«Cuore, o cuore, sballottato da insolubili dolori,
rialzati, resisti contro chi ti tratta male, opponi
il petto, piazzato accanto alle tane dei nemici
con tenaciaː e, se vinci, non ti rallegrare assai,
o, se perdi, non crollare, messoti a lutto in casa,
ma rallegrati per i beni e per i mali soffri
non troppoː ammetti come questo ritmo è della vita.»
GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti, pensatori e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.
GRECI E LATINI
Alceo -
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-
Archiloco (in greco antico Archílochos; Paro, 680 a.C. circa – 645 a.C. circa) è considerato il primo grande lirico greco e, forse, il padre del giambo.
Archiloco nacque alla fine dell'VIII secolo a.C. o nella prima metà del VII secolo a.C. (probabilmente intorno al 680 a.C.) nell'isola di Paro nelle Cicladi. Il padre era un nobile, Telesicle, mentre la madre, secondo una tradizione, era una schiava tracia di nome Enipò. Tale nome infatti è sicuramente fittizio, in quanto nato da un'assonanza con il sostantivo greco enipè (ingiuria), e dunque riconducibile alla sua attività di giambografo, così come l'origine servile nasce da una caratteristica diceria legata ai temi 'bassi' della sua produzione poetica. (La poesia giambica era un tipo di poesia simposiale della Grecia arcaica, caratterizzata da turpiloquio, invettiva, osceno e ridicolo.)
Il nonno (o bisnonno), Tellis, alla fine dell'VIII secolo a.C. partecipò al trasferimento del culto di Demetra a Taso: per tale motivo Pausania, nel descrivere la Lesche degli Cnidi, a Delfi, ricorda che in essa Polignoto di Taso (V secolo a.C.) raffigurò anche lo stesso Tellis, posto accanto alla sacerdotessa Cleobea, fautrice dell'introduzione a Taso del culto di Demetra.
Archiloco visse probabilmente nel periodo che va dal 680 a.C. al 645 a.C. in quanto in un frammento viene menzionata un'eclissi di sole probabilmente avvenuta il 6 aprile 648 a.C., che sconvolse gli abitanti dell'Egeo e alla quale egli assistette mentre si trovava a Taso, una colonia di Paro. Ebbe vari fratelli e almeno una sorella, visto che in una sua famosa elegia si mostra rattristato per la perdita del cognato morto in mare in un naufragio.
Inoltre l'accenno alla distruzione di Magnesia al Meandro, avvenuta nel 652 a.C. e il sincronismo stabilito dagli storici antichi tra la sua attività poetica e il regno del lido Gige, lasciano pochi dubbi ai critici moderni.
Frammenti
In un altro componimento si lamenta della vita a Paro, invitando dei conoscenti a lasciarla, e sostiene che a trattenerlo nella vicina Nasso non basti né il dolce vino, né il suo vitto peschereccio. Giunse a Scarpanto e a Creta; verso Nord visitò l'Eubea, Lesbo, il Ponto.
Si racconta che amò una fanciulla di Paro, di nome Neobule ("Oh, se potessi così toccar la mano di Neobule"), promessagli in sposa dal padre Licambe, che però poi negò il matrimonio. La tradizione vuole che nei propri versi avrebbe attaccato tanto pesantemente il padre della fanciulla da indurre lui e la figlia a impiccarsi. La storicità di tale episodio è assai dubbia, in quanto si tratta di un topos letterario assai ricorrente, presente anche in un altro poeta giambico, Ipponatte.
Come da lui stesso affermato in alcuni frammenti, si guadagnò da vivere facendo il soldato mercenario? nella seconda metà del VII secolo a.C., infatti, durante il grande movimento di colonizzazione ellenica, i Pari colonizzarono a nord l'isola di Taso, ma dovettero sostenere lunghe lotte contro i barbari del continente e contro le colonie delle città rivali tra cui la vicina Nasso? Archiloco, figlio del fondatore della colonia tasia, combatté in tali guerre e ne cantò le vicende. La tradizione vuole che perse la vita in un combattimento contro Nasso, ucciso da un certo Calonda.
Opere
«O miserabili cittadini, ascoltate dunque
le mie parole»
(Fr. 109 W. - Trad. B. Gentili)
Archiloco scrisse molto ma della sua produzione si conservano soltanto brevi frammenti. Usò metri vari: le sue opere furono ordinate, a quanto consta, dai grammatici alessandrini secondo il metro utilizzato: quattro libri di elegie, giambi, tetrametri trocaici, asinarteti ed epodi. Il poeta viene ricordato soprattutto come padre del giambo, sebbene probabilmente tale verso è più antico dell'autore stesso ed egli ne fu soltanto il perfezionatore; fu comunque il primo a utilizzarlo in larga scala. Molti poeti successivi come Saffo, Alceo, Anacreonte e i latini Catullo e Orazio lo presero come modello? i ritmi giambici e trocaici, in effetti, erano i più vicini alla lingua viva, a quella parlata nelle processioni e ad Archiloco si deve inoltre la creazione della prima strofa (epodo), che risulta dall'accoppiamento di un verso semplice o composto, con uno generalmente più breve.
