«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.»
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio)
GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.
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Henryk Adam Aleksander Pius Sienkiewicz
Henryk Adam Aleksander Pius Sienkiewicz (Wola Okrzejska, 5 maggio 1846 – Vevey, 15 novembre 1916), è stato uno scrittore e giornalista polacco. È l'autore del celebre romanzo Quo vadis?, per il quale ricevette nel 1905 il Premio Nobel per la letteratura “per i suoi notevoli meriti come scrittore epico"
Nacque da Józef Sienkiewicz (1813-1896), di remote origini tatare, e da Stefania Cieciszowska (1820-1873) nel paese di Wola Okrzejska, nella Polonia orientale, allora dominata dall'Impero russo. Nel 1866, terminato il ginnasio, s'iscrisse al dipartimento di giurisprudenza, nella Scuola Centrale di Varsavia, per poi cambiare e frequentare i corsi di medicina. Finì quindi col laurearsi in lettere, come aveva sognato fin dall'inizio. A Varsavia fu recensore in alcune riviste e divenne in seguito articolista dei quotidiani Gazeta Polska e Czas, firmandosi con lo pseudonimo di Litwos.
Pochi anni dopo, pubblicò il suo primo romanzo, Invano e, successivamente, uscì a puntate la storia dei protagonisti della Trilogia: Il diluvio (Potop), Col ferro e col fuoco (Ogniem i mieczem) e Il signor Wolodyjowski (Pan Wolodyjowski), che ebbero ampia diffusione in Polonia, visti come speranza d'indipendenza e liberazione. Ormai famoso nella sua terra, Henryk decise di compiere alcuni viaggi all'estero. Andò infatti in Russia, Germania, Francia, Svizzera, Grecia, Turchia, Egitto, India, Stati Uniti e Italia, paese in cui tornava sempre volentieri e che considerava quasi una seconda patria.
Fu l'Italia, inoltre, a dargli lo spunto per la sua opera più famosa, Quo vadis?. Preso domicilio a Roma nel 1893 in un hotel di via Bocca di Leone, ebbe come guida il pittore polacco Henryk Siemiradzki, che viveva là da molti anni. Fu quest'ultimo a mostrare a Sienkiewicz, tra la via Appia Antica e la via Ardeatina, la cappella nel cui ammattonato c'era un pezzo della vecchia strada con l'impronta di un piede; fu lì che, secondo la tradizione e l'apocrifo degli Atti di Pietro, Cristo avrebbe incontrato Pietro in fuga da Roma e risposto al quesito dell'apostolo: «Domine, quo vadis?».
Henryk Sienkiewicz morì il 15 novembre 1916 nell'hotel Du Lac, nella città svizzera di Vevey. Il 27 novembre dello stesso anno, le sue spoglie furono deposte nel sottosuolo della cattedrale di Varsavia.
Sul muro dell'hotel di via Bocca di Leone si trova una lapide commemorativa, murata nel 1966, (nel cinquantesimo anniversario della morte di Sienkiewicz) con la seguente dicitura: «Henryk Sienkiewicz, scrittore e patriota polacco, epico narratore delle eroiche gesta della sua nazione, autore del romanzo "Quo vadis?", premio Nobel per la letteratura, dimorò in questo albergo nell'anno 1893. Nel cinquantenario della sua morte, polacchi ed italiani posero». Il suo nome fu dato a una delle piazze di Villa Borghese (piazza Enrico Sienkiewicz). La piazza è situata presso Via di Porta Pinciana e costituisce uno degli ingressi alla villa romana, dato che alla sua altezza si trova il Portale di travertino.
Sempre a Villa Borghese gli è stata dedicata una statua, realizzata dallo scultore polacco Czeslaw Dzwigaj nel 1950 e situata presso il piazzale Ferdowsi.
Un suo busto in bronzo, con targa dedicata, si trova nella chiesetta del Domine Quo vadis (conosciuta anche come Santa Maria in Palmis) a Roma, situata sulla via Appia Antica, al bivio con la via Ardeatina.
