«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.»
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio)
GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.
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André Gide nel 1893
André Gide (Parigi, 22 novembre 1869 – Parigi, 19 febbraio 1951) ha vinto ol premio Nobel per la letteratura nel 1947 “per la sua opera artisticamente significativa, nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appassionata penetrazione psicologica”. I temi centrali dell'opera e della vita di André Gide sono stati affermare la libertà, allontanarsi dai vincoli morali e puritani, ricercare l'onestà intellettuale che permette di essere pienamente sé stessi, accettando la propria omosessualità senza venir meno ai propri valori. Influenzato dagli scritti di autori come Henry Fielding, Goethe, Victor Hugo, Dostoevskij, Stéphane Mallarmé, Nietzsche, Joris-Karl Huysmans, Rabindranath Tagore, Roger Martin du Gard e l'amico Oscar Wilde, scrisse varie opere di stampo autobiografico e di narrativa ed espose spesso al pubblico il conflitto e, a volte, la riconciliazione tra le due parti della propria personalità, divise dalla rigida educazione e dalle meschine regole sociali ed etiche impostegli dalla società della sua epoca.
Le sue opere, in particolare Corydon, Se il grano non muore e L'immoralista, hanno esercitato una grande influenza (soprattutto per i temi trattati) su vari scrittori successivi a Gide, in particolare su Rainer Maria Rilke, Jacques Rivière, André Malraux, Flann O'Brien, Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Yukio Mishima, Roland Barthes.
André Gide nasce il 22 novembre 1869 a Parigi, figlio di Paul Gide, professore di diritto all'Università di Parigi, e di Juliette Rondeaux. Il padre, originario di Uzès, discende da un'austera famiglia protestante. Suo zio era l'economista politico Charles Gide. La madre appartiene a un'agiata famiglia borghese di Rouen, un tempo cattolica ma convertita al protestantesimo da diverse generazioni. L'infanzia di Gide è segnata dall'alternarsi di soggiorni presso la famiglia materna in Normandia, a Rouen e a La Roque, e di soggiorni dalla nonna paterna, a Uzès. Come emerge dalla sua opera, l'influenza diversa e a volte contraddittoria di queste due esperienze rivestirà grande importanza nella sua vita.
A Parigi, Gide vive con la famiglia in Rue des Médicis e successivamente in rue de Tournon, vicino ai giardini del Lussemburgo. Non lontano vive Anna Shackleton, scozzese, un tempo governante presso la famiglia Rondeaux e insegnante di Juliette, alla quale è legata ancora da una forte amicizia. Anna, grazie alla sua dolcezza, spensieratezza e intelligenza, svolge un ruolo importante nella formazione del giovane André: la sua morte, avvenuta nel 1884, evocata anche ne La porta stretta e in Se il seme non muore, segna profondamente Gide.
Il giovane André comincia nel 1876 a dedicarsi allo studio del pianoforte, che sarà per lui compagno lungo tutta la vita, rimpiangendo in tempi maturi il fatto di non aver avuto mai un buon professore che potesse fare di lui un vero musicista. Nel 1877 entra alla Scuola alsaziana (École alsacienne), anche se la sua carriera scolastica sarà discontinua. È sospeso per tre mesi perché viene scoperto mentre si lascia andare a solitarie “cattive abitudini” ed è riammesso solo quando considerato guarito; problemi di salute lo allontanano però di nuovo dagli insegnamenti. Malgrado le precauzioni di genitori e medici, la masturbazione (da lui nominata “vizio” e che pratica con un forte senso di peccato e sconfitta a causa dell'educazione religiosa) tornerà ben presto tra le sue abitudini, tanto che a ventitré anni scriverà di aver vissuto fino ad allora “vergine e depravato”.
La morte di suo padre, il 28 ottobre 1880, lo allontana ancora di più da un'istruzione irreggimentata. Con la morte di Paul Gide, André perde una relazione tenera e felice, che lo lascia solo di fronte a sua madre: “E mi sentii d'un tratto avvolto da questo amore, che si chiudeva ormai su di me”. Juliette Gide, spesso presentata come una madre rigida e severa, prova per suo figlio un amore profondo, proprio come Gide per lei; avrà sempre a cuore l'istruzione del figlio e lo seguirà nel suo percorso intellettuale, apportando delle interferenze in tale percorso.
Nel 1881 Juliette porta André prima in Normandia, dove affida la sua istruzione a un precettore poco ispirato, poi a Montpellier, dallo zio Charles Gide. Zimbello dei compagni, Gide evita il liceo grazie a una malattia nervosa più o meno simulata. Dopo una serie di cure, ritorna alla Scuola alsaziana nel 1882, ma ancora una malattia lo allontana dagli insegnamenti. Seguiranno diversi soggiorni tra Parigi e Rouen, dove il giovane Gide è affidato a insegnanti privati dal talento variabile.
Durante un soggiorno a Rouen, nell'autunno del 1882, André scopre il dispiacere segreto che sua cugina Madeleine coltiva a causa delle relazioni adultere della madre. In quell'emozione scopre “un nuovo oriente per la propria vita". Nasce allora una relazione lunga e tortuosa: Gide è affascinato dalla ragazza, dalla sua conoscenza del male, del suo senso rigido e conformista di ciò che si deve fare, tutte differenze rispetto al suo carattere che lo attirano. Si costruisce a poco a poco un'immagine perfetta della cugina di cui s'innamora, in modo puramente intellettuale e allo stesso tempo appassionato.
A partire dal 1883 segue le lezioni private del professor Bauer, e grazie a lui scopre, tra gli altri, il Diario di Amiel, che lo spingerà a scrivere il proprio diario intimo. Tra il 1885 e il 1888 André vive un periodo di esaltazione religiosa, che condivide con la cugina Madeleine tramite una fitta corrispondenza e letture comuni. Studia a fondo la Bibbia e gli autori greci e inizia a praticare l'ascetismo.
Nel 1887 torna nuovamente alla Scuola alsaziana, dove incontra Pierre Louÿs, con cui stabilisce un'amicizia fraterna, che gravita intorno alla letteratura e alla loro comune volontà di scrivere. L'anno successivo, durante la preparazione degli esami conclusivi della scuola superiore al liceo Henry IV, scopre i testi di Schopenhauer. Dopo la maturità, comincia a frequentare i salotti letterari, e incontra numerosi scrittori. La sua prima raccolta di scritti, I quaderni di André Walter, grazie alla quale spera di ottenere un primo successo letterario e la mano di sua cugina, incontra in effetti l'opinione favorevole della critica, ma non quella del pubblico.