I frammenti superstiti di Archiloco vengono convenzionalmente raggruppati secondo i temi: frammenti legati all'esperienza biografica, componimenti di carattere gnomico e riflessivo, versi caratterizzati dallo psògos e dall'invettiva, versi di stampo erotico.
Agorà di Taso, colonia fondata dal padre di Archiloco
I destinatari principali della poesia archilochea erano, in effetti, vista la soggettività dei componimenti di Archiloco, gli hetàiroi, i membri della sua consorteria aristocratica, suoi compagni d'armi, a cui si rivolgeva nel corso dei simposi.
Una parte di rilievo della lirica archilochea ebbe, però, anche carattere obiettivo e addirittura narrativo, con le leggende di Eracle, di Achille, di Euripilo e del pario Coiranos salvato da un delfino. Come linguaggio era inoltre considerato dagli antichi come il più vicino a Omero.
Come il mito è considerato la rappresentazione ideale della vita umana, allo stesso modo la favola ne è la rappresentazione quotidiana , trattata, a quanto è dato vedere dagli scarsi frammenti pervenuti, in modo sistematico da Archiloco, come nei casi della volpe e dell'aquila o della scimmia.
Il mondo poetico e concettuale di Archiloco
«Archiloco è il portatore di una nuova morale, plebea e antiaristocratica che, contro la tradizione e la convenzione, contro i valori fino allora rispettati, accampa i diritti dell'io, afferma i bisogni prepotenti dell'individuo. In questa radicale rivolta si esprimevano e influivano le condizioni del tempo e le esigenze e le concezioni di nuovi strati sociali. Ma il primo impulso dell'arte di Archiloco è forse da ritrovare nelle sue origini di bastardo che lo sradicarono dall'humus della polis e lo estraniarono dai sentimenti della collettività.»
(Guido Carotenuto)
Egli è il primo artista del mondo greco che, staccandosi decisamente dal passato, rinuncia consapevolmente a essere poeta vate e si presenta nella sua totale individualità e nella sua nuda umanità. Archiloco nella sua poesia parla di sé, dei suoi sentimenti, delle sue vicende, e non esita a rivelare gli aspetti meno belli della sua vita e del suo carattere. Questa sincerità costituisce un documento importante del carattere e della novità della sua poesia.
Sulla base dei pochi frammenti rimasti dell'opera archilochea, la tradizione ha tracciato un profilo di Archiloco: individualista, litigioso, trasgressivo e anticonformista. Tipico di Archiloco, infatti, è l'uso della persona loquens, un personaggio terzo cui vengono attribuiti fatti personali, ideali o considerazioni del poeta.
Ne abbiamo un esempio nel frammento riguardante l'uomo, che poi verrà identificato da Aristotele come il falegname Carone, che afferma di non provare alcun'ambizione o invidia delle ricchezze di Gige o delle imprese compiute dagli dei, né aspira ai grandi poteri della tirannide, poiché "queste cose sono ben lontane dagli occhi miei". Secondo Aristotele l'uso della persona loquens era usato dai poeti per esprimere un'opinione o un ideale che era in contrasto con quelli della società in cui vivevano? tuttavia, va ricordato che il poeta, tra VII e VI secolo a.C., parlava spesso a nome della "comunità" o del gruppo a cui apparteneva e, quindi, gli ideali che egli o la "persona loquens" esprime sono condivisi da altri.
Secondo molti però, tale interpretazione vizia in senso autobiografico i caratteri satirici della poesia giambica: in spregio della morale del tempo, Archiloco afferma di aver gettato lo scudo ed essere fuggito per salvarsi la vita, ripromettendosi di comprarne uno nuovo e, quindi, alla negazione dei topoi dell'ethos eroico, si affianca l'affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario, nel quale rifiuta anche la kalokagathia, sintesi tradizionale di bellezza e virtù.
Scudo di un oplita spartano conservato presso il Museo dell'Agorà antica di Atene
Fu, inoltre, il primo poeta della letteratura occidentale a rappresentare l'amore come tormento? il violento erotismo della sua poesia, seppur meno oscenamente crudo che in quella ipponattea, insieme allo spregio dei valori tradizionali, gli valse aspri rimproveri da parte degli antichi. L'amore gli ispira le sensazioni più disparate, dalla tenerezza, alla bellezza, fino alla sensualità e agli sfoghi irati per gli amori delusi.
