L’unica vera nobiltà è la virtù.
Giovenale
Seguito di Evoluzione dell’impresa. Capitolo 4
L'analisi di report editi in Usa e in Europa sulla vita delle aziende di successo (quelle che figurano tra le prime 500 nella classifica stilata annualmente da Fortune) indica una vita media di diciotto anni; come se il successo di un'impresa portasse con sé il seme dal quale scaturirà l'insuccesso (D'Egidio, 1999); sempre nella lista delle prime 500 aziende, stilata da Fortune nel 1970 ben il 60% non esiste più (Merli, 1999).
Arie de Geus dell'Organizational learning centre, presso l'Mit, in base a una ricerca sul periodo di vita delle imprese, è arrivato a stabilire che questi tassi di mortalità prematura sono esclusivamente da attribuirsi a scelte imprenditoriali o manageriali errate; d'altra parte l'impresa è un'organizzazione che fisiologicamente può durare per secoli come dimostrano la giapponese Sumitomo, fondata nel 1590, o la svedese Stora, fondata più di settecento anni fa.
De Geus ha individuato alcune caratteristiche comuni alle imprese che hanno più di un secolo di vita.
- Alta refrattarietà ad intraprendere operazioni finanziarie a rischio.
- Sensibilità e attenzione ai cambiamenti in atto nel mondo esterno all'impresa.
- Consapevolezza dell'identità aziendale, a tutti i livelli. Le imprese longeve sono pervase da un forte senso di appartenenza e da un'identità aziendale definita e condivisa.
- Grande attenzione verso le nuove idee.
- Predisposizione al cambiamento del proprio core business.
Le considerazioni fatte valgono per le imprese medio-grandi; per le piccole e medie imprese non esistono documenti significativi che descrivono le motivazioni della loro longevità o del loro declino.
La mia esperienza personale mi porta a identificare, sostanzialmente, due ragioni della mancanza di longevità di una piccola o media impresa.
- La crisi che nasce al momento del trapasso generazionale.
- Il ritardo con il quale l'imprenditore si rende conto di segnali premonitori di una crisi. I segnali tangibili e misurabili non dànno segni di crisi, i bilanci sono soddisfacenti, la produttività è a livelli standard, non ci sono problemi con il personale, è, pertanto, facile che l'imprenditore, occupato, molto, a seguire la gestione ordinaria e, poco, a scrutare nel futuro, trascuri segnali intangibili di crisi.
1 Il ciclo di vita aziendale
Il ciclo di vita di un'impresa è raffigurabile con una curva sigmoide del tipo di quella che descrive il ciclo di vita di un prodotto:
Anche per le imprese le fasi sono quattro, nascita, sviluppo, maturità, declino. Normalmente la curva del ciclo di vita è caratterizzata da 5 punti:
- O momento della nascita
- H momento della transizione da una crescita turbolenta ad una crescita più controllata,
- A inizio della fase di stabilizzazione,
- B inizio del declino.
In generale, quando un'impresa si trova nel punto B e decide di cambiare, spesso ha raggiunto un punto di irreversibilità e la salvezza è ardua. Ma perché le aziende decidono di adottare iniziative di rinnovamento solo quando si trovano nel succitato punto B e quindi nel momento meno propizio e di massima difficoltà? Perché gli imprenditori hanno guidato l'impresa affidandone la verifica dello stato di salute solo agli indicatori economico-finanziari (cioè affidandosi al passato) e hanno trascurato quegli indicatori immisurabili o intangibili, ben noti alla leadership dell'impresa eccellente.
Se, viceversa, l'impresa decidesse di operare un cambiamento in prossimità del punto A, innescando una nuova curva di crescita, disporrebbe di tempo, energie, entusiasmo e risorse per attivare un nuovo percorso di sviluppo prima che maturità e declino indeboliscano l'organizzazione
La decisione di procedere in tal senso non è facile in quanto, generalmente, essa presuppone uno spostamento paradigmatico all'interno dell'azienda, ma è opportuno notare che la transizione su una nuova curva di crescita è la principale decisione strategica per un'impresa che voglia evitare il declino.
2 Le fasi della vita di un'impresa
Osservando la curva di vita di un’impresa che non si preoccupi in tempo di rilanciarsi su un'altra curva di sviluppo, si possono fare le seguenti considerazioni.
Nel momento in cui un'impresa nasce «Si percepisce un alto livello di energia e di eccitazione e vi è un diffuso spirito di collaborazione e di integrazione tra gli individui. Ci si sente pionieri in un'avventura e questo genera gratificazione e appagamento sul lavoro. La flessibilità è massima» (D'Egidio, 1999).
