"espose sul teatro tutte quelle verità che gli si parano dinanzi, ricopiate materialmente e trivialmente, e non imitate dalla natura, né coll'eleganza necessaria ad uno scrittore";
GRANDI PERSONAGGI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.
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Carlo Osvaldo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793) è stato un commediografo, scrittore, librettista e avvocato della Repubblica di Venezia.
Goldoni è considerato uno dei padri della commedia moderna e deve parte della sua fama anche alle opere in veneziano.
«Ella pure nel nostro Veneto idioma; ma colla scelta delle parole, e colla robustezza dei sentimenti, ha fatto conoscere che la lingua nostra è capace di tutta la forza e di tutte le grazie dell'arte oratoria e poetica, e che usata anch'essa da mano maestra, non ha che invidiare alla più elegante Toscana. Ella aveva ciò dimostrato altre volte in varie pubbliche azioni, nelle quali vuole il sistema di questa ben regolata Repubblica di Venezia che del proprio nativo idioma gli Oratori si valgano, e la di Lei naturale facondia, unita al chiarissimo suo talento, ed allo studio incessante di cui si compiace, rende l'E. V. ammirabile nell'età verde in cui si ritrova, e fa sperare in Lei coll'andar degli anni un benemerito cittadino di questa Patria gloriosa.»
(Carlo Goldoni, presentazione de Le massere, 1755)
Carlo Goldoni nacque a Venezia il 25 febbraio del 1707 in una famiglia borghese d'origine modenese per parte paterna. In difficoltà finanziarie in seguito agli sperperi del nonno paterno Carlo Alessandro, il padre Giulio si trasferì a Roma per studiare medicina, lasciando Carlo con la madre Margherita Salvioni. Pare non fosse riuscito a conseguire la licenza di medico, ma divenne comunque farmacista ed esercitò la professione a Perugia, richiamando a sé tutta la famiglia.
Goldoni ebbe modo di formarsi dunque dapprima nella città umbra, venendo seguito inizialmente da un precettore per poi frequentare un collegio gesuitico, e infine a Rimini (dove nel frattempo s'erano trasferiti i genitori), studiando prima in un istituto gestito dai domenicani e poi presso un insegnante domenicano privato, tal Candini. Di questo periodo è noto l'episodio della fuga da Rimini a Chioggia al seguito di una compagnia di comici.
Tornato con la madre a Venezia nel 1721, fece praticantato presso lo studio legale dello zio Giampaolo Indric. Nel 1723 passò al collegio Ghislieri dell'Università degli Studi di Pavia grazie a una borsa di studio offerta dal marchese Pietro Goldoni Vidoni, protettore della famiglia, ma ne venne espulso prima di concludere il terzo anno per essere stato l'autore di un'opera satirica ispirata ad alcune fanciulle della borghesia locale. Fu poi a Udine e a Vipacco al seguito del padre, medico del conte Francesco Antonio Lantieri; qui si recò nel 1727 per un periodo di quattro mesi. Verso la fine del 1783, nella sua opera Mémoires, definì la sosta come una "scampagnata", caratterizzata ogni giorno da un "abbondantissimo" trattamento gastronomico; in particolare cita: "un certo vino rosso che era definito crea-bambini, offrendo pretesto per piacevoli scherzi".
Ebbe così inizio un periodo piuttosto avventuroso della sua vita e, dopo aver ancora seguito il padre in Friuli, Slovenia e Tirolo, riprese gli studi presso l'Università di Modena ma fallì a causa di una crisi depressiva.
Busto di Carlo Goldoni, opera di Angelo Giordani precedente al 1847
Nel 1729 si trasferì a Feltre per svolgere l'attività di coadiutore della Cancelleria criminale. In questo periodo soggiornò presso Villa Bonsembiante a Colvago di Santa Giustina, dove, in forma ancora dilettantesca, scrisse per il carnevale del 1730 due intermezzi comici – Il buon padre (poi intitolato Il buon vecchio, che andrà perduto, e La cantatrice – con cui debuttò al Teatro de la Sena di Feltre. La passione per il teatro caratterizzava già la sua inquieta esistenza. Con l'improvvisa morte del padre nel 1731 si dovette prendere carico della famiglia: tornato a Venezia, completò gli studi a Padova e intraprese la carriera forense.
Nel 1734 incontrò a Verona il capocomico Giuseppe Imer e con lui tornò a Venezia dopo aver ottenuto l'incarico di scrivere testi per il teatro San Samuele, di proprietà Grimani. Nacquero così le prime tragicommedie scritte dal neo-avvocato per questa compagnia a partire da Belisario del 1734, Don Giovanni Tenorio del 1735 fino a Giustino del 1738. In questo periodo intrecciò una burrascosa relazione con l'attrice Passalacqua. Successivamente, seguendo a Genova la compagnia Imer, conobbe e sposò Nicoletta Connio. Con lei Goldoni tornò a Venezia.
Nel 1738 Goldoni diede al teatro San Samuele la sua prima vera commedia, il Momolo cortesan, con la sola parte del protagonista interamente scritta. A Venezia, dopo la stesura della sua prima commedia con tutte le parti interamente scritte, La donna di garbo (1742-43), fu costretto a fuggire a causa dei debiti.
Continuò a lavorare nel teatro durante la guerra di successione austriaca curando gli spettacoli di Rimini occupata dagli austriaci; poi soggiornò in Toscana a Pisa (1744-1748) praticando principalmente l'attività di avvocato.
Carlo Goldoni, opera di Ulisse Cambi, Firenze.
Goldoni non abbandonò i contatti con il mondo teatrale e fu convinto dal capocomico Girolamo Medebach a sottoscrivere un contratto come scrittore per la sua compagnia, che recitava a Venezia al teatro Sant'Angelo. Nel 1748 torna a Venezia e fino al 1753 scrive per la compagnia Medebach una serie di commedie, in cui, distaccandosi dai modelli della commedia dell'arte, realizza i principi di una "riforma" del teatro. A questo periodo appartengono L'uomo prudente, La vedova scaltra, La putta onorata, Il cavaliere e la dama, La buona moglie, La famiglia dell'antiquario e L'erede fortunata: qui, tranne nell'ultima, emergono le polemiche sulla novità del teatro goldoniano e la rivalità con l'abate Pietro Chiari.
Nel 1750 realizza inoltre le famose sedici commedie in un solo anno (frutto di una scommessa con il suo pubblico e con Medebach): Il teatro comico (primo importante esempio di teatro nel teatro e che si può considerare il manifesto della sua riforma teatrale), Le femmine puntigliose, La bottega del caffè, Il bugiardo, L'adulatore, Il poeta fanatico, La Pamela (tratta dal romanzo di Samuel Richardson), Il cavaliere di buon gusto, Il giuocatore, Il vero amico, La finta ammalata, La dama prudente, L'incognita, L'avventuriere onorato, La donna volubile e I pettegolezzi delle donne.
L'attività per il Medebach continuò poi con Il Molière, L'amante militare, Il feudatario, La serva amorosa, fino a La locandiera e a Le donne curiose (in difesa della massoneria). Dopo aver rotto con il Medebach, Goldoni assume un nuovo impegno nel 1753, questa volta con il teatro San Luca, di proprietà Vendramin. Comincia quindi un periodo travagliato in cui Goldoni scrive varie tragicommedie e commedie. Deve adattare i propri testi innanzitutto per un edificio teatrale e un palcoscenico più grande di quelli a cui era abituato, e per attori che non conoscevano il suo stile, lontano dai modelli della commedia dell'arte: fra le tragicommedie ebbe un gran successo la Trilogia persiana; tra le commedie si possono ricordare La cameriera brillante, Il filosofo inglese, Terenzio, Torquato Tasso ed il capolavoro Il campiello.
Monumento a Carlo Goldoni in Campo S. Bartolomeo a Venezia
Una targa su Palazzo Poli, a Chioggia, ricorda il periodo in cui lo scrittore abitò nella città lagunare nella quale ambientò Le baruffe chiozzotte. Ebbe grandi risultati artistici con Gl'innamorati, commedia in italiano e in prosa, con I rusteghi, in veneziano e in prosa e con La casa nova e La buona madre. Nel 1761 Goldoni fu invitato a recarsi a Parigi per occuparsi della Comédie Italienne. Vitale fu l'ultima stagione per il Teatro San Luca, prima della partenza, dove produsse La trilogia della villeggiatura, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte e Una delle ultime sere di carnovale.
