitoli, I decabristi, ambientati nel 1825: il protagonista del racconto doveva essere un uomo che aveva partecipato alla campagna contro Napoleone nel 1812, nel quale si investigavano le cause dei moti antizaristi. Per farlo, Tolstoj doveva ricostruire la sua infanzia, risalendo al 1805. La prima redazione, Tutto è bene quel che finisce bene (pubblicata in Italia da Marsilio col titolo 1805), prevede che Andrej e Petja non muoiano. L'autore, a questo punto, trasformò quello che era un romanzo nobiliare in un nuovo genere che contemplava la fusione dell'azione romanzesca, del materiale storico — la storia complessiva della Russia del 1812, al tempo dell'invasione napoleonica — e del discorso filosofico che gli premeva, compenetrandoli all'interno delle sezioni del romanzo.
Sebbene la maggior parte del libro sia scritta in russo, significativi brani di dialogo — compreso l'incipit del romanzo — sono scritti in francese. Questa scelta rifletteva la realtà d'uso dell'aristocrazia russa nell'Ottocento, che usava la lingua franca delle classi colte europee, secondo i dettami della "buona società". Lo stesso Tolstoj fa riferimento a un gentiluomo russo costretto, da adulto, a prendere lezioni della sua lingua madre nazionale. Meno realisticamente, ma seguendo un consolidato uso letterario, i francesi descritti nel romanzo (Napoleone compreso) si esprimono talvolta in francese, talvolta in russo.
Il libro racconta la storia di alcune famiglie aristocratiche russe, e la loro reciproca interazione. Più procedono gli eventi, più Tolstoj nega ai protagonisti ogni facoltà di scelta: tragedia e felicità vengono rigidamente determinati da una sorta di fato (Tolstoj sostuisce gli dei omerici con il fato), o, se si vuole, necessità immanente. Il testo russo standard è diviso in quattro libri (quindici parti) e due epiloghi. Mentre approssimativamente i primi due terzi del romanzo hanno a oggetto personaggi rigorosamente di fantasia, le ultime parti — e anche uno dei due epiloghi — si cimentano sempre più spesso in saggi molto controversi sulla natura della guerra, del potere politico, della storia e della storiografia. Tolstoj interpolò questi saggi con il racconto in un modo che sfida la fiction convenzionalmente intesa. Alcune versioni ridotte tolsero del tutto questi saggi, mentre altre (pubblicate quando l'autore era ancora in vita) si limitarono a trasferirli in un'appendice.
Trama
Guerra e pace mescola personaggi di fantasia e storici; essi vengono introdotti nel romanzo nel corso di una soirée presso Anna Pavlovna Scherer nel luglio 1805. Pierre Bezuchov è il figlio illegittimo di un conte benestante che sta morendo di ictus: egli rimane inaspettatamente invischiato in una contesa per l'eredità del padre. L'intelligente e sardonico principe Andrej Bolkonskij, marito dell'affascinante Lise, trova scarso appagamento nella vita di uomo sposato, cui preferisce il ruolo di aiutante di campo (aide-de-camp) del Comandante Supremo Michail Illarionovic Kutuzov nell'imminente guerra contro Napoleone. Apprendiamo pure dell'esistenza della famiglia moscovita dei Rostov, di cui fanno parte quattro adolescenti. Fra loro, s'imprimono soprattutto nella memoria le figure di Natal'ja Rostova ("Nataša"), la vivace figlia più giovane, e di Nikolaj Rostov, il più anziano ed impetuoso. A Lysye Gory ('Colline calve'), il principe Andrej affida al proprio eccentrico padre, e alla mistica sorella Marja Bolkonskaja, sua moglie incinta e parte per la guerra.
Uno dei personaggi centrali di Guerra e pace è senz'altro Pierre Bezuchov. Ricevuta un'eredità inattesa, è improvvisamente oberato dalle responsabilità e dai conflitti propri di un nobile russo. Il suo precedente comportamento spensierato svanisce, rimpiazzato da un dilemma tipico della poetica di Tolstoj: come si dovrebbe vivere, in armonia con la morale, in un mondo imperfetto? Si sposa con Hélène, la bella e immorale figlia del principe Kuragin, andando contro il suo stesso miglior giudizio. Preso dalla gelosia affronta in un duello il suo presunto rivale e malgrado non abbia mai impugnato una pistola lo vince. Si separa dalla moglie lasciandole metà del patrimonio quando in preda a riflessioni e sommerso da dubbi sulla vita incontra i massoni e ne diventa confratello. Pieno di buone intenzioni tenta di liberare i suoi contadini o servi della gleba ma viene imbrogliato dai suoi amministratori e non ottiene niente per migliorare le loro condizioni di vita, tenta anche di migliorare i suoi fondi agrari, ma in definitiva non ottiene risultati.

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Ritirata francese nel 1812


L'inizio della campagna di Russia
Il principe Andrej, la cui moglie Lise è nel frattempo morta di parto, rimane gravemente ferito durante la sua prima esperienza guerresca. Decide, in seguito a profonde riflessioni, di dedicarsi all'amministrazione delle sue proprietà; è in questo periodo che inizia a frequentare la casa dei Rostov e si innamora, ricambiato, della giovane Nataša. Amore osteggiato dal vecchio padre di lui, la cui ostilità fa decidere al principe Andrej di separarsi per un anno da Nataša, in attesa che il loro amore si consolidi. Durante quest'intervallo Hélène e suo fratello Anatole tramano per far sì che quest'ultimo seduca e disonori la giovane e bella Nataša Rostova. Il piano fallisce in extremis; ma Andrej, venutone a conoscenza, ripudia Nataša, che cade in una profonda depressione; tuttavia, per Pierre, è causa di un importante incontro con la giovane Rostova. Quando Napoleone invade la Russia, Pierre osserva la Battaglia di Borodino da distanza particolarmente ravvicinata, sistemandosi dietro agli addetti di una batteria di artiglieria russa, e apprende quanto la guerra sia realmente sanguinosa. Quando la Grande Armata occupa Mosca, in fiamme e abbandonata per ordine del governatore Pierre intraprende una missione "impossibile" per assassinare Napoleone, e viene fatto prigioniero di guerra. Dopo essere stato testimone del saccheggio perpetrato dai francesi su Mosca, con relative fucilazioni di civili, Pierre è costretto a marciare con le truppe nemiche nella loro disastrosa ritirata. Successivamente viene liberato da una banda russa che sta conducendo un'incursione. Andrej, ancora innamorato di Nataša, rimane ferito nella battaglia di Borodino e alla fine muore dopo essersi ricongiunto a Nataša prima della fine della guerra. Pierre, rimasto vedovo, si riavvicina a Nataša mentre i russi vincitori ricostruiscono Mosca. Pierre conosce finalmente l'amore e sposa Nataša, mentre Nikolaj sposa Mar'ja Bolkonskaja.
Tolstoj ritrae con efficacia il contrasto tra Napoleone e il generale russo Kutuzov, sia in termini di personalità, sia sul piano dello scontro armato. Napoleone fece la scelta sbagliata, preferendo marciare su Mosca e occuparla per cinque fatali settimane, quando meglio avrebbe fatto a distruggere l'esercito russo in una battaglia decisiva. Kutuzov rifiutò di sacrificare il proprio esercito per salvare Mosca: al contrario, dispose la ritirata e permise ai francesi l'occupazione della città. Una volta dentro a Mosca, la Grande Armée si disperse, occupando abitazioni più o meno a casaccio; la catena di comando collassò, e (ineluttabilmente, a giudizio di Tolstoj) ne derivò la distruzione di Mosca a causa di un incendio. Tolstoj spiega che ciò era inevitabile, perché quando una città costruita in buona parte in legno è lasciata in mano a stranieri, che naturalmente cuociono cibi, fumano pipe e tentano di scaldarsi, necessariamente si attizzano dei focolai. In assenza di un qualche servizio antincendio organizzato, questi roghi avrebbero arso buona parte della città. Dopo gli incendi, l'esercito francese, prossimo allo sbando, tenterà di guadagnare la via di casa, subendo però la durezza dell'inverno russo e le imboscate dei partigiani locali. Napoleone prese la sua carrozza, con una muta di cavalli veloci, e partì alla testa dell'esercito, ma la maggior parte dei suoi non avrebbe più rivisto la patria. Il generale Kutuzov è convinto che il tempo sia il suo più valido alleato: continua a procrastinare la battaglia campale, mentre in effetti i francesi sono decimati dalla loro penosa marcia verso casa. Sono poi pressoché annientati quando i cosacchi sferrano l'attacco finale, nella battaglia della Beres