Quest'opera gli permette di conoscere Maurice Barrès e Stéphane Mallarmé, grazie al quale il suo misticismo religioso si trasforma in misticismo estetico. Mentre stringe un'amicizia che risulterà duratura con Paul Valéry, si rovina la sua relazione con Pierre Louÿs, che lo accusa di egocentrismo, come del resto fa anche sua cugina. Madeleine rifiuta di sposarlo e si allontana sempre più da lui; comincia allora una lunga lotta, per vincere la sua resistenza e per convincere la famiglia, che si oppone a questa unione.
Nel 1891, poco dopo aver scritto il Trattato di Narciso, incontra Oscar Wilde, che lo spaventa almeno quanto lo affascina. Per Gide, che comincia ad allontanarsi da André Walter e dal suo ideale ascetico, Wilde incarna l'esempio stesso di un'altra esistenza. Comincia a leggere Goethe e scopre la legittimità del piacere, a differenza di quanto predicato dal puritanesimo che gli era familiare. Questo segna anche l'inizio delle tensioni con sua madre, che tuttavia cerca di aiutarlo nella conquista della cugina Madeleine, mentre tutta la famiglia e la ragazza stessa continuano a opporsi all'unione.
Nel 1893 nasce un'amicizia, in un primo tempo solo epistolare, con Francis Jammes. È però un altro amico di André che assume un ruolo chiave, il giovane pittore Jean-Paul Laurens; quest'ultimo invita Gide a seguirlo in un viaggio pagato con una borsa di studio. Il viaggio sarà per Gide l'occasione di una liberazione morale e sessuale, come descritto in Se il seme non muore e nel romanzo L'immoralista; i due partono nell'ottobre 1893, con destinazione Tunisia, Algeria e Italia. Seppur malato, Gide in Tunisia scopre il piacere con un ragazzo, Ali, e successivamente in Algeria Paul e André proseguono la loro iniziazione tra le braccia della giovane Mériem. I due passano poi da Siracusa, Roma e Firenze. Gide prosegue verso la Svizzera, per consultare un medico, che lo rassicura circa la sua salute. Si stabilisce, sempre in Svizzera, a La Brévine, che farà da sfondo al suo racconto La sinfonia pastorale, mentre già lavora su Paludi e I nutrimenti terrestri.
Nel 1895 si reca una seconda volta in viaggio in Algeria, dove incontra nuovamente Oscar Wilde affiancato da Lord Alfred Douglas («Bosie»). Quando torna in Francia, ritrova Madeleine che finalmente gli si fa più vicina. La morte improvvisa di sua madre, il 31 maggio 1895 è per lui grande dolore, ma al contempo liberazione. André e Madeleine annunciano il fidanzamento in giugno e in ottobre si sposano, anche se il matrimonio non sarà mai consumato. Partono in viaggio di nozze per sette mesi: Gide è tornato in salute e si sente frenato dalla presenza della moglie, sempre malata.
Passano dalla Svizzera, dove completa Paludi, che rappresenta una conclusione satirica del periodo simbolista, e si dedica sempre a I nutrimenti terrestri, che apre una nuova fase letteraria. Gide manterrà l'abitudine di considerare le sue opere come pietre durante il cammino, scritte come reazione le une alle altre, e che possono essere comprese solo attraverso una visione d'insieme. Gli sposini vanno poi in Italia e di nuovo in Algeria, a Biskra. Al ritorno in Francia, Gide è eletto sindaco di La Roque, dove ricopre il suo mandato senza però impegnarsi in politica. Nell'estate del 1896 termina I nutrimenti terrestri, che sarà pubblicato l'anno successivo raccogliendo consensi ma anche critiche, tanto sul tema quanto sulla forma.
Nell'inverno del 1898, Gide firma la petizione di Zola sul caso Dreyfus, anche se rifiuta di interrompere le relazioni con quelli del suo entourage che si erano schierati sulla posizione opposta, anzi si sforzerà di capire le loro ragioni per provare a portarli dalla sua parte. Durante un soggiorno a Roma scopre i testi di Nietzsche e ritrova nel filosofo l'espressione dei suoi pensieri più reconditi: “La grande riconoscenza che gli devo è di aver aperto una strada maestra là dove io non avevo tracciato che un sentiero”. Il 1898 è anche l'anno di un'intensa attività di critica e di cronaca soprattutto sulle pagine de L'Ermitage.
Nel 1901, riesce a fare allestire una sua opera teatrale, ma la prima di Roi Candaule (scritto nel 1899) è un tale fiasco che Gide prende la decisione di snobbare il grande pubblico e il teatro.
Nel 1902 il romanzo L'immoralista ottiene un certo successo, ma l'autore, troppo facilmente assimilato al protagonista Michel, non si sente compreso: secondo lui, Michel è solo un'immagine virtuale di sé stesso, da cui si purifica nel momento stesso in cui scrive. Non pubblica quasi più niente fino al 1909, quando appare La porta stretta. La critica lo accoglie benevolmente, ma ancora una volta Gide non si sente capito perché anche questa volta lo associano ad Alissa, mentre il suo sforzo di empatia verso la sua eroina non è approvazione e non viene colta la dimensione ironica dell'opera.
Andre Gide dipinto di Theo van Rysselberghe
Alla fine del decennio Gide fonda la Nouvelle Revue Française, ma non ne diventa ufficialmente il direttore; nel 1911 la rivista si associa Gaston Gallimard per trovare un editore. È in questo periodo che Gide comincia a scrivere Corydon, saggio socratico che affronta i pregiudizi verso omosessualità e pederastia.
Gli amici, a cui Gide presenta la prima bozza del trattato, temono le ripercussioni che lo scritto potrebbe avere sulla sua vita pubblica e privata, tanto che decide prudentemente di stampare solo i primi due capitoli, anonimi e in poche copie, nel 1910. Completerà l'opera nel 1917-18 e la pubblicherà firmandola solo nel 1924. Nel 1913 stringe un forte legame d'amicizia con Roger Martin du Gard, che resterà tra le persone più vicine allo scrittore fino al giorno della sua morte.
