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Francois Mauriac, racconta l'angoscia di vite aride, prive di sentimenti e di speranza
«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.»
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio)
GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni.
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François Charles Mauriac
François Charles Mauriac (Bordeaux, 11 ottobre 1885 – Parigi, 1º settembre 1970) è stato uno scrittore, giornalista e drammaturgo francese.
Membro del seggio 22 dell'Académie française dal 1933 al 1970, istituzione che gli assegnò nel 1926 il Grand Prix du Roman; collaborò per il quotidiano Le Figaro e fu decorato con la Legion d'onore.
Nel 1952 vinse il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione:«per il profondo spirito e l'intensità artistica con la quale è penetrato, nei suoi romanzi, nel dramma della vita umana»
Nacque in una famiglia composta di cinque fratelli, un padre agnostico e repubblicano, e una madre, Claire, cattolica, che rimasta vedova all'età di ventinove anni educò i figli alla religione. Mauriac studiò al Grand-Lebrun diretto dai religiosi Marianisti e mostrò una grande passione per alcuni grandi autori francesi, come Pascal, Baudelaire, Balzac e Racine.
Il suo esordio avvenne grazie ad un articolo scritto per La vie fraternelle, voce del movimento cattolico Sillon, di impronta operaia e popolare. Ottenuta la licence in lettere nel 1906, si trasferì a Parigi per partecipare al concorso all'École des Chartes, che vinse e che gli aprì la carriera di insegnante.
Ma nel 1909 decise di dedicarsi anima e corpo alla letteratura, pubblicando la raccolta di poesie intitolata Les mains jointes (1909), seguita dal romanzo L'enfant chargé de chaînes. Già in queste prime opere si delineò l'ispirazione religiosa anche se i toni furono ancora sfumati. Nel 1913 si sposò con Jeanne Lafon e, dopo l'inizio della prima guerra mondiale, ottenne l'esenzione dal servizio militare per motivi di salute.
François Mauriac con la moglie Jeanne Lafon.
In quegli anni Mauriac si dedicò con passione anche all'attività di giornalista, collaborando con Gaulois e Le Figaro e si impegnò come promotore di un manifesto destinato ai cattolici affinché si dissociassero dal franchismo. In romanzi come Il bacio al lebbroso (1922), Thérèse Desqueyroux (1927), Groviglio di vipere (1932), si fece denunciatore spietato e giudice intransigente di sentimenti quali avarizia, orgoglio, odio, sensualità, avidità, materialismo e brama di dominare, che travolgono la borghesia di provincia, lontana da ogni possibilità di riscatto.
Temi che permeano anche la sua produzione teatrale: ricordiamo Asmodeo del 1937 al quale fecero seguito Amarsi male ( Mal aimés, 1945) e Passaggio del diavolo (Le passage du Malin, 1947), Il fuoco sulla terra (Le feu sur la terre, 1950). Mauriac mise il cattolicesimo, il moralismo e il fariseismo alla base della sua opera. Egli critica il grigio mondo borghese in nome di valori religiosi, ma non esita a contrapporre alla rinuncia cristiana l'istintivo impulso a una vita piena.
Soprattutto al centro della sua disamina critica, vi furono la famiglia e i rapporti famigliari, presi come riferimento emblematico per il degrado e il deterioramento dei valori e del senso della vita. Il pessimismo cronico di Mauriac si rivelò necessario per evidenziare il carattere mostruoso dei suoi personaggi, che l'autore ritiene presenti in ognuno di noi. Assieme a Georges Bernanos, Karl Barth, Maritain e Gabriel Marcel, redasse articoli per la rivista Temps présent. Ai personaggi avvolti in una nube di zolfo dei romanzi, egli alternò ritratti più distaccati in saggi critici su Jean Racine, Blaise Pascal, Gesù. Numerosi furono pure i suoi studi sui problemi psicologici del credente, tra i quali Sofferenza e gioia del cristiano (1931), Brevi saggi di psicologia religiosa (1933), così come fondamentali risultarono i suoi saggi dottrinali Giovedì Santo (1931) e La pietra dello scandalo (1948). Negli stessi anni Quaranta si distinse come editorialista di punta del quotidiano Le Figaro, sulle cui colonne firmò articoli fino al 1949.
Durante la seconda guerra mondiale si oppose al governo di Vichy e si avvicinò alle posizioni del generale Charles de Gaulle, al quale dedicherà un'opera biografica intitolata De Gaulle. Tuttavia, nel 1945, prese le difese degli scrittori collaborazionisti («les écrivains vichystes et "collabos" menacés du peloton d'exécution»), come il fascista Robert Brasillach. Ciò gli valse, da parte del foglio satirico-politico Canard enchaîné il soprannome di "Saint Françoise des Assises".
Per lo stile fluido e ricco di immagini, per la coerenza e dirittura morale ma soprattutto perché trattò temi universali, gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura del 1952.
Nel maggio 1955 Mauriac stimolò Elie Wiesel a scrivere delle sue esperienze di internato nei campi di concentramento nazionalsocialisti di Auschwitz e Buchenwald - tale pressione portò Wiesel a pubblicare, nel 1958, una delle sue opere più famose: La notte. Si schierò per la decolonizzazione dell'Algeria.
