“[…] la distinzione tra passato, presente e futuro è soltanto un’illusione, anche se ostinata”. Einstein
A migliaia di chilometri da casa, nell’umido della foresta amazzonica, a metà Ottocento, il naturalista
britannico Henry Walter Bates aveva un problema. Più d’uno, in
verità: c’erano grossi insetti che lo pungevano, la malaria costantemente in agguato, serpenti velenosi, muffe e funghi che
minacciavano di infestare i suoi preziosi esemplari prima che potesse spedirli in
Inghilterra. Ma quel che lo assillava era un
problema scientifico, riguardo alle farfalle.
Bates aveva notato che alcune delle farfalle Heliconius dai colori vivaci presenti nella foresta non svolazzavano come le
altre, ma con più lentezza.
Farfalla Heliconius
Quando le catturò e le esaminò col suo microscopio, scoprì che non erano affatto Heliconius, ma sorprendenti sosia, appartenenti a famiglie di farfalle non correlate.
Quando la scoperta di Bates divenne
nota, si capì che l’idea della selezione naturale da poco proposta da Charles Darwin
poteva spiegare i motivi di questo
mimetismo. Gli uccelli e gli altri predatori
evitano le Heliconius perché sono tossiche e hanno un sapore amaro; le farfalle
che le imitano non sono tossiche, ma poiché assomigliano così tanto alle Heliconius
amare, hanno meno probabilità di essere
mangiate. Più stretta è la somiglianza, più
potente è la protezione.
Spesso i supergeni nascono quando un pezzo di DNA cromosomico viene invertito. L’inversione impedisce la ricombinazione, quindi i geni nell’inversione vengono quasi sempre ereditati come un’unità indivisibile.
PRIMA FILA: Ricombinazione cromosomica I cromosomi materni e paterni duplicati si allineano e scambiano casualmente pezzi di DNA, rompendo le combinazioni di geni esistenti
SECONDA FILA: L’effetto dell’inversione L’inversione del DNA impedisce l’allineamento completo e lo scambio di DNA. I geni nell’inversione sono protetti dalla ricombinazione
Sfumature misteriose
Quello che Bates e molti altri biologi
evoluzionisti non riuscivano a
spiegare era come fosse possibile questo
mimetismo. Ottenere le corrette sfumature di colore nei punti giusti delle ali richiedeva una
costellazione di geni, regolati con precisione. Per mantenere il travestimento da
Heliconius, le loro sosia avrebbero dovuto ereditare questi tratti con perfetta fedeltà, generazione dopo generazione. Forse le vere Heliconius potevano permettersi
qualche deviazione nei loro colori, perché
le loro tossine potevano ancora insegnare
ai predatori a stare alla larga; ma i mimi dovevano essere repliche impeccabili. Ma il rimescolamento casuale dei tratti
nella riproduzione sessuale avrebbe dovuto stravolgere rapidamente quegli schemi
di colorazione così essenziali.
Oggi sappiamo che in molte specie la risposta sta nei supergeni, ovvero tratti di
DNA che accorpano diversi geni in un’unica unità ereditaria. «Sono una specie
di jolly», ha detto Marte Sodeland, ecologa molecolare dell’Università di Agder, in
Norvegia. Questa forma di eredità aggregata «ha ovvi vantaggi, perché consente
un rapido adattamento, ma ci sono molte
cose che ancora non sappiamo»
Un tempo i supergeni sembravano
una bizzarria evolutiva, ma i progressi del
sequenziamento genetico hanno mostrato che sono molto più comuni di quanto si credesse. Non è detto che tutti questi gruppi di geni che funzionano come
un gene unico abbiano una funzione, ma
le ricerche degli ultimi anni hanno rivelato che potrebbero controllare svariati tratti in un’ampia gamma di specie animali e
vegetali.