Giunto a Parigi nel 1762, Goldoni aderì subito alla politica francese, dovendo anche affrontare varie difficoltà a causa dello scarso spazio concesso alla Commedia Italiana e per le richieste del pubblico francese, che identificava il teatro italiano con quella commedia dell'arte da cui Goldoni si era tanto allontanato. Goldoni riprese una battaglia di riforma: la sua produzione presentava testi destinati alle scene parigine e a quelle veneziane.
Goldoni fu chiamato ad insegnare l'italiano alla figlia del re di Francia Luigi XV e in seguito alle sorelle del futuro Luigi XVI a Versailles e nel 1769 ebbe una pensione di corte. Tra il 1771 e il '72 scrive due opere - Le bourru bienfaisant e L'avare fastueux. Tra il 1784 e il 1787 scrisse in francese la sua autobiografia, Mémoires. La rivoluzione francese sconvolse la sua vita e, con la soppressione delle pensioni che gli erano state concesse dal re, morì nella miseria il 6 febbraio 1793, 19 giorni prima di compiere 86 anni. Le sue ossa sono andate disperse. Il giorno dopo la sua morte, su proposta di Giuseppe Maria Chénier, il fratello di André Chénier, la Convenzione decretava che la pensione gli fosse restituita e che di conseguenza andasse all'amatissima moglie Maria Nicoletta Connio, rimasta vedova.
Goldoni fu iniziato al massimo grado della Massoneria, secondo Giordano Gamberini, che cita lo storico Carlo Francovich. Tale informazione viene ripresa anche dal veneziano Luigi Danesin, ex Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia degli Alam.
Una delle case veneziane di Goldoni, ora adibita a museo.
La riforma teatrale
I testi goldoniani sono sempre legati a precise occasioni teatrali e tengono conto delle esigenze degli attori, delle compagnie, degli stessi edifici teatrali cui è destinata la loro prima rappresentazione. Il passaggio alla stampa modificava spesso i testi: l'autore si rivolgeva, con le edizioni a stampa, a un pubblico più vasto ed esigente rispetto a quello che frequentava i teatri.
L'opera di Goldoni è piena di contraddizioni. L'intera opera goldoniana si offre come un'ininterrotta serie di situazioni, si svolge attraverso un "quotidiano parlare", a una attenta rappresentazione del reale, volta a riportare nel teatro proprio quella realtà che il fenomeno della commedia dell'arte, attraverso la propria degenerazione, aveva allontanato; il linguaggio dei personaggi, intriso di dati concreti, si risolve tutto nei loro incontri mostrandosi indifferente alle tradizionali prospettive letterarie e formali.
Passando continuamente dall'italiano al veneziano e viceversa, Goldoni dà spazio a diversi usi sociali del linguaggio, in base alle varie situazioni in cui vengono a trovarsi i personaggi delle sue opere. Il suo italiano, influenzato dal veneziano e caratterizzato da elementi settentrionali, è quello del mondo borghese, lontano dalla purezza della tradizione classicistica toscana. Il dialetto veneziano non è per Goldoni uno strumento di gioco, ma un linguaggio concreto e autonomo, diversificato dagli strati sociali dei personaggi che lo utilizzano.
La prima fase dell'opera goldoniana arriva fino al 1748, quando accettò in maniera definitiva la professione teatrale: comincia a sperimentare e confrontarsi con la commedia dell'arte. Goldoni, analizzando il ruolo del genere comico, rivendica l'onore e la dignità dei comici e critica la banalità delle convenzioni della commedia dell'arte. L'elemento principale della riforma è il richiamo alla natura, che si confronta continuamente con la realtà quotidiana. La prefazione all'edizione "Asgarra Bettinelli" indica i libri essenziali della formazione goldoniana: quello del "mondo", che gli ha mostrato gli aspetti naturali degli uomini, e quello del "teatro", che gli ha insegnato la tecnica della scena e del comico. Con la quarta fase, si presenta un'armonia e contraddittorietà tra "mondo" e "teatro". L'ultima fase, costituita dall'esperienza francese, nasce tra parecchie difficoltà: non si ha più riscontro del mondo veneziano, che è stato l'ispirazione di Goldoni. La sensibilità teatrale di Goldoni lo porta lontano dai principi della riforma. In alcune sue commedie vi sono parecchi riferimenti alla commedia dell'arte: la permanenza delle maschere e caricature e deformazioni di comicità. Altre tracce si possono ritrovare in certi intrecci e nella distribuzione delle scene. Goldoni scrisse anche libretti melodrammatici, quindici intermezzi[13] e cinquanta drammi giocosi: tra questi L'Arcadia in Brenta, Il mondo della luna, La buona figliuola, musicata da Niccolò Piccinni.
Egli fu conosciuto per il suo illuminismo popolare, che critica ogni forma di ipocrisia dando importanza alla classe sociale dei piccoli borghesi. Goldoni aspira a un pacifico mondo razionale (ottimismo di matrice razionalistico-illuminista), accettando le gerarchie sociali, distinguendo i diversi ruoli della nobiltà, della borghesia e del popolo. Conscio dei conflitti che possono sorgere tra le varie classi, dando spazio nel suo teatro al conflitto tra nobiltà e borghesia, secondo Goldoni, un uomo si può affermare indipendentemente dalla classe cui appartiene, attraverso l'onore e la reputazione di fronte all'opinione pubblica. Ogni individuo se onorato accetta il proprio posto nella scala sociale e rimane fedele ai valori della tradizione mercantile veneziana: onestà, laboriosità, ecc. Goldoni offre l'immagine di una trionfante affermazione della missione teatrale, di un sicuro proposito di riforma sostenuto da una spontanea gaiezza. La sua figura appare come un'immagine che rappresenta cordialità, disposizione al sorriso e alla gioia, disponibilità umana.
Dietro quest'immagine gaia, vi è un'inquietudine, scaturita dall'estraneità dell'io narrante rispetto alle vicende, che si trasforma in un continuo interrogarsi su se stesso e sul mondo, in una forma di inquieta ipocondria. Per tutta la sua vita, Goldoni è alla ricerca di legittimazione di se stesso, del proprio fare teatro: ciò converge con il suo rifiuto di una tranquilla professione borghese. Non essendo nato all'interno dell'ambiente teatrale e venendo da un contesto diverso, non riesce ad accettare il teatro così com'è, ma cerca di riformarlo, cercando di fondare un nuovo teatro onorato. Nel libro del Mondo, Goldoni rivolge la propria attenzione sia ai vizi, che il suo teatro vuole colpire e correggere, sia a qualità e virtù, da mettere in risalto. Ogni opera di Goldoni contiene una sua morale, sottolineando nelle premesse il ruolo pedagogico dei caratteri. Il teatro attinge dal mondo riferimenti, spunti, allusioni e richiami alla vita quotidiana. L'opera goldoniana racchiude tutta la vita della Venezia e dell'Italia contemporanea, assumendo così la qualità di un modernissimo realismo. I borghesi assumono il ruolo centrale tra le varie classi sociali sulle scene goldoniane: nelle prime opere sono positivi, a partire dalla figura di Momolo, "uomo di mondo". La maschera di Pantalone diventa immagine delle buone qualità del mercante veneziano. I nobili appaiono senza valori. I servi, conservando la schematicità della commedia dell'arte, si segnalano per la gratuita intelligenza; commedia esemplare in tal senso è La famiglia dell'antiquario. La vecchia aristocrazia è messa in ridicolo per la sua arroganza: ad esempio il conte Anselmo ne La famiglia dell'antiquario, il conte di Albafiorita e il Cavaliere di Ripafratta ne La locandiera. La borghesia è colta nei suoi aspetti positivi (intelligenza, intraprendenza), ma anche negativi (avidità, opportunismo). Il popolo minuto (comari, pettegole, gondolieri, pescatori) è rappresentato nella sua rozzezza ma, nel contempo, nel suo istintivo buon senso, nell'operosità e nelle virtù familiari.
Carlo Goldoni deve la sua fama, oltre che alle diverse opere che scrisse, alla riforma del teatro. Prima della riforma "goldoniana" esisteva un altro tipo di teatro: la commedia all'improvviso, nella quale gli attori non avevano un testo scritto da studiare e da seguire durante le rappresentazioni bensì solo una traccia generale da seguire, detta canovaccio. Carlo Goldoni fu il primo a volere un testo interamente scritto per ogni attore. Nel 1738 compose un'opera di cui scrisse per intero la parte del protagonista (Il Momolo Cortesan) e, nel 1743 mise in scena la prima opera teatrale con un testo interamente scritto (La donna di garbo).