La statua dedicata a Henryk Sienkiewicz situata a Villa Borghese.
Opere
- Invano (Na marne, 1872)
- Note umoristiche della cartella di Worszylla (Humoreski z teki Worszyłły, 1872)
- Il vecchio servitore (Stary sługa, 1875)
- Hania (1876)
- Schizzi al carboncino (Szkice węglem, 1877)
- Janko il musicista (Janko Muzykant, 1882)
- Il guardiano del faro (Latarnik, 1882)
- Bartek il vincitore (Bartek Zwycięzca, 1882)
- Col ferro e col fuoco (Ogniem i mieczem, 1884)
- Il diluvio (Potop, 1886)
- Il signor Wołodyjowski (Pan Wołodyjowski, 1888)
- Senza dogma (Bez dogmatu, 1891)
- La famiglia Połaniecki (Rodzina Połanieckich, 1895)
- Quo vadis? (1896)
- I cavalieri della croce (Krzyżacy, 1900)
- Natura e vita, Firenze, A. Salani, 1901.
- Per deserti e per foreste (W pustyni i w puszczy, 1911)
- In cerca della felicità (1913)
QUO VADIS ?
Sullo sfondo della Roma imperiale, soffocata dalla tirannide di
Nerone, viene narrata la storia d'amore contrastata e impossibile fra Ligia, una cristiana proveniente dai Ligi, e Marco Vinicio, patrizio romano. Il loro è un amore solcato dalle differenze ideologiche che dividono i loro mondi: quello pagano, nel suo massimo splendore di gloria e nella sua massima decadenza morale, e quello dei cristiani delle catacombe, impregnato di preghiera e amore fraterno. La loro storia affonda dunque in quella serie di avvenimenti storici che condurranno al grande incendio di Roma del 64 e, di conseguenza, alla successiva persecuzione anti-cristiana. Sienkiewicz decise di dare questo titolo al suo romanzo in ricordo del famoso episodio - ripreso da una tradizione popolare non contenuta nei Vangeli - nel quale Gesù appare a san Pietro, il quale gli rivolge appunto la domanda: Quo vadis, Domine? (Dove vai, Signore?).
Trama
Capitolo I
Mentre Petronio Arbiter, stanco per un banchetto della notte precedente, si dà alle cure del corpo, giunge in visita suo nipote Marco Vinicio, figlio di sua sorella. Dopo una generica conversazione, il giovane arriva al motivo per cui è venuto a chiedere aiuto allo zio: di ritorno da una campagna contro i Parti, sotto la guida di Corbulone, è stato costretto a fermarsi lungo la via per essersi slogato un braccio; nella casa dell'ex tribuno Aulo Plauzio, che l'ha accolto e assistito, ha conosciuto Callina, chiamata da tutti Ligia poiché ella è una principessa di questo popolo del nord. Attratto dal suo splendido aspetto di vergine pura, Vinicio se n'è innamorato ma, intimidito dal suo stesso sentimento, chiede ora allo zio Petronio di aiutarlo. Plauzio: ex governatore, famoso per le campagne combattute in Britannia. È padre adottivo di Ligia, che fu donata come ostaggio a sua moglie Pomponia Grecina. Plauzio è simbolo dell'antica Roma repubblicana, fondata sull'amore per la famiglia, l'onestà, il culto agli dèi degli antenati. Nonostante la moglie e i figli siano cristiani, l'ex console continua a rimanere pagano. Ospita Marco Vinicio dopo la sua campagna fra i Parti e accoglie lo zio di questi, Petronio, venuto