Sul fronte giornalistico, portò avanti l'attività di chroniqueur per il settimanale L'Express e, successivamente, ritornò a scrivere per Le Figaro Littéraire. Rigettò il surrealismo e il dadaismo; si oppose all'esistenzialismo ("escremenzialismo sartriano") e si mantenne estraneo allo strutturalismo e al nouveau roman.
Nelle sue opere, la "carne" è emblema del peccato originale: la libertà sessuale, per Mauriac, coincide con il "male supremo" e la donna è una "straniera" che appartiene "a un'altra razza", in quanto "il sesso ci separa più di due pianeti".
Jean-Paul Sartre ha descritto Mauriac con queste parole:
«I romanzi li scrivono gli uomini per gli uomini. In un'ottica divina che trafigge le apparenze senza arrestarsi, non esiste romanzo, non esiste arte, perché l’arte vive di apparenze. Dio non è un artista; lui nemmeno.»
E' stato tradotto e commentato dai maggiori letterati italiani: Bo, Castellaneta, Prezzolini, Bontempelli, Prisco, Raboni.
Opere
Romanzi, novelle, storie brevi
- L'Enfant chargé de chaînes, Parigi, Grasset, 1913
- Milano, Alfa, 1932 («Romanzi del girasole» 2); tr. Curzio Siniscalchi, Milano, Dall'Oglio, 1938 («I corvi» 63); Milano, Dall'Oglio, 1960 («Serie scarlatta» 23)
- La Robe prétexte, Parigi, Grasset, 1914
- tr. Anna Luisa Zazzo, Milano, Rizzoli, 1960 («BUR Supersaggi»)
- Torino, Sas, 1953 («Universa» 1); con La carne e il sangue, tr. Giovanni Fattorini e Leonella Alano Podini, Milano, Fabbri, 1970 («Grandi della letteratura»)
- La Chair et le Sang, Parigi, Émile-Paul Frères Editeurs, 1920
- tr. Nico Ferrini, Milano, Elit, 1933 («Romanzi dell'iride» 42)
- Préséances, Parigi, Éditions Émile-Paul Frères, 1921
- Lo scimmiottino, Milano, Mondadori, 1959 («Medusa» 421)
- Dialogue d'un soir d'hiver, (novella) 1921
- Le Baiser au lépreux, Parigi, Grasset, 1922
- Milano, Treves, 1930 («Scrittori stranieri moderni» 9); Milano, Garzanti, 1944 («Amena» 6); Milano, Garzanti, 1961 («Romanzi moderni»); Milano, Garzanti, 1965 («Garzanti per tutti» 12) (contiene anche: Colpi di coltello, Un letterato, Il demone della conoscenza)
- Le Fleuve de feu, Parigi, Grasset, 1923
- Génitrix, Parigi, Grasset, 1923
- tr. Maria Rolle Guerri, Milano, Mondadori, 1970 («Scrittori italiani e stranieri»); Milano, Mondadori, 1992 («Oscar narrativa»)
- Le Mal, Parigi, Grasset, 1924
- tr. Renzo Tian, ed. con Le vie del mare, Milano, Mondadori, 1956 («Il ponte» 37)
- Le Désert de l'amour, Parigi, Grasset. 1925
- tr. Rosina Pisaneschi Spaini, Lanciano, Carabba, 1932; Pordenone, Studio Tesi, 1990 («L'anello d'oro» 6)
- Thérèse Desqueyroux, Parigi, Grasset, 1927
- Teresa, tr. Maria Martone, Roma, Tiber, 1929 («I grandi romanzi stranieri»); i («Medusa» 53), 1935; Milano, Mondadori («Libri del Pavone» 150), 1958; Milano, Mondadori, 1971 («Capolavori della Medusa»)
- Destins, Parigi, Grasset, 1928
- tr. Marise Ferro, Milano, Mondadori, 1933 («Medusa» 4); Milano, Mondadori, 1958 («Libri del pavone» 140); Milano, Mondadori, 1980 («Capolavori della Medusa»); Milano, Mondadori, 1992 («Oscar narrativa» 1241)
- Trois Récits: Coups de couteau (1926), Un homme de lettres (1926), Le Démon de la connaissance (1928)
- , tr. Maria Elisa Della Casa, Firenze, Passigli, 1996 («Narrativa» 22)
- Ce qui était perdu, Parigi, Grasset, 1930
- Quel che era perduto, con Gli angeli neri, tr. Mara Dussia, Milano, Mondadori, 1937 («Medusa» 77); Milano, Mondadori, 1956 («Libri del Pavone» 99); con introduzione di Roberto Cantini, Milano, Mondadori, 1973 («Oscar» 142); con introduzione di Giuliano Vigini, Milano, Mondadori,1992 («Oscar narrativa» 1256)
- Le Nœud de vipères, Parigi, Grasset, 1932
- Groviglio di vipere, tr. Mara Dussia, Milano, Mondadori, 1932, («Romanzi della palma»); Milano, Mondadori, 1952 («Medusa» 307); Milano, Mondadori, 1960 («Libri del Pavone» 230); Milano, Mondadori, 1966 («Oscar» 39 e «Oscar narrativa» 123); Milano, Mondadori, 1974 («Capolavori della Medusa»)
- Le Drôle (racconto per bambini), 1933
- Le Mystère Frontenac, Parigi, Grasset, 1933
- tr. Leone Bortone, Roma, Anonima Veritas, 1947 («Iride»)
- La Fin de la nuit, Parigi, Grasset, 1935
- tr. in I due romanzi di Teresa Desqueyroux, cit.