Negli ultimi anni veneziani, le commedie cominciano ad andare in crisi. Ecco che le figure dei servi assumono un nuovo spazio, muovendo critiche alla ragione borghese dei padroni. Il mondo popolare goldoniano, pieno di purezza e vitalità – qualità assenti in quello borghese –, si regge sugli stessi valori di quest'ultimo, ancora incontaminati. Per Goldoni, una componente essenziale del mondo è l'amore. Questo sentimento presente nei giovani sulle scene è subordinato a regole sociali e familiari, sottostante alla reputazione e all'onore. La reticenza di Goldoni sulle sue avventure amorose raccontate nei Mémoires è presente anche nelle sue commedie. Per Goldoni il teatro ha una forte valenza istituzionale, è una struttura produttiva, retta da principi economici simili a quelli che regolano la vita del mondo. Va ricordato che egli fu uno scrittore che viveva, si manteneva con i profitti del suo lavoro, cosa che gli creò non pochi problemi con la società intellettuale del tempo, che lo accusò di ridurre a merce l'attività letteraria (ne è un esempio la fortissima polemica mossagli dal conte Carlo Gozzi). Questa forza porta la commedia goldoniana al di là della naturale rappresentazione della vita contemporanea. Goldoni ha una visione critica del mondo, in quanto turba l'equilibrio dei valori della vita delle classi sociali rappresentate. Tale visione va oltre le intenzioni dell'autore e il modello della sua riforma. Nelle scene goldoniane si ha la sensazione di un'insanabile irrequietezza, che si sospende con il lieto fine tradizionale, sancito dai soliti matrimoni. I rapporti di questo mondo sono soltanto esteriori, sorretti dal principio della reputazione. Così Goldoni anticipa alcune forme del dramma borghese ottocentesco. Il segreto del comico goldoniano consiste nel singolare piacere del vuoto dello scambio sociale, dell'estraneità tra i personaggi dialoganti e della crudeltà di vita di relazione.
La riforma di Goldoni è il risultato di un'attenta osservazione delle tecniche dei commediografi del suo tempo, verso il progressivo distacco dalla commedia dell'arte che dominava da quasi due secoli.
Alla necessità di riformare la commedia molti avevano risposto con vari espedienti quali la traduzione in italiano di commedie spagnole o francesi. Spesso, però, come sottolinea Goldoni nella prefazione alla prima raccolta delle sue commedie, il prodotto finale si discostava dai “gusti delle Nazioni” in quanto, provenendo da un contesto estraneo, non teneva conto dei costumi e dei linguaggi dei destinatari. “Mercenari comici” per ovviare a tale difetto si impegnarono nell'alterare il recitato tramite improvvisazioni mirate a sfigurare le commedie d'origine, in modo che “più non si conobbero per Opere di que' celebri Poeti”. Nel popolo, però, regnava il malcontento.
Gli scrittori barocchi e soprattutto i marinisti, così, avevano tentato di introdurre innovazioni quali “macchine”, “trasformazioni”, “decorazioni”, musica, canto, danza, pantomima, acrobazia, e persino gioco di prestigio. L'inserimento di intermezzi musicali era sembrato inizialmente una soluzione efficace, lo stesso Goldoni ne aveva fatto uso in La pupilla, La birba, Il filosofo inglese, L'ipocondriaco, La bottega del caffè, L'amante cabala, La contessina, Il barcaiuolo, ma “non tardò l'Uditorio a sentire quanto poca relazione colla Commedia abbia la Musica”. È proprio confrontando le soluzioni dei vari commediografi che Goldoni riesce a cogliere che il successo di una rappresentazione risiedeva in “alcuni gravi ragionamenti e istruttivi, alcun dilicato scherzo, un accidente ben collocato, una qualche viva pennellata, alcun osservabil carattere, una dilicata critica di qualche moderno correggibil costume”, ma soprattutto ciò che più allettava il pubblico era il ricorso al semplice e al naturale.
Come egli stesso ricorda, queste intuizioni non significarono immediatamente il successo delle sue opere: “Quando si studia sul libro della Natura e del Mondo, e su quello della sperienza, non si può per verità divenire Maestro tutto d'un colpo; ma egli è ben certo che non vi si diviene giammai, se non si studiano codesti libri”. Il successo della sua riforma teatrale è indiscutibilmente, infatti, legato alla gradualità nell'introduzione del rinnovamento.
“Sebben non ho trascurata la lettura de' più venerabili e celebri Autori, da' quali, come da ottimi Maestri, non possono trarsi che utilissimi documenti ed esempli: contuttociò i due libri su' quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro”.
Inizialmente Goldoni colse naturalmente le peculiarità dei vari individui, analizzando allo stesso tempo “i segni, la forza, gli effetti di tutte le umane passioni”; gli si presentano, così, avvenimenti curiosi e situazioni che sottolineano i vizi e i difetti di ognuno. Come egli stesso evidenzia, si trattava di acquisire la consapevolezza di quel materiale degno della “disapprovazione o della derisione de' Saggi”. Osservare il reale allora consentiva anche di apprendere dai virtuosi quali fossero i mezzi con i quali la virtù resisteva alla corruzione dei costumi; sottolineando l'importanza di un teatro a fine "propedeutico", che rappresentasse un mondo di valori positivi, ai quali il pubblico potesse ispirarsi attraverso la rappresentazione delle sue commedie (uno dei cardini fondamentali della sua riforma).
Dall'analisi del secondo, invece, comprende come rappresentare sulla scena i caratteri, le passioni e gli avvenimenti che il libro del Mondo gli mostrava. Apprende quindi le tecniche per ombreggiare o dare rilievo alle diverse situazioni, destando la meraviglia o il riso. Il connubio naturalezza e buon garbo risultavano la formula vincente per generare nel cuore dello spettatore “quel tal dilettevole solletico” che nasce dall'aver riconosciuto come propri i comportamenti descritti, senza offendere. Il Teatro, inoltre, in particolare tramite la messa in scena delle sue commedie, gli consente di conoscere il gusto del pubblico e dunque di regolare il proprio su quello di coloro che deve soddisfare. Nonostante le critiche che possono essere da tale atteggiamento generate, egli ricorda che “convien lasciar padrone il Popolo egualmente che delle mode del vestire e de' linguaggi”. Da qui il suo importante studio anche degli attori che poi dovevano dar vita ai personaggi delle sue commedie, il tener conto del loro carattere, natura e inclinazioni, fino a scrivere addirittura delle parti conseguenti a chi poi le avrebbe rappresentate, apporto fondamentale nel progetto di portare il "Mondo" nel "Teatro", e garanzia di successo attraverso l'approvazione di un pubblico che si dimostrava sensibile alla rappresentazione della vita reale.
“La natura è una universale e sicura maestra a chi l'osserva”. Proprio perché la commedia è frutto di osservazione e analisi l'improvvisazione, corredata dal semplice “canovaccio”, è sostituita da un dettagliato copione.
Goldoni, così, animato dall'amor di verità, abbandona la scrupolosa unità del luogo o quelle che definisce “stiticità”, come l'imposizione di impedire che più di quattro personaggi parlino in una medesima scena. Inevitabile è il ripudio della commedia dell'arte e dell'imitazione degli antichi. Ne consegue il rifiuto di personaggi fissi stereotipati e di intrecci quasi obbligati. Scomparse le maschere, nacquero i caratteri e gli eventi ispirati alla vita semplice e modesta, borghese o popolana.
Il linguaggio stesso è ora teso a soddisfare la materia trattata e il suo contesto, è dunque non più barocco, ma quotidiano, parlato e dialettale.
Solo uno stile semplice, naturale, non accademico od elevato può consentire ai sentimenti di esser veri, naturali, non ricercati e alla portata di tutti. “Questa è la grand'Arte del Comico Poeta, di attaccarsi in tutto alla Natura, e non iscostarsene giammai”.
Innovare significa, però, scontrarsi con la tradizione, perciò Goldoni fu oggetto di numerose critiche, provenienti in particolare dagli accademici e conservatori del suo tempo. A questi che lo definivano plebeo, volgare, triviale Goldoni risponde che “Coloro che amano tutto all'antica, e odiano le novità, assolutamente parmi che si potrebbono paragonare a que' Medici, che non volessero nelle febbri periodiche far uso della chinchina per questa sola ragione, che Ippocrate o Galeno non l'hanno adoperata”.
Le stesse critiche sono per il commediografo una vittoria, il realizzarsi di un suo intento: “se quelli che o due o tre anni fa sofferivano sul Teatro improprietà, inezie, Arlicchinate da mover nausea agli stomachi più grossolani, son divenuti al presente così dilicati, che ogn'ombra d'inverisimile, ogni picciolo neo, ogni frase o parola men che toscana li turba e travaglia, io posso senza arroganza attribuirmi il merito d'aver il primo loro ispirata una tal dilicatezza col mezzo di quelle stesse Commedie che alcuni di essi indiscretamente, ingratamente, e fors'anche talvolta senza ragione si sono messi, o si metteranno a lacerare”.