per vedere Ligia. Esasperato per la scomparsa di quest'ultima, Aulo Plauzio cerca in tutti i modi di ricondurla a casa. Rassegnatosi si trasferisce con la famiglia in Sicilia. Pomponia: matrona romana, moglie di Aulo Plauzio. Florida nell'aspetto, nonostante l'età, è sempre molto mesta in viso e negli abiti a causa della morte della figlia Giulia. È una cristiana ma non frequenta spesso le adunanze dei suoi correligionari perché il marito è ancora molto legato al culto dei padri. Educa il figlioletto Aulo e Ligia alla religione cristiana e così anche parecchi dei suoi servi. Si trasferisce col marito in Sicilia quando Ligia è costretta ad allontanarsi da loro a causa di Vinicio
Ligia lascia la casa di Plauzio. Dipinto da Domenico Mastroianni, 1913
Capitolo II
Petronio e Vinicio, usciti da palazzo, si dirigono in lettiga verso la villa di Aulo Plauzio. Passati dal foro romano ritirano un libro, il Satyricon, opera dello stesso Petronio. Giunti in casa del vecchio tribuno, notano la straordinaria aria di pace che permea la dimora. Mentre i due patrizi discutono con Pomponia Grecina, moglie di Plauzio, fa la sua prima apparizione la giovane Ligia, delicata e pura fanciulla, istruita e gioiosa. Vinicio passeggia con lei cercando, invano, di mostrarle il suo amore. Il capitolo si conclude con l'enigmatica frase di Pomponia che risponde a una domanda di Petronio dicendo: "Io credo in un Dio unico, giusto e onnipotente".
Capitolo III
In lettiga Petronio commenta sarcasticamente la frase di Pomponia, mentre Marco non vuole più attendere, ama Ligia ed è disposto a tutto pur di averla. Appena giunti in casa di Crisotemide, amante di Petronio, questi ha un colpo di genio: presto Ligia sarà in casa di Marco. Crisotemide: moglie (o compagna) di Petronio, ama il lusso e i piaceri. Tradisce il marito con uno scrivano ma presta anche parecchie attenzioni al nipote Marco Vinicio. Abbandonata da Petronio, che preferisce al suo posto la schiava Eunice, diviene amante di Vatinio. Eunice: schiava greca, servizievole e di bellissimo aspetto. Ama il padrone Caio Petronio ma questi, in un primo momento, non si accorge di lei. Viene colpito dal suo coraggio quando questa, costretta a recarsi in casa di Vinicio per dargli svago, si ribella a lui chiedendo di servirlo come la più umile fra le sue schiave. Da lei Petronio giunge alla conoscenza di Chilone Chilonide, il ciarlatano le aveva, infatti, donato un filo della cintura di Venere (per la verità da uno straccio) promettendole che presto avrebbe conquistato la persona che ama. Così avviene difatti, Petronio si accorge di lei e se ne innamora. Morirà con lui quando questi preferirà uccidersi piuttosto che divenire divertimento per Nerone e Tigellino. Vatinio: nobile alla corte di Nerone. Figlio d'un sarto, organizza i giochi gladiatorri durante il soggiorno di Nerone ad Anzio. È amante di Crisotemide (moglie di Petronio) e quando Petronio chiede aiuto per salvare il nipote viene da questi abbandonato con un rifiuto.