Girasoli selvatici
I supergeni aiutano i girasoli selvatici ad adattarsi a una serie di ambienti,
come le dune di sabbia, le pianure costiere
e le isole barriera vicino alle coste. In altre
piante producono sottili ma importanti variazioni negli organi sessuali e nella fertilità che aiutano a prevenire gli incroci fra individui imparentati. Una ricerca ha dimostrato che, in
alcune specie di formiche di fuoco, i supergeni determinano il tipo di organizzazione sociale predominante, se cioè una colonia ha una sola regina riproduttrice o più di
una, o se produce più maschi o più femmine. (Negli esseri umani non è stato confermato alcuno specifico supergene, ma sono
stati trovati alcuni probabili candidati.)
I supergeni sembrano anche spiegare
molti vecchi misteri evolutivi, per esempio
come le specie possano talvolta adattarsi in
fretta a nuovi ambienti, come le popolazioni possano evolversi in direzioni diverse
pur vivendo vicine, e perché alcune specie
abbiano «sistemi letali bilanciati» di riproduzione, una condizione per cui un individuo deve avere due versioni diverse di un
dato cromosoma per sopravvivere.
Ma i supergeni non sono onnipotenti. I lavori più recenti sulla loro evoluzione
stanno dipingendo un quadro dei loro effetti con molte sfumature. Questi modelli teorici e gli studi sulle popolazioni reali hanno dimostrato che spesso i supergeni
accumulano mutazioni dannose molto più
in fretta di altri tratti di DNA, e ciò può portare gradualmente a effetti degenerativi
che minano i loro originari benefici.
Geni in lavatrice
La definizione di supergene è piuttosto
tecnica e gli scienziati discutono ancora
sui suoi dettagli, anche se il concetto esiste
fin dagli anni trenta. Ma al livello più semplice, spiega Simon Martin, biologo evoluzionista dell’Università di Edimburgo, un
supergene è un gruppo di geni che vengono ereditati in blocco come un’unica unità, spesso insieme a molto altro DNA non
codificante. «Così è possibile continuare a
ottenere due tratti distinti, determinati ciascuno da un dato gruppo di varianti di quei
geni, senza preoccuparsi che si mescolino», ha detto Martin.
Il rimescolamento avviene spesso nel
corso della produzione di ovociti e spermatozoi, durante la quale le copie materne e paterne dei cromosomi si allineano e
scambiano a caso segmenti di DNA in un
balletto chiamato ricombinazione. La ricombinazione è un meccanismo con cui la
natura si garantisce i benefici dati dall’avere diverse permutazioni dei geni; aumenta
la diversità genetica e aiuta a eliminare le
mutazioni dannose. Il superpotere dei supergeni è di bloccare questo processo. In
genere, i supergeni contengono delezioni,
inserzioni o inversioni (sequenze tagliate
e inserite al contrario) del DNA. Di conseguenza, queste parti del DNA cromosomico non si allineano con un partner e hanno
molte meno probabilità di ricombinarsi.
Supergeni impazziti
Negli anni settanta i ricercatori hanno
dimostrato che questo stesso meccanismo
– disallineamenti nei cromosomi che bloccano la ricombinazione in alcuni loro tratti, che poi perdono parte dei loro geni – ha
portato all’evoluzione dei cromosomi sessuali Y dai cromosomi X, nei mammiferi. I
cromosomi sessuali sono essenzialmente supergeni impazziti. Sia i supergeni sia i
cromosomi sessuali esistono perché a volte c’è un vantaggio nell’avere una serie di
geni ereditata tutta insieme, dice Deborah
Charlesworth, una delle genetiste evolutive che hanno aperto la strada agli studi sui
cromosomi sessuali.
In questi casi, «sarebbe ideale non avere alcuna ricombinazione, ma far sì che le cose
che funzionano bene insieme restino bloccate insieme per sempre», ha detto.
Per capire perché questo potrebbe essere vantaggioso, pensate di fare il bucato, dice Emma Berdan, biologa evoluzionista dell’Università di Göteborg, in Svezia.
Supponiamo di avere un cesto di asciugamani bianchi e uno di asciugamani rossi.