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Tolstoj e Chekhov (Questi andò diverse volte alla tenuta)

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Anna Karenina
Anna Karenina, pubblicato nel 1877, apparve inizialmente a puntate sul periodico Russkij vestnik («Il messaggero russo») a partire dal 1875, ma nel 1877 la conclusione del romanzo venne pubblicata solo in forma di riassunto di poche righe e Tolstoj, che lì aveva preso delle posizioni antinazionaliste, fu costretto a far pubblicare a proprie spese e separatamente l'ottava parte. Tolstoj vedeva in questo libro, considerato un capolavoro del realismo, il suo primo vero romanzo. Per la stesura di Anna Karenina egli trasse ispirazione da I racconti di Belkin dello scrittore e poeta russo Aleksandr Sergeevic Puškin. Nel 1887 lo stesso Tolstoj circa l'inizio di Anna Karenina affermò di avere immaginato, mentre era sdraiato sul divano, un «nudo gomito femminile di un elegante braccio aristocratico» e che da lì fu così perseguitato da quell'immagine da doverne creare un'incarnazione. Benché la maggior parte della critica russa avesse stroncato l'opera fin dalla prima pubblicazione, definendola «un frivolo racconto delle vicende dell'alta società moscovita», secondo Fëdor Dostoevskij «Anna Karenina in quanto opera d'arte è la perfezione… e niente della letteratura europea della nostra epoca può esserle paragonato». Poco meno di un secolo dopo anche Vladimir Nabòkov si accodò al giudizio di Dostoevskij, definendo Anna Karenina «il capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo».
Trama
Il romanzo è suddiviso in otto parti.
Prima parte
La prima parte introduce la figura di Stepàn Arkad'ic Oblonskij, detto Stiva, un ufficiale civile che ha tradito la moglie Dar'ja Aleksàndrovna ("Dolly"), la quale minaccia di andarsene da casa. La vicenda di Stiva mostra la sua personalità passionale che sembra non poter essere repressa. L'uomo allora chiama da San Pietroburgo la propria sorella, Anna Arkàd’evna, per persuadere Dolly a non lasciarlo. All'arrivo di Anna a Mosca, in stazione, un operaio della ferrovia muore accidentalmente investito da un treno. Nel frattempo, un amico di infanzia di Stiva, Konstantìn Dmìtric Lèvin, arriva a Mosca per chiedere la mano della sorella minore di Dolly, Ekaterina Aleksàndrovna Šcerbàckaja, detta Kitty. Il giovane, serio aristocratico, vive in una tenuta che gestisce lui stesso. Kitty rifiuta, aspettando una proposta di matrimonio dall'ufficiale dell'esercito Aleksèj Kirìllovic Vrònskij che, pur interessato a lei, non intende sposarsi. Anna e Vronskij si incontrano ad un ballo e si palesa l'interesse reciproco. Anna, scossa dalla propria reazione alle sue attenzioni, ritorna immediatamente a San Pietroburgo e Vronskij la segue sullo stesso treno. Levin torna al suo podere, abbandonando ogni speranza di matrimonio, e Anna rientra a casa da suo marito Aleksèj Aleksàndrovic Karènin, un ufficiale governativo, e da suo figlio Serëža.
Seconda parte
Karenin inizialmente non dà peso alla frequentazione di Anna con Vronskij: solo dopo che altri gli fanno notare la sconvenienza di una lunga chiacchierata da soli avuta dai due, ne parla con Anna tramite un freddo rimprovero. Il rapporto tra i due diventa una vera e propria relazione, e Anna rimane incinta. Durante una gara a cavallo a cui assistono Anna e il marito, Vronskij ha una brutta caduta; lo spavento rende Anna palesemente preoccupata. Karenin, indispettito dal suo comportamento, affronta Anna in carrozza durante il ritorno a casa; ella, in preda all'isteria, confessa al marito la relazione. Karenin è spiazzato, non sa come comportarsi. Per la delusione del matrimonio fallito Kitty si ammala e, dietro consiglio medico, parte coi genitori per una stazione termale in Germania. Qui fa due incontri: con Nikolàj Levin, che ritroverà in seguito, e con Vàren'ka. Quest'ultima è una giovane al seguito della madre; il suo spirito caritatevole ha un grosso impatto su Kitty.
Terza parte
La terza parte narra la vita rurale di Lèvin nella sua tenuta, un'ambientazione legata intimamente ai suoi pensieri e alle sue lotte interiori. Dolly, incontrando Lèvin, cerca di far rivivere i suoi sentimenti per Kitty, apparentemente senza risultati, finché Lèvin, rivedendola di sfuggita, capisce di essere ancora innamorato di lei. Tornato a San Pietroburgo, Karènin, rifiutando di separarsi da Anna, la mette in una situazione molto frustrante, minacciandola di non lasciarle più vedere il figlio Serëža, nel caso Anna si rifiuti di salvare le apparenze e nascondere la sua relazione clandestina.
Quarta parte
Karènin inizia a trovare la situazione intollerabile e comincia a valutare la possibilità di divorziare. Il fratello di Anna, Stiva, cerca di dissuaderlo, invitandolo a parlarne con Dolly. Quest'ultima iniziativa sembra di nuovo non sortire alcun effetto, ma Karènin cambia idea dopo aver saputo che Anna sta morendo per complicazioni dovute al parto, e vuole conoscere i sentimenti e le intenzioni di Anna per decidere. Al suo capezzale, Karènin perdona Vrònskij, che cerca di suicidarsi per il rimorso. Anna comunque migliora e chiama sua figlia Anna ("Annie"). Stiva ora cerca di far divorziare Karènin. Vrònskij in un primo tempo decide di fuggire a Tashkènt, ma cambia idea dopo aver visto Anna, e insieme decidono di partire per l'Europa, senza aver ottenuto il divorzio. Molto più immediato è il risultato degli sforzi di Stiva per combinare un incontro tra Lèvin e Kitty: i due si riconciliano e si fidanzano.
Quinta parte