Capitolo IV
Il giorno dopo, al mattino, il centurione Hasta bussa alla porta di Aulo Plauzio con un drappello di uomini: ha ricevuto dall'imperatore l'ordine di portare via Ligia che, essendo un ostaggio, è proprietà di Nerone. Ursus, schiavo ligio fedelissimo alla giovane, chiede di poterla seguire al palazzo imperiale per difenderla dagli abusi che certamente subirà. Pomponia, per meglio proteggere la figlia adottiva, spedisce una lettera ad Atte, un tempo concubina di Nerone, che ella conosce quale simpatizzante del cristianesimo, professato da Ursus, Ligia e Pomponia. Plauzio, deciso a riprendersi Ligia, comprende che la causa di tutto è Petronio che ha avvisato Hasta e si reca presso il Palatino per chiederne la restituzione. Nerone: imperatore di Roma, protagonista del romanzo. Spietato, sanguinario, brutale, solenne e maestoso nei trionfi, goffo e vizioso nel quotidiano, incarna in sé la decadenza morale della Roma di cui è signore. Protagonista di nefandezze indicibili, artista "incompreso", si crede un dio, un genio, un poeta migliore di Omero. Viene descritto "dal ventre largo e dalle gambe magre", con una faccia da bambinone, Petronio lo denomina scherzosamente "scimmia", il popolo "Barbadirame". È odiato dai suoi sudditi ma riesce facilmente a corromperli con larghi donativi. Temuto dagli augustiani li costringe a sopportare le sue continue declamazioni, ama viaggiare per dar sfogo al suo fuoco d'artista. Apprezza le doti di Petronio, che vuole sempre al suo fianco, ma non disdegna la forza bruta di Tigellino. Fa incendiare Roma per ricostruirla con nuovo splendore, canta un'ode sulla città in fiamme e accusa i cristiani del suo crimine. Perde però il controllo della situazione e sfoga la sua rabbia emettendo sentenze di morte, non ultima quella di Petronio stesso. Nell'epilogo del romanzo è narrato il suo suicidio. Caio Hasta: vecchio centurione romano, compagno e subalterno di Aulo Plauzio durante la campagna di Britannia. Viene mandato per ordine di Nerone in casa dell'ex console per portare via Ligia. Atte: liberta greca, un tempo amante dell'imperatore Nerone. È ancora innamorata di lui ma questi non la considera più, sopraffatto com'è dalla potente Poppea. Simpatizzante del cristianesimo, conosce le epistole dell'apostolo Paolo, a lei Pomponia Grecina invia una lettera chiedendo che aiuti la sua cara Ligia. Atte l'abbiglia personalmente e la prepara per il banchetto in casa di Nerone, cercherà di difenderla quando Vinicio vorrà abusare di lei ma non potrà far nulla, sarà Ursus a salvarla. Uscita coi due ligi dal palazzo si meraviglia vedendoli pregare in giardino e scopre la grandezza della loro fede, benché rimanga comunque legata ai propri ideali pagani. Alla morte di Nerone sarà lei a seppellirne il corpo.
Capitolo V
Plauzio raggiunge in fretta il palazzo di Seneca, chiedendo al filosofo di difendere la sua causa. Questi, ormai inviso a Nerone, non può far nulla se non lamentarsi con Petronio per il turpe gesto, di certo poco degno di un arbiter elegantiarum. Plauzio, recatosi presso Marco Vinicio, lo rimprovera aspramente per avergli portato via Ligia. Il giovane, ignaro del piano dello zio, corre furibondo al suo palazzo. Plauzio crede di averla vinta ma a sera gli giunge un messaggio da parte di Vinicio: Cesare ha voluto che la giovane fosse condotta al suo palazzo, la sua volontà è legge. Seneca: maestro di Nerone. A lui Aulo Plauzio chiede d'intercedere per la salvezza di Ligia, Seneca però si rifiuta di farlo perché ormai l'imperatore lo disprezza e il filosofo teme anche per la propria vita. È fra le vittime di Nerone.
Capitolo VI
Marco Vinicio raggiunge furioso lo zio, cerca di fargli del male ma questi sa difendersi con forza. Il giovane era convinto che Petronio avesse fatto rapire Ligia perché attratto da lei o per farne dono a Nerone, questi si discolpa e gli spiega la legge secondo la quale un ostaggio imperiale è proprietà dell'imperatore e questi può farne uso quando meglio vuole. Non potendo negare nulla al suo fidato amico, Nerone ha concesso a Petronio di portar via la fanciulla dalla casa di Plauzio e condurla, qualche giorno dopo, in casa di Vinicio. Il giovane tribuno, entusiasta, scrive ad Aulo Plauzio una lettera di spiegazioni.
