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Goethe, uno dei massimi scrittori del pianeta


«Come poeta, io sono politeista; come naturalista, io sono panteista; come essere morale, io sono teista; e ho bisogno, per esprimere il mio sentimento, di tutte queste forme.» (Goethe, cit. in Nuova antologia di lettere, scienze ed arti)

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.

I TEDESCHI

Goethe - Hesse - Heyse - Mann -

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Goethe ( Dipinto da Stieler 1828)

Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, saggista, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d'arte e critico musicale.
Considerato dalla scrittrice George Eliot

«… uno dei più grandi letterati tedeschi e l'ultimo uomo universale a camminare sulla terra»,

viene solitamente reputato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo. La sua attività fu rivolta alla poesia, al dramma, alla letteratura, alla teologia, alla filosofia, all'umanesimo e alle scienze, ma fu prolifico anche nella pittura, nella musica e nelle altre arti. Il suo magnum opus è il Faust, un'opera monumentale alla quale lavorò per oltre sessant'anni.
Goethe fu l'originario inventore del concetto di Weltliteratur (letteratura mondiale), derivato dalla sua approfondita conoscenza e ammirazione per molti capisaldi di diverse realtà culturali nazionali (inglese, francese, italiana, greca, persiana e araba). Ebbe grande influenza anche sul pensiero filosofico del tempo, in particolare sulla speculazione di Hegel, Schelling e, successivamente, Nietzsche.

«Sono venuto al mondo a Francoforte sul Meno il 28 agosto 1749 al suono delle campane di mezzogiorno. La costellazione era fortunata; il Sole era nella Vergine, al culmine in quel giorno; Giove e Venere gli ammiccavano amichevolmente, Mercurio senza ostilità; Saturno e Marte erano indifferenti; solo la Luna, quasi piena, esercitava la sua forza avversa con maggior intensità perché entrata nella sua ora planetaria. Essa si oppose dunque alla mia nascita, che non poté succedere fin che quell'ora non fu passata. Questi aspetti fortunati, a cui in seguito gli astrologi diedero molta importanza, possono ben essere stati causa della mia conservazione, perché per inabilità della levatrice io venni al mondo come morto, e solo con molti sforzi riuscirono a farmi vedere la luce.» (Goethe, dal libro autobiografico Poesia e verità, vol. I, trad. di Emma Sola, Firenze, Sansoni, 1944)