Lèvin e Kitty si sposano a Mosca. Pochi mesi dopo, Lèvin scopre che suo fratello Nikolaj sta morendo e lo raggiunge insieme alla moglie. Levin fatica ad affrontare la malattia del fratello, mentre Kitty, con semplicità e dedizione, si occupa del cognato alleviando le sue sofferenze. Poco prima della morte di Nicolaij, Kitty si rende conto di essere incinta. In Europa, Vrònskij e Anna fanno molta fatica a trovare amici che li accettino, continuando a dedicarsi a passatempi come l'arte e la pittura, finché non decidono di tornare a Pietroburgo. Già in questa fase iniziano a delinearsi i primi momenti di insoddisfazione di Vronskij per la sua inattività e la mancanza della vita in società. Karènin, sconsolato, cede pian piano alle influenze della contessa Lìdija Ivànovna, di lui innamorata, entusiasta della religione e delle credenze mistiche, di moda nelle classi sociali più elevate, che gli consiglia di tenere Serëža lontano dalla madre. Anna riesce lo stesso a far visita al figlio il giorno del suo compleanno, ma è scoperta da Karènin, che aveva detto a Serëža che Anna era morta. Contro il parere di Vronskij, Anna decide di andare a teatro, ma qui viene insultata da Madame Kartàsova. Per fuggire alla pressioni della vita in città, decidono di partire per la campagna.
Sesta parte
La famiglia Šcerbàckij passa l'estate nella casa di campagna di Levin per assistere Kitty nella sua gravidanza. La visita di Vàsenka Veslòvskij, arrivato insieme a Stepàn Arkàdic, turba la serenità di Levin, che mal sopporta le galanterie dell'ospite nei confronti di Kitty. Questo episodio contribuisce a far maturare e a consolidare il rapporto tra i due coniugi. Durante l'estate, Dolly si reca a far visita alla cognata. La tenuta di campagna dove vivono Anna e Vronskij è moderna e riccamente arredata. I due vivono sontuosamente, ma sono pochi quelli che si spingono a far loro visita (Vàsenka Veslòvskij cacciato da Levin, una vecchia zia di Anna). Su richiesta di Vrònskij, Dolly suggerisce ad Anna di chiedere il divorzio a Karènin. Ancora una volta, le parole di Dolly sembrano non sortire alcun effetto, ma quando Vrònskij parte per alcuni giorni, la noia e il sospetto convincono Anna della necessità di un matrimonio con lui; scrive a Karènin e parte con Vrònskij per Mosca. Qui Levin e Vronskij partecipano alle elezioni del governatorato riservate ai nobili.
Settima parte
I Lèvin sono a Mosca per il parto di Kitty che dà alla luce un bambino. Stiva, mentre cerca l'appoggio di Karènin per un nuovo lavoro, gli chiede nuovamente di divorziare da Anna. Oramai le decisioni di Karènin sono guidate da una sorta di indovino, raccomandato da Lidija Ivànovna, che gli consiglia di rifiutare il suggerimento di Stiva. La relazione tra Anna e Vrònskij inizia ad essere sempre più tesa. Privata della possibilità di prendersi cura di suo figlio ed esasperata dal proprio isolamento sociale, Anna sviluppa risentimento verso Vrònskij e riversa su di lui una gelosia ingiustificata ed esasperata. I due decidono di tornare in campagna, ma Anna, mentre Vrònskij si trova fuori, in uno stato di forte confusione e avversione verso tutto ciò che la circonda, va prima a trovare Dolly e Kitty, quindi, secondo una struttura circolare che riconduce alla prima parte, si suicida lanciandosi sotto un treno.
Ottava parte
L'ottava parte narra le vicende successive alla morte di Anna: Stiva ottiene il lavoro che voleva; Karènin prende in custodia Annie; alcuni volontari russi, tra cui Vrònskij, che non ha intenzione di tornare, partono per aiutare la rivolta serba contro i turchi, scoppiata nel 1877; infine tra le gioie e i timori della paternità Lèvin scopre la fede in Dio.

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Critica
Il romanzo, ambientato nelle più alte classi sociali russe, approfondisce i temi dell'ipocrisia, della gelosia, della fede, della fedeltà, della famiglia, del matrimonio, della società, del progresso, del desiderio carnale e della passione, nonché il conflitto tra lo stile di vita agricolo e quello urbano. Anna è la perla dell'alta società di San Pietroburgo finché non lascia suo marito per l'affascinante conte Vrònskij. Innamorandosi l'uno dell'altra, oltrepassano il limite dell'adulterio come banale e comune passatempo dell'epoca. Il romanzo contiene anche la storia d'amore di Konstantìn Lèvin e Kitty, solida e onesta, che si pone continuamente in contrasto con quella di Anna e Vrònskij, che è macchiata dall'incertezza della situazione, che crea scompiglio, ritorsioni e sospetti. Così, per tutto il corso del romanzo, Tolstoj non vuole che il lettore commiseri i maltrattamenti di Anna, ma che riconosca la sua incapacità di impegnarsi davvero nella ricerca della felicità e della comprensione dei propri sentimenti, incapacità che la porta al suicidio. Il personaggio di Lèvin è spesso considerato un ritratto semi-autobiografico di Tolstoj, delle sue credenze, delle sue lotte e dei suoi eventi di vita. Inoltre, il nome di Tolstoj è "Lev", e il cognome russo "Levin" significa "di Lev". Un altro tema ricorrente è l'abitudine aristocratica di parlare in francese anziché in russo, considerata dall'autore un'altra forma di ipocrisia. Quando Dolly insiste sulla lingua francese per la sua giovane figlia, Tanya, ciò comincia a sembrare falso e noioso a Lèvin, che si scopre incapace di sentirsi a proprio agio nella sua casa.
Tolstoj riprese molti temi del romanzo ne Le confessioni, una meditazione in prima persona sulla natura della vita e della fede, scritta pochi anni dopo la pubblicazione di Anna Karenina. L'autore descrive in quest'opera la sua insoddisfazione nei confronti dell'ipocrisia della sua classe sociale:

«Ogni volta che cercavo di mostrare i miei desideri più intimi (un desiderio di essere corretto moralmente) incontravo disprezzo e derisione, e ogni volta che cedevo ai desideri più bassi ero incoraggiato ed elogiato.»