L'anno successivo pubblica I sotterranei del Vaticano, concepito come “un libro sbalorditivo, pieno di buchi e di omissioni, ma anche di divertimento, di cose buffe e parziali riuscite”, ma si rivelerà, dal punto di vista delle vendite, un fallimento. Il romanzo è strutturato su più livelli, con almeno tre protagonisti che s'intrecciano senza mai mescolarsi, uno psicopatico che uccide per il solo gusto di farlo, un cattolico bigotto e un ateo frammassone e mangiapreti. Il tono varia a seconda del protagonista, passando da uno stile tardo decadente a uno decisamente veloce e satirico, molto moderno.
Purtroppo il romanzo, che mette alla berlina cattolici praticanti e atei mangiapreti, e per di più con un tema come l'omicidio gratuito (anticipando in questo di vent'anni Albert Camus), gli aliena le simpatie del grande pubblico. Gide viene pian piano allontanato dalla direzione effettiva della Nouvelle Revue Française, lasciata a Jacques Rivière e Gaston Gallimard.
Nel 1916 intraprende un ennesimo tentativo di conversione al cattolicesimo. Per lui la questione è più morale che religiosa: egli oscilla tra un paganesimo che gli permette libertà di coscienza nella propria felicità e una religione che gli dà le armi necessarie a combattere il proprio peccato. Alla fine la conversione non avrà luogo, a causa del rifiuto dell'istituzione ecclesiastica e per la mancanza di volontà di Gide di sostituire le sue passioni carnali con un'istituzione che di fatto non riconosce il libero arbitrio. Inizia in questo periodo a scrivere l'opera autobiografica “Se il seme non muore”.
L'anno successivo Gide stringe un legame con il giovane Marc Allégret; se di solito amore e desiderio prendevano per lui strade diverse, questa volta il cuore e il corpo dello scrittore vibrano all'unisono. Poco tempo dopo, mentre lui è in viaggio in Inghilterra con Marc, Madeleine decide di rompere definitivamente il legame. Tutti i dubbi che fino ad allora la donna a fatica era riuscita a scacciare circa il marito, esplodono all'improvviso. In un impeto di rabbia, brucia tutte le lettere che lui le aveva scritto e ritorna dalla propria famiglia. Gide rimane sconsolato per questo abbandono (“Soffro come se lei avesse ucciso nostro figlio”, scrive). Lo scioglimento del legame però gli da la possibilità di pubblicare Corydon senza più temere ripercussioni sulla sua vita privata.
Gli anni venti
All'interno della Nouvelle Revue Française, Gide mantiene comunque una funzione simbolica di figura di riferimento, scrive articoli e si occupa anche di scovare nuovi talenti. Negli anni venti, la sua reputazione continua a crescere, il suo pensiero è ascoltato e apprezzato, ma ha l'impressione di essere famoso anche senza essere stato letto né capito. La sua influenza gli costa gli attacchi della destra cattolica, che gli rimprovera i suoi valori, il suo intellettualismo, il ruolo sempre più preponderante della rivista sulla letteratura francese, e persino la sua lingua. Sempre sostenuto da Roger Martin du Gard, si difende poco, ma difende sempre la Nouvelle Revue Française; diversi intellettuali di destra, tra cui François Mauriac e Léon Daudet, che malgrado le loro divergenze lo ammirano, rifiutano di attaccarlo senza però difenderlo.
Gide fornisce ai suoi detrattori materiale per attaccarlo, pubblicando in grande tiratura Coryndon, fino ad allora noto solo agli intimi, anche se tutti gli amici hanno tentato di dissuaderlo. Preferisce mettersi in gioco, ricordando il caso doloroso di Oscar Wilde e decide di calare la maschera, ma la pubblicazione (1924) esce nell'indifferenza, un po' perché il libro non è di gran valore (come sostiene Pierre Lepape[9]), un po' perché l'opinione pubblica non è ancora pronta a parlare di questo tabù. Lo scandalo arriverà solo due anni dopo, con “Se il seme non muore”.
Nel frattempo la sua vita è scossa dalla nascita di una figlia Catherine nell'aprile 1923, avuta da Elisabeth van Rysselberghe, figlia di un'amica di Gide, a cui Gide stesso aveva detto “Non mi capacito di vederti senza figli, e a non averne neppure io”[10]. Catherine sarà riconosciuta ufficialmente solo dopo la morte della moglie Madeleine, a cui questo evento era stato tenuto nascosto. Gide, che nel frattempo si stabilisce a Parigi, si occupa anche del sostentamento di Marc Allégret, componendo così una famiglia fuori norma. I falsari, opera pubblicata nel 1925, è il primo libro non scritto in funzione di Medeleine, ed è il primo che l'autore stesso non esita a definire un romanzo.
Successivamente resta con Marc per diversi mesi in Congo e durante il viaggio si appassiona all'esotismo e alla storia naturale. Più che da questi interessi è colpito dalla dura realtà del colonialismo. Si ribella inizialmente contro la messa in pratica dell'idea coloniale, denunciando errori amministrativi e inesperienza, poi le sue indagini lo spingono a cogliere la perversità del sistema nel suo insieme; capisce anche che i responsabili, a Parigi, non solo non ignorano ciò che succede nelle colonie, ma lo approvano. Le Populaire pubblica la sua accorata testimonianza, ma la destra e le compagnie commerciali accusate sostengono che lui non abbia le competenze per analizzare il problema. Eppure inchieste amministrative gli dànno ragione, tanto che il dibattito parlamentare finisce col promettere cambiamenti di rotta da parte del governo. Nonostante Gide tema che l'opinione pubblica si dimentichi presto del problema, si rifiuta di impegnarsi politicamente sulla questione.
Durante gli anni trenta soffre di mancanza d'ispirazione riguardo alla scrittura ed è anche apatico nei confronti di viaggi e amore. Non prova ormai più curiosità e passione. Entusiasta dell'esperienza russa, comincia però a interessarsi al comunismo, nel quale vede una speranza, un laboratorio dell'uomo nuovo, cedendo così alla tentazione di uscire dal purismo estetico e di utilizzare l'influenza di cui gode. La sua presa di posizione non sarà però condivisa dai suoi amici: Martin du Gard non accetta l'idea che una vita passata a combattere i dogmi si concluda con questo “atto di fede”.