La ricombinazione equivale a gettare entrambi i carichi nella stessa lavatrice, aprire l’acqua e avviare il lavaggio. Il risultato
sarà un mucchio di asciugamani rosa. Ma
l’equivalente evolutivo degli asciugamani
rosa spesso non è un problema, dice Berdan: un mix di caratteristiche può essere
vantaggioso.
A volte, però, la vita trae vantaggio dal
tenere separata la propria biancheria genetica. Per i sosia delle farfalle Heliconius
di Bates, avere un mix di schizzi di colore
provenienti da geni diversi potrebbe essere un disastro: le farfalle traggono beneficio dal mimetismo solo se assomigliano a Heliconius da ingannare i
predatori.
Ecco perché molti ricercatori hanno indagato come nascono i supergeni e quali potrebbero essere le conseguenze per
una specie quando un suo supergene continua a evolversi. Capire l’origine di un supergene è «una delle domande più impegnative», ha detto Tanja Slotte, genetista
evolutiva dell’Università di Stoccolma che
studia i supergeni nelle piante. «E non è
scontato che sia sempre possibile»
In un recente tentativo Katie Lotterhos,
biologa evoluzionista marina della Northeastern University, in Massachusetts, ha
costruito un modello al computer per studiare i primi passi del percorso che porta
da un’inversione a un supergene, pubblicato in un numero speciale sui
supergeni di «Philosophical Transactions
of the Royal Society B». Il modello ha mostrato che, quanto più grande è il tratto di
DNA che si inverte all’inizio, tanto più probabile è che da questo evento, con l’evoluzione, scaturisca un supergene. Il motivo è semplice: un frammento più grande di
DNA invertito ha più probabilità di catturare molteplici geni, e bloccarli facendoli
divenire un’unica entità. Le eventuali mutazioni benefiche che si verificano all’interno dell’inversione potrebbero poi favorirne la diffusione come supergene.
Ma la conclusione più importante del
modello di Lotterhos è stata che le inversioni in sé non forniscono necessariamente
un vantaggio evolutivo. Se una serie di geni
è già ben adattata all’ambiente circostante,
renderla un blocco unico includendola in
un’inversione non le consentirà d’improvviso di prendere il volo come supergene.
Ciò può contribuire a spiegare perché non
accade di routine che tratti vitali complessi
siano legati fra loro sotto forma di supergeni: spesso le normali pressioni selettive sono sufficienti a preservarli.
La domanda se un adattamento preceda
un’inversione o viceversa, ha capito Lotterhos, potrebbe non avere mai una risposta. «Che cosa viene prima, l’inversione o
l’adattamento?», ha detto. «Probabilmente
concorrono entrambi».
Vi è un supergene chiamato S-locus responsabile dei comportamenti della distyly primula (1. Petalo 2. Sepalo 3. Antera 4 Pistillo).
Alcuni scienziati supportati dal progetto SuperGenE, finanziato dall’UE, hanno risolto l’antico enigma del supergene alla base dell’efficiente impollinazione incrociata nei fiori (l'impollinazione incrociata si verifica quando il polline viene trasportato dall'antera di un fiore allo stigma del fiore di un individuo differente della stessa specie). I loro risultati riguardanti la variazione di lunghezza della sequenza a livello di DNA sono stati pubblicati sulla rivista «Current Biology».
Il fatto che alcune specie vegetali abbiano due forme di fiori, ciascuna con organi sessuali maschili lunghi e femminili corti o viceversa, è noto sin dal 1500. Alcuni fiori sono caratterizzati da stili lunghi (parti dell’organo sessuale femminile) e antere basse (parti maschili), mentre altri presentano stili corti con antere in alto nel fiore. Charles Darwin fu il primo a suggerire che tali fiori distili favorissero l’efficiente impollinazione incrociata da parte degli insetti impollinatori.
Già i primi genetisti dimostrarono che la distilia veniva ereditata come se fosse controllata da una singola regione cromosomica, possibilmente ospitante un supergene.
Il rovescio della medaglia
I supergeni offrono notevoli vantaggi
nell’eredità dei tratti adattativi, ma hanno
anche un costo.