Tolstoj descrive inoltre la tendenza della società russa ad accettare le relazioni extraconiugali:

«Una mia cara zia con cui vivevo, la più pura tra le creature, diceva sempre che avrebbe sperato che avessi una relazione con una donna sposata. Rien ne forme un jeune homme comme une liaison avec une femme comme il faut.».

In molti punti il romanzo è autobiografico: nel personaggio di Levin, dedito alla conduzione delle proprie terre e alla famiglia, Tolstoj rappresenta se stesso, mentre in alcuni splendidi personaggi femminili (non in Anna) sono riconoscibili certi tratti della moglie, che peraltro aiutò Tolstoj nella stesura dell'opera, consigliandolo su come far procedere la trama. «Tolstoj non ha espresso soltanto il desiderio di fratellanza, così profondo nel popolo russo, ma il bisogno di pace di tutti noi. E ha cercato, anche per noi, una fede.»(Enzo Biagi)

Già in Anna Karenina Tolstoj si era accostato ad alcuni tormentosi problemi connessi con la sua crisi di scrittore e con il crollo dei valori dell'alta società che fino a poco tempo prima gli erano sembrati indistruttibili. Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta si sviluppò via via in lui una profonda crisi spirituale e una conseguente conversione morale ai Vangeli e al Cristianesimo, dapprima in obbedienza alla Chiesa ortodossa russa e successivamente (dal 1881, considerato da Tolstoj l'anno d'inizio della sua autentica rigenerazione interiore) in contrasto con essa: alla base del suo pensiero religioso rimarrà il Vangelo, ma epurato di ogni elemento soprannaturale, ponendo attenzione in particolare al Discorso della Montagna, che diventerà il cardine del suo modo di intendere la religione cristiana.
Accanto alle Sacre Scritture cristiane, Tolstoj meditava testi orientali (ad esempio buddhisti e taoisti), oltre che filosofici (tra cui Il mondo come volontà e rappresentazione), nella affannosa ricerca di risposte ai propri dubbi esistenziali. Abbracciò gradualmente una dieta vegetariana (per compassione verso gli animali) e cercò di praticare uno stile di vita di sobrietà e povertà. Il desiderio di non vivere nel lusso, di non possedere alcunché, di non mangiare più carne, tutte idee nient'affatto condivise dalla moglie di Tolstoj, furono alla base di un lacerante e interminabile conflitto casalingo. La famiglia, pur continuando a stare insieme, si "divise", per così dire, con le figlie – simpatizzanti per le idee del padre – da una parte, e dall'altra i figli maschi, in difesa della madre, la quale sempre più spesso si abbandonava a crisi di isteria contro le nuove visioni etiche – per lei folli e incomprensibili – del marito. A opporsi alle idee radicali di Tolstoj fu anche Dostoevskij, che aveva elogiato Anna Karenina ma non condivideva le concezioni non-violente del suo maggior rivale in ambito letterario; i due narratori si scambiarono pubbliche critiche e preferirono, per reciproca diffidenza, non incontrarsi mai di persona.
Il 1880 è un anno che Tolstoj dedica pienamente allo studio critico-filologico dei Vangeli. Nel 1881 Alessandro II viene assassinato e Tolstoj scrive al successore, Alessandro III, per esortarlo a essere clemente con gli attentatori del padre. Ma la richiesta non ha seguito: i colpevoli vengono impiccati e il nuovo zar instaura un regime repressivo con deportazioni e massacri, avvalendosi dell'okhrana, la polizia politica. A partire dalla sua cosiddetta conversione, Tolstoj lavora instancabilmente, sino alla morte, a numerose opere saggistiche e autobiografiche – oltre che narrative e drammaturgiche – di carattere morale e religioso. Trasferitosi con la famiglia a Mosca (dove rimarrà per diversi anni), nel gennaio del 1882 decide di partecipare al censimento della popolazione: è l'occasione per scoprire i mille volti della miseria di città, non meno drammatica di quella delle campagne. Queste esperienze tra i poveri saranno la base per il saggio Che fare? (o Che cosa dobbiamo fare?) del 1886. Nella 00000000 (1882) egli riferisce di aver attraversato, in concomitanza con la crisi spirituale, una profonda depressione, che stava per indurlo al suicidio, e di esserne uscito grazie all'idea di una religione vissuta con umiltà e semplicità insieme al popolo (da qui la critica alle filosofie elitarie e pessimiste di Buddha, del Qoelet e di Schopenhauer, che in un primo momento lo avevano attratto). Tolstoj descrive, in quest'opera che ha la forma di un diario, le fasi della propria conversione morale, avvenuta dapprima in linea con la Chiesa ortodossa e successivamente evolutasi in quello che oggi definiremmo un cristianesimo anarchico, cioè una fede dai forti tratti etici ma vissuta al di fuori delle Chiese ufficiali e anzi in contrasto con il clero e con i tradizionali dettami dogmatici.
Pavel Aleksandrovic Florenskij scriverà a Tolstoj una lettera appassionata, che probabilmente non gli verrà mai recapitata: ha appena letto la Confessione e – in preda anch'egli a una crisi spirituale – ne raccoglie la provocazione. Nell'opera teatrale La potenza delle tenebre (1886) Tolstoj descrive la forza con cui l'egoismo e il vizio possono avviluppare l'anima umana, alla quale resta però sempre possibile il riscatto morale. In Della vita (o Sulla vita, 1887-1888) egli cerca di sintetizzare, capitolo dopo capitolo, le riflessioni che sta raccogliendo in questi anni sul senso della vita e della morte. Lo scrittore, col maturare della "conversione" e lo svilupparsi delle proprie riflessioni religiose, abbraccia con fervore ideali radicalmente pacifisti, nella convinzione che solo l'amore e il perdono, come insegnato dal Discorso della Montagna, possano unire le genti e dar loro la felicità; queste idee vengono da lui espresse, ad esempio, nella già citata Lettera allo zar (1881) e nella Lettera a Enghelgardt (1882-1883), e sviluppate ampiamente nei saggi La mia fede (1884) e Il regno di Dio è in voi (1893), culmine della conversione morale di Tolstoj e fra gli antesignani della filosofia non-violenta contemporanea.