Gide mette la sua gloria in gioco, apportando alla causa solo il prestigio del suo nome, non sentendosi a suo agio nelle riunioni politiche. Con questa scelta Gide s'impegna in prima persona, pur essendo cosciente di essere strumentalizzato, ma senza però impegnare la sua penna. Si rifiuta di aderire all'“Associazione degli scrittori e artisti rivoluzionari”, per non compromettere l'autonomia della letteratura che ha sempre professato e difeso. Del resto, i nuovi compagni guardano con sospetto lo scrittore borghese che si unisce a loro: “Le idee di Gide sembrano non costargli molto; il signor Gide non ha sofferto abbastanza” scrive Jean Guéhenno. Nel 1936, le autorità sovietiche lo invitano in URSS e lui, con alcuni compagni, accetta di partire. Giunto in Russia le sue illusioni crollano: invece dell'uomo nuovo trova solo vecchio totalitarismo. Metabolizza la delusione pubblicando la sua testimonianza, “Ritorno dall'URSS”.
Il partito comunista francese, a partire da Louis Aragon, e le autorità sovietiche cercano prima d'impedire la pubblicazione dell'opera e poi di distogliere l'interesse dal problema, ma Gide non ci sta e in “Ritocchi al mio ritorno dall'URSS” opera una vera e propria requisitoria contro lo stalinismo: “Spero che il popolo dei lavoratori capisca che è ingannato dai comunisti, così come loro sono ingannati da Mosca”. Gide arriva perfino a essere tacciato di fascismo, l'opinione pubblica lo spinge verso destra, anche se lui rifiuta nettamente questa posizione. È arrivato il momento per Gide di allontanarsi dalla politica, che non gli ha dato quello che sperava. Sebbene sostenga la causa dei repubblicani spagnoli, deluso dalla recente esperienza, si concentra di nuovo sulla letteratura.
Al metaforico lutto politico ne succede uno reale: il 17 aprile 1938 muore la moglie Madeleine. Dopo averlo maledetto, ella aveva finito con l'accettare il suo ruolo distaccato ma essenziale nella vita dello scrittore. Gide racconta la stranezza e le difficoltà di quell'amore particolare in Et nunc manet in te, la cui prima tiratura è limitata agli intimi.
Quando i tedeschi, conquistata Parigi, assumono il controllo della rivista Nouvelle Revue Française (NFR), Gide rifiuta di associarsi al comitato direttore, e dopo aver scritto un articolo sul primo numero, decide di non continuare a pubblicare. Scrive su Le Figaro la sua decisione d'abbandonare la rivista e rifiuta allo stesso tempo un posto come professore universitario. Aumentando le critiche contro di lui, nel 1942 decide d'imbarcarsi alla volta di Tunisi. Qui durante l'occupazione della città, constata con sgomento gli effetti dell'antisemitismo e più che di privazioni materiali, soffre di isolamento. Lasciata Tunisi per Algeri, dove incontra il generale de Gaulle, Gide accetta la direzione nominale de L'arche, una rivista letteraria diretta contro la NFR.
Finita la guerra, rientra in Francia solo nel maggio 1946, ma fatica a ritagliarsi un posto in un mondo letterario molto politicizzato. Mentre scrittori come Sartre utilizzano volentieri la loro fama a fini politici, Gide rifiuta di esporsi e per esprimersi preferisce la pubblicazione di Teseo piuttosto che le tribune politiche. Dopo il 1947, non scrive più nulla. Sempre affermando che non rinnega nulla di quello che ha fatto, Gide, lo scrittore che ha dato scandalo con opere come Corydon, nel 1947 accetta l'omaggio più importante delle istituzioni conservatrici, il Premio Nobel per la letteratura. Adesso la sua preoccupazione principale è quella di pubblicare le sue ultime opere, in particolare il Diario (il primo tomo nel 1939, il secondo nel 1950). Nel 1950 comincia a fatica il suo ultimo quaderno autobiografico Così sia o i giochi sono fatti.
Muore a 81 anni di congestione polmonare nella sua residenza parigina all'1 bis di Rue Vaneau il 19 febbraio 1951 e viene sepolto vicino a Madeleine nel piccolo cimitero di Cuverville, nel dipartimento della Seine-Maritime.
Gide nel 1920
Nel seguito trovate la trama dei tre romanzi di Gide che io stesso ho letto.
La porta stretta
La porta stretta è un'opera che l'autore non considera come un romanzo, ma come un racconto e una controparte de "L'Immoralista". La porta stretta è narrato da uno dei personaggi principali, Jérôme , « un personaggio floscio [...] che implica una prosa floscia », che peraltro, nell'incipit, nega di fare della letteratura: «Altri avrebbero potuto farne un libro; ma la storia che qui narro ho messo tutta la mia forza a viverla e la mia virtù vi si è logorata. Scriverò dunque molto semplicemente i miei ricordi, e se qua e là sono a brandelli, non ricorrerà a nessuna invenzione per rattopparli o unirli; lo sforzo che farei per acconciarli guasterebbe l'estremo piacere che spero di provare nel narrarli. »
Gide introduce la voce dell'altro personaggio principale, Alissa, attraverso delle lettere e soprattutto attraverso un diario da lei scritto, parte essenziale dell'opera, che agli occhi dell'autore, comanda e giustifica la scrittura di tutto ciò che precede. Perché se Jerome è il narratore, è attorno ad Alissa che ruota l'opera. Questo è un caso di studio ed è proprio per non turbare lo sviluppo del suo personaggio che Gide ha volutamente attenuato l'altro personaggio della storia: « [...] senza un tale eroe la tragedia non sarebbe stata possibile o almeno sarebbe intervenuto lui nell'evoluzione del carattere della donna - evoluzione che volevo purissima».
Riassunto
« Senza dubbio ho compreso solo imperfettamente la causa dell'angoscia di Alissa, ma ho sentito intensamente che quest'angoscia era molto fin troppo forte per quella piccola anima palpitante, per quel piccolo corpo tutto scosso dalle lacrime. »
Il rapporto di Jérôme e Alissa fiorì in un comune fervore religioso, approfondito da letture comuni. Anno dopo anno, Jérôme s'impegna con Alissa e per lei nella virtù più assoluta e non ha altro desiderio che sposarla: « Ignorerei il paradiso se non ti incontrassi lì. » Tuttavia Alissa scopre che anche sua sorella, Juliette, è innamorata di Jérôme. Decide di rinviare il loro fidanzamento nel tentativo di farsi da parte in favore di sua sorella minore. Quest'ultima, però, assicuratasi che Jérôme non provi nulla per lei, compete nel sacrificio sposando un altro uomo.