Al contrario, i componimenti elegiaci trattano motivi autobiografici ed evitano ogni oscenità; tuttavia, nell'accezione moderna di poesia archilochea, si tende ad assimilare componimenti giambici e componimenti elegiaci, per dare un'immagine più unitaria di Archiloco.
In realtà, le invettive, in Archiloco, tendono innanzitutto a denunciare aspetti deformi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non per distruggere, ma anzi per costruire e affermare quei principi e quei valori che erano o avrebbero dovuto essere condivisi da tutti. Ed è proprio nei frammenti elegiaci che la denuncia si intreccia con la riflessione e l'esortazione: esempi eclatanti sono il Fr. 1 T., in cui Archiloco ci riferisce la sua doppia vocazione e "investitura"; il già citato Fr. 5 T., sullo scudo abbandonato; il Fr. 13 T., noto come "l'elegia del naufragio".
Nelle invettive di Archiloco quelli che apparentemente sembrano attacchi o scherni sono in realtà schiette e risentite denunce dei molteplici aspetti negativi del mondo: il poeta, in questo modo, non va inteso come un individualista, maledetto e irridente personaggio, bensì come un convinto assertore di valori, come la modestia, la lealtà, l'amicizia, l'equilibrio, la misura, che erano ampiamente condivisi e non avevano nulla di eversivo.
La lingua di Archiloco è la lingua omerica, che però, viene sottoposta a un processo continuo di transcodificazione, spesso violentemente rappresentativo (carattere ironico anti-omerico). A tal proposito, oltre che per la novità della sua poesia, Nietzsche, ne La nascita della tragedia, scrive efficacemente di lui:
«Su ciò l'antichità stessa ci dà un chiarimento intuitivo, quando in opere di scultura, gemme, eccetera pone l'uno accanto all'altro, come progenitori e portatori di fiaccola della poesia greca, Omero e Archiloco, con il fermo sentimento che solo questi due siano da considerare nature originali in modo ugualmente pieno, da cui continua a sgorgare un torrente di fuoco per tutta quanta la posterità greca. Omero, il vecchio sognatore sprofondato in sé, il tipo dell'artista apollineo, ingenuo, guarda ora stupito la testa appassionata di Archiloco, il battagliero servitore delle Muse, selvaggiamente sospinto nell'esistenza: e l'estetica moderna ha saputo aggiungere solo, interpretando, che qui all'artista «oggettivo» è contrapposto il primo «soggettivo»».
Come già rilevava Quintiliano, lo stile archilocheo era caratterizzato da brevità, efficacia espressiva ed espressione sanguigna, arricchita da una notevole ricchezza tropica (metafore, similitudini). Archiloco fu un grande innovatore anche nel campo della musica: a lui secondo la tradizione si deve l'invenzione della parakataloghè, il recitativo musicale tipico della poesia giambica, dove la voce narrante cioè accompagnata da uno strumento a corda o a fiato, senza arrivare al canto spiegato vero e proprio. A tutt'oggi, però, non è ancora chiaro in cosa quest'ultimo si differenziasse dal recitativo dell'epica.
Paro, oggi
Archiloco ebbe molta fama; fu infatti modello ispiratore per molti poeti e artisti: su tutti, Anacreonte, Alceo, Saffo e Orazio; studiato nelle scuole, imitato, copiato e canzonato dai comici, discusso da filosofi e sofisti, citato per antonomasia da Platone, fu considerato da Quintiliano come notevolissimo esempio di stile. Claudio Eliano, nella Varia Historia, riporta il seguente discorso di Crizia, uomo politico ateniese di fede aristocratica della fine del V secolo a.C.:
«Se costui [Archiloco] non avesse diffuso fra gli Elleni una tale fama di sé, noi non sapremmo che era figlio di una schiava, Enipò, né che per povertà e per angustie lasciò Paro e si recò a Taso, né che, giunto qui, si rese nemici tutti, e neanche che parlava male degli amici non meno che dei nemici”. [Crizia] aggiunge: “Oltre a ciò non sapremmo nemmeno, se non l'apprendessimo da lui, che fu adultero, né che fu sensuale e litigioso, né – il che è la più grande vergogna – che abbandonò lo scudo. Dunque Archiloco non fu buon testimone di se stesso, lasciando di sé una tale opinione e una tale fama”»
(Crizia, fr. 44 DK.)
Anche Pindaro, nella seconda Pitica, critica pesantemente il poeta di Paro, definito "amante del biasimo, che s'ingrassa con l'odio dalle gravi parole" ed Eraclito testimonia un'ostilità notevole nei confronti di Omero e Archiloco, affermando che "Omero è degno di esser frustato e cacciato via dalle gare e con lui Archiloco".