Capitolo VII
Ligia, nel palazzo imperiale, è affidata alle cure di Atte che subito si affeziona a lei per i suoi modi gentili. Gli schiavi preparano un sontuoso banchetto per la sera e Ligia dovrà parteciparvi, abbigliata come meglio potrà. Sebbene la giovane non voglia mescolarsi ai viziosi cortigiani di Nerone ne è costretta per non attirarsi subito l'ira di Cesare. Al banchetto saranno presenti Petronio e Marco Vinicio: a loro Ligia potrà chiedere d'intercedere affinché la riconducano a casa. La fanciulla si sente risollevata e si prepara per il banchetto. A sera giungono in massa i cortigiani, i clientes e i servitori dei nobili patrizi, raggiunti poco dopo dallo stesso Nerone e da Poppea, giunta lì soltanto per ascoltare il canto del marito. Ligia siede al fianco di Marco Vinicio ma questi, dopo essersi ubriacato, acceso di passione per lei, cerca di farle del male; la giovane spaventata dal patrizio e dalle orge che in quel momento si svolgono al banchetto cerca di fuggire ma le è impossibile. In suo aiuto accorre Ursus, lo schiavo ligio, che scaraventa lontano Vinicio e porta via la sua padrona da quel lupanare. Marco, fiaccato dal vino, non riesce a fermarla. Poppea: imperatrice di Roma, seconda moglie di Nerone. Spregiudicata, ha in odio Ligia poiché è convinta che sua figlia, la piccola Claudia Augusta, sia morta per un incantesimo di Ligia. Tenta di sedurre Marco Vinicio nascosta dietro un velo ma il giovane, non riconoscendola, fugge via inorridito. Convertita al giudaismo consiglia Nerone, in combutta con Tigellino, di perseguitare i cristiani. A lei chiede aiuto Petronio per salvare Ligia, sfruttando la sua superstizione. Morirà durante un impeto d'ira del marito stesso. Lucano: aristocratico e poeta romano. Partecipa al banchetto orgiastico nel palazzo di Nerone durante il quale, ubriaco, grida di essere un fauno. Unitosi con Nighidda la svergogna in pubblico per la sua relazione con un gladiatore. Cade vittima della congiura pisoniana. Nighidda: matrona romana, vedova, si unisce a Lucano ma lo tradisce con un gladiatore.
Tipico esempio di sontuoso banchetto nell'Antica Roma.
Capitolo VIII
Ligia e Ursus decidono di tornare nella loro terra natia, nonostante le preoccupazioni di Atte; solo così la giovane si salverà dai soprusi di Vinicio e potrà proteggere Aulo e Pomponia, risparmiando loro la collera di Cesare che li colpirebbe se ella invece tornasse nella loro casa. Ursus decide dunque di recarsi dal vescovo di Roma, Lino, e chiedere l'aiuto di un drappello di cristiani che libereranno Ligia quando questa verrà condotta in casa di Vinicio la stessa sera.
Capitolo IX
Nonostante sia anch'ella innamorata di Vinicio, Ligia è stata delusa da lui e non vuole che egli la sposi. Atte cerca di farla ragionare ma ella è risoluta e non cede. In quel momento esse vengono raggiunte dall'imperatrice Poppea che passeggia nei suoi giardini con le serve e la figlioletta in fasce. Sbalordita per la bellezza della giovane cristiana, la sovrana teme che Nerone l'abbia presa a palazzo per sostituire lei, splendida ma senza dubbio più vecchia. Venuta a sapere che Ligia dovrà essere consegnata al giovane Vinicio, va via trionfante lasciando inascoltate le preghiere della fanciulla. La piccola Augusta, figlia di Nerone e Poppea, comincia a piangere disperata. Al tramonto un gruppo di schiavi di Vinicio, guidati dal liberto Atacino, si recano a palazzo per prendere Ligia.
Capitolo X
Mentre Vinicio attende innervosito l'arrivo dell'amata fanciulla, Petronio e l'amante Crisotemide ridono per la sua fretta. Per strada la lettiga di Ligia viene assaltata da un gruppo di cristiani, la giovane viene salvata da Ursus che nello scontro uccide inavvertitamente il liberto Atacino. Tornati a casa gli schiavi di Vinicio chiedono perdono al padrone che, furibondo, li condanna alla flagellazione e alla prigionia.