Opere
Le tragicommedie
Nel 1734 inizia la vera carriera teatrale di Carlo Goldoni; come lui stesso ha testimoniato, non poteva entrare nello spettacolo come guitto anche per il rispetto delle "sue vestimenta". Fu per questo motivo che iniziò con un genere ibrido, ma nel Settecento molto gradito, che era la tragicommedia. Proprio grazie all'incontro con la Compagnia di Imer Goldoni poté accedere al vasto repertorio delle tragicommedie dell'arte che la compagnia metteva in scena in genere per mettere in burla storie tragiche d'ambito antico o pastorale attraverso i lazzi degli zanni. Il giovane Goldoni giunto al teatro con idee rivoluzionarie non poteva tollerare che quest'insieme di lazzi slegati dalla trama, che servivano soltanto a mettere in luce i vari talenti degli attori, desse un effetto così disorganico alla storia rappresentata da farla sparire tra i lazzi e le buffonerie.
Goldoni iniziò un ampio lavoro di ripulitura con la sua prima tragicommedia Belisario che fu un vero e proprio trionfo scenico per Goldoni, ben 40 rappresentazioni continuative soltanto nel carnevale del 1734, mai nessun'altra opera di Goldoni avrà un successo così unanime, Venezia aveva scoperto un giovane talento. Dopo il Belisario Goldoni mise in scena altre tragicommedie riformate come Don Giovanni Tenorio, Rinaldo di Mont'Albano, Giustino e varie altre prima di iniziare la sua carriera di commediografo. Ma la sua inclinazione alla tragicommedia dopo il periodo della commedia riformata si fece di nuovo impellente e nacquero tragicommedie romanzesche come la Trilogia persiana nata anche per tamponare gli attacchi dell'Abate Chiari, ma anche tragicommedie già di stampo pre-illuminista come La peruviana e La bella selvaggia.
Nel 1738, Goldoni scrisse le sue prime commedie, Momolo cortesan, Il Momolo sulla Brenta e Il mercante fallito. Ristampate in seguito rispettivamente con i titoli L'uomo di mondo, Il prodigo, La bancarotta, tali commedie costituiscono un concreto tentativo di regolamentazione della commedia. Le prime tre commedie contenevano parti recitate "a soggetto", ma con limitazioni sempre più forti e parti scritte, nel tentativo di educare sia gli attori professionisti, sia il pubblico generico a una commedia di carattere e di costume regolamentata nella sua forma.
Tali commedie, in un secondo tempo, furono riscritte per intero. La donna di garbo, del 1743, è la prima commedia scritta in ogni sua parte e con veri caratteri. Nonostante il successo della nuova commedia, Goldoni, nel 1745, con Il servitore di due padroni, tornò al compromesso tra parti scritte e a soggetto ed alle maschere della commedia dell'arte, pur mantenendo l'apertura sulla realtà.
Anche nella redazione completamente scritta del Servitore di due padroni (1753) il Goldoni conserva l'essenzialità della forma originale che sfrutta l'azione mimica e scenica, traducendola in un dialogo rapidissimo in cui le parole indicano il movimento, recuperando il meglio della commedia dell'arte per riproporlo nella commedia scritta organica nel suo ritmo di scena e nello studio sociale e personale dei caratteri dei personaggi.
Incipit della raccolta di commedie
La famiglia dell'antiquario
L'equilibrio è raggiunto ne La famiglia dell'antiquario (1749) in cui la situazione è ben determinata e ricca di riferimenti alla vita contemporanea (urto fra generazioni, tensione fra suocera e nuora di differente estrazione sociale: la giovane, figlia di un ricco mercante, pretenziosa e vendicativa, e la matura dama orgogliosa e sprezzante. La linea secondaria è giocata sulle figure dello sciocco antiquario e del suo servo truffatore). Tra il 1749 e il 1750, Goldoni precisò la propria poetica e difese la propria consapevole opera di riforma.
Il Teatro Comico e le sedici commedie
Il teatro comico fu la prima delle sedici nuove commedie promesse all'impresario Girolamo Medebach per il 1750. Ne Il bugiardo e ne La bottega del caffè il personaggio centrale è messo in evidenza dalla coralità dei personaggi minori che ne sottolineano la caratterizzazione. Le altre commedie del 1750 sono invece più ripetitive, farsesche o improntate a ricordi autobiografici.
La bottega del caffè
Quest'opera delinea il ritratto di una piazzetta veneziana, animata dalla presenza di una bottega di caffè e di altri locali che permettono ai personaggi un vivace gioco di entrate e di uscite. Questo movimento assume un significato opposto per i due personaggi principali: il caffettiere Ridolfo, uomo onorato, e il nobile spiantato don Marzio. La vicenda si conclude con la vittoria del bene e l'espulsione di don Marzio dalla scena.
La locandiera
Il capolavoro degli anni fra il 1750 e il 1753, e forse la sua opera più famosa, è La locandiera. Mirandolina, locandiera fiorentina, esuberante, complessa, affascinante, sempre lucida e capace di autocontrollo, domina la commedia superando ogni ostacolo per fare a proprio modo, badare ai propri affari di locandiera, assicurandosi tranquillità, agi, e mirando a un costante equilibrio tra reputazione, interesse e libertà, senza andare in sposa ai tanti uomini rimasti da lei affascinati. Gli altri personaggi, più semplici, ma ben individuati, fanno risaltare la figura della protagonista. La locandiera chiude una fase dell'arte goldoniana.
La finta ammalata
In questa commedia, il personaggio di Rosaura ripropone l'immagine della donna pronta a finzioni di ogni sorta pur di concentrare l'attenzione su di sé. In questo caso l'ironia goldoniana diviene satira e si rivolge contro la medicina.[14]
Le tragedie romanzesche
In concorrenza con Pietro Chiari produsse alcune tragedie romanzesche in versi di tipo letterario e accademico, anche se i risultati più felici del periodo sono le commedie, soprattutto Il campiello (in settenari più endecasillabi) del 1755, denotato dal realismo borghese, anche se eccessivamente pittoresco e dispersivo.
Il campiello
Commedia corale che narra i diversi momenti della vita quotidiana del popolo in una piazza veneziana.
Gl'innamorati
Con Gl'innamorati del 1759, si apre un nuovo periodo in cui il Goldoni approfondisce le sfumature psicologiche che ruotano intorno all'inquietudine d'amore che turba l'idillio smorzando la linea apertamente comica. La gelosia tra Eugenia e Fulgenzio (i due giovani protagonisti) è il motore dell'opera. Ricca di situazioni comiche tipiche della commedia dell'arte il testo non risparmia critiche alla società, mettendone in risalto la mediocrità e le ipocrisie, attraverso la caratterizzazione degli altri personaggi.
La Trilogia della villeggiatura e i temi dominanti
Il tema dell'inquietudine, dell'amore, della gelosia è ampliato da Carlo Goldoni nella Trilogia della villeggiatura (Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura), assai impegnativa per impianto, azione e temi. Nella trilogia l'amore rischia di travolgere l'onore e le norme morali. Goldoni rappresenta un nucleo familiare messo in pericolo dalla passione amorosa e dalla dissipazione economica, causata dal fatuo desiderio di ben figurare in società, a cui oppone una saggezza concreta e la consapevolezza dei propri limiti economici e della propria condizione sociale, in una complessa struttura di situazioni, comportamenti, caratteri, ambienti, rappresentando così l'evoluzione del sentimento amoroso, in un crescendo passionale, riportando poi la situazione nei limiti del buon senso.
Le commedie di ambientazione veneziana
Tra il 1760 e il 1762, Goldoni scrisse alcune commedie di ambientazione veneziana che costituiscono dei veri capolavori: I rusteghi (1760), La casa nova (1760), Sior Todero brontolon (1762), Le baruffe chiozzotte (1762), e Una delle ultime sere di carnovale (1762). In tali commedie, l'esperienza artistica di Goldoni è ormai matura nel rappresentare, con misura e acume, lo scontro tra generazioni e tra caratteri e la ricerca di un ordine improntato ad una ragionevole moralità. In queste grandi commedie di carattere e di ambiente la realtà si concretizza, i caratteri si precisano.