- Les Anges noirs, Parigi, Grasset, 1936
- Gli angeli neri ed. con Quel che era perduto, tr. Enrico Piceni, Milano, Mondadori, 1937 («Medusa» 77); Milano, Mondadori, 1956 («Libri del Pavone» 99); Milano, Mondadori, 1973 («Oscar» 142), con introduzione di Roberto Cantini; Milano, Mondadori, 1992 («Oscar narrativa» 1256), con introduzione di Giuliano Vigini
- Plongées, Parigi, Grasset, 1938, contiene, tra gli altri racconti: Le Rang, Insomnie, Conte de Noël, oltre a Thérèse chez le docteur (1933) e Thérèse à l'hôtel (1933)
- tr. in I due romanzi di Teresa Desqueyroux, cit.
- Les Chemins de la mer, Parigi, Grasset, 1939.
- ed. con Il male implacabile, Mondadori, Milano 1956 («Il ponte» 37); da solo, Firenze, Passigli, 1995 («Narrativa» 8)
- La Pharisienne, Parigi, Grasset, 1941.
- tr. Enrico Piceni, Milano, Mondadori, 1946 («Medusa» 168); Milano, Mondadori, 1958 («Libri del Pavone» 140 e 337); Milano, Mondadori, 1970 («Oscar» 307); Milano, Mondadori, 1962 («Oscar classici moderni» 59); Milano, San Paolo, 1997 («Novecento europeo» 7)
- Les Arbres et les Pierres, 1944
- Le Sagouin, Parigi, Plon, 1951
- Lo scimmiottino, tr. Michele Prisco, con Siepi dorate, Milano, Mondadori, 1959 («Medusa» 421)
- Galigaï, Parigi, Flammarion, 1952.
- tr. Renzo Tian, Milano, Mondadori, 1954 («Medusa» 331)
- L'Agneau, Parigi, Flammarion, 1954.
- tr. Giuseppe Sozzi, Milano, Mondadori, 1956 («Medusa» 371)
- Un adolescent d'autrefois, Parigi, Flammarion, 1969
- Milano, Mondadori, 1971 («Scrittori italiani e stranieri»)
- Maltaverne (postumo), Parigi, Flammarion, 1972
Mauriac all'epoca del Nobel
Teatro
- Asmodée, Parigi, Grasset, 1938
- Asmodeo, con Amarsi male e Il fuoco sulla terra, tr. e premessa di Luigi Castiglione, Roma, Logos, 1989 («Biblioteca universale cristiana»)
- Les Mal Aimés, Parigi, Grasset, 1945
- Amarsi Male, tr. in Asmodeo, cit.
- Passage du malin, 1948
- Le Feu sur terre, 1951
- Il fuoco sulla terra, tr. in Asmodeo, cit.
Poesia
- Les Mains jointes, Parigi, H. Falque, 1909
- L'Adieu à l'Adolescence, Parigi, P.-V. Stock Éditeur, 1911
- Le Disparu, 1918
- Orages, 1925
- Le Sang d’Atys, 1940
Saggi e raccolte di articoli
- De quelques cœurs inquiets. Petits essais de psychologie religieuse (Société littéraire de France) 1920
- Le Jeune Homme, Parigi, Hachette, 1926
- La Province, Parigi, Hachette, 1926
- Le Roman (L'artisan du livre) 1928
- La Vie de Jean Racine, Parigi, Plon, 1928
- tr. Elvira Cassa Salvi, Brescia, Morcelliana,1953 («I compagni di Ulisse»)
- Divagations sur Saint-Sulpice (Edouard Champion et ses amis) 1928
- Dieu et Mammon, Parigi, Éditions du Capitole, 1929
- tr. con Diario, prefazione di Carlo Bo, tr. Marisa Ferro, Milano, Mondadori, 1963 («Quaderni Medusa» 59)
- in Cinque volti dell'angoscia, tr. Maria Beluschi, Reggio Emilia, Città armoniosa, 1979 («Ex libris» 14)
- Trois Grand Hommes devant Dieu, éd. du Capitole, 1930
- Le jeudi Saint, Parigi, Flammarion, 1931
- Brescia, Morcelliana,1932 («Fuochi»)
- Pèlerins (Editions de France) 1931 (nuova éd. Parigi, Plon, 1933, con il titolo Pèlerins de Lourdes)
- Souffrances et bonheur du chrétien, Parigi, Grasset, 1931
- Roma, Anonima Veritas, 1947 («Universale» 2)
- in Cinque volti dell'angoscia
- Blaise Pascal et sa soeur Jacqueline, Parigi, Hachette, 1931
- Milano, Bompiani, 1949 («Grandi ritorni»)
- Fauteuil XXX: René Bazin (nella collection "Les Quarante"), Parigi, Librairie Félix Alcan, 1931
- L'Affaire Favre-Bulle, Parigi, Grasset, 1931
- Le Romancier et ses personnages, seguito da L’Education des filles, Corrêa, 1933
- Del romanzo, tr. Rubino Rubini, Milano, Edizioni Di Uomo, 1945 («Miscellanea» 9)
- Il romanziere e i suoi personaggi e L'educazione delle fanciulle, Brescia, Morcelliana, 1962 («Universale moderna»)
- La Vie de Jésus, Parigi, Flammarion, 1936
- Milano, Mondadori, 1937 («Quaderni Medusa» 8); Milano, Mondadori, 1950 («BMM» 101); Milano, Mondadori, 1966 («Record» 28); Milano, Mondadori, 1974 («Oscar» L 155), con introduzione di Carlo Bo; Milano, Mondadori, 1993 («Uomini e religioni» 6); Genova, Marietti, 1998, con introduzione di Paul Poupard, Milano, Rizzoli, 2009 («BUR Classici del pensiero).