Generalmente, in questa prima fase, non sono state ancora ben definite la vision, la mission, le strategie, eppure, lo spirito di identificazione nell'idea imprenditoriale è alto, tutti sono allineati con l'imprenditore nel conseguimento dei primi obiettivi e le motivazioni sono legate a questo target.
L'ambiente è libero da pregiudizi, gelosie e preconcetti, tutti tendono ad essere creativi e propositivi, le competenze non sono codificate, il livello di burocratizzazione è nullo, le gerarchie impercettibili. L'immagine dell'impresa verso il mondo esterno è in fase di costruzione, i rapporti con i clienti sono buoni, anche se spesso il prodotto offerto risente della politica del trial and error; arrivano, infatti, alcuni reclami ma l'organizzazione interna è fortemente orientata a recepirli, anzi a cercare di fidelizzare il cliente che reclama.
Nella fase dello sviluppo l'impresa conosce un momento di forte espansione. I clienti apprezzano i prodotti offerti, la reputazione dell'impresa fa sentire i collaboratori orgogliosi di lavorare per quell'impresa, l'organico incomincia a crescere per soddisfare la domanda, si raggiunge il punto di breakeven e arrivano i primi utili. Il livello di energia e di eccitazione è ancora alto, c'è anche un diffuso senso di euforia per i risultati raggiunti. E' forte la spinta a conquistare e fidelizzare il cliente.
L'impresa inizia a conoscere, però anche alcuni aspetti negativi.
- Non è possibile, infatti, soddisfare le aspettative di tutti; alcuni pensano che l'impresa non riconosca pienamente gli sforzi e i sacrifici del periodo precedente e dànno le dimissioni, passando, magari, ad un'impresa concorrente.
- Si cominciano ad osservare i primi schemi precostituiti per la soluzione dei problemi e si dà meno spazio a creatività e nuove proposte.
- Si nota l'inizio di una certa formalizzazione nei rapporti interpersonali; vi è meno spontaneità.
- La conoscenza inizia ad essere gerarchizzata.
A questo punto, una leadership, in grado di analizzare criticamente questi primi e deboli segnali, dovrebbe iniziare a valutare alternative di business per avviare una nuova fase di sviluppo.
Giova osservare che la curva di vita dell’impresa ha un punto di flesso H, che rappresenta il momento in cui lo sviluppo passa da una fase di crescita molto energica e forse un po' caotica a una fase di sviluppo più pilotato.
E' interessante osservare questo punto perché un'impresa può morire anche nelle sue prime fasi di vita; essa, infatti, può andare incontro a quella che si chiama mortalità infantile.
In genere, se l'impresa riesce a superare il punto di flesso H, la leadership ritiene superate le difficoltà iniziali e intensifica gli investimenti e gli sforzi per progredire ulteriormente in una fase di sviluppo più ordinato e pianificato.
Durante la fase della maturità si acquisiscono i massimi risultati economico-finanziari. Il prodotto dell'impresa è, oramai, noto e affermato sul mercato, i clienti sono soddisfatti, l'impresa ha definito in dettaglio vision, mission e strategie di medio-lungo periodo.
Di converso i problemi emersi nella fase precedente si sono acuiti e ne sono nati altri.
- Non si avvertono più l'energia e l'eccitazione delle fasi precedenti.
- Alcuni collaboratori della fase pionieristica se ne sono andati e i nuovi assunti non hanno vissuto quel particolare momento.
- L'impresa va bene ed è diffusa l'idea che debba andare bene ancora per molto.
- Le motivazioni e le ragioni di soddisfazione per i dipendenti vanno scemando.
- Creatività e spirito di iniziativa hanno lasciato il posto all'esecuzione formale di compiti definiti.
- Si nota un calo di tensione nella ricerca di nuovi mercati, nuovi prodotti e soluzioni innovative.
- L'organizzazione è più rigida e burocratica.
- E' subentrato il principio della difesa dei propri piccoli centri di potere.
- Arrivano molti reclami, ma lo spirito con il quale vengono accolti non è più quello della fase pionieristica.
Durante la fase del declino anche gli indicatori economico-finanziari dànno l'evidenza del cattivo stato di salute dell'azienda.
Gli elementi negativi sono sotto l'occhio di tutti.
- Il livello di slancio e di energia è minimo.
- In azienda prevale un senso di sfiducia.
- Molti dei collaboratori migliori se ne sono andati.
- Si vive alla giornata, la vision, la mission, le strategie aziendali sono state completamente abbandonate.
- Il know-how dà segni di obsolescenza.
- I conflitti di natura sindacale sono frequenti.
- Il livello di fidelizzazione dei clienti si è indebolito.