Ne segue una lunga separazione. Juliette, circondata dall'affetto di suo marito, trova, in assenza della felicità sognata, un appagamento. Jérôme e Alissa possono ancora una volta dare libero sfogo al loro amore. Le lettere che si scambiano avvolgono i loro sentimenti con una tale purezza che temono il confronto con la realtà. Se i loro primo incontri sono mediocri, i seguenti sono sicuramente migliori. Tuttavia, Alissa rifiuta ancora una volta qualsiasi possibilità di felicità materiale e terrena:
- Cosa può l'anima preferire alla felicità? Ho pianto impetuosamente. Lei sussurrò: « - La santità... »
Per allontanare da lei Jérôme, per lasciarlo più libero di avvicinarsi a Dio, Alissa s'impegna a farsi brutta e intorpidire il suo spirito. Jérôme, confuso, non riconosce più la persona che amava e i due si separano. Tre anni dopo, un nuovo incontro tra un deluso Jérôme e una dolorosamente emaciata Alissa precede di poco la morte della giovane ragazza. Il suo diario, posto prima dell'epilogo, rivela la paura di una felicità raggiunta troppo presto, la paura di qualsiasi desiderio o incarnazione dell'amore, la sua ostinazione a considerarsi come un ostacolo tra Jérôme e la santità, il suo gusto smoderato per il sacrificio, il suo conflittuale dialogo con Dio, i suoi dubbi e la sua sofferenza. Il romanzo è suddiviso in cinque macrocapitoli, ognuno dedicato a uno dei personaggi principali:
Libro primo: Anthime Armand-Dubois
Libro secondo: Julius de Baraglioul
Libro terzo: Amédée Fleurissoire
Libro quarto: Il Millepiedi
Libro quinto: Lafcadio
Al centro del romanzo sono la famiglia parigina de Baraglioul, di fervente fede cristiana e appartenente alla colta nobiltà della città, ed una colossale truffa ai danni dei fedeli, basata sulla falsa notizia che il papa era stato imprigionato nei sotterranei del Vaticano e sostituito da un impostore massone. La narrazione si apre con Anthime Armand-Dubois, scienziato ateo e appartenente alla massoneria, cinico nei suoi esperimenti e nelle relazioni con i suoi parenti. In soggiorno a Roma per farsi visitare da un famoso medico, gli appare in sogno la Madonna dopo che la sera prima ne aveva oltraggiato la statua spezzandole una mano. Da questo momento Anthime si converte al cristianesimo e fa pubblica abiura da ogni sua precedente empia pubblicazione, incoraggiato anche dalla Chiesa che vuole sfruttarlo come esempio. Il Vaticano gli promette grandi benefici per la sua rinuncia, ma finisce poi per usarlo come un burattino, senza fargli vedere un soldo; Anthime tuttavia non è più interessato ai beni materiali, e dedica tutto il suo tempo alle opere di carità.
Nei capitoli seguenti, Lafcadio Wluiki, un giovane avventuriero di bell'aspetto e di nobili origini che vive a Parigi di espedienti, viene a sapere di essere il figlio illegittimo del vecchio conte Juste-Agénor de Baraglioul, malato e sul punto di morte, e fratellastro di uno scrittore alla moda -benché criticato dagli ambienti letterari parigini- il visconte Julius de Baraglioul. Alla morte del vecchio, Lafcadio riceve la parte di eredità paterna che gli spetta, si congeda dalla sua amante Carola e si mette in viaggio per l'Italia.
Nel frattempo a Pau, Protos, un vecchio compagno di scuola di Lafcadio, organizza un'associazione segreta dedita alla truffa e chiamata "Il Millepiedi", e sotto le mentite spoglie di un prete, diffonde la falsa notizia che il papa è stato rapito dalla massoneria e incarcerato nei sotterranei di Castel Sant'Angelo, e chiede denaro alle nobildonne della città con il pretesto di finanziare una crociata segreta per la liberazione del Santo Padre; lo sprovveduto marito di una di queste, Amédée Fleurissoire (cognato di Julius de Baraglioul), mosso da impulsivo fervore religioso, parte da Pau in treno, diretto alla volta di Roma, per salvare il papa.
Preoccupato che giunto a Roma Amédée potesse accorgersi della truffa, Protos decide di marcarlo a vista e lo segue a Roma in ogni posto, sotto diversi travestimenti. Per allontanarlo dalla città, gli suggerisce di recarsi a Napoli presso il vescovo (che a suo dire è uno di coloro che vogliono salvare il papa): sul treno diretto a Napoli, Amédée si trova casualmente in carrozza con il solo Lafcadio, il quale decide di ucciderlo scagliandolo giù dal treno senza un motivo e senza che si fossero quasi rivolti la parola.
Nell'ultimo capitolo Protos viene erroneamente accusato di essere l'autore dell'omicidio di Amédée ed è arrestato. Il romanzo si conclude con i dubbi esistenziali di Lafcadio, a cui il fratellastro Julius de Baraglioul (al quale aveva rivelato il suo delitto) consiglia di pentirsi dell'omicidio davanti ad un prete, e a cui la figlia dello stesso Julius, Geneviève, confessa il suo appassionato amore. Tuttavia i pensieri finali di Lafcadio sembrano avviarlo a non rinunciare alle gioie dell'amore di Geneviève, lasciando da parte ogni forma di redenzione.
Analisi
La trama, come sopra esposta, appare scarna e priva di significati pregnanti. Sono tuttavia i personaggi ad animare il romanzo, come in un teatro in cui i caratteri siano illuminati ed illuminanti o risaltino a malapena dallo sfondo, distinguibili da lontano solamente perché corrispondono a stereotipi fissi, maschere che recitano sapientemente memori di realtà sociali di quel tempo, ma da cui è possibile estrapolare contenuti attuali[2]. Davanti ai nostri occhi sfila lo scienziato animato dal più fervente positivismo, avversato dai suoi pii familiari e poi da loro sospinto verso una conversione che si rivelerà esiziale per il mancato realizzarsi delle ipocrite promesse del clero romano. Sfila una galleria di dame bacchettone e bigotte, pronte a professare la propria fede ai quattro venti, ma ben attente ai propri interessi economici e alla loro condizione sociale. Sfila il novello crociato, pronto ad immolarsi per la salvezza del papa. Sfila un sottobosco di umanità dedita al sotterfugio e all'espediente più bieco. Sfila il mediocre scrittore, non scevro tuttavia da capacità di ragionamento e da intuizioni che lo porterebbero lontano dalle secche dell'ipocrisia, salvo ritornare prontamente ai consueti convincimenti.