I rusteghi
I rusteghi è una commedia in lingua veneta. Fu rappresentata per la prima volta a Venezia al teatro San Luca verso la fine del carnevale del 1760 e pubblicata nello stesso anno. Rappresenta il piccolo e sereno mondo borghese composto da quattro vecchi rustici, ostili al presente e legati agli antichi valori del mondo mercantile. In contrapposizione, un gruppo di donne e di giovani che sentono il richiamo del presente, della gioia di vivere e della felicità, rappresentato dal carnevale. Tutto è giocato sul conflitto generazionale, che vede il trionfo dei giovani.
La casa nova
Commedia perfettamente equilibrata ed elegante dove emerge la profonda simpatia del Goldoni per i personaggi comuni e antieroici. Anzoletto, giovane borghese preda di una forte crisi economica, ha una sorella, Meneghina, e una moglie, Cecilia, che si scontrano violentemente; tutta la scena è giocata sui due piani di un palazzo, nel quale convivono due abitazioni borghesi.
Le baruffe chiozzotte
In Le baruffe chiozzotte Goldoni presenta la vita dei pescatori di Chioggia, i loro amori, i loro problemi quotidiani, i loro scontri e le loro tenerezze; l'esatta imitazione della natura si regge qui sull'uso dello stesso dialetto di Chioggia e si anima di un'intensa nostalgia: segna il trionfo del popolo minuto, delle sue tradizioni, del suo linguaggio fatto di battute brevi e semplici, solo apparentemente casuali, nel giro arioso di pettegolezzi che si addensano in tempesta fino al prorompere della baruffa fra le donne.
Il ritorno forzato alla recitazione a soggetto
A Parigi Carlo Goldoni fu costretto, dall'identificazione francese della commedia italiana con la farsa e l'intreccio puro, a tornare alla recitazione a soggetto e a ripercorrere il processo di rinnovamento già attuato in Italia, tornando al compromesso tra parti scritte e a soggetto, ripresa delle maschere e forte gioco d'intreccio con effetti grotteschi e facili caricature, equivoci, sorprese.
Il ventaglio
In tale ambito nacque Il ventaglio, opera di singolare finezza compositiva, che nel 1764 fu totalmente scritta in italiano ed inviata a Venezia per essere rappresentata. Nella commedia l'azione si materializza nel ventaglio che passa di mano in mano e si risolve nel fragile fuoco d'artificio di brevissime battute. La commedia veneziana, scritta a Parigi, segna l'abbandono da parte del Goldoni del teatro dei comici italiani in Francia; fuor che per un breve periodo verso il 1778, quando gli furono commissionati alcuni lavori per la Comèdie-Italienne rimasti inediti.[15]
Due commedie in francese
Solo nel 1771 e nel 1772, Goldoni tornò al teatro, con due commedie in francese: Le bourru bienfaisant e L'avare fastueux, dignitose ma grigie; mentre del tutto infruttuoso risulterà qualche anno dopo il tentativo di risollevare le sorti della declinante Comèdie-Italienne, come egli stesso racconta nei Memoires. In quell'occasione, su richiesta degli attori, Goldoni compose “tre commedie lunghe e altrettante brevi” a soggetto, alcune delle quali erano certamente destinate al Camerani e al celebre Bertinazzi. I titoli cui la critica fa riferimento sono La guerra dei bergamaschi, I mercanti, Tal serva tal padrona, Arlecchino elettrizzato, Scapino geloso e I nastri color rosa. Nessuna di queste opere fu rappresentata a causa del decreto di soppressione delle recite italiane che entrò in vigore nel 1779.
I libretti
La città e l'anno si riferiscono alla prima rappresentazione.
Libretti per opere serie:
- Amalasunta (composto nel 1732 e successivamente bruciato dall'autore)
- Gustavo primo re di Svezia (musicato da Baldassare Galuppi, 25 maggio 1740, Venezia)
- Oronte, re de' Sciti (musicato da Baldassare Galuppi, 26 dicembre 1740, Venezia)
- Statira (musicata da Pietro Chiarini, 1741)
Libretti per opere giocose, varie.
I pregiudizi
Due sono i pregiudizi principali che hanno sempre pesato sulla critica goldoniana:
- il primo è di natura estetica: l'autore teatrale, cioè, non viene ritenuto degno di produrre vera letteratura (un pregiudizio questo che in verità ha pesato per tanti anni su tutta la produzione teatrale italiana), negando quindi ogni valore poetico alla sua opera.
- il secondo è di natura ideologica: Goldoni, in quanto “copiatore” della natura, viene considerato soltanto come un piccolo bonario moralista, disconoscendone quindi il carattere rivoluzionario.
Il primo pregiudizio troverà il suo massimo espositore in Benedetto Croce, mentre il secondo verrà affermato da Francesco De Sanctis; entrambi i critici operano tra Ottocento e Novecento e condizionano quindi la critica goldoniana moderna.
Furono probabilmente i detrattori contemporanei di Goldoni a intuire per primi la vera natura rivoluzionaria del suo nuovo teatro. Ciò è spiegabile per due motivi:
- il primo è che, Goldoni, seguendo in prima persona la messa in scena delle proprie opere, fornisce al pubblico la giusta chiave di lettura delle sue commedie;
- il secondo è che i contemporanei, pubblico e critica, avvertono con più immediatezza gli aspetti realistici e rivoluzionari delle commedie goldoniane, vivendo all'interno di quella società che Goldoni andava rappresentando.
Il massimo critico (e assiduo spettatore) del Goldoni fu Carlo Gozzi, che nel formulare le sue accuse, in realtà, da un punto di vista conservatore, colse in pieno gli elementi di profonda novità del teatro goldoniano. Egli infatti afferma che Goldoni:
"espose sul teatro tutte quelle verità che gli si parano dinanzi, ricopiate materialmente e trivialmente, e non imitate dalla natura, né coll'eleganza necessaria ad uno scrittore";
"non seppe, o non volle, separare le verità, che si devono, da quelle che non si devono porre in vista sopra un teatro; ma si è regolato con quel solo principio, che la verità piace sempre";
Le commedie di Goldoni "odorano per lo più di pernicioso costume. La lascia e il vizio gareggiano in esse colla modestia e colla virtù, e bene spesso queste due ultime sono vinte da' primi";
"ha fatto sovente de' veri nobili lo specchio dell'iniquità e il ridicolo; e della vera plebe l'esempio della virtù e il serio in confronto, in parecchie delle sue commedie";
Goldoni ha realizzato una scaltra operazione di avvicinamento alla plebe:
"io sospetto (e forse troppo maliziosamente) ch'egli abbia ciò fatto per guadagnarsi l'animo del minuto popolo, sempre sdegnoso col necessario giogo della subordinazione";
Quanto allo stile:
"Moltissime delle sue commedie non sono che un ammasso di scene, le quali contengono delle verità, ma delle verità tanto vili, goffe e fangose, che quantunque abbiano divertito anche me medesimo, animate dagli attori, non seppi giammai accomodare nella mia mente che uno scrittore dovesse umiliarsi a ricopiarle nelle più basse pozzanghere del volgo, né come potesse aver l'ardire d'innalzarle alla decorazione d'un teatro, e soprattutto come potesse aver fronte di porre alle stampe per esemplari delle vere pidoccherie";
Un'ultima accusa riguarda il fatto che Goldoni ricavi da vivere dal suo stesso mestiere di autore teatrale.
- Si evince quindi che Gozzi comprese fino in fondo:
L'assoluta novità del teatro di Goldoni e della sua figura di intellettuale
- Il carattere decisamente realistico del teatro goldoniano
- La pericolosità "pedagogica" (e quindi politica) di fare del realismo in scena
- La pericolosità politica ed ideologica di esaltare la plebe e ridicolizzare la nobiltà
- La felice, ma pericolosa, combinazione di efficacia artistica e realismo
- Per circa due secoli la stroncatura di Carlo Gozzi rappresentò paradossalmente, con la sua doppia lettura positivo-negativo, l'interpretazione più lucida del cuore dell'operazione teatrale goldoniana.
In epoca successiva, però, si fecero strada i due pregiudizi primari, giustificabili con il fatto che l'opera di Goldoni venne valutata senza tener conto della sua corretta messa in scena. In contesti storici differenti e in contesti culturali lontani dalla Venezia di metà settecento, l'opera di Goldoni venne svalutata sia sul piano ideologico, che sul piano linguistico. Illuministi di rilievo come Baretti e Cesarotti finirono per dare giudizi molto riduttivi, formulando addirittura accuse di "sciatteria", "scorrettezza", "grossolanità". Nel frattempo si andava consolidando la tendenza a considerare le opere teatrali come forme di letteratura minore.