«Improvvisamente, sotto la barba del mužik, sotto il democratico camiciotto spiegazzato, apparì il vecchio signore russo, il magnifico aristocratico» osservò Gor'kij, a proposito di Tolstoj. Gor'kij definì Tolstoj «l'uomo più complesso del XIX secolo». Anton Cechov, a partire dal 1887, nutre un vivo interesse per le idee di Tolstoj (nella foto i due siedono accanto). Lo va a trovare nel 1895 a Jasnaja Poljana e scriverà che Tolstoj gli aveva fatto «un'impressione meravigliosa. Mi sentivo a mio agio, come a casa; le conversazioni con Lev Nikolaevic erano liberissime». Stimolata dall'impegno sociale, l'energia creativa dello scrittore è più che mai fervida: nella seconda metà degli anni ottanta essa produce alcuni tra i migliori racconti: Iljas (1885), La morte di Ivan Il'ic, (1886), Il diavolo (1889-1890), la Sonata a Kreutzer (1889-1890), e i drammi La potenza delle tenebre (1886) e I frutti dell'istruzione (1886-1889). Degli anni novanta sono Il padrone e il lavorante (1894-1895), Alioscia Gorsciok (1896) e Padre Sergij (890-1898, pubblicato nel 1912). Tolstoj si fa editore e, oltre alle proprie opere, inizia a diffondere decine di milioni di copie di testi formativi (come ad esempio la Didaché, i pensieri di Laozi e i Colloqui con sé stesso di Marco Aurelio) venduti per poche copeche al popolo russo. La casa editrice è chiamata Posrednik (L'intermediario) e si propone di istruire le masse.
Nell'estate del 1891 una grande carestia si abbatte sulle provincie centrali e sud-occidentali della Russia, per via di una siccità prolungata. In tale circostanza, Sof'ja è molto vicina al marito nell'aiutarlo a mobilitare una catena internazionale di soccorsi per i contadini che stanno morendo letteralmente di fame, ma il conflitto fra i coniugi torna ad inasprirsi subito dopo, quando Tolstoj trasmette ai giornali la sua decisione di rinunciare ai diritti d'autore per le opere scritte dopo la conversione. Nello stesso anno, lo scrittore si reca a Firenze per partecipare a un convegno ecumenico dal titolo Conferenze sulla fusione di tutte le Chiese cristiane, dove si dichiara favorevole alla «proposta di fondere le Chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base la sua organizzazione esteriore nella formula cavouriana e per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e dell'Evangelo». Intanto diventano sempre più tesi i rapporti con la censura e con la Chiesa ortodossa: la Sonata a Kreutzer (in cui Tolstoj intende, con la cronaca di un adulterio, esaltare indirettamente la castità evangelica) supera il veto solo per intervento personale di Alessandro III, dopo un incontro con la moglie dello scrittore. La crescente irritazione dei circoli governativi ed ecclesiastici è dovuta alle sue accese proteste contro le persecuzioni delle minoranze religiose in Russia – come i doukhobors (per la cui migrazione egli devolverà gli introiti di Resurrezione) e i molokany –, alle sue roventi accuse contro la nobiltà, contro le istituzioni statali, contro la falsa morale dei potenti. Del 1892 è Il primo gradino, a cui seguirà, qualche anno dopo, Contro la caccia (1895). Entrambi gli scritti sono degli accalorati manifesti in favore dei diritti degli animali e del vegetarianismo. Nel 1896 scrive una Lettera agli italiani (che verrà pubblicata solo molti anni dopo) contro la guerra italo-abissina e nel 1899 una Lettera agli svedesi sulla renitenza alla leva.
Gli scritti saggistici e pubblicistici appaiono spesso meno concisi e lineari rispetto alle opere del Tolstoj narratore, ma ciò è dovuto al fatto che – desiderando egli dare maggiore importanza al contenuto che alla forma, alla comunicazione piuttosto che ai suoi modi – si proponeva di risultare il più chiaro possibile, a rischio di ripetersi mille volte e di apparire didascalico. In Che cos'è l'arte? (1897) Tolstoj affida proprio all'arte – intesa, nella sua forma più pura, come un'attività di esortazione, attraverso i sentimenti, al bene e ai valori di fraternità – il compito di diffondere tra il popolo l'etica dell'amore. Nell'agosto del 1897 riceve una visita di più giorni da parte di Cesare Lombroso, che desiderava incontrarlo. I due nuotano insieme nella tenuta di Jasnaja Poljana, ma quando l'italiano inizia a parlare delle proprie convinzioni sui criminali di nascita e sulla pena come difesa sociale, Tolstoj esplode esclamando: «Tutto ciò è delirio! Ogni punizione è criminale!». Nel luglio del 1898 chiede ad alcuni amici russi e finlandesi di aiutarlo a fuggire in Finlandia, lontano dalla moglie e dalla famiglia, ma il tentativo viene poi abbandonato.
In Resurrezione (1889-1899) Tolstoj descrive l'angoscia profonda dell'uomo di coscienza (e in primo luogo dell'autore) stretto nel meccanismo della burocrazia statale, nel ferreo "ordine delle cose". Il romanzo denuncia in particolare la disumanità delle condizioni carcerarie e l'insensatezza delle vigenti istituzioni giudiziarie. Qual è la via di scampo? Un approccio radicale alla morale cristiana, intesa, quale buona novella rivolta agli ultimi della società, come iniziativa etica atta a migliorare concretamente la vita degli uomini oppressi su questa terra, nello spirito del Discorso della montagna ripetutamente citato da Tolstoj in quest'ultima sua grande fatica narrativa. Nechljudov, il protagonista del romanzo, vive le medesime rivoluzioni interiori dell'autore: l'iniziativa di donare (o meglio, "restituire") i propri possedimenti terrieri ai contadini, la volontà di rinunciare alla vita sfarzosa e mondana e di dedicare la propria esistenza al servizio dei dimenticati e alla liberazione degli sfruttati e degli oppressi. Anche Katiuša, la figura femminile con la quale e attraverso la quale Nechljudov cerca un riscatto, compie un cammino di redenzione morale, da prostituta a sposa. La "resurrezione" dei protagonisti avviene quindi nell'accezione metaforica di una rinascita etica, simile a quella vissuta (o perlomeno disperatamente cercata, nonostante le contrapposizioni con la moglie e i familiari) dallo stesso Tolstoj.
Tolstoj ricevette lettere e visite da persone di ogni età ed estrazione sociale (tra cui Victor Lebrun) che avevano letto i suoi scritti (molti dei quali proibiti dalla censura) e ne ammiravano il pensiero morale e sociale. Sulla spinta di Vladimir Certkòv (e non per iniziativa dello stesso Tolstoj, che era scettico verso tutto ciò che assomigliasse a una setta) nacque la corrente del tolstoismo, ispirata all'etica filosofico-religiosa di Tolstoj, e i cui seguaci saranno poi violentemente perseguitati sotto il regime comunista. Il 20-22 febbraio 1901 il Santo Sinodo scomunicò Tolstoj per le sue idee anarchico-cristiane e anarco-pacifiste. Konstantin Pobedonostsev, procuratore del Sinodo, aveva chiesto anni prima di rinchiudere con la forza Tolstoj in un monastero. Ma ormai lo scrittore aveva raggiunto una fama enorme e le persecuzioni non facevano che aumentarne la popolarità, tanto che la sua eliminazione fisica era ritenuta imprudente dagli stessi vertici politici, i quali si rendevano conto che in tal modo lo avrebbero reso un martire scatenando grandi rivolgimenti sociali. Scrisse Suvorin:

«Che qualcuno provi solo a toccare Tolstoj, il mondo intero urlerà e la nostra amministrazione sarà costretta ad abbassare la cresta!»