Ma è soprattutto il personaggio di Lafcadio che colpisce per la chiarezza della sua rappresentazione[3]: dedito alla ricerca sfrenata e al culto del sé, il giovane è autore di un delitto immotivato - quello di Fleurissoire -, espletato solo per il piacere intrinseco all'azione stessa. Anche il fratellastro Julius gli fa eco disquisendo e teorizzando che il misfatto "...senza scopo, l'atto cattivo, il delitto, è inimputabile, e quegli che l'ha commesso, inafferrabile." È come parlare dell'estetica dell'atto gratuito, non ipocritamente supportato dall'interesse, da contrapporre agli atti finalizzati, magari a fin di bene.
Ma sono ancora altri aspetti caratteriali di Lafcadio che sorprendono; colpisce la straordinaria e potente rappresentazione di un personaggio che sembra anticipare di quasi un secolo la psicopatologia del disturbo di personalità, come viene descritta nei moderni manuali di psichiatria e tanto invocata nei dibattiti giurisprudenziali sulla imputabilità dell'omicida, reo di efferati delitti socialmente inspiegabili e che -a nostra memoria- sono passati agli onori delle cronache. Il ritratto che Gide traccia del giovane è perfetto, tanto da farci chiedere quale fosse o chi fosse il suo modello di riferimento.
È indimenticabile il personaggio che si autopunisce conficcandosi ripetutamente nelle carni un temperino, la cui lama aveva scaldato un momento prima; da ricordare ancora i pervasivi sentimenti di vuoto e di noia, le incerte tendenze sessuali, le perversioni, il feticismo, l'eccitamento davanti ai "piedi nudi di lei" e "davanti al più bel polpaccio del mondo", la ipersensibilità e "l'angoscia che bruscamente si impadroniva di lui" come reazione alla frase del fratellastro implicante un immaginario abbandono ("E io che cominciavo a volerle bene").
Ma, più di tutti, merita di essere ricordato il monologo interiore che motiva l'omicidio immotivato. "Non è tanto degli avvenimenti che sono curioso, quanto di me stesso. Ci sono tanti che si credono capaci di tutto, ma al momento di agire si tirano indietro...Che enorme distanza tra l'immaginazione e il fatto!..."
La porta stretta fu, nel 1909, il primo grande successo letterario di Gide. Nonostante la critica avesse già apprezzato alcune dei suoi precedenti lavori, fu proprio questo a permettergli di andare ben oltre la cerchia ristretta dei letterati (e di non pubblicare più a vuoto). Senza ignorare l'elogio, Gide deve tener conto del fatto che buona parte di esso si basa su un malinteso. Mentre il libro è concepito come una controparte de L'Immoralista, come l'altra faccia dello stesso eccesso, i critici, che prima avevano paragonato l'autore a Michel, ora lo assimilano ad Alissa e lo credono tornato nel grembo della virtù. Francis Jammes, che, come Claudel, alcuni anni prima aveva tentato invano di convertire Gide al cattolicesimo, dipinge un ritratto ditirambico di Alissa. Altro vedono, in questo « affinamento della virtù » , « un'aberrazione colpevole » e rimproverano Gide per aver scritto un libro « morboso e malsano ».
Nonostante le divergenti opinioni, nessuno sembra percepire la distanza che separa Gide dalla sua eroina e la dimensione critica di quest'opera. È vero, i parallelismi tra la narrazione e la vita dell'autore sono numerosi e si è tentato di assimilare gli uni agli altri. Tuttavia La porta stretta, come L'Immoralista, è solo uno dei possibili equilibri che Gide esplora letterariamente mentre cerca, personalmente, altri equilibri. « […] Di questa successione di stati, lui fa un riassunto: sarebbe molto peggio conoscerlo che aspettarsi che ne preferisca uno. Tutti convivono in lui, vi si uniscono, vi combattono tra loro, si fortificano a vicenda », spiega Henri Ghéon in un articolo scritto nell'aprile del 1910. S'impegna a rispondere a quanti vedono in quest'opera un culmine e un inizio di una conversione: « La cronologia delle opere non significa nulla nel suo caso. [...] Se "La porta stretta" è nata per utlima, nell'epoca più bella, è per puro caso e non perché traduce un nuovo atteggiamento morale. » E alla fine, ricorda questo elemento essenziale: « All'inizio di "La porta stretta" , per quanto sorprendente possa sembrare, troviamo un'intenzione di satira: la satira al sacrificio di sè stessi. Eppure che dono di sincerità, di affermazione vi risuona. Il romanziere è stato conquistato dalla sua eroina, ha sposato la sua follia. »
Questa storia viene paragonata anche a Il giglio della valle di Honoré de Balzac in cui il personaggio di Henriette viene consumato dall'amore e preferisce morire per raggiungere il paradiso piuttosto che dannarsi condividendo la felicità "terrena" con Félix.
La porta stretta, quindi, è solo il tassello di un puzzle costituito dall'opera di Gide e lo si può capire veramente solo tenendo conto del suo posto nel tutto, in particolare nel suo rapporto "stretto" con L'Immoralista.
I sotterranei del vaticano
Il romanzo è suddiviso in cinque macrocapitoli, ognuno dedicato a uno dei personaggi principali:
Libro primo: Anthime Armand-Dubois
Libro secondo: Julius de Baraglioul
Libro terzo: Amédée Fleurissoire
Libro quarto: Il Millepiedi
Libro quinto: Lafcadio
Al centro del romanzo sono la famiglia parigina de Baraglioul, di fervente fede cristiana e appartenente alla colta nobiltà della città, e una colossale truffa ai danni dei fedeli, basata sulla falsa notizia che il papa era stato imprigionato nei sotterranei del Vaticano e sostituito da un impostore massone. La narrazione si apre con Anthime Armand-Dubois, scienziato ateo e appartenente alla massoneria, cinico nei suoi esperimenti e nelle relazioni con i suoi parenti. In soggiorno a Roma per farsi visitare da un famoso medico, gli appare in sogno la Madonna dopo che la sera prima ne aveva oltraggiato la statua spezzandole una mano. Da questo momento Anthime si converte al cristianesimo e fa pubblica abiura da ogni sua precedente empia pubblicazione, incoraggiato anche dalla Chiesa che vuole sfruttarlo come esempio. Il Vaticano gli promette grandi benefici per la sua rinuncia, ma finisce poi per usarlo come un burattino, senza fargli vedere un soldo; Anthime tuttavia non è più interessato ai beni materiali, e dedica tutto il suo tempo alle opere di carità.