Capitolo XI
Il mattino dopo Marco si reca al palazzo imperiale: crede sia stato Cesare a rapire Ligia. Chiede sue notizie ad Atte ma questa assicura che Nerone non è uscito la sera prima perché al capezzale della piccola Augusta moribonda. Sarebbe meglio per Ligia che non si scopra dove sia: Poppea crede che la giovane le abbia stregato la figlia, che adesso rischia la vita. Se la principessa sopravvive tutti riterranno infondata tale ipotesi ma se la neonata muore allora l'imperatrice cercherà Ligia per ucciderla. Marco, convinto dunque che né Nerone né Pomponia siano colpevoli del rapimento, si allontana dal palazzo imperiale e trova Petronio, che ha ordinato ai suoi servitori di sorvegliare tutte le porte della città.
Capitolo XII
Vinicio e Petronio ipotizzano che la fanciulla sia stata rapita dai suoi correligionari: Pomponia tempo prima era stata accusata di essere una cristiana e parecchi schiavi, come Ursus, abbracciavano quella fede. Per distrarre il giovane nipote Petronio lo invita a unirsi a una delle sue schiave, fra cui la più bella è una greca di nome Eunica. Vinicio rifiuta la proposta ed esce alla ricerca di Licia; Petronio ordina che la schiava sia condotta in casa del nipote ma questa chiede implorante di rimanere con lui, senza che il patrizio sappia spiegarsi il perché. Dopo averla punita, l'atriense ricorda al padrone che un giorno Eunica gli aveva parlato d'un tale capace di trovare chiunque e dovunque che, se ben pagato, sarebbe riuscito a trovare Ligia.
Capitolo XIII
Il tale viene subito convocato: il suo nome è Chilone Chilonide, un greco filosofo, mago, indovino, profeta (in poche parole, un ciarlatano). Conosce già tutto ciò che riguarda Ligia e Vinicio, con un buon prezzo la troverà in poco tempo. È certo che i suoi correligionari l'hanno aiutata a fuggire: non conosce i loro luoghi di riunione ma è pronto a scoprirlo presto. Unico indizio datogli da Vinicio: il simbolo d'un pesce. Corso in una locanda della Suburra, Chilone comincia subito a chiedere informazioni.
Capitolo XIV
Grandi e solenni celebrazioni accompagnano le esequie della principessa Augusta, Nerone ne piange la perdita, ordina che sia divinizzata e le sia eretto un tempio con sacerdoti speciali. Nel vedere Petronio, l'imperatore lo maledice, convinto come la moglie della colpevolezza di Ligia. Il cinico patrizio usa subito la sua arte oratoria per cancellare dalla sua mente quel pericoloso sospetto; per distrarsi gli consiglia di fare un viaggio in Grecia, dove potrà dare sfogo alla sua arte poetica. Qualche giorno dopo Chilone torna da Vinicio e gli comunica di aver trovato il significato del simbolo del pesce: le lettere della parola greca ichthùs, cioè "pesce" non sono altro che un acronimo per Iesoùs Christòs Theoù Uiòs Sotèr ("Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore"), ciò dimostra che la fanciulla è una cristiana e che i suoi correligionari sono complici della sua fuga. Per l'occasione Chilone ha imbrogliato un gruppo di cristiani facendo credere di essere un loro presbitero e presto troverà Ligia: per acquistarsi il loro favore deve prima pagare il riscatto per un giovane di nome Quinto, figlio del vecchio cristiano Euricio, reso schiavo dal nobile Pansa ma troppo debole per il lavoro assegnatogli. Vinicio sospetta che il ciarlatano voglia accaparrarsi il denaro e promette che invierà con lui un suo servo con la somma richiesta per controllare che il pagamento venga effettuato.