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La casa natale di Goethe a Francoforte
Primogenito di Johann Caspar , doctor juris e consigliere imperiale, uomo di formazione, e di Katharina Elisabeth Textor, Johann Wolfgang von Goethe nacque a Francoforte sul Meno poco dopo il mezzogiorno del 28 agosto 1749, giorno del primo anniversario del matrimonio dei genitori. Katharina ebbe delle difficoltà nel parto, provocate dall'imperizia della levatrice, che sembra spinsero il nonno materno, Johann Wolfgang Textor, sindaco di Francoforte, a istituire in città l'istruzione ostetrica obbligatoria.
Il giorno dopo fu battezzato secondo il rito protestante. Nel dicembre del 1750 nacque la sorella Cornelia Friederike Christiana, la sua compagna di giochi dell'infanzia; gli altri cinque successivi fratelli sarebbero invece morti in tenera età.
Nel periodo che va dal 1752 al 1755, Johann e la sorella frequentarono un asilo, ma il grosso dell'istruzione la ricevettero in casa, sotto la direzione del padre. Entrarono a contatto con il mondo della lettura e impararono divertendosi. Nel 1753, per Natale, il piccolo Johann ricevette in regalo un teatro di marionette.
A partire dal 1755 Johann imparò a leggere e a scrivere il tedesco in una scuola pubblica, poi, privatamente, il latino e un poco di greco. Nel 1757 compose i suoi primi versi, rigorosamente in rima. Nel 1758 studiò il francese e prese lezioni di disegno.
A seguito della guerra dei sette anni, il 1º gennaio 1759 i francesi conquistarono Francoforte e in casa Goethe si installò il luogotenente François de Théas, conte di Thoranc, comandante della piazza; alle truppe francesi si accompagnavano attori e cantanti e Johann ebbe modo di assistere a recite delle tragedie di Racine, di Corneille e delle commedie di Molière, oltre ad altre opere e intermezzi musicali, fino alla partenza dei francesi, avvenuta il 2 dicembre 1762.
Nel 1760 Johann apprese l'arte della calligrafia e studiò l'italiano: il padre era stato in Italia nel 1740 e aveva scritto, in un italiano impreciso, un diario di viaggio e fatto incisioni approssimative di Roma, messe in mostra nella casa natale dei Goethe a Francoforte.
Nel 1762 Johann apprese l'inglese e un po' di ebraico. Nel 1763 cominciò lo studio del pianoforte e nello stesso anno, il 25 agosto, assistette a un concerto di pianoforte di Mozart, allora bambino di sette anni, imparruccato e con lo spadino al fianco. Adolescente, imparò l'equitazione e la scherma.
Nel 1764, l'anno della salita al trono di Giuseppe II, gli capitò di raccomandare al nonno materno un giovane per un impiego nell'amministrazione cittadina; dopo l'assunzione, si scoprì che quell'impiegato era un truffatore. Johann fu, in un primo tempo, perfino sospettato di complicità, ma presto si riconobbe la sua estraneità ai fatti.
Ormai diciassettenne, fu tempo per Johann di frequentare l'università: egli avrebbe voluto seguire i corsi di lettere classiche e retorica a Gottinga, ma il padre scelse per lui gli studi di diritto a Lipsia e così, il 30 settembre 1765, Johann partì da Francoforte per quella città, con in tasca la buona somma di 1.200 fiorini per garantirsi un più che decoroso mantenimento.
A Lipsia
A Lipsia Johann si inserì senza difficoltà nella frivola vita di società, così diversa da quella conservatrice e patriarcale di Francoforte; ebbe una relazione con Kätchen Schönkopf (1746-1810), scrisse Die Laune des Verliebten ("Il capriccio dell'innamorato"), una commedia arcadica, e Die Mitschuldigen ("I correi"), altra commedia senza pretese, e varie poesie musicate da quel Bernhard Breitkopf, proprietario di una Casa editrice musicale che sarebbe diventata molto famosa, del quale il giovane Goethe frequentò la famiglia. Relativamente a questo periodo, egli commentò di avere allora cominciato a seguire la tendenza a «trasformare in un'immagine, in una poesia e a portare a compimento in me quel che mi dava gioia o tormento o che comunque occupava il mio spirito», e che «tutto ciò che si è conosciuto di me sono solo frammenti di una grande confessione». Fra il febbraio e il marzo del 1768 si recò a Dresda, visitando le collezioni d'arte raccolte nella città e in giugno venne a conoscenza della tragica morte di Johann Joachim Winckelmann, che egli apprezzava molto.
Tuttavia i componimenti di Johann non vennero apprezzati ed egli stesso si convinse che fosse meglio bruciare la maggior parte di quella prima produzione; il 28 agosto 1768 ritornò a Francoforte senza aver concluso nulla.
A Strasburgo

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Johann Gottfried Herder

A Francoforte Johann soffrì di coliche, vomitò sangue e dovette subire anche un intervento chirurgico al collo; il giovane Goethe non pensò di poter vivere a lungo e si aprì all'influsso religioso pietistico della madre e della sua amica Susanna Katharina von Klettenberg, una signora quarantacinquenne che egli avrebbe ricordato affettuosamente in Poesia e verità, e nelle Confessioni di un'anima bella. Fu un breve periodo in cui, oltre a partecipare, in verità senza entusiasmo, a pratiche devozionali, lesse la Storia della Chiesa e degli eretici di Gottfried Arnold insieme con l'ascetica Imitazione di Cristo. Interessandosi anche di occultismo e astrologia occidentale, Goethe fu sempre anticonfessionale, pur guardando con simpatia e interesse alla ricerca spirituale, e si definì un eretico che i cristiani avrebbero volentieri messo al rogo.
Con il ritorno della buona salute tornò anche il tempo di riprendere gli studi universitari; a Strasburgo avrebbe potuto imparare bene il francese e studiare in una università di cultura tedesca: così, partito alla fine del marzo 1770, il 2 aprile Johann giunse a Strasburgo. Qui si fece molti amici, come Johann Heinrich Jung-Stilling, che scrisse La giovinezza di Heinrich Stilling, e il futuro drammaturgo Jakob Michael Reinhold Lenz; all'inizio dell'estate visitò con due amici l'Alsazia e la Lorena. Conobbe e subì l'influenza di Johann Gottfried Herder, letterato e filosofo già noto, il quale, al termine di un suo viaggio in Francia, era stato costretto a soffermarsi in settembre a Strasburgo per un'operazione agli occhi. Per un ammiratore della poesia popolare (Volkspoesie) come Herder, Goethe compose il lied Rosellina della landa, gabellandoglielo come autentica poesia popolare, e ne ascoltò le tesi sullo spirito nazionale tedesco elaborandole in scritti su Shakespeare e sull'architettura gotica: «l'architettura tedesca», scrisse Goethe, «la nostra architettura, mentre gli italiani non ne hanno alcuna da vantare come propria e ancor meno i francesi».