- L'imprenditore si affida a consulenti esterni per valutare possibili soluzioni alla crisi, ma i tentativi di riorganizzazione gettano l'impresa in una crisi definitiva e irreversibile.
L'analisi critica delle quattro fasi descritte mostra perché è opportuno rilanciare l'impresa in prossimità del punto A e non tra A e B, né tantomeno in prossimità del punto B.
Nell'intorno di A l'impresa trasuda energia, creatività, orgoglio, autostima e si trova ancora in uno stato di eccitazione che rende possibile lanciare un'altra sfida. Tra A e B l'impresa si è "seduta sugli allori" ed è molto più difficile smuoverla da abitudini consolidate e riti giornalieri e dal ristagno dei piccoli centri di potere.
Questa condizione spiega perché, quando un'impresa si affida a consulenti esterni per una riorganizzazione, spesso, la prima azione proposta è il taglio di posizioni dirigenziali.
3 Come evitare il declino
Da quanto detto l'imprenditore dovrebbe avere nel proprio dna la capacità di percepire i deboli segnali di una possibile crisi e porvi rimedio.
D'Egidio ha individuato "otto fattori di vitalità" che l'imprenditore dovrebbe tenere sotto controllo al fine di poter effettuare una valutazione di massima sul momento più opportuno per operare il cambiamento e allungare il ciclo di vita della sua impresa (D'Egidio, 1999).
4 La soddisfazione dei collaboratori
Tutti oggi parlano dell'importanza delle risorse umane come capitale fondamentale dell'impresa e quindi dell'impegno che l'impresa deve rivolgere ai collaboratori per motivarli, coinvolgerli, inculcare in loro il principio d'identificazione, mantenere elevato il loro livello di conoscenze, applicare l'empowerment (Johnson, 2000). Di converso le imprese trovano difficoltà a mettere in pratica questi concetti che sono sulla bocca di tutti; spesso ricorrono alle riorganizzazioni, con il risultato, spesso, di far irrigidire e imbozzolare il collaboratore su se stesso per la paura del nuovo. In questo ambito la discriminante competitiva tra le aziende non sta tanto nella consapevolezza dell'importanza della massima valorizzazione delle risorse umane quanto nella capacità di realizzare nel concreto questa valorizzazione.
Gli studi di un gran numero di sociologi dànno indicazioni importanti per superare le succitate difficoltà; questi studi indicano, infatti, che le persone tendono sempre più ad esprimere sul lavoro bisogni legati alla propria autorealizzazione e all'aumento della propria autostima; pertanto le persone non si recano più al lavoro per soddisfare solo i propri bisogni di base, bensì per trovare, anche, un appagamento ai propri bisogni di realizzazione sociale.
Ma come comportarsi per essere sintonizzati con queste aspirazioni provenienti dal mondo del lavoro?
Per conseguire la soddisfazione dei collaboratori, l'imprenditore dovrebbe risalire all'analisi transazionale e ricordare che la struttura dell'Io di ciascun individuo si basa su tre componenti, l'Io genitore, l'Io adulto, l'Io bambino. Nei rapporti umani ciascun individuo, a seconda delle circostanze, si comporta utilizzando uno dei tre stati della personalità.
Se l'imprenditore, nei rapporti con il collaboratore assume la posizione da genitore a bambino (modello gerarchico direttivo) e il collaboratore risponde cercando un rapporto adulto-adulto, sorgeranno sicuramente motivi di attrito e di insoddisfazione. Inizialmente il rendimento del collaboratore potrà essere elevato, perché esegue attentamente i compiti assegnatigli, ma, con il passare del tempo, nel collaboratore calano l'autostima e la soddisfazione e cala il rendimento.
Se l'imprenditore assume una posizione da adulto ad adulto, inizialmente i risultati del collaboratore potranno essere inferiori rispetto a quelli ottenibili con il modello gerarchico, ma, con il tempo, il rendimento crescerà e, in un circolo virtuoso, con esso cresceranno autostima e soddisfazione, ad ulteriore vantaggio dei risultati.
Il monitoraggio del livello di soddisfazione dei collaboratori prevede, innanzitutto, un'analisi dei bisogni e dei valori personali del collaboratore; successivamente si procederà, sia a verificarne la soddisfazione in termini di percezioni sulla possibilità di crescita personale e professionale e sul suo coinvolgimento nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, sia a capire come il collaboratore vede l'ambiente di lavoro e il rapporto con gli altri.
L'analisi della soddisfazione dei collaboratori è quindi un compito gravoso, ma fondamentale per l'impresa che voglia, sia realizzare il modello della massima valorizzazione del capitale umano, sia tenere sotto controllo uno degli indicatori di un potenziale stato di declino.