Capitolo XV
Petronio invia una lettera al nipote spiegando come la corte imperiale passa le giornata ad Anzio, dove Nerone ha voluto recarsi per ristabilire l'animo dopo la morte della figlia. Vinicio risponde commentando le notizie ricevute da Chilone: Ligia è a Roma e presto sarà con gli altri cristiani a una riunione nella quale predicherà il famoso Pescatore, uno degli apostoli di Gesù.
Capitolo XVI
Chilone raggiunge Vinicio e gli rivela che fra i cristiani vi è un certo Glauco, un tempo suo amico, il quale l'ha tradito vendendo sua moglie e i suoi figli e ora cerca anche lui per ucciderlo. Il millantatore chiede aiuto al giovane patrizio che gli offre del denaro per trovare sicari e uccidere il pericoloso Glauco. Glauco: servizievole e pronto al perdono è il medico presso il quale Marco Vinicio viene curato in casa di Miriam. In gioventù era stato ferito gravemente da Chilone Chilonide, suo amico, che l'aveva tradito vendendo sua moglie e i suoi figli. Il millantatore, spaventato nel rivederlo, tenta di aizzargli contro Ursus ma non vi riesce. In risposta ai suoi inganni, Glauco lo perdona su invito dell'apostolo Pietro. Visita Marco dopo che questi viene allontanato dai cristiani e diviene ponte di collegamento fra lui e Ligia. Arrestato dai romani e tradito nuovamente da Chilone Chilonide viene condannato al rogo nei giardini di Nerone. Concedendo nuovamente, prima di morire, il perdono al suo assassino ne causerà la conversione.
Apostolo Pietro con Ligia dipinto da Piotr Stachiewicz, 1938.
Capitolo XVII
In verità non è Glauco ad aver venduto i figli e la moglie di Chilone ma viceversa; questi era convinto di averlo ucciso e adesso non sa cosa fare per difendersi dalla vendetta del vecchio amico. Messosi alla ricerca d'un cristiano che, a buon prezzo, l'aiuti nel suo intento di eliminarlo incontra un tale Urbano, lavorante al mulino. Questi è in realtà Ursus, presentatosi col suo nome cristiano: Chilone gli fa credere che Glauco sia un traditore, che vuole condannare i suoi correligionari, consegnare Ligia a Marco Vinicio. Ursus inizialmente non vuole ascoltarlo ma alla fine cede e promette che eliminerà il traditore, Chilone gli assicura che il vescovo Lino e il Grande apostolo lo perdoneranno per il peccato commesso.
I protagonisti, come interpretati dalla penna dell'autore
- Marco Vinicio: giovane tribuno, augustiano, reduce da una guerra contro i Parti. Forte nel fisico così come nel carattere, sicuro di sé, deciso a ottenere ciò che vuole e spietato con chi glielo nega, intraprendente, coraggioso, è l'emblema del romano per eccellenza, dedito alla guerra e poco avvezzo alle arti. S'innamora di Ligia dopo un periodo di convalescenza in casa di Aulo Plauzio e cerca in tutti i modi di poterla avere al proprio fianco, prima chiedendo l'assistenza dello zio Petronio, poi cercandola in lungo e in largo per la città giungendo fino all'Ostriano, dove avrà i primi contatti con i cristiani. Sbalordito dal loro stile di vita, Vinicio comprenderà il vero amore che prova Ligia, un amore non solo carnale, ma anche spirituale, soprannaturale perfino. Convertitosi al cristianesimo, rifugge la perversa corte di Nerone e può così coronare il suo sogno di sposare Ligia. Scoppiate le persecuzioni, viene sostenuto dalla fede in Cristo fino a sperare che l'amata muoia prima del martirio per poterla riabbracciare nella vita eterna. Dopo che Ligia viene salvata si trasferirà con lei, e con Ursus, in Sicilia dove vivranno in pace in una delle sue ville.