FRAMMENTI
Lo scudo perduto
(Il breve frammento è composto da due distici elegiaci che evidenziano la dissacrazione dei valori tradizionali secondo cui le armi del guerriero erano sacre e la loro perdita equivaleva ad un grave disonore; chiara esplicitazione di questo pensiero si può trovare nel detto spartano "Figlio mio, torna o con questo (scudo) o sopra questo".
I due distici sembrano contrapporre da un lato, nei primi due versi, il rammarico per la perdita dello scudo, dall'altro la maggiore importanza dell'avere salva la vita. Tramite questo passaggio infatti lo scudo non viene più visto come un simbolo d'onore ma come un semplice oggetto.)
«Si fa bello uno dei Sai dello scudo che vicino a un cespuglio
lasciai, ed era non disonoratoǃ, controvogliaː
però mi son salvato. Chi se ne importa di quello scudo?
Al diavoloǃ Presto ne comprerò uno non peggiore.»
Elegia del naufrago
(Il frammento, in distici elegiaci, è una riflessione, all'amico Pericle, sulle vittime di un naufragio, in cui era morto il marito della sorella del poeta[3]. Nonostante l'apparente elemento gnomico tradizionale della saggezza dei forti, Archiloco mostra la sua soggettività ammonendo, tra le righe, che il dolore capita a tutti.)
«Pericle, nessuno dei cittadini, lamentandosi dei lutti lacrimevoli,
si rallegra di festa, né la città;
infatti tali sono quelli che l’onda del mare sonoro
inghiottì e per il dolore abbiamo gonfi
i polmoni. Ma gli dei, infatti, per i mali incurabili,
amico, diedero la virile rassegnazione
come cura; or l’uno, or l’altro ha questo; ora a noi
tocca e piangiamo la ferita sanguinosa,
ma toccherà a loro volta ad altri; però subito
sopportate scacciando il lutto da femmine.»
Apostrofe al cuore
(Il frammento, in tetrametri trocaici catalettici, riprende materiale omerico, dalla celebre apostrofe con cui Odisseo si controlla davanti alle offese dei Proci, in attesa della vendetta. Tuttavia, come nei lirici successivi, lo spunto omerico è piegato alla situazione personale e al riconoscimento di una legge che regola la vita umana: a ognuno toccano gioie e dolori e bisogna saper affrontare entrambe le situazioni. Inoltre, notevole l'uso di metafore belliche in un poeta soldato.)
«Cuore, o cuore, sballottato da insolubili dolori,
rialzati, resisti contro chi ti tratta male, opponi
il petto, piazzato accanto alle tane dei nemici
con tenaciaː e, se vinci, non ti rallegrare assai,
o, se perdi, non crollare, messoti a lutto in casa,
ma rallegrati per i beni e per i mali soffri
non troppoː ammetti come questo ritmo è della vita.»
Epodo di Colonia
(Il celebre Epodo di Colonia è il più lungo componimento di Archiloco restituitoci dai papiri e conservato, appunto, a Colonia.)
«Affatto interrotto,
lo stesso sopporta e se
adesso hai fretta e il cuore ti pulsa
c’è dalle mie parti
una bella e molle fanciulla verginetta
che brama follemente:
d’aspetto
niente mal mi sembra.
Lei "fattela tua”.
Queste parole modulava
e io di contro rispondevo:
“Figlia d’Anfimedosa,
donna, sì donna, ma soprattutto
valorosa, che la terra umida ha con sé là sotto,
molti sono i piaceri della dea dati ai giovani
oltre al divino consumare: uno di questi può bastare.
E il resto io e te
negli antri con gli dei e il loro favorevole volere
decideremo tranquillamente.
Obbedirò io poi al tuo piacere.
Insistente
sotto il fregio o sotto le porte
ti chiedo di non resistermi, tesoro:
approderò allora al giardino di Era.
Questo sappi ora: Neobule
un altro eroe se la prenda!
Quella è matura e rinsecchita, senza esagerare:
il fiore verginale è andato a male,
andata a male è la sua antica grazia:
mai sazia
e senza misura
appare pazza questa donna pazza!
Mandala alla forca!
Ché prendendo per moglie quella porca
sarei la barzelletta del quartiere.
Su di te si è fermato invece il mio volere.
Tu né dubbia né infedele,
quella tanto acuta e pungente
se ne farà tanti
di amici.
Temo la ventura di figli prematuri
e ciechi – se spinto dalla fretta –
come quelli della gatta”.
Così blateravo. E la vergine in fiore
feci inchinare, coprendola del mio
mantello delicato, abbracciando il suo collo
ceduto di soppiatto –
[io cacciatore], lei cerbiatto! –
Mi attaccai con le mani dolcemente al suo petto:
Luceva lei di pelle fresca,
impeto straniero di giovinezza;
e strusciandomi su tutto quel bel corpo
finalmente spruzzai la mia potenza seminale
sul suo biondo pelo vaginale.»
19 marzo 2024 - Eugenio Caruso
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