Il giudizio di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce
In pieno Ottocento, con Francesco De Sanctis, gli studi su Goldoni hanno un parziale riavvio. Il famoso critico riconosce al Goldoni la novità del realismo, il tentativo cioè di ritrarre la natura in tutte le sue sfaccettature e rendere protagonista “l'uomo, con le sue virtù e le sue debolezze, che crea o regola gli avvenimenti, o cede in balia di quelli”. In questo l'operazione di Goldoni è simile a quella di Galileo, che creò la nuova scienza operando lo stesso capovolgimento di valori: identica quindi la novità di metodo. Pur riconoscendo a Goldoni, quindi, tutte le qualità necessarie per affrontare e vincere questa impresa, De Sanctis però formula accuse di volgarità, superficialità e mancanza di vera poesia:
“Questo mondo poetico ha il difetto delle sue qualità: nella sua grossolanità è superficiale, nella sua naturalezza è volgare. In quel suo correre dritto e rapido il poeta non medita, non si raccoglie, non approfondisce; sta tutto al di fuori, giocoso e spensierato, indifferente al suo contenuto, e intento a caricarlo quasi per suo passatempo, con l'aria più ingenua, senza ombra di malizia e di mordacità; onde la forma del suo comico è caricatura allegra e smaliziata, che di rado giunge all'ironia. Nel suo studio del naturale e del vero trascura troppo il rilievo, e se ha il brio del linguaggio parlato ne ha pure la negligenza; per fuggire alla retorica, casca nel volgare. Gli manca quella divina malinconia, che è l'identità del poeta comico”.
Altra accusa riguarda il "mestiere": secondo lo studioso Goldoni non sarebbe stato libero nella sua invenzione, ma andò dietro a ragioni mercantili, legate al gradimento del pubblico: “le necessità del mestiere contrastavano alle aspirazioni dell'artista”. Secondo De Sanctis, Goldoni fu “obbligato spesso a concessioni e a mezzi termini per contentare il pubblico, la compagnia e gli avversari […] Di queste concessioni trovi i vestigi nelle migliori commedie, dove non rifiuta certi mezzi volgari e grossolani di ottenere gli applausi della platea”. In conclusione possiamo dire che la critica del De Sanctis contiene rivalutazioni e stroncature:
- si riconosce il valore realistico e quindi nuovo dell'opera di Goldoni
- si riconosce l'importanza del metodo "galileano", che pone al centro dell'osservazione diretta l'uomo, così com'è
- si formulano accuse di grossolanità e volgarità dello stile
-si accusa Goldoni di essere asservito a logiche mercantili e non letterarie
- il giudizio negativo viene esteso a tutte le opere di Goldoni, nessuna esclusa
- non si individuano le necessità e i meriti della riforma goldoniana, che non sarebbe stata condotta agli esiti dovuti per mancanza di coraggio.
Dopo De Sanctis la riflessione critica su Goldoni insiste sugli aspetti di sensibilità psicologica, di bonomia dello sguardo, di poesia delle opere. Non-poetica viene considerata l'arte di Goldoni dal Momigliano, il quale pur riconoscendo una certa maestria all'autore esprime infine un giudizio riduttivo:
“fu grande quando seppe far con arte profonda un'interpretazione superficiale”.
A questi giudizi fa riferimento anche Benedetto Croce che, senza aver una conoscenza adeguata forse del teatro di Goldoni, ovvero della messa in scena delle commedie, esprime giudizi netti e riduttivi:
“…inferiore al Molière nell'osservazione morale e aggirantesi in più semplice cerchia di esperienze… sta tutto nella capacità di un'ilare visione degli uomini, delle loro passioncelle, difetti e vizi o piuttosto difettucci e vizietti e curiose deviazioni, dei quali poi quasi sempre si ravvedono e si correggono. Era anche un buon uomo, di oneste intenzioni, bonario, pietoso, indulgente; la sua vena era quella… e alla poesia propriamente detta non s'innalza”.
In definitiva, secondo Croce, il Goldoni:
- non ha grandi capacità nell'osservazione morale degli uomini
- non si impegna in uno studio profondo dell'umanità
- è agito da un carattere bonario, da papà indulgent e
- non raggiunge mai con le sue opere la vera poesia
Da quanto detto, emerge con chiarezza che Croce “buca” letteralmente il cuore stesso dell'opera di Goldoni, non considerando:
- lo sforzo di rinnovamento del teatro italiano
- le esigenze e le necessità della sua riforma
- il valore realistico dell'arte goldoniana
- lo spessore poetico di alcuni capolavori oggi in discussi
- gli aspetti di critica, secca e talora feroce, verso talune realtà sociali
- la necessità di una corretta messa in scena delle commedie
La svolta degli studi goldoniani
Ad inizio Novecento si palesa una netta svolta nella critica goldoniana, con due autori oggi non molto conosciuti, quali Luigi Falchi ed Ernesto Masi, che pubblicarono studi sui contenuti etici e sociali e sul pensiero politico di Goldoni. Tuttavia questi illuminati studi non fecero breccia nella cultura dell'epoca, fortemente condizionati dalla critica desanctisiana e crociana. Secondo il critico teatrale Luigi Lunari, “i contributi del Falchi e del Masi stanno alla scoperta del Goldoni come il viaggio di Erik il Rosso sta alla scoperta dell'America”.
Ben altro impatto ebbero gli studi dell'italianista russo Aleksej Karpovic Dživelegov (translitterato Givelegov), nel 1953. Egli studia con particolare attenzione la maschera di Pantalone e la sua trasformazione nel teatro di Goldoni, dove finisce per incarnare il tipico mercante veneziano dell'epoca. Si tratta di un personaggio guida, in senso ideologico, che evidenzia il percorso della riforma goldoniana: dal teatro della commedia dell'arte al teatro della realtà. Secondo il critico russo, Goldoni compie un esame diretto della realtà con precisi intenti morali e sociali, il tutto in chiave di grande efficacia poetica. In definitiva con il Givelegov vengono posti dei nuovi punti saldi nella critica goldoniana:
- riconoscimento dell'arte realistica del suo teatro
- riconoscimento di uno sguardo attento e profondo alla realtà sociale
- spessore ideologico di tutta riforma
- risultati poetici indiscussi
Pochi anni dopo, un altro critico italiano, Manlio Torquato Dazzi, torna a studiare l'ideologia goldoniana, individuando nel teatro di Goldoni “l'oggettiva e realistica immagine di una società dialetticamente articolata in luci e ombre, colta in un momento di profondo travaglio”. Viene riconosciuto lo sforzo di Goldoni nel mettere in evidenza la classe politica in quel momento all'avanguardia; operazione che comunque non gli impedì di guardare alla realtà storica senza preconcetti e mistificazioni.
Goldoni s'inserisce fra l'Arcadia e l'Illuminismo.
Dell'Arcadia eredita la reazione al formalismo del marinismo, in nome della natura, semplicità e spontaneità. Però dell'Arcadia rifiuta la trattazione di argomenti superficiali, privi di vero aggancio con la vita. In effetti, se il mondo poetico del Goldoni può sembrare idillico come quello arcadico (tutte le sue commedie hanno un lieto fine), i suoi personaggi appartengono a una classe sociale determinata, la piccola-borghesia, ed in questo senso Goldoni è già un illuminista.
Goldoni si pose come compito quello di riformare la commedia, senza drammatiche rotture, al fine di realizzare col pubblico, che non è più soltanto letterato, un nuovo rapporto, più immediato e personale. La riforma consiste nel sostituire la commedia dell'arte o "a soggetto" (improvvisata su una traccia-canovaccio dagli attori, ciascuno dei quali rappresentava una maschera, ad es. Brighella, Pantalone...), con la commedia scritta, fondata sulla psicologia dei caratteri. Goldoni scrive tragedie, tragicommedie, melodrammi e commedie, ma è soprattutto a quest'ultime che deve la sua fama.
Nella commedia tradizionale gli attori sul palcoscenico si nascondevano dietro le maschere, le quali rappresentavano dei personaggi standardizzati, fissi. La personalità dell'attore era del tutto irrilevante e la trama veniva costruita di volta in volta, nel rispetto di alcune regole fondamentali. Questo genere teatrale era entrato in grave decadenza. Per ottenere gli applausi del pubblico spesso si usavano forme di comicità grossolana e si costruiva la vicenda su trame piuttosto superficiali, che comunque rientravano in schemi facilmente prevedibili, in quanto più o meno collaudati. Non erano più le vicende della vita reale che venivano rappresentate, ma pure e semplici allegorie (favole romanzate) anche se a volte presentate con intrecci abbastanza complicati. Notevole era il fatto che il dialogo aderiva al linguaggio quotidiano (cosa che Goldoni ereditò perfezionandolo).