- Les maisons fugitives, Parigi, Grasset, 1932
- in Cinque volti dell'angoscia, cit.
- Le Bâillon dénoué, Paris, Grasset, 1945
- La Rencontre avec Barrès, 1945
- Du côté de chez Proust, Parigi, La Table ronde, 1947
- Mes grands hommes, Monaco, Editions du Rocher, 1949
- La pierre d'achoppement, 1951
- tr. Giovanni Visentin, Firenze, Libreria Fiorentina, 1952 («Ventesimo secolo»); con il titolo La pietra dello scandalo, Palermo, Zisa, 1989 («Le gemme» 2)
- Paroles catoliques, 1954
- tr. Giovanni Barra, Milano, Massimo, 1955 («Il nostro tempo» 1)
- Paroles aux croyants, 1954
- tr. Emilio Piovesan, Brescia, Morcelliana, 1954 («Il pellicano»)
- Bloc-notes, 5 voll., Parigi, Seuil, 1958-1971
- tr. Liliana Magrini, Milano, Mondadori, 1963 («Il bosco» 132)
- tr. Roberto Cantini, Milano, Mondadori, 1966 («Il bosco» 164)
- Le fils de l'homme, 1958
- Agropoli (SA), Officina delle 11, 2012
- Souvenirs retrouvés (intervista con Jean Amrouche), Parigi, Fayard, Institut national de l'audiovisuel, 1981
- Mozart et autres écrits sur la musique, 1996
- La Paix des cîmes: chroniques, 1948-1955, 2000
- D'un Bloc-notes à l'autre: 1952-1969, 2004
- Téléchroniques, 1959-1964, 2008
Memorie
- Le Cahier noir (con lo pseudonimo Forez), Parigi, Les Éditions de Minuit, 1943
- Journal d'un homme de trente ans (estratti), Parigi, Egloff, 1948
- Mémoires intérieurs, 1959
- tr. Maria Trebeschi e Elvira Cassa Salvi, Brescia, Morcelliana, 1961
- Ce que je crois, 1962
- tr. Marisa Ferro, con Dio e mammona, Milano, Mondadori, 1963 («Quaderni Medusa» 59)
- Nouveaux mémoires intérieurs, 1964
- tr. Sergio Miniussi, Milano, Mondadori, 1965 («Le scie») (Charles de Gaulle)
- Vicenza, La locusta, 1966 (contiene: La realtà dell'amore, Meditazione mattutina, Tradizionalisti e innovatori)
- Mémoires politiques, 1967
- tr. Giovanni Mariotti, Milano, Mondadori, 1968
Autobiografia, discorsi e corrispondenze
- Bordeaux, Parigi, Emile-Paul, 1926 (prima redazione di Commencements d'une vie, 1932, (L'Esprit du Temps, 2009)
- Commencements d'une vie, Parigi, Grasset, 1932
- Discours de réception à l'Académie française (Institut de France, fuori commercio) 1933; Parigi, Grasset, 1934
- Journal I, Parigi, Grasset, 1934
- Journal II, Parigi, Grasset, 1937
- Hiver, Parigi, Flammarion, 1932 ("La Guirlande des années")
- in Cinque volti dell'angoscia, cit.
- Journal III, Parigi, Grasset, 1940
- Réponse à Paul Claudel à l'Académie française (Institut de France, fuori commercio), Parigi, La Table ronde, 1947
- Journal du temps de l'occupation (dans les Œuvres complètes), Parigi, Librairie Arthème Fayard, 1952
- Écrits intimes, 1953
- Lettres d'une vie, 1904-1969, 1981
- Nouvelles Lettres d'une vie, 1906-1970, 1989
COMMENTO
Così come Giovanni Verga, questo grande scrittore francese avrebbe potuto racchiudere le sue opere di narrativa nel ciclo de “I vinti“; i suoi personaggi vengono infatti annientati e scaraventati continuamente nella freddezza e nell’indifferenza di una vita arida, priva di sentimenti e pronta a sottrarre ogni speranza. E, nonostante qualche volta ritrovino la forza di ricominciare e di affrontare la durezza della realtà fantasticando su un’esistenza diversa, sono destinati a conoscere l’amaro sapore della sconfitta in un mondo dominato dal demone del denaro, o ancora più frequentemente, dal proprio demone interiore, principale artefice dell’impossibilità di assaporare quel po’ di gioia e di amore che certi eventi della vita potrebbero loro donare.
Queste creature spente manifestano il pessimismo dell’autore dinnanzi ad una vita caratterizzata da una lotta continua contro demoni da cui non è facile riuscire a liberarsi.