Ripensiamo all’analogia con il bucato di
Berdan: lavare asciugamani rossi e bianchi
in un unico carico elimina le differenze di
colore fra i due tipi di biancheria. Tuttavia,
se si strappa o si macchia un asciugamano
rosa, si ha un asciugamano rosa identico
da usare come riserva. Se una copia di un
cromosoma subisce una mutazione dannosa che interrompe un gene, è probabile che sul cromosoma omologo si trovi una
copia di riserva funzionante che permette
all’organismo di sopravvivere. E poiché la
ricombinazione assicura che la mutazione
sia ereditata indipendentemente dagli altri
geni, nel tempo la selezione naturale può
eliminare la mutazione.
Per i supergeni, tuttavia, questo non è
vero. Dato che si ricombinano raramente,
le mutazioni dannose che si creano dentro un supergene tendono a rimanervi. I
vantaggi dei supergeni, quindi, potrebbero essere accompagnati da svantaggi significativi. Per esempio Berdan e Benjamin
Wielstra, dell’Istituto di biologia di Leida,
nei Paesi Bassi, hanno scoperto che, nella
salamandra chiamata tritone crestato, metà delle uova che vengono deposte non sono vitali a causa di tutte le mutazioni accumulate in un supergene.
I supergeni
sembrano quindi frenare il successo riproduttivo di questi anfibi.
I supergeni possono anche complicare il processo di accoppiamento: in alcune
specie, creano un sistema di riproduzione
che prevede di fatto quattro sessi. Negli uccelli nordamericani chiamati passeri dalla
gola bianca, per esempio, a causa di un supergene esistono due forme con colorazioni e comportamenti diversi. I maschi non
solo devono trovare le femmine con cui accoppiarsi, ma devono anche trovare una
compagna della forma opposta; altrimenti la prole morirà, o per aver ereditato i supergeni da entrambi i genitori o per non
averne ereditato nessuno. Solo i figli che ricevono l’eredità «letale bilanciata» costituita da un supergene e un segmento cromosomico ordinario sopravvivono.
Con un prezzo così alto, è sorprendente il fatto stesso che i supergeni siano comparsi nell’evoluzione, dice Berdan. «Qualsiasi insieme di varianti sarà molto difficile
da mantenere, tanto più per milioni di generazioni», ha detto Berdan. «Questo è uno
dei grandi misteri dei supergeni». La ricercatrice ha suggerito che diverse forme di
selezione potrebbero essere in atto insieme per preservare i supergeni, e che certi
ambienti potrebbero essere più favorevoli
alla loro persistenza nella popolazione.
Ironia della sorte, uno dei meccanismi
che a volte possono preservare i supergeni sembra essere la ricombinazione, il fenomeno a cui di norma resistono.
Amanda Larracuente, genetista evoluzionista
dell’Università di Rochester, nello Stato di
New York, e i suoi coautori hanno descritto un caso simile su «eLife» lo scorso aprile.
Inizialmente Larracuente non era
interessata ai supergeni o ai loro costi evolutivi. La sua attenzione era rivolta ai geni
egoisti, segmenti di DNA che proliferano
nelle popolazioni senza apportare benefici ai loro ospiti. Era affascinata da un gene egoista chiamato Segregation Distorter
(SD) che è comparso in alcuni moscerini
della frutta in Zambia e che altera il rapporto tra i sessi nella loro prole. «È un killer
degli spermatozoi», ha spiegato, ma uccide solo gli spermatozoi che non hanno un
cromosoma con SD.
In qualche momento negli ultimi 3000
anni, una versione di SD si è impadronita
di un’ampia porzione di DNA cromosomico, creando un supergene noto come SDMal che si è diffuso nelle popolazioni di
moscerini della frutta di tutta l’Africa. «È
davvero il gene egoista per eccellenza», ha
detto Larracuente.