Goldoni sostituisce la maschera con l'attore, che rappresenta una persona concreta e soprattutto una situazione concreta. L'intreccio è basato sul carattere del protagonista, che ha una sua storia da comunicare, semplice ma genuina e quindi interessante. L'attore non deve adeguarsi alle trame, ma recitare se stesso sulla base di una trama scelta dal commediografo. Non era cosa facile, sia perché al pubblico piaceva l'improvvisazione, sia perché all'attore non piaceva recitare parole altrui. In questa necessità di fondare la commedia sulla descrizione del carattere, Goldoni si rifà completamente a Molière.
La commedia dell'arte, non avendo più un legame diretto con la realtà, cercava di colpire lo spettatore con le sorprese e le improvvisazioni, ma queste forme restavano piuttosto forzate, astratte e intellettualistiche: quando non erano prevedibili diventavano assurde o ridicole. Si trattava solo di un artificio manieristico utile alla nobiltà decadente per mascherare lo stato reale delle cose. Goldoni non ha bisogno di questi espedienti perché parte dalla realtà che il nobile rifiuta, quella del piccolo-borghese. E' la realtà stessa che gli offre la ricchezza degli argomenti da trattare. Di qui la valorizzazione del semplice, del naturale, del vero... Ecco perché Goldoni è anti-barocco, anti-manierista, anti-scolastico, benché ignori dell'Illuminismo gli ideali politici veri e propri.
Il piccolo mondo della borghesia in ascesa nella Venezia pur decadente è un mondo che nell'opera del Goldoni ha una morale sobria, moderata, arguta, non bigotta, priva di eccessi e di ipocrisia. Venezia, dopo essere stata sconfitta dai turchi (1718) aveva assistito alle invasioni delle sue terre da parte degli eserciti spagnoli, austriaci e francesi e si era rassegnata a questo, sperperando i capitali accumulati in precedenza. La situazione dei contadini e dei popolani era diventata molto difficile.
Il popolo è visto dal Goldoni con simpatia, poiché lo ritiene capace di istintivo buon senso. Sulle scena delle sue commedie passano mercanti operosi, piccoli artigiani, studenti, servette, gondolieri, pescatori, comari pettegole, e molti sono semplici caricature-macchiette. Ma nessuno giunge mai a desiderare uno scontro netto con le contraddizioni del feudalesimo: al massimo ironizzano sull'atteggiamento e sulle concezioni di vita dei nobili, oppure criticano quei borghesi che cercano di ottenere i favori della nobiltà o che manifestano una particolare predilezione per i modi di vita patriarcali.
Ciò che meglio caratterizza i personaggi goldoniani è il fatto ch'essi deridono lo sperpero, la dissolutezza e l'ozio della nobiltà; essi sanno mettere in luce l'esigenza della sana operosità, l'intraprendenza e le virtù familiari, anche se alla fine, nel loro rapporto con la nobiltà, prevale quasi sempre il sano buon senso, i toni concilianti e la cautela. Goldoni quindi, per conservando il genere tradizionale della commedia, che di per sé era comico, introduce progressivamente degli elementi nuovi, colti dalle vicende quotidiana delle classi medie in ascesa: elementi virtuosi, patetici e sentimentali. I vizi e le virtù dei suoi personaggi sono realistici non fantastici. Di qui peraltro l'uso del dialetto veneziano.
Goldoni, anche se non è un illuminista attivo, comunque ha fiducia nella convivenza libera e aperta
tra gli uomini e i diversi ceti. Egli è fortemente critico verso la commedia dell'arte per cui rifiuta
l'improvvisazione e le maschere e i prototipi come per esempio l’avaro, il geloso, il bugiardo.
Propone invece dei personaggi concreti, con una propria individualità, con delle proprie
caratteristiche.
Le opere devono basarsi su un testo scritto e riflettere la società contemporanea, i caratteri umani
così come si presentano nella realtà.
Egli è influenzato anche dalla realtà in cui vive, la città di Venezia in cui si afferma la borghesia
mercantile.
La sua riforma del teatro incontra ostacoli e difficoltà; con il tempo riesce però a vincere la
resistenza del pubblico, degli impresari e degli attori.
Nel “Momolo cortesan” Goldoni scrive per intero la parte del protagonista mentre nella “Donna di
garbo” scrive tutte le parti.
Nella “Putta onorata” e “la buona moglie” mette in rilievo la figura del mercante e polemizza la
nobiltà. In particolare evidenzia l'attaccamento al denaro e la mentalità chiusa dei nobili del tempo.
Nella Trilogia della villeggiatura, l'autore scopre la spontaneità dei sentimenti del popolo,
nelle “Baruffe chiozzotte” rappresenta la vita dei Pescatori di Chioggia.
La locandiera è la commedia capolavoro di Goldoni. Composta nel 1752 l'opera ha uno scopo
moralistico ed educativo.
Il regista Visconti dà un'interpretazione innovativa. Secondo lui la protagonista è cinica e dura nel
perseguire i propri scopi, mette in evidenza il pessimismo e la disillusione con cui Goldoni guarda
ai rapporti umani.
Anche se non è un illuminista come Cesare Beccaria e Pietro Verri, comunque vive in quel periodo
storico per cui viene influenzato. Lui ha fiducia in una convivenza libera, aperta tra gli uomini e
s'ispira alla ragione, alla natura, all'empatia nei confronti della vita. I
modi sprezzanti dei nobili vengono da lui rifiutati per cui lo porta a abbracciare un'uguaglianza
primitiva tra gli uomini.
Nella vita reale Goldoni però è per un ordine gerarchico delle classi sociali e spera in una
convivenza pacifica tra i vari ceti.
Ognuno ha una propria funzione nella società. Nel teatro invece rifiuta la commedia dell'arte e gli
attori che recitano indossando le maschere come Pantalone,Brighella e Arlecchino.
Sono personaggi che improvvisano le battute rifacendosi a un canovaccio con indicazioni sulle
azioni, sugli intrecci, senza basarsi su un testo scritto per intero.
Ha un atteggiamento critico verso questo tipo di teatro, ormai superato, vuole scrivere, far
rappresentare testi che funzionino sul palcoscenico e che riflettono la società del tempo.
Egli rifiuta i tipi umani, astratti e fissi come per esempio l'avaro geloso,il bugiardo che sono
presenti nel teatro classico della commedia dell'arte. Si rifà a persone concrete che non si ripetono,
hanno una propria individualità, delle proprie caratteristiche così come nella realtà; per cui i
caratteri dei personaggi sono infiniti.
Essi hanno modi diversi di essere avari, gelosi, bugiardi. Queste diversità delle persone dipendono
dagli individui e dagli ambienti da cui derivano. Goldoni vuole rispecchiare la società borghese
moderna e il suo individualismo e il suo egoismo.
L’opera teatrale di Goldoni è anche influenzata dallo spazio in cui si trova a lavorare ossia Venezia
che era affermata come una città con una solida classe borghese. La borghesia veneziana vuole
rivendicare la visione della vita basata sul profitto che si ottiene con il lavoro invece di opporsi a
una classe nobile basata sulla rendita.
Nasce quindi una commedia realistica, con un insegnamento morale. Egli infatti inserisce la
commedia nelle immagini della vita comune. Il fine è quello comunque di interpretare la psicologia
dei personaggi e coglierne quelli che sono le caratteristiche, denunciare i vizi del tempo. Egli
incontra diversi ostacoli e difficoltà nel mettere in atto questa riforma del teatro che però
gradualmente riesce ad ottenere il proprio successo, a vincere sulle resistenze del pubblico,
dell'impresario, degli attori.
All’inizio Goldoni scrive solo la parte del protagonista più tardi, in altre commedie egli scrive le
parti di tutti gli attori.
La presenza delle maschere è eliminata con gradualità. Nelle prime opere, anche se presenti,
Goldoni le trasforma dall'interno, nel senso che la maschera inizia a essere carattere individuale dei
personaggi.
Grazie a questa gradualità, applica la riforma al pubblico, fa vedere in scena gli aspetti della vita
quotidiana per cui ritrova nei valori la concezione della vita fondata sulla ragione, sul buon senso,
sulla fedeltà alla natura.
Il mondo che si riflette nella commedia di Goldoni è quello della società Veneziana contemporanea
che è governata ancora da nobili e si sta formando il ceto borghese che si è arricchito grazie
all'abilità di mercanti nel commercio.
Egli riporta nelle sue opere anche la polemica nei confronti della nobiltà. Infatti “Nella buona
moglie”, “Nella putta onorata” e in altri testi, egli critica la mentalità chiusa dei nobili e la loro idea
di campare soltanto di rendita, mentre salta l'intelligenza e la determinazione della borghesia che
cerca di arricchirsi e fare profitto con il proprio lavoro.