La religione è per lo più un inutile sfondo dei soavi paesaggi delle Landes. Non ha alcun ruolo da protagonista, sebbene lo scrittore si autodefinisca «un cattolico che scrive romanzi». Molti sono i problemi che tormentano i personaggi di Mauriac e anche la morte, più volte presente nei suoi romanzi, non possiede alcun potere di santificazione dato che dagli anziani e dai moribondi si ereditano spesso pesanti catene che chi resta in vita non ha il coraggio di smagliare.
Spietato con i suoi personaggi, ciò che colpisce maggiormente della sua narrativa, genere letterario che ne decreta il suo successo, è la rara e profonda sensibilità nel descrivere la psicologia di un’umanità costretta a vivere in un mondo privo di luce. Mauriac fruga nell’animo umano in modo implacabile e quei pochi che riescono a schivare la trappola delle convenzioni sociali e dell’opportunismo, sembrano predestinati a concludere la loro vita spegnendosi in modo crudele.
Il mondo di Mauriac, circoscritto nello spazio e nel tempo, si dipana sullo sfondo delle campagne intorno a Bordeaux e tra i pini e i vigneti delle Landes. Eppure il mondo che racconta è universale.
Quelle anime tormentate che vivono storie conflittuali dentro i soffocanti recinti dei ristretti ambienti provinciali sfociano in drammi più o meno silenziosi riscontrabili in tutto il mondo. L’unica differenza evidente tra l’ineluttabile male dell’avidità vissuto in città o in provincia è che in quest’ultima il dramma viene amplificato fino a divenire ossessivo.
Ciò che più evidenzia lo scrittore, al di là delle fameliche lotte per il denaro, è il conflitto interiore di singoli esseri umani, vittime di tormenti spesso inconfessabili ed impossibili da esprimere. In queste lotte accade spesso che l’avversario, forte e silenzioso, è Dio.
E, se non è Dio, lo è la religione. E qui ci si avventura in un terreno particolarmente impervio. La personalità di un autore cattolico che descrive maggiormente gli aspetti più angoscianti che rasserenanti della religione, lascia sorgere qualche interrogativo sul suo modo di intendere la fede in quell’universo cupo in cui si muovono i personaggi dei suoi romanzi.
Mauriac descrive la tragica e misera condizione dell’uomo convinto di riuscire a poter fare a meno di Dio e dunque destinato a vivere senza raggiungere la serenità.
I suoi romanzi denunciano spietatamente quei vizi umani che hanno travolto la borghesia di provincia, e non solo quella. Borghesi che si autodefiniscono cristiani limitandosi a freddi rituali religiosi per poi mostrare un comportamento deplorevole nei confronti del prossimo, dominati come sono dall’avidità, dall’avarizia e dal materialismo. Esseri dunque lontani dagli insegnamenti cristiani, insegnamenti che però lo stesso Mauriac ritiene difficili da attuare.
Lo scrittore pone il cristianesimo e l’etica come fondamenti della sua opera denunciando l’insulso mondo borghese e contrapponendo alla rinuncia cristiana l’impulso irrefrenabile di una vita dominata dagli istinti. Nonostante le sue opere risentano della sua visione religiosa, Mauriac non assume mai un tono moraleggiante, non giudica mai i suoi personaggi ma sovente ne è complice, partecipando con empatia alle loro sofferenze, ai loro rimpianti e alle loro possibilità di ricominciare con il doloroso fardello di ciò che hanno irrimediabilmente perduto.
Al centro della sua critica vi sono i rapporti familiari, emblematici nella loro decadenza dei valori.
Tuttavia bisogna sottolineare che questo grandissimo romanziere, cupo narratore di un mondo senza alcuna speranza, si serve del pessimismo per mettere in evidenza le personalità aberranti dei suoi personaggi, che, secondo Mauriac, sono presenti dentro ogni essere umano. Ma da buon cristiano inflessibile nei suoi principi, ritiene che il cammino per giungere a Dio sia sempre possibile, persino nelle circostanze più impensabili.
Le tematiche da lui affrontate, il denaro, il sesso, l’amore materno esclusivo e talvolta ossessivo, la famiglia e l’eccessiva attenzione per le distinzioni sociali, gli sono necessarie per delineare quella zona oscura presente in ogni essere umano. E la sua religiosità, molto sofferta, è dolorosamente coinvolta in quelle miserie umane che ci allontanano dalla spiritualità.
Il suo spirito di osservazione è profondamente acuto, ma nello stesso tempo quello studio approfondito della natura umana lo conduce ad un pessimismo (che forse può anche definirsi realismo) volto principalmente allo scarso impegno dei cattolici nel condurre una vita da autentici cristiani .
Il suo stile tradizionalista mostra al medesimo tempo una chiara influenza del romanzo psicologico di Proust e di Balzac. Con una penna sagace e una retorica impeccabile, Mauriac mostra la sua sincera fede e sembra voglia prendere silenziosamente il lettore per mano ed introdurlo in un cammino diretto alla gioia spirituale. Non importa se chi s’immerge nei suoi romanzi professi un altro credo o sia ateo o agnostico. Basta iniziare a leggere le sue opere senza alcun pregiudizio per poterle apprezzare, anche perché le tematiche da lui trattate investono tutte le sfere dell’universo umano.