Basta poco
Il sequenziamento e le analisi del DNA
condotti da Larracuente, Daven Presgraves, anch’egli di Rochester, e dai loro colleghi hanno mostrato che i cromosomi con
SD-Mal accumulano mutazioni dannose,
come previsto dalla mancanza quasi totale di ricombinazione tra SD-Mal e il suo
cromosoma omologo. Ma i ricercatori hanno trovato meno mutazioni di quelle che
si aspettavano. Il motivo, hanno scoperto,
è che occasionalmente un moscerino eredita due cromosomi con SD-Mal, e questi due supergeni sono abbastanza simili da poter avere una certa ricombinazione
fra loro. Queste occasionali ricombinazioni permettono di eliminare alcune mutazioni dannose dai supergeni nel corso del
tempo.
«Si è scoperto che un po’ di ricombinazione è sufficiente», ha detto Larracuente.
Lei e Presgraves stanno ora cercando altri
supergeni SD nelle popolazioni selvatiche
di moscerini della frutta per trovare indizi
più generali sull’evoluzione e sull’impatto
dei supergeni.
I loro risultati dimostrano che gli effetti purificatori della ricombinazione sui
genomi non cessano mai di essere importanti. I tratti complessi che l’eredità stabile e prevedibile dei supergeni rende possibili possono essere preziosi per aiutare le
specie ad adattarsi, ma anche i supergeni
possono trarre beneficio dal rimescolare di
tanto in tanto il loro contenuto.
L’originale di questo articolo è
stato pubblicato l’8 novembre 2022 da
QuantaMagazine.org, una pubblicazione
editoriale indipendente on line promossa
dalla Fondazione Simons per migliorare la
comprensione pubblica della scienza.
Traduzione ed editing a cura di «Le Scienze».
Riproduzione autorizzata, tutti i diritti
Merrill Sherman/Quanta Magazine
riservati.
Il girasole
Il ruolo dei grandi gruppi di geni che vengono ereditati insieme è molto più importante di quanto ritenuto finora, soprattutto per la capacità delle specie di adattarsi ai diversi habitat. Lo rivela un nuovo studio sui girasoli selvatici in cui i tratti più vantaggiosi si devono a ben 37 di questi supergeni.
Dimensione dei semi, tempi di fioritura, capacità di resistere agli stress come la siccità o la limitata disponibilità di nutrienti: per le piante questi sono tratti fondamentali per adattarsi all’ambiente che possono associati ad alcuni massicci gruppi di geni, chiamati supergeni, che vengono trasmessi insieme. E nei girasoli selvatici ce ne sono ben 37, secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Nature” da Marco Todesco genetista dell'Università della British Columbia (UBC) e colleghi di una collaborazione internazionale.
Per via della loro diversità e della loro capacità di adattarsi anche ad habitat inospitali, i girasoli selvatici sono diventati un sistema modello per gli studi evolutivi. Todesco e colleghi hanno sequenziato i genomi di oltre 1500 piante di tre specie diverse: Helianthus annuus (il girasole comune), Helianthus petiolaris e Helianthus argophyllus (detto anche girasole a foglie d'argento, diffuso in Nord America). Hanno poi esaminato le possibili associazioni delle varianti genetiche riscontrate nei genomi con più di 80 tratti manifestati dalle piante durante la crescita, con le caratteristiche del suolo e con il clima delle loro popolazioni di origine.
Il risultato è la più grande e completa dimostrazione ottenuta finora del fatto che i riarrangiamenti della struttura cromosomica che sono in gran parte responsabili della creazione dei supergeni hanno un ruolo fondamentale nell'adattamento all’ambiente e nella nascita di nuove specie.
"Siamo rimasti abbastanza sorpresi: casi in cui i singoli supergeni controllavano i tratti adattativi erano già stati segnalati in precedenza, ma non era chiaro se questa fosse la regola o riguardasse solo un piccolo numero di bizzarre eccezioni”, ha spiegato Todesco. “Abbiamo scoperto che i supergeni hanno un ruolo pervasivo nell'adattamento, e possono essere veramente massicci".
A stupire sono anche le dimensioni dei supergeni: il più grande tra quelli identificati nello studio è infatti più grande di molti cromosomi umani: è composto da 1819 geni e da più di 100 milioni di coppie di basi (le lettere che compongono l’alfabeto dell’ereditarietà genetica).