- Ligia/Callina: figlia del re dei Ligi, viene condotta ancora bambina come ostaggio a Roma, dove cresce sotto la protezione di Aulo Plauzio. D'indescrivibile bellezza è l'emblema della purezza del messaggio cristiano, è una giovane timida e candida, sensibile, amorevole, forte nella sua fede. Ama Marco Vinicio ma fugge da lui dopo il banchetto nel palazzo di Nerone dove il giovane ubriaco aveva tentato di abusare di lei. Rifugiatasi fra i suoi correligionari, salva la vita a Vinicio e cure le sue ferite con amorevole diligenza, combattendo spiritualmente con sé stessa, oppressa fra l'amore per lui e la devozione per Gesù. Illuminata dall'apostolo Pietro scopre che l'amore coniugale non è avverso al messaggio di Cristo, che è messaggio d'amore, e, a seguito della conversione di Vinicio, si sposa con lui. Perseguitata per la sua fede sopporta con coraggio la prigionia e la malattia che la colpisce. Salvata dalle corna d'un bufalo nell'arena grazie alla forza erculea di Ursus, si trasferisce con lui e con lo sposo in Sicilia.
- Caio Petronio: zio di Marco Vinicio ed esteta di Nerone, viene denominato "arbiter elegantiarum". Aristocratico, raffinato nei gusti, scettico e cinico, molle e sempre annoiato, giudica tutto seguendo unicamente le leggi dell'estetica; autore del romanzo Satyricon. È uno fra i maggiori cortigiani di Nerone (che egli disprezza e lusinga, ma sempre con ironia), spesso in conflitto col rude Tigellino. Si prende a cuore la questione del nipote e, dapprima, l'aiuta a ottenere Ligia che, essendo un ostaggio, è proprietà dell'imperatore, in seguito cerca il metodo migliore per fargliela dimenticare, quando ella fugge. Cinico e avvezzo ai piaceri, rimane indifferente ai precetti del cristianesimo che giudica poco felici, poiché privano dei piaceri del lusso. Nonostante tutto anche lui rimane, a sua insaputa, influenzato dal suo messaggio, perdendo il favore di Nerone pur di difendere Ligia e i cristiani. Deciso a usare ogni carta pur di salvare la sposa del nipote perderà totalmente la sua influenza sull'imperatore che lo condanna a morte. Prima però che giunga la sentenza, Petronio organizza un fastoso banchetto durante il quale si taglia le vene, consegnando come ultimo testamento una lettera a Nerone, nel quale l'accusa di essere soltanto un buffone, assassino dell'arte. Tigellino: prefetto del pretorio. Rude, volgare, a causa dei suoi consigli Nerone ha compiuto le peggiori nefandezze. Non essendo un fine esteta come Petronio, del quale è acerrimo nemico, cerca in tutti i modi di aggraziarsi Nerone e i cortigiani attraverso lauti banchetti e spettacoli nel circo. È fautore, con Poppea, della persecuzione anti-cristiana e maggiore ideatore dei tormenti nel circo. Cerca di far torto a Petronio e per questo incita l'imperatore a liberarsi di Ligia e di Marco Vinicio. Quando Nerone viene abbandonato dalle sue legioni e condannato a morte, Tigellino non farà nulla per difenderlo. Caio Petronio è liberamente tratto dalla descrizione che ne fa Tacito.
Frontespizio di un'edizione settecentesca del Satyricon di Petronio
Ero al liceo quando lessi Quo vadis? e devo ammettere che quella lettura fu per me molto istruttiva: ebbi l'occasione di comprendere alcuni aspetti della decadenza di Roma e come avesse fatto il cristianesimo a imporsi. In realtà l'aristocrazia romana si era già "convertita" allo stoicismo che metteva in discussione il politeismo greco-romano: molti si erano avvicinati al giudaismo, come la stessa Poppea, e la transizione al cristianesimo fu quindi facilitata.
FILM
Eugenio Caruso - 26 settembre 2022
Tratto da