È questa soprattutto la peculiarità che rende Mauriac un grande scrittore: la sua principale attenzione è rivolta al singolo in lotta contro se stesso e contro la società. E se Dio emerge nei suoi romanzi come l’unico rifugio per la serenità dell’uomo, lo si deve attribuire solo al bisogno dello scrittore di condividere la sua sincera concezione con gli altri. Ma Mauriac decide di nascondere Dio o di lasciarlo appena intravedere, come se stesse in attesa di riempire il vuoto dei suoi personaggi, suscitando così le aspre critiche dei conservatori cattolici.
Se Mauriac è amato anche dai non credenti lo si deve proprio alla sua profonda sincerità, al suo spirito critico e alla sua aperta disubbidienza alla Chiesa, vista come un’istituzione per lo più politica, ipocrita e lontana dai precetti da cui ha tratto origine il cristianesimo. Il suo principale obiettivo è quello di difendere l’umanesimo e il cristianesimo dall’avvento del naturalismo e del romanticismo, rendendo visibile quel processo di degenerazione della borghesia senza mai scadere nella volgarità del linguaggio.
Nato a Bordeaux da una benestante famiglia borghese, perde il padre ancora bambino e viene cresciuto dalla madre e dalla nonna secondo i dettami del cattolicesimo. Compie gli studi in una scuola religiosa e si laurea in lettere presso l’Università di Bordeaux.
Mostra sin da giovane una grande passione per la lettura e in particolar modo per Pascal, Baudelaire, Balzac e Racine.
Dopo la laurea si trasferisce a Parigi nel 1906 per partecipare al concorso di abilitazione all’insegnamento all’École des Chartres ma, nonostante vinca il concorso, decide di dedicarsi interamente alla letteratura a partire dal 1909. Il suo esordio letterario prende il via con una raccolta di poesie dal titolo “Le Mani Giunte“, seguita dal romanzo “Il bambino in catene“. Sin dalle prime opere si nota, anche se ancora in modo appena accennato, l’ispirazione religiosa che conduce alla scrittura questo giovane autore.
Nel 1913 convola a nozze con Jeanne Lafon e, chiamato alle armi durante la Prima Guerra Mondiale, viene subito congedato per problemi di salute.
Il suo amore per la letteratura cresce ogni giorno di più insieme al suo instancabile attivismo che lo vede collaborare con Gaulois e Le Figaro per promuovere un manifesto indirizzato ai cattolici per invitarli a prendere una posizione ben chiara contro il franchismo. Le sue idee libertarie e democratiche lo portano non solo a criticare ferocemente i regimi totalitari, ma anche a schierarsi senza esitazione con la Resistenza negli anni bui dell’occupazione tedesca. Da non dimenticare nemmeno la sua posizione critica nei confronti del colonialismo francese e italiano. La sua solidarietà con i movimenti d’indipendenza dei popoli d’oltremare mostra il suo ideale politico che trae ispirazione dal cristianesimo e dalla fraternità. Naturalmente questo suo temperamento ribelle nei confronti dell’ingiustizia gli procura non pochi nemici tra i conservatori e la Chiesa, quasi sempre schierati con chi detiene il potere.
La sua opera può essere collocata nella corrente di scrittori e filosofi esistenzialisti cristiani che hanno cercato di condividere l’etica cristiana, esaminando i problemi dell’umanità e suggerendo azioni che s’ispirano ai precetti morali del cristianesimo. La sua produzione letteraria non racchiude solamente romanzi, ma anche saggi di notevole interesse che analizzano i problemi psicologici dei credenti e lavori teatrali che affrontano le stesse tematiche dei suoi romanzi.
Tra le sue opere più celebri bisogna ricordare “La toga pretesta” (1920), “La carne e il sangue” (1920) “Il bacio al lebbroso” (1922), “Thérèse Desqueyroux” (1927) e “Groviglio di vipere” (1932).
Nel 2012 il regista Claude Miller ha realizzato il film “Thérèse Desqueyroux” tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore.
Negli anni settanta, per strane circostanze, ebbi modo di partecipare a un salotto letterario di Carlo Bo; il grande poeta mi invitò perchè era interessato a conoscere le novità nel campo della fisica. Poi iniziò a parlare di François Mauriac, ritenuto da lui il più grande romanziere del XX secolo, d'altra parte, Bo era ritenuto il massimo letterato cattolico esistente in Italia e per qualche anno si suppose che potesse vincere il Nobel. Ma i giudici di Stoccolma non sono stati mai teneri con i letterati cattolici. Il poeta ci spiegò che se Dio emerge nei romanzi di Mauriac "Lui" si presernta come l’unico rifugio per la serenità dell’uomo, e che la presenza di Dio la si deve attribuire solo al bisogno dello scrittore di condividere la sua sincera concezione spirituale con gli altri. Nel salutarmi mi suggerì di leggere Il bacio al lebbroso.
Groviglio di vipere
La storia è narrata in prima persona da Louis, il protagonista. Egli ha 68 anni e, nel ripercorrere le vicende della sua vita, copre gli anni dal 1885 circa, fino al 1930.
Sono personaggi di primo piano: la moglie Isabelle Fondaudège, detta Isa; la figlia minore Marie; il piccolo Luc, figlio della sorella di Isa; Janine nipote di Louis e Isa; Phili, suo marito.
Altri personaggi: Hubert e Geneviève, figli di Louis e Isa, Marinette sorella di Isa, Robert, figlio illegittimo di Louis.