Un esempio di adattamento particolarmente significativo è quello avvenuto nella zona costiera del Texas tra i diversi habitat della pianura, delle dune di sabbia e delle isole antistanti: un supergene di 30 milioni di coppie di base controlla una differenza nel tempo di fioritura di oltre due mesi e mezzo tra i girasoli delle isole e quelli della pianura.
Gli autori sottolineano infine che in alcuni casi la specie donatrice del supergene potrebbe essere estinta. “Ipotizziamo che una specie arrivata in un nuovo habitat possa ‘rubare’ i supergeni adattativi da una specie locale affine, per poi sostituirla", dice Todesco. "Potremmo chiamare 'supergene fantasma', questo contributo persistente di una specie che non esiste più".
Le formiche
Formiche del genere Oecophylla mentre collaborano nello smembramento di una formica rossa
A cadenza più o meno regolare, gli entomologi hanno rilevato, tra le formiche, una particolare "casta", soprannominata workerless social parasites, ovvero parassiti sociali privi di lavoro. Le formiche facenti parte di questa casta sono sempre state considerate un’anomalia, perché partecipavano alla vita del formicaio sempre e soltanto per prendere e mai per dare, come se fossero una classe agiata e privilegiata. Questo tipo di formica mantiene il proprio numero basso per non farsi notare, ma c’è qualcosa di davvero importante da rilevare, ovvero il fatto che trasmette questo comportamento anche alla sua prole.
Il "supergene" che rende pigre le formiche
Ecco dunque instillarsi il dubbio negli scienziati: forse queste formiche non agiscono così semplicemente per "l’esempio" dei loro genitori, ma anche e soprattutto per via di un gene. A ragionare su questa possibilità sono stati gli entomologi del Laboratorio di Evoluzione Sociale e Comportamento della Rockefeller University che, insieme ad alcuni ricercatori dell’Università di Harvard, hanno elaborato una teoria dimostrata da una serie di mutazioni, rilevata su alcune di queste particolari formiche in ambiente isolato.
In base a quanto scoperto, dunque, le formiche "pigre" hanno un supergene mutante molto simile a quello delle Regine, che le programma per trovare modi sempre nuovi per diventare "socialmente parassitarie". In sostanza questi esemplari hanno una genetica particolare che le porta a fare il minimo e/o a non fare nulla per andare avanti con la propria vita, facendo acquisire loro consapevolezza del fatto che saranno sempre le altre a fare il lavoro sporco.
Le api
La gerarchia delle api
Prima di spiegare come si riproducono le api, è necessario sapere come si suddividono nell'alveare, poiché sono organizzate in una società ben definita in cui ogni individuo svolge funzioni specifiche:
Ape regina
L'ape regina è la matriarca dell'alveare e madre di tutte le api che vi si trovano. È l'unica femmina fertile, quindi è l'unica a riprodursi. Ma come fa un'ape a diventare regina? Quando sono ancora larve, alcune api vengono selezionate e allevate in cellette verticali più grandi di quelle utilizzate per le api operaie.
Quando passa dallo stadio di larva a pupa, l'ape divora la cella per andarsene, dopo di che si trova ad affrontare altre possibili api regine per determinare chi sarà la matriarca dell'alveare. L'ape regina vive da tre a cinque anni e rilascia costantemente feromoni per aiutare a controllare le attività dell'alveare.
L'ape regina si distingue per essere più grande e più lunga delle altre, ha ovaie sviluppate e un pungiglione smussato.
Fuco
I fuchi, che nascono da uova non fecondate, sono gli unici maschi dell'alveare, il loro unico compito è quello di fecondare l'ape regina. I maschi più veloci sono i preferiti, in quanto procreeranno api più agili e più veloci.
I fuchi sono in grado di riprodursi 24 giorni dopo la schiusa e possono visitare diversi alveari, cercando di accoppiarsi con quante più regine possibile. Sono caratterizzati da un corpo rettangolare, occhi grandi e mancanza di pungiglione. Oltre a partecipare alla riproduzione, svolgono alcune funzioni come mantenere i piccoli al caldo e partecipano in minor misura alla produzione del miele.