Furono organizzati cortei di solidarietà in favore di Tolstoj e la sua casa fu circondata da una folla osannante. Lo scrittore ribatté punto per punto alle accuse rivoltegli nel testo della scomunica scrivendo una Risposta alla deliberazione del sinodo (1901), in cui rivendicava il suo essere un onesto seguace di Cristo e della verità. L'ultimo decennio vede allinearsi una serie di piccoli capolavori letterari, tra cui Chadži-Murat (1896-1904, pubblicato nel 1912), La cedola falsa (1902-1904, pubblicato nel 1911), Dopo il ballo (1903, pubblicato nel 1911), Appunti postumi dello starec Fedor Kuz'mic (1905, pubblicato nel 1912), Il divino e l'umano[35] (1905) e il dramma Il cadavere vivente (1900, pubblicato nel 1911). In queste opere si avverte una continua oscillazione interiore: da una parte la fede nell'amore universale, nell'avvento del regno dell'armonia (il «Regno di Dio» in terra) attraverso mezzi pacifici, dall'altra la constatazione dell'estrema distanza tra tale avvento e la realtà. Così – se da un lato c'è l'ideale del contadino che tutto perdona e tutto sopporta e del perfezionamento morale come unica possibile salvezza – dall'altro ci sono le contraddizioni della realtà concreta in cui Tolstoj vive. Nel 1900, dopo l'assassinio del re d'Italia Umberto I per mano dell'anarchico Gaetano Bresci, Tolstoj scrive l'articolo Non uccidere. Nel 1901 lo scrittore è candidato al Premio Nobel per la letteratura e gli osservatori lo danno per favorito, tanto che Tolstoj si affretta a scrivere a un giornale svedese perché l'importo della vincita sia devoluto ai doukhobors (ai quali egli aveva già donato gli introiti di Resurrezione), ma il premio viene poi assegnato a Sully Prudhomme. Allo scoppio della guerra russo-giapponese, lo scrittore invoca con forza la pace (Contro la guerra russo-giapponese, 1904), ma proprio suo figlio Andrej, ventiseienne, si arruola come volontario per combattere al fronte, suscitando lo sdegno del padre; tuttavia Andrej verrà congedato dall'esercito, dopo qualche mese, per disturbi nervosi. L'anno successivo, davanti alla Rivoluzione russa del 1905 Tolstoj implora:

«C'è una sola cosa da fare: placare l'ostilità, senza parteggiare per nessuno, distogliere la gente dalla lotta e dall'odio perché tutto questo sa di sangue.»

Egli profonde le sue ultime energie nel cercare di comprendere i drammatici avvenimenti d'inizio secolo e nell'insistere a chiedere – come una voce che grida nel deserto – delle soluzioni di pace a un mondo che scivola verso l'abisso del conflitto globale (Divino e Umano, 1905; Perché?, 1906; Sull'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina all'Austria, 1908; Chi sono gli assassini, 1908-1909). Del 1908 è la Lettera a un indù, che viene apprezzata e diffusa da Gandhi, il quale inizierà, l'anno successivo, uno scambio epistolare con Tolstoj. Nel 1909 lo scrittore tenta – con appelli alla Duma di Stato e a Stolypin – di convincere il governo ad abolire la proprietà privata della terra, onde scongiurare una grande rivoluzione, che egli reputa imminente. Già nel precedente articolo Al popolo lavoratore (1902) Tolstoj aveva affrontato l'argomento, individuando nella proprietà fondiaria la maggiore ingiustizia sociale presente. La liberazione della terra tuttavia non doveva avvenire con la violenza, ma tramite il boicottaggio (dei contadini a lavorare la terra altrui) e la disobbedienza (dei soldati nel reprimere le occupazioni). Per quanto riguarda la ridistribuzione della terra, una volta liberata, egli appoggiava il progetto di Henry George, ossia l'imposta unica sulla terra. Nel luglio dello stesso anno, riceve un invito al congresso della pace a Stoccolma e inizia a preparare una conferenza; ma la moglie si oppone alla sua partenza, minacciando – come altre volte – il suicidio e costringendo Tolstoj a restare a casa.
Desideroso di compiere il tanto vagheggiato "salto" decisivo col quale avrebbe lasciato tutto per Cristo, Tolstoj mise finalmente in pratica il progetto di andarsene di casa. Il crescendo di liti con la moglie e con i figli (da parte dei quali aveva il terrore di subire violenze atte a fargli redigere in loro favore un testamento) gli causava del resto enormi sofferenze. Così, nella notte del 28 ottobre 1910 (secondo il calendario giuliano), dopo essersi accorto che la moglie frugava di nascosto fra le sue carte, lo scrittore, sentendosi più che mai oppresso, si allontanò di soppiatto da Jasnaja Poljana, dirigendosi verso la Crimea su treni di terza classe, accompagnato dal medico personale Dušàn Makovitskij, il quale gli era anche amico fidato. Sulla sua scrivania – a testimoniare le paure degli ultimi giorni – era rimasta aperta una copia dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij al punto in cui il figlio si abbandona alle vie di fatto con il padre. Lasciò scritte queste parole per la moglie:

«Ti ringrazio per i quarantotto anni di vita onesta che hai passato con me e ti prego di perdonarmi tutti i torti che ho avuto verso di te, come io ti perdono, con tutta l'anima, quelli che tu hai avuto nei miei riguardi.»

Durante il viaggio, a causa del freddo e della vecchiaia, lo scrittore ben presto si ammalò gravemente di polmonite e non poté andar oltre alla stazione ferroviaria di Astàpovo. Accorsero parenti, amici (tra cui il suo segretario Valentin Bulgakov) e giornalisti ad attorniare il morente. Febbricitante, Tolstoj dettò alla figlia Aleksandra (la prima tra i familiari ad averlo raggiunto) questi pensieri per il Diario:

«Dio è quell'infinito Tutto, di cui l'uomo diviene consapevole d'essere una parte finita. Esiste veramente soltanto Dio. L'uomo è una Sua manifestazione nella materia, nel tempo e nello spazio. Quanto più il manifestarsi di Dio nell'uomo (la vita) si unisce alle manifestazioni (alle vite) di altri esseri, tanto più egli esiste. L'unione di questa sua vita con le vite di altri esseri si attua mediante l'amore. Dio non è amore, ma quanto più grande è l'amore, tanto più l'uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente.»