La seconda fase della sua attività teatrale si svolge presso il teatro San Luca. E’ un periodo di
di rottura con il pubblico. Dopo essere stato accolto con favore, lo stesso pubblico preferisce
successivamente un teatro più fantasioso. Hanno molto successo Pietro Chiari e il teatro fiabesco di
Carlo Gozzi. Goldoni quindi in parte cerca di assecondare le richieste del pubblico, in fondo però
continua a lavorare su quella che è la sua riforma.
Intorno agli anni del 1760 Goldoni realizza i suoi testi più maturi. In questa parte la borghesia
Veneziana entra in crisi perché Venezia perde i possedimenti d'Oltremare e i commerci. Il
mercante cerca di difendere il proprio interesse. Goldoni perciò descrive la borghesia di questo
periodo come attaccata al denaro e di mentalità chiusa con poche vedute mentre esalta i giovani e le
donne come portatori di idee più aperte e sociali.
Questi temi sono riportati nelle sue opere.
Nelle “Baruffe chiozzotte” invece descrive la vita dei pescatori di Chioggia.
Il popolo, ovvero la gente più povera, per lo scrittore, conserva sentimenti spontanei e ha una
capacità di relazionarsi a livello sociale che la società borghese di Venezia invece ha perso.
Nell'ultimo periodo scrive le memorie e ripercorre le tappe della sua carriera teatrale.
Il linguaggio utilizzato riflette la situazione del tempo. Usa una lingua semplice legata alle
conversazioni del quotidiano con un lessico povero e pieno di frasi fatte. Quando invece vuole
rivolgersi al pubblico di Venezia scrive in dialetto veneziano.
Péaolo Bianciardi
LA LOCANDIERA
La locandiera è una commedia in tre atti. Venne rappresentata per la prima volta al Teatro Sant'Angelo di Venezia, con Maddalena Marliani-Raffi, detta Corallina, nel ruolo della protagonista ed è di gran lunga la più fortunata commedia del commediografo veneziano.
La storia si incentra sulle vicende di Mirandolina, un'attraente e astuta giovane donna che possiede a Firenze una locanda ereditata dal padre e la amministra con l'aiuto del cameriere Fabrizio.
Trama
Primo atto
Mirandolina gestisce a Firenze la locanda dove viene costantemente corteggiata da ogni cliente, in modo particolare dal Marchese di Forlipopoli, aristocratico decaduto che ha venduto il prestigioso titolo nobiliare, e dal Conte di Albafiorita, un giovane mercante che, arricchitosi, è entrato a far parte della nuova nobiltà comprando il titolo.
I due personaggi rappresentano gli estremi dell'alta società veneziana del tempo. Il Marchese, avvalendosi esclusivamente del suo onore, è convinto che basti la sua protezione per conquistare il cuore della donna. Al contrario, il Conte crede di poter procurarsi l'amore di Mirandolina così come ha acquisito il titolo (le fa infatti molti e costosi regali). Questo ribadisce le differenze tra la nobiltà di spada e la nobiltà di toga, cioè quella dei discendenti dei nobili medievali e quella di coloro che hanno comprato il titolo nobiliare.
L'astuta locandiera non si concede a nessuno dei due uomini, lasciando a entrambi intatta l'illusione di una possibile conquista.
Il fragile equilibrio instauratosi nella locanda è sconvolto dall'arrivo del Cavaliere di Ripafratta, aristocratico altezzoso e misogino incallito ispirato al patrizio fiorentino Giulio Rucellai, a cui la commedia è dedicata. Il Cavaliere, ancorato alle sue nobili origini e lamentandosi del servizio scadente, detta ordini a Mirandolina. Egli cerca inoltre di mettere in ridicolo il conte e il marchese accusandoli di essersi abbassati a corteggiare una donna.
Per ripicca Mirandolina, non abituata a essere trattata come una serva e ferita nel suo orgoglio femminile, si ripromette di far innamorare il Cavaliere.
Secondo atto
Per fare innamorare il Cavaliere, Mirandolina si mostra sempre più gentile e piena di riguardi nei suoi confronti, finché quest'ultimo inizia a mostrare i primi segni di cedimento. Dichiara inoltre di disprezzare le donne che mirano esclusivamente al matrimonio, destando immediatamente una certa ammirazione da parte della sua vittima. Egli non riesce a difendersi come vorrebbe: Mirandolina usa a proprio favore la misoginia del Cavaliere mostrando con falsa sincerità di disprezzare anch'ella le donne e di pensare proprio come un uomo.
Inoltre, Mirandolina mostra ostentatamente di non voler fare complimenti falsi al Marchese. In una famosa scena, lo squattrinato Marchese vuole pavoneggiarsi con la presunta bontà di un vino di Cipro che in realtà ha un sapore disgustoso; mentre il Cavaliere non riesce a dire in faccia al suo avversario la verità, Mirandolina non esita ad affermare davanti a tutti che il vino è davvero imbevibile; dicendo la verità, porta in avanti la sua maliziosa strategia di seduzione.
Inizia così il crollo del Cavaliere: pur conoscendo le armi nemiche, decide troppo tardi di lasciare la locanda per porsi in salvo. Mirandolina passa all'ultimo attacco e finge di svenire quando egli sta per andarsene. In tal modo, il Cavaliere cede e decide di non partire più.
Terzo atto
Il cameriere Fabrizio, da sempre di servizio nella locanda, è molto geloso di Mirandolina, la quale riceve addirittura in dono dal Cavaliere una boccetta d'oro che però getta con disprezzo in un cesto. Infatti, ora è la locandiera a mostrarsi ostile nei confronti del Cavaliere, dicendogli di non credere alle sue dichiarazioni d'amore. Il Cavaliere, dilaniato da sentimenti contrastanti, non vuole far sapere di essere oggetto dei raggiri di una donna, ma allo stesso tempo spera di poterla avere per sé. Quando Conte e Marchese lo accusano di essersi innamorato della donna, l'orgoglio ferito del Cavaliere esplode in una disputa che rischia di culminare in tragedia. Ma l'intervento della stessa locandiera impedisce che si venga alle spade. Il Marchese, accortosi della boccetta nel cesto e credendola di scarso valore, se ne appropria e la regala poi a Dejanira, una delle commedianti arrivate alla locanda.
Dato che l'innamoramento del Cavaliere è diventato cosa pubblica proprio come si era riproposta la locandiera, la vendetta di Mirandolina è finalmente compiuta, ma ciò comporta il risentimento sia del Conte sia del Marchese.
Arriva inoltre il momento in cui il Cavaliere dà in escandescenze e inizia a mostrarsi pericoloso, per cui Mirandolina riconosce di essersi spinta troppo in là. Decide quindi di risolvere la questione sposando il cameriere Fabrizio, come le aveva consigliato il padre in punto di morte. Mirandolina non lo ama veramente, ma sceglie di approfittare delle circostanze sapendo che il matrimonio non sarà un vero ostacolo per la sua libertà. La scena finale si conclude quando lei, rientrata in possesso della boccetta donatale dal Cavaliere, si rivolge al pubblico maschile e lo esorta a non lasciarsi ingannare.
La morale dichiarata del pezzo si ricollega all'ars amandi, dunque a un'arte al tempo riservata agli uomini: l'uomo deve essere messo in guardia da malizie e tranelli escogitati dalle donne, furbe e dotate di armi pericolose. Almeno il brevissimo monologo finale di Mirandolina si inquadra in questa lettura:
«...e lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di dover cedere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera.»
Si tratta comunque soltanto di una minima parte del messaggio della commedia. L'introduzione del pezzo (L'autore a chi legge) approfondisce la questione, parlando dei difetti del Cavaliere e della sua tendenza a incappare in situazioni di sofferenza e avvilimento. Concentrandosi sui caratteri dei personaggi si nota quindi come la furbizia e la malizia di Mirandolina vincano sulla presunzione e sull'ostinazione del Cavaliere:
«...Chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita.»
Principalmente, va comunque detto che, a dispetto dei difetti dalla protagonista, la civetteria di Mirandolina è da introdursi in un operato fondamentalmente onesto; nella sostanza, la commedia illustra in maniera convincente l'indipendenza e intelligenza di una donna d'affari, doti che la portano al successo: è in questo contesto che va primariamente letta l'opera. Il matrimonio con Fabrizio, indispensabile per rispettare le convenzioni e portare la vicenda a un lieto fine, non altera la lettura di fondo: il ritratto di un individuo autonomo e con senso del realismo.
24 marzo 2024 - Eugenio Caruso
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