Dopo aver fecondato l'ape regina, il fuco muore e il suo sistema riproduttivo si stacca. Gli esemplari che sopravvivono, muoiono all'aperto, poiché non hanno il permesso di rientrare nell'alveare.
Ape operaia
Questo tipo di ape si trova a migliaia in ogni alveare. Sono tutte femmine e sterili. Le loro uova impiegano 21 giorni per schiudersi. Dopo questo tempo, nascono api più piccole della madre con sistemi riproduttivi atrofizzati. Solo in caso di perdita o morte improvvisa della regina, alcune api operaie sono in grado di deporre le uova per dar vita ai fuchi.
Vivono da 75 a 120 giorni e svolgono varie funzioni all'interno dell'alveare: producono il miele, puliscono le celle, nutrono le loro sorelle allo stadio larvale, producono la pappa reale (cibo esclusivo per le api regine), costruiscono i favi, conservano il cibo, proteggono l'alveare e disidratano il nettare.
Come si riproducono le api?
La riproduzione di questi insetti è ricca di curiosità, poiché possiedono un sistema abbastanza strutturato per garantire la perpetuazione dell'alveare. L'ape regina lascia l'alveare 5 giorni dopo essere uscita dalla sua cella e dopo la lotta con le possibili concorrenti. Questo è l'unico momento in cui lascerà l'alveare, il suo obiettivo è quello di effettuare i voli di fecondazione o i voli nuziali (si accoppia con all'incirca 12-15 fuchi).
Durante 3 giorni, la femmina volerà per accoppiarsi con i diversi fuchi. L'organo sessuale del maschio si stacca e la regina stiva lo sperma in un "deposito", la spermateca. Lì è in grado di conservare fino a 5 milioni di spermatozoi, necessari per deporre le uova per il resto della sua vita.
Una volta terminato il periodo di accoppiamento, l'ape regina ritorna all'alveare. Dopo 5 giorni, inizia a deporre le uova, alcune fecondate (api operaie) e altre non fecondate (fuchi). Il meccanismo che usa per fecondare alcune uova e non altre è attualmente sconosciuto. In un giorno, l'ape regina è in grado di deporre 1500 uova, si tratta infatti dell compito più importante della sua vita.
Come molte loro simili, le api del Capo (Apis mellifera capensis), una sottospecie di ape mellifera sudafricana, vivono in colonie in cui l'unico individuo fertile è la regina, che ritorna dai suoi voli d'amore per deporre le uova da cui nasceranno nuove operaie, con i geni della regina e dei fuchi con cui si accoppia.
È un'organizzazione perfetta. Questo finché la regina è presente e le operaie rimangono impegnate nelle faccende "di casa". Ma qualche volta, se la regina manca o le sue suddite si trovano vicino all'alveare di altre sottospecie, le innocue operaie si trasformano nelle più spietate parassite. Lontane dalla "morsa ormonale" della loro sovrana, iniziano a deporre uova da cui, senza bisogno di fecondazione, vedranno la luce nuovi individui femmine, perfetti cloni dell'originale. Le nuove nate invadono il nido "occupato" e poi si allontanano, alla ricerca di un altro alveare da "conquistare". Questo meccanismo che porta al graduale collasso delle colonie, è stato scoperto in Sudafrica un centinaio di anni fa, e da allora gli entomologi si chiedono da cosa sia innescato. Ora uno studio pubblicato su Molecular Biology and Evolution, rivela che è sufficiente l'esistenza di un supergene per trasformare una mite operaia nell'incubo di ogni alveare.
RIASSUNTO PIU' SPECIALISTICO
Secondo la teoria attualmente accettata ciascun gene che codifica una catena di immunoglobulina (ricordiamo che un anticorpo ne contiene due coppie) costituisce in realtà un «supergene», costruito a partire da gruppi di geni più piccoli distribuiti all’interno di una porzione di cromosoma.