Tolstoi
Cercava sempre, ed era ormai vegliardo.
Cercava ancora, al raggio della vaga
lampada, in terra, la perduta dramma.
L'avrebbe forse ora così sorpreso
con quella fioca lampada pendente,
e gliel'avrebbe con un freddo soffio
spenta, la Morte. E presso a morte egli era; [...]
Ed e' vestì la veste rossa e i crudi
calzari mise, e la natal sua casa
lasciò, lasciò la saggia moglie e i figli,
e per la steppa il vecchio ossuto e grande
sparì. [...]

(Giovanni Pascoli, Tolstoi, vv. 1-7, 23-27, in Poemi italici, Bologna, N. Zanichelli)

tolstoi 12

Lev Tolstoj nella sua tenuta di Jasnaja Poljana, in una foto di Sergej Michajlovic Prokudin-Gorskij (maggio 1908). È l'unica foto a colori di Tolstoj



Le sue ultime parole furono: «Svignarsela! Bisogna Svignarsela!» E: «La verità... Io amo tanto... come loro...» Fu impedito alla moglie di avvicinarsi al capezzale se non poco prima che egli spirasse e quand'era ormai già privo di conoscenza, la mattina del 7 novembre 1910. In riferimento a Tolstoj sul letto di morte, Boris Pasternak scrisse:

«In un angolo non giaceva una montagna, ma un vecchietto raggrinzito, uno di quei vecchi creati da Tolstoj, da lui descritti e fatti conoscere a decine nelle sue pagine. Tutt'intorno crescevano giovani abeti. Il sole al tramonto segnava la camera con quattro fasci di luce obliqui...».

Fu sepolto nei pressi della sua casa. La tomba è semplicissima, con il cumulo di terra e la sola erba, senza croce, senza nome, sull'orlo di un piccolo burrone. Aveva indicato lui il luogo, lo stesso nel quale era sepolto – ricordo dell'amato fratello maggiore Nikolaj – un "bastoncino verde" simbolo delle speranze dell'umanità, come raccontato da Tatiana:

«Sapete perché mio padre è seppellito ai piedi di un poggio, all'ombra di vecchie querce, nella foresta di Jasnaja Poljana? Perché quel luogo era legato a un ricordo [...] Il maggiore dei figli Tolstoj, Nikolaj [...] aveva confidato di avere interrato in un angolo della foresta un bastoncino verde sul quale c'era scritta una formula magica. Chi avesse scoperto il bastone e se ne fosse impossessato, avrebbe avuto il potere di rendere felici tutti gli uomini. L'odio, la guerra, le malattie, i dolori, sarebbero scomparsi dalla faccia della terra [...].»

Decine sono state le manifestazioni organizzate per la ricorrenza dei cento anni della morte dello scrittore, dalla Germania agli Stati Uniti, con la pubblicazione di nuove traduzioni delle sue opere. La tenuta di Jasnaja Poljana rimane il centro dell'attività degli studiosi di Tolstoj e della sua famiglia. Nell'estate 2010 si sono riuniti più di 350 discendenti dello scrittore i quali si incontrano, all'incirca una volta ogni 4 anni, per conoscersi meglio e scambiarsi opinioni sul da farsi. L'informatizzazione dei capolavori e degli studi a loro dedicati è la direzione intrapresa. I russi apprezzano il lavoro finora svolto, a giudicare dai più di 3 milioni di contatti con il sito Internet dedicato a Tolstoj.

Opere
Romanzi
Infanzia (Detstvo, 1852)
Adolescenza (Otrocestvo, 1854)
Giovinezza (Junost' , 1856)
I cosacchi (azaki, 1863)
Guerra e pace (Vojna i mir, 1869)
Anna Karenina (Anna Karenina, 1877)
Resurrezione (Voskresenie, 1899)
Romanzi brevi
Felicità familiare (Semejnoe scast'e, 1859)
La morte di Ivan Il'ic (mert' Ivana Il'ica, 1886)
Sonata a Kreutzer (Krejcerova Sonata, 1891)
Denaro falso o La cedola falsa (Fal'shivyi kupon, 1911, scritto 1896-1904)
Il diavolo (D'javol, 1911, scritto 1889-1890)
Chadži-Murat (Chadži-Murat, 1912, scritto 1896-1904)
Padre Sergij (Otec Sergij, 1912, scritto 1890-1898
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I decabristi