Nei capitoli seguenti, Lafcadio Wluiki, un giovane avventuriero di bell'aspetto e di nobili origini che vive a Parigi di espedienti, viene a sapere di essere il figlio illegittimo del vecchio conte Juste-Agénor de Baraglioul, malato e sul punto di morte, e fratellastro di uno scrittore alla moda -benché criticato dagli ambienti letterari parigini- il visconte Julius de Baraglioul. Alla morte del vecchio, Lafcadio riceve la parte di eredità paterna che gli spetta, si congeda dalla sua amante Carola e si mette in viaggio per l'Italia.
Nel frattempo a Pau, Protos, un vecchio compagno di scuola di Lafcadio, organizza un'associazione segreta dedita alla truffa e chiamata "Il Millepiedi", e sotto le mentite spoglie di un prete, diffonde la falsa notizia che il papa è stato rapito dalla massoneria e incarcerato nei sotterranei di Castel Sant'Angelo, e chiede denaro alle nobildonne della città con il pretesto di finanziare una crociata segreta per la liberazione del Santo Padre; lo sprovveduto marito di una di queste, Amédée Fleurissoire (cognato di Julius de Baraglioul), mosso da impulsivo fervore religioso, parte da Pau in treno, diretto alla volta di Roma, per salvare il papa.
Preoccupato che giunto a Roma Amédée potesse accorgersi della truffa, Protos decide di marcarlo a vista e lo segue a Roma in ogni posto, sotto diversi travestimenti. Per allontanarlo dalla città, gli suggerisce di recarsi a Napoli presso il vescovo (che a suo dire è uno di coloro che vogliono salvare il papa): sul treno diretto a Napoli, Amédée si trova casualmente in carrozza con il solo Lafcadio, il quale decide di ucciderlo scagliandolo giù dal treno senza un motivo e senza che si fossero quasi rivolti la parola.
Nell'ultimo capitolo Protos viene erroneamente accusato di essere l'autore dell'omicidio di Amédée ed è arrestato. Il romanzo si conclude con i dubbi esistenziali di Lafcadio, a cui il fratellastro Julius de Baraglioul (al quale aveva rivelato il suo delitto) consiglia di pentirsi dell'omicidio davanti ad un prete, e a cui la figlia dello stesso Julius, Geneviève, confessa il suo appassionato amore. Tuttavia i pensieri finali di Lafcadio sembrano avviarlo a non rinunciare alle gioie dell'amore di Geneviève, lasciando da parte ogni forma di redenzione.
Analisi
La trama, come sopra esposta, appare scarna e priva di significati pregnanti. Sono tuttavia i personaggi ad animare il romanzo, come in un teatro in cui i caratteri siano illuminati ed illuminanti o risaltino a malapena dallo sfondo, distinguibili da lontano solamente perché corrispondono a stereotipi fissi, maschere che recitano sapientemente memori di realtà sociali di quel tempo, ma da cui è possibile estrapolare contenuti attuali. Davanti ai nostri occhi sfila lo scienziato animato dal più fervente positivismo, avversato dai suoi pii familiari e poi da loro sospinto verso una conversione che si rivelerà esiziale per il mancato realizzarsi delle ipocrite promesse del clero romano. Sfila una galleria di dame bacchettone e bigotte, pronte a professare la propria fede ai quattro venti, ma ben attente ai propri interessi economici e alla loro condizione sociale. Sfila il novello crociato, pronto ad immolarsi per la salvezza del papa. Sfila un sottobosco di umanità dedita al sotterfugio e all'espediente più bieco. Sfila il mediocre scrittore, non scevro tuttavia da capacità di ragionamento e da intuizioni che lo porterebbero lontano dalle secche dell'ipocrisia, salvo ritornare prontamente ai consueti convincimenti.
Ma è soprattutto il personaggio di Lafcadio che colpisce per la chiarezza della sua rappresentazione: dedito alla ricerca sfrenata e al culto del sé, il giovane è autore di un delitto immotivato - quello di Fleurissoire -, espletato solo per il piacere intrinseco all'azione stessa. Anche il fratellastro Julius gli fa eco disquisendo e teorizzando che il misfatto "...senza scopo, l'atto cattivo, il delitto, è inimputabile, e quegli che l'ha commesso, inafferrabile." È come parlare dell'estetica dell'atto gratuito, non ipocritamente supportato dall'interesse, da contrapporre agli atti finalizzati, magari a fin di bene.
Ma sono ancora altri aspetti caratteriali di Lafcadio che sorprendono; colpisce la straordinaria e potente rappresentazione di un personaggio che sembra anticipare di quasi un secolo la psicopatologia del disturbo di personalità, come viene descritta nei moderni manuali di psichiatria e tanto invocata nei dibattiti giurisprudenziali sulla imputabilità dell'omicida, reo di efferati delitti socialmente inspiegabili e che -a nostra memoria- sono passati agli onori delle cronache. Il ritratto che Gide traccia del giovane è perfetto, tanto da farci chiedere quale fosse o chi fosse il suo modello di riferimento.
È indimenticabile il personaggio che si autopunisce conficcandosi ripetutamente nelle carni un temperino, la cui lama aveva scaldato un momento prima; da ricordare ancora i pervasivi sentimenti di vuoto e di noia, le incerte tendenze sessuali, le perversioni, il feticismo, l'eccitamento davanti ai "piedi nudi di lei" e "davanti al più bel polpaccio del mondo", la ipersensibilità e "l'angoscia che bruscamente si impadroniva di lui" come reazione alla frase del fratellastro implicante un immaginario abbandono ("E io che cominciavo a volerle bene").
Ma, più di tutti, merita di essere ricordato il monologo interiore che motiva l'omicidio immotivato. "Non è tanto degli avvenimenti che sono curioso, quanto di me stesso. Ci sono tanti che si credono capaci di tutto, ma al momento di agire si tirano indietro...Che enorme distanza tra l'immaginazione e il fatto!..."