Ogni cellula dell’organismo possiede centinaia di questi piccoli geni, raggruppati in modo indipendente, potenzialmente in grado di partecipare alla sintesi delle regioni variabili e costanti delle catene polipeptidiche delle immunoglobuline. I segmenti di DNA selezionati vengono poi riuniti secondo un ordine preciso.
(Le immunoglobuline o IG sono una superfamiglia di proteine presenti nel siero del sangue che condividono una particolare struttura, benché siano coinvolte in meccanismi e funzioni cellulari diversi. A tale superfamiglia appartengono le alfa-globuline, le beta-globuline e le gamma-globuline. Queste ultime rientrano nella categoria degli anticorpi, si tratta cioè di immunoglobuline con un ruolo attivo nel sistema immunitario.
Esse sono infatti deputate al riconoscimento di virus, batteri o allergeni attraverso il loro legame specifico con un epitopo, ossia una particolare porzione di un antigene, rappresentato da una qualsiasi molecola che il sistema immunitario riconosce come estranea all’organismo. In seguito a questo legame si attivano particolari meccanismi cellulari deputati all'eliminazione di tali agenti estranei all'organismo.).
Nella maggior parte delle cellule e dei tessuti, questi geni rimangono intatti e indipendenti l’uno dall’altro. Invece all’interno di ciascun linfocita B in via di sviluppo questi gruppi di geni subiscono un profondo rimaneggiamento: di ogni gruppo viene conservato un solo gene selezionato casualmente, mentre i tratti restanti vengono tagliati ed eliminati.
In questo modo si assiste all’assemblaggio di un «supergene» unico a partire da «porzioni» selezionate casualmente. (I linfociti B sono le cellule deputate alla sintesi e secrezione delle immunoglobuline (Ig), previa trasformazione in cellule altamente specializzate, le plasmacellule). Ciascuna cellula precursore di un linfocita B provvede all’assemblaggio dei due propri supergeni per gli anticorpi, uno per una specifica catena pesante e uno per una specifica catena leggera.
I «supergeni» per le catene pesanti e leggere delle immunoglobuline sono geni interrotti, nei quali gli introni separano le sequenze codificanti provenienti dalle diverse famiglie di geni. Dopo la trascrizione quindi si assiste alla rimozione degli introni, cosicché l’mRNA maturo contiene una sequenza continua che codifica la catena pesante o leggera di una immunoglobulina. La traduzione produce infine le catene polipeptidiche che si combinano per formare l’anticorpo attivo.
Attraverso questo straordinario processo di differenziazione cellulare irreversibile, nel medesimo organismo (quindi dal medesimo genoma originario), in cellule diverse, vengono generati numerosissimi anticorpi diversi, uno per ogni linfocita B.
Come esempio consideriamo cosa accade nel genoma del topo. I gruppi di piccoli geni che codificano per le catene pesanti delle immunoglobuline si trovano su cromosomi diversi rispetto a quelli che codificano per le catene leggere. Come sappiamo ogni catena è assemblata unendo una regione costante e una variabile. La regione variabile della catena leggera viene codificata da due famiglie di geni, mentre quella della catena pesante viene codificata da tre famiglie di geni denominate V, D e J. La regione costante viene codificata da una sola famiglia di geni (che chiameremo gruppo C).
Ogni linfocita B impegnato nella produzione di un anticorpo seleziona casualmente un gene da ognuno di questi gruppi per produrre la sequenza codificante finale della catena pesante, VDJC. In questo modo il numero di catene pesanti diverse che può essere prodotto attraverso questa ricombinazione casuale è piuttosto elevato (ovvero 100V x 30D x 6J x 8C = 144.000 possibili combinazioni nel topo).
Se si considera che le catene leggere vengono prodotte in modo simile, si scopre che il numero complessivo di combinazioni derivato dall’unione di catene leggere e pesanti di immunoglobulina è pari a 144.000 catene leggere diverse x 144 000 catene pesanti diverse = 21 miliardi di possibilità.
IMPRESA OGGI - 6 marzo 2023
Tratto da