Con il termine decabristi (dal nome russo dekabr', che significa "dicembre") si intende indicare in senso lato tutti i membri delle società segrete (persone che appartenevano comunque alla nobiltà e alla borghesia del tempo) che prepararono il moto di rivolta nel dicembre del 1825, detto appunto "moto decabrista", e che ebbe il suo fulcro nell'allora capitale San Pietroburgo. L'insurrezione decabrista si svolse il 14 dicembre (il 26 secondo il calendario gregoriano) 1825 nella Russia imperiale. Alcuni ufficiali dell'esercito imperiale appartenenti a società segrete (Massoneria su tutte), guidarono circa 3000 soldati in un tentativo di rivoluzione per attuare in Russia un'economia liberale, e disfarsi dell'assolutismo col quale l'Impero era stato governato fino a quel momento, lottando anche contro lo stato di polizia e la censura. Questa rivolta ebbe luogo nella piazza del Senato di San Pietroburgo: piazza che, nel 1925, per ricordare il centenario dall'evento, venne rinominata con il nome di piazza dei Decabristi, così come l'isola dei Decabristi. La rivolta venne sedata dallo zar Nicola I di Russia in persona, che era già a conoscenza del fatto che le truppe si stavano ammassando nella piazza. Le sue guardie erano già preparate a circondare i ribelli, dato anche il dilettantismo e l'approssimazione con cui le operazioni erano state preparate ed organizzate. I principali organizzatori vennero impiccati, molti degradati dal loro ruolo nell'esercito, circa 600 persone furono esiliate e condannate ai lavori forzati in Siberia e zone limitrofe, dove portarono la cultura e il progresso educativo in una regione a quei tempi relativamente arretrata, e dove ancor oggi sono molto stimati e godono di alta reputazione. La loro condizione di deportati, così come quella degli appartenenti ai gruppi rivoluzionari russi nichilisti e socialisti, fu magistralmente descritta dal romanzo Resurrezione. Maggiore rappresentante intellettuale del movimento fu il poeta Aleksandr Puškin. Tuttavia, è significativo che pur essendo molto vicino ai capi delle organizzazioni decabriste e pur aspirando ad entrare in una delle organizzazioni, non fu accolto in nessuna branca di esse. Il movimento decabrista fu il primo movimento rivoluzionario pienamente cosciente della storia, il cui programma sociale arrivò fino a richiedere l'abolizione della servitù della gleba e politicamente la fondazione di uno stato repubblicano o almeno una costituzione. Queste idee e concetti liberali e socialisti s'erano venuti diffondendo fino dall'inizio del XIX secolo, inizialmente solo in società segrete e gruppi ristretti. Ruolo molto importante in questo sviluppo lo avevano avuto gli ufficiali napoleonici arrivati in Russia durante le guerre rivoluzionarie francesi, durante le quali anche molti ufficiali russi erano stati impegnati nelle campagne in Europa occidentale. Alla morte dello zar Alessandro I (1º dicembre 1825), la guardia reale giurò fedeltà al granduca Costantino, che però abdicò e fu sostituito da Nicola, con il risultato di causare una situazione di temporaneo caos nella capitale. Società segrete si riunivano per evitare che il giuramento a Nicola venisse portato a termine anche dagli altri comandanti dell'esercito. Tutti questi sforzi culminarono poi negli eventi del 14 dicembre. In quel giorno, infatti, un manipolo d'ufficiali al comando di circa 3000 uomini si riunì nella piazza del Senato, dove si rifiutarono di giurare lealtà al nuovo zar Nicola I, appunto, proclamandosi nel contempo fedeli all'idea di una costituzione russa. Mentre attendevano d'essere raggiunti dalle truppe che stazionavano a San Pietroburgo, Nicola raccolse le sue guardie e li attaccò con l'artiglieria: ciò concluse la prima parte della rivolta. I capi dell'insurrezione, in molti casi appartenenti all'alta aristocrazia, elessero il principe Sergej Trubeckoj dittatore ad interim e cominciarono a marciare verso la piazza, seguiti dai loro subordinati. La rivolta proseguiva, nonostante i problemi logistici e di comunicazione tra i capi e l'esercito coinvolto nella sommossa: esempio ne sia il fatto che i soldati venivano invitati a inneggiare a "Costantino e costituzione", ma, alle domande sul significato di ciò, rispondevano che a loro avviso "costituzione" doveva essere la moglie di Costantino. Questa potrebbe essere anche solo una diceria, dal momento che, in una missiva al generale Levašev, Kachovskij affermava:
«La storia che si racconta a sua eccellenza che, nella rivolta del 14 dicembre i ribelli gridavano "Viva la costituzione" e alla domanda della gente su chi fosse "la costituzione, la moglie di sua altezza il granduca?" non è vera. È solo una divertente invenzione.»
Quando poi Trubeckoj non si presentò in piazza, Nicola inviò il conte Michail Miloradovic, un eroe militare molto rispettato dai suoi sottoposti, per riportare la pace tra i ribelli. La cosa non ebbe effetti positivi: il conte fu ucciso da un colpo d'arma da fuoco da Kachovskij. Mentre una delle due società segrete di San Pietroburgo s'affannava per arrivare preparata alla data decisa per la rivolta, l'altra subì un duro colpo, con l'arresto di uno dei capi (Pestel) accusato di tradimento il 13 dicembre: la notizia dell'insuccesso nella capitale giunse comunque dopo due settimane e nel frattempo altri capi erano stati arrestati. I membri della società segreta e di un altro gruppo nazionalistico discussero dell'opportunità o meno di agire come concordato: essendo i nazionalisti venuti a conoscenza del luogo dove erano rinchiusi alcuni degli arrestati, li liberarono con un'azione di forza.
Il comando delle azioni fu quindi preso da Sergej Murav'ëv-Apostol, uno degli arrestati, che riuscì a convertire alla propria causa anche i soldati di Vasilkov e li portò facilmente a prendere possesso della città. Presto, questo piccolo esercito si trovò di fronte le forze meglio armate dello zar, con artiglieria ben carica e ordini di massacrare i ribelli.
Il 3 gennaio i rimanenti componenti delle varie società segrete, che non avevano preso parte all'insurrezione di San Pietroburgo, furono arrestati e portati nella capitale, dove furono rinchiusi nella fortezza di Pietro e Paolo. Dopo una prigionia di alcuni mesi, durante i quali furono interrogati, furono emesse le condanne. Kachovskij, Pavel Pestel', Kondratij Ryleev, Murav'ëv-Apostol e Michail Bestužev-Rjumin furono condannati alla pena capitale tramite impiccagione, mentre gli altri furono esiliati assieme alle famiglie in Siberia. Numerosi personaggi della cultura e della politica furono sospettati di essere stati a conoscenza dei piani dell'organizzazione decabrista e dei loro piani clandestini: Puškin, Aleksandr Griboedov e Aleksej Ermolov sono tra i più noti simpatizzanti. Molte mogli e famiglie seguirono i congiunti all'est; in russo, l'espressione «moglie di un decabrista» è simbolo di devozione al marito.
Il sommovimento che portò alla rivolta decabrista era nato nell'aristocrazia russa all'inizio del XIX secolo come nuovo concetto politico e sociale tra i membri della prima generazione dell'intellighenzia sottoposta all'influenza dei pensieri liberali occidentali. Ciò li portò alla ricerca di trasformare il sistema politico russo. Ma la scissione tra la nobiltà illuminata e lo zar era inevitabile, come inevitabile fu la rivolta di dicembre, prova evidente che le idee occidentali erano state assimilate. Il fenomeno decabrista può essere letto da due punti di vista; quello del popolo e quello, opposto, delle autorità. Ovviamente convinti delle loro opinioni, i decabristi riconoscevano nel sistema autocratico il fattore di maggior ostacolo al progresso visto come libertà e rispetto dell'essere umano, lontano da quello incentrato sul sistema.
Tra le principali caratteristiche dell'intellighenzia russa di quel periodo vi è l'ambivalenza: la compassione verso il popolino, e contemporaneamente la riluttanza all'azione, ancor più evidente nella successiva generazione di russi illuminati. I "rivoltosi" definivano sé stessi prima con categorie etiche e solo in un secondo momento con quelle politiche. Sentendosi debitori verso gli strati inferiori, sentivano d'avere l'obbligo morale di ripagare il debito e passarono questa idea alle successive generazioni, assieme al pressante desiderio di liberare il popolo e, allo stesso momento, spingere lo stato verso il progresso; sentivano il dovere di essere un cuscinetto sociale e ammortizzare gli urti sociali tra coloro che erano loro inferiori e coloro che erano invece sopra di loro. Il punto centrale del decabrismo, della rivolta e le ripercussioni seguenti causarono modifiche notevoli nel campo culturale: la cultura precedente, che esisteva da secoli, basata sulle tradizioni e sui valori consueti, era stata completamente messa in discussione.


Eugenio Caruso - 25 agosto 2022

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www.impresaoggi.com