L'immoralista
L’Immoraliste, pubblicato nel 1902, è un romanzo in cui si riflettono tutte le vicende dell’autore fino a quel momento, dal tormentato matrimonio alla tubercolosi – non si sa fino a che punto immaginaria (psicosomatica, diremmo oggi) – fino alla risoluzione algerina, con il senso di ritrovata apertura alla vita. Tuttavia il presupposto autobiografico non può essere la sola chiave di lettura di questo romanzo che propone alcune delle problematiche che più stanno a cuore all’autore: l’atto di liberazione dall’educazione pressantemente religiosa e puritana e dal “grave insegnamento ugonotto”. Gide vuole superare la morale corrente e costruirne una nuova, sintesi tra un’anarchia spirituale ispirata da un cristianesimo atipico e un individualismo aristocratico nietzschiano. Ne consegue una fusione tra amore e umiltà dalla quale scaturisce la coscienza e l’accettazione delle proprie contraddizioni. Non si sottrae però agli scivolamenti nella meschinità che non può essere mascherata dalla mistica del superuomo.
Trama
Durante il viaggio di nozze in Africa Michel si accorge di avere la tubercolosi e ritrova la salute grazie alle cure amorevoli della moglie Marceline, che impersona tutte le virtù di un sentimento che è soprattutto abnegazione. Attraverso la malattia Michel scopre la bellezza della vita e rinnega i principi dell’educazione passata e del sistema di vita borghese. Da questa rigenerazione però viene esclusa radicalmente la moglie, in particolare durante il suo soggiorno in Normandia, dove prova l’ebbrezza per la sua nuova vita dove c’è spazio per le abituali occupazioni del proprietario terriero ma non per Marceline. Ancor più questo aspetto si rivela dopo il ritorno a Parigi e l’inizio dell’attività di insegnante. La vicenda assume qui connotati sconcertanti che si manifestano soprattutto con i dialoghi con Menalca. Quest’ultimo si rivela personaggio chiave per completare il superamento concreto dei vecchi principi, non mancando di ironizzare persino sulla presunta felicità borghese di Michel che sta per diventare padre. La gravidanza difficile porta però alla perdita del bambino e Michel considera che la sua rinascita fisica e spirituale passi attraverso un nuovo viaggio africano che non può che aggravare la salute sempre più precaria di Marceline. Il protagonista si dimostra privo di scrupoli e attenzioni mentre costruisce la propria vita in piena libertà e iniziando una convivenza col giovane Alì.
Ecco cosa dice lo stesso Gide a proposito di quella che appare una costrizione alla legge dell’immoralità:
“L’immoralista era già scritto per metà e tutto composto nella mia testa quando ho incontrato Nietzsche. Posso dire che in un primo momento mi ha ingombrato ma poi grazie a lui ho potuto spurgare il mio libro da ogni tipo di idee avventizie che mi tormentavano in modo confuso, che non avevano più bisogno di essere dette, visto che le trovavo esposte assai meglio di quanto non avrei potuto fare io”.
L’ispirazione iniziale derivò dalla morte di un’amica della madre dell’autore, Anna Shackleton, episodio che fa da catalizzatore a incertezze dubbi e profonde amarezze che avevano costellato il lungo dramma intimo dei vent’anni precedenti della vita dell’autore. E L’immoralista appare in questa direzione il tentativo più deciso di liberazione.
Tuttavia Carlo Bo prova anche un’altra ottica di lettura, cioè come a un “tentativo segreto di superare le leggi estetiche del momento”. Da superare, oltre alla sua natura, la sua educazione, l’isolamento nel quale era stato tenuto dalla madre, dobbiamo aggiungere la scuola letteraria che aveva scelto e il suo clima, cioè il simbolismo. In questo senso la strada del romanzo assume i connotati di un piccolo atto di ribellione e l’approdo a quella perenne inquietudine che per lui sarebbe diventata la norma. In definitiva è certamente vero che approdare a un romanzo interpretato da personaggi “reali” significava una sorta di rottura con l’ambiente di Mallarmé. La storia umana è libera da ogni rapporto simbolico. Secondo Carlo Bo siamo di fronte quindi a un esempio di “liberazione letteraria” o, per usare un’espressione di molti anni dopo, di “letteratura impegnata”.
È un libro che alla sua uscita non incontra troppe simpatie, la qual cosa induce Gide a rallentare la produzione narrativa negli anni successivi – in pratica scrive solo Retour de l’enfant prodigue, parabola rivisitata con spregiudicata simpatia per il figliol prodigo – e a sfogare la sua inquietudine in lunghi viaggi.
Quando Eugenio Giovannetti diede alle stampe questa prima traduzione italiana di L’Immoralista, Gide non era molto conosciuto in Italia. Il primo a parlarne era stato Lucini, nel 1903, e poi Vannicola aveva tradotto nel 1907 il saggio su Oscar Wilde in appendice a La ballata della prigione di Reading; Onofri nel 1912 Viaggio sull’oceano patetico e Papini nel 1920 Viaggio del Prometeo male incatenato. Qualche traduzione ancora (La porta stretta e i Sotterranei del Vaticano) negli anni ’30, ma con questa traduzione Giovannetti diede il via a una nuova stagione per la conoscenza di Gide in Italia e in pochi anni si sono susseguite diverse traduzioni per tutte le sue opere, almeno le più note.
Dall’incipit del libro:
Cari amici, vi sapevo fedeli. Al mio appello siete accorsi proprio come io avrei fatto al vostro. Eppure non mi vedevate più da tre anni. Possa la vostra amicizia, che resiste così bene all’assenza, resistere altrettanto bene al racconto che voglio farvi. Poichè se v’ho chiamati d’improvviso e vi ho fatto viaggiare sino alla mia casa lontana, è per vedervi soltanto e perchè voi possiate ascoltarmi. Non voglio altro soccorso che questo parlarvi, perchè sono a tal punto della mia vita ch’io non posso più oltrepassare. Eppure non è stanchezza. Ma non capisco più. Ho bisogno: bisogno di parlare, vi ripeto. Saper liberarsi non è niente: il difficile è saper mantenersi libero. Permettetemi di parlarvi di me: sto per raccontarvi la mia vita, semplicemente, senza modestia e senza orgoglio, più semplicemente che se parlassi a me stesso. Ascoltatemi.
Eugenio Caruso - 14 ottobre 2022
Tratto da