Trama
Louis è un uomo molto facoltoso. La sua fortuna è stata raggiunta grazie alle sue capacità di accumulare capitali, ma anche tramite un buon matrimonio. Giovane assai povero, intelligente, pieno di rancore verso la propria madre (che riteneva impresentabile), aveva sposato Isabelle, verso cui si era mostrato immediatamente geloso e ombroso.
Infatti Isabelle era stata innamorata di un giovane che non aveva potuto sposare perché egli era tisico e, avendo Isabelle due fratelli morti della stessa malattia, i genitori avevano accettato Louis, pur di classe sociale più modesta, affinché non si perpetrassero ulteriori malattie da trasmettere ai discendenti. Su queste basi, Louis si era sempre sentito aspro e chiuso in se stesso.
Al momento del racconto, Louis è invecchiato e presenta una salute molto malferma. I familiari, pensando che non sono da lui amati e nemmeno graditi, vorrebbero ricorrere a un medico per far internare il malato e non rischiare di perdere l'eredità. Pertanto si sono riuniti nella casa di Louis e passano il tempo a tramare e parlarsi, esasperando l'uomo.
Dal canto suo, Louis ha più volte cercato di estromettere i suoi due figli, con relativi coniugi e figli, dall'eredità, ma la sorte non lo ha favorito, togliendogli le persone che gli erano state più a cuore. Assediato dentro e fuori, Louis ripercorre le tappe della sua vita amara.
Perché è sempre adirato con Isa? eppure odia i giovani nipoti, quando non le portano rispetto o la mettono da parte. Perché non ha capito le qualità dei suoi figlioli? Sin da bambini erano stati modelli di buona educazione e chiunque altro ne sarebbe stato fiero. Ed inoltre i suoi si erano abituati agli affetti bizzarri di Louis e non lo avevano mai contraddetto.
Ed ecco questi affetti emergere dal cuore aggrovigliato di Louis: per la figlioletta minore, morta a dieci anni, per il piccolo Luc, nipote di Isabelle, per un figlio illegittimo, Robert.
Marie, la figliolina, non avrebbe dovuto morire e lasciarlo: questo si tiene dentro Louis. Luc, allevato in casa, bambino vivacissimo, era stato falciato dalla guerra a soli 18 anni, dopo che lo zio aveva riposto tante speranze in lui. E se n'era andato ridendo, felice di esser vivo, ignaro del domani. Robert si era rivelato debole e corruttibile; a nulla era servito che il padre avesse tentato di elevarlo e di farne il suo erede.
In questo macerarsi, Louis si accorge troppo tardi che, più logorata di lui, Isa d'improvviso si ammala e muore. La scomparsa della compagna di vita, a prescindere dalla qualità di quella vita, colpisce Louis che piange e si dispera, con immenso stupore di tutti.
Perché Louis, se non aveva dispensato il bene tra i suoi, ne era in ogni modo stato ricambiato con chiusure e pregiudizi, come se un tipo del suo stampo non potesse comportarsi che ingiustamente. Solo la moglie, Isa, non aveva mai smesso di amarlo, di cercare di farlo accettare, e anche lei era stata fraintesa e compatita.
Ma la nuova svolta, il crollo di Louis, convince i familiari a lasciarlo solo e la nipote Janine, sul punto di separarsi dal marito Phili, (altra simpatia di Louis, nonostante sia un dissipato) rimane con il nonno, a sua volta per riflettere ed assisterlo.
Così il dialogo interiore che Louis aveva intrapreso, può continuare nella quasi solitudine e diventare dialogo con il proprio Creatore. E il grido dell'uomo che si sente peccatore, che ha tenuto in sé un groviglio di vipere, sale e sale, fino a consumare Louis. A Janine toccherà il suo diario e la difesa di un'anima che, trovata la pace, forse ha trovato anche la luce.
Il bacio al lebbroso
Il romanzo è stato tradotto in almeno quindici lingue. Nel 1979 è stato realizzato l'adattamento televisivo omonimo, diretto da André Michel, con Nathalie Juvet (Noémie), Michel Caccia (Jean Peloueyre), Georges Goubert (Jérôme, il padre di Jean) e Paul Le Person (il curato).
Trama
«Giovanni Peluèr, steso sul letto, aprì gli occhi. Attorno alla casa le cicale stridevano. Come un metallo liquido la luce colava attraverso le persiane. Giovanni Peluèr si alzò, con la bocca amara. Era così piccolo che la bassa specchiera a muro rifletté la sua povera faccia, le guance infossate, un naso lungo, aguzzo, rosso e come logoro, simile ai bastoncini di zucchero d'orzo che i ragazzi assottigliano col loro paziente succhiare. L'attaccatura dei corti capelli scendeva ad angolo acuto sulla fronte già rugosa; una smorfia gli scoprì le gengive e i denti cariati. Benché non si fosse mai odiato tanto, si rivolse delle pietose parole: "Esci, va' a passeggio, povero Giovanni Peluèr!" e con la mano si carezzava la guancia mal rasata.»
(Il bacio al lebbroso, incipit)
Jean, oltre che essere afflitto da un aspetto considerato insano e ripugnante, è un giovane che nella vita coltiva l'unico interesse di sparare agli uccelli. Il padre, ipocondriaco ossessivo, gli ha impedito più volte di andare in collegio, rimandando il distacco fino agli studi liceali. Il ragazzo è sempre stato consapevole della sua sgradevolezza e non ha amici: alle spalle sente risatine e ciò lo rende vieppiù solitario. Animato da una devozione costante, un giorno scopre, dopo una lettura di Nietzsche, che la sua fede è soprattutto un rifugio. Questo lo spinge a porsi domande e a tentare di essere più forte, più dominatore nella vita e nelle azioni. Ma non gli è possibile uscire dallo stato di conforto che le pratiche religiose gli dànno, anche se sostitutive di tutto ciò che gli manca: amici, ragazze, una mamma (la sua è morta di tisi e lui non la ricorda).
Il padre di Jean ha una sorella, madre di Fernand, uomo rozzo ma di successo. Costei auspica che il patrimonio del fratello passi a Fernand; ciò è possibile a condizione che Jean scompaia prematuramente e senza eredi. Per stornare le trame della rapace sorella, il signor Jérôme si allea con il curato del paese e i due trovano una ragazza di buona famiglia, ma povera, da dare in moglie a Jean. La fanciulla, Noémie d'Artiailh, ha diciassette anni, è bella e devota; i suoi genitori sono felici di questa unione. Il futuro fidanzato non osa pensare a tanta fortuna ed è convinto che lei non sopporterà il suo aspetto. Avviene così e i due si sposano, ma non arrivano a consumare il matrimonio, per quanto ciascuno abbia un suo modo di amare l'altro. Le loro nottate sono piene di lacrime silenziose e amare.
Intanto Noémie è diventata un'ottima figlia e infermiera per il suocero, che si sente meglio e apprezza le sue attenzioni. Data la situazione, il curato suggerisce a Jean di andare a Parigi a compiere un lavoro di storia locale, consultando le migliori biblioteche. Il viaggio è un pretesto, Jean lo capisce da come vede rifiorire Noémie, tuttavia si adatta e parte. Il soggiorno a Parigi non fa che affossare il ragazzo, che non compie ricerche e non scrive, fuma troppo, si mantiene casto ma trascura la salute e l'alimentazione. Quando è richiamato a casa, giunge in uno stato di debilitazione che preoccupa moltissimo la moglie. Chiamato un giovane dottore, che cura anche altri malati della zona, questo dichiara che il paziente è prossimo alla tisi. Di fronte a ciò, Noémie si prodiga per il malato, ma questi vuole allontanarsi da lei e non accetta i suoi baci di tenerezza. Dopo qualche giorno riprende a uscire e rimanere il più a lungo possibile lontano da casa.
Il dottorino era stato chiamato al capezzale di Robert, figlio del medico locale dottor Pieuchon, e gli aveva prescritto delle cure, ma ormai l'ammalato è gravissimo e sputa sangue. Jean, all'insaputa dei familiari, passa tante ore al capezzale di Robert, con cui aveva condiviso qualche divertimento, lo ascolta delirare e contrae la tisi. Di notte soffoca la tosse, ma un giorno, proprio quando Robert è spirato, Noémie scopre la verità sulle uscite del marito. Si rivolge al curato per comprendere e i due riflettono sul viaggio rovinoso di Parigi, voluto da entrambi. Il curato si accusa dentro di sé della situazione, ma anche Noémie ha le sue responsabilità. Si mette a curare Jean con il massimo zelo e vuole il suo perdono, ogni giorno fa venire il giovane dottore, il quale ha messo gli occhi su di lei ed è troppo assiduo. Jean fa in tempo ad accorgersi delle manovre del "rivale", ma arriva il momento di congedarsi dalla vita e tutto perde d'importanza. L'ultima alba si porta via Jean, circondato dalla famiglia e assistito dal curato.
La fine di Jean si traduce in un lutto di tre anni. Egli ha lasciato tutte le sue proprietà alla moglie. L'anziano signor Jérôme a sua volta ha redatto un testamento in favore della nuora, purché non si risposi. I genitori di Noémie condividono questa mentalità e non si aspettano dalla figlia altro che obbedienza e modestia. Intanto il dottorino continua a sperare e non immagina che la donna possa resistergli, ma quando è chiaro che Noémie non cederà, lui, che aveva simulato una crisi religiosa, scompare dalla chiesa, non rimpianto. Un giorno d'estate, mentre passeggia in campagna per ragioni di salute (è diventata troppo pesante), Noémie è spaventata dal sopraggiungere del dottore, entrato in una fattoria a curare un malato. Si getta allora tra la vegetazione e comprende che solo la fedeltà a Jean sarà il suo bene.
«Da quel momento, nella pineta piena di mosche, seppe che la sua fedeltà al morto sarebbe stata la sua umile gloria e che non era più in suo potere il sottrarvisi. Così Noemi corse attraverso gli scopeti, fino a quando, sfinita, le scarpe piene di sabbia, dovette abbracciare una quercia intristita sotto il bigello delle foglie morte, ma tutte frementi d'un soffio di fuoco, una quercia nera che somigliava a Giovanni Peluèr.»
(Il bacio al lebbroso, explicit)
Personaggi principali
Jean Péloueyre, giovane ricco, ma molto brutto. Vive con il padre, un ipocondriaco.
Noémie d'Artiailh, giovanissima moglie di Jean, ragazza dall'anima semplice e molto devota.
Gesù - Guarigione del lebbroso (N. L. Stevns)
13 febbraio 2023 - Eugenio Caruso
Tratto da
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