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Casa di Goethe a Strasburgo

Coevo di Maria Antonietta, non solo fu presente alla sua parata nuziale a Strasburgo nel 1770, ma fu anche un importante testimone dell'allestimento del padiglione temporaneo realizzato per la cerimonia di consegna. Nella sua opera Poesia e Verità descrisse dettagliatamente l'edificio e raccontò la sua emozione nell'intravedere la principessa imperiale dietro i finestrini della sua carrozza dorata.
Lesse con interesse i romanzi inglesi di Goldsmith, Fielding e Sterne e si interessò a un personaggio storico, Götz von Berlichingen, e a un personaggio di fantasia che attraverso di lui ottenne poi una fama immortale, il Dottor Faust. Nella primavera del 1771, nel vicino paese di Sessenheim, ebbe un'impegnativa relazione amorosa con Friederike Brion, figlia di un pastore protestante. La relazione gli ispirò diverse liriche, come Willkommen und Abschied (Benvenuto e addio), Maifest (Festa di maggio), Ob ich dich liebe, weiß ich nicht (Non so se ti amo) e Jetzt fühlt der Engel (Ora l'angelo sente). Nell'estate dello stesso anno Johann presentò la dissertazione che avrebbe dovuto procurargli la laurea, ma poiché questa venne respinta, egli non poté ottenere il titolo di dottore in legge. In sostituzione, il 6 agosto 1771, presentò alcune tesi di diritto che, approvate, gli valsero il titolo inferiore di Licentiatus juris. Salutò Friederike, che avrebbe rivisto a Sessenheim amichevolmente otto anni dopo, e ritornò a Francoforte.

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Götz von Berlichingen

Tornato a Francoforte, la città nido, scrisse: «nidus, buono a covarci uccellini ma in senso figurato, spelunca, un tristo paesucolo. Dio ci scampi da tanta miseria. Amen». Il 28 agosto 1771, giorno del suo ventiduesimo compleanno, Goethe ottenne il permesso di esercitare la professione di avvocato, che però avrebbe abbandonato da lì a quattro anni. Continuò a scrivere, in quegli anni, seguendo la nuova corrente dello Sturm und Drang, la nuova poetica preromantica della Tempesta e Impeto (dal dramma omonimo di Friedrich Maximilian Klinger). Scrisse poi che in quegli anni «giovani geniali vennero improvvisamente alla ribalta con grandissimo coraggio e presunzione, com'è peculiare a quell'età, e impiegando le loro energie produssero molte cose buone, donarono molta gioia ma, abusandone, diedero molti dispiaceri e provocarono parecchi guai».
Il frutto di Goethe fu la storia drammatizzata, in prosa, Die Geschichte Gottfriedens von Berlichingen mit der eisernen Hand (Storia di Goffredo di Berlichingen dalla mano di ferro), compiuta alla fine del 1771 che, rielaborata alla fine del marzo 1773, fu pubblicata anonima nel giugno successivo con il titolo Götz von Berlichingen mit der eisernen Hand. Ein Schauspiel. Testo di lettura da non rappresentare in teatro, fu pubblicato con autorizzazione di Goethe nel 1787; Goethe vi ritornerà ancora nel 1804 per adattarla al teatro e la prima rappresentazione fu data a Weimar il 22 settembre 1804.
Tratto dall'autobiografia dello stesso Götz, scritta nel 1562 e nota a Goethe in un'edizione del 1731, è la vicenda di un piccolo feudatario tedesco che si ribella ai potenti schierandosi con i contadini in rivolta contro l'Impero nella guerra del 1525; Goethe rappresenta la tragedia dell'onestà e della lealtà cavalleresca - in un'epoca in cui la cavalleria era decaduta ad attività di ladrocini, di sopraffazioni e di arbitrii - che soccombono contro la viltà, la corruzione e l'adulazione. Ma è anche la denuncia delle condizioni miserabili di una società che impedisce alle persone di ingegno di realizzarsi, e opprime e si oppone alla virtù.
In realtà Goethe, che segue la concezione möseriana dell'epoca feudale classica come "epoca della libertà", non comprende né la natura reazionaria della rivolta dei nobili né la natura progressista della rivolta dei contadini, ma individua correttamente il processo storico che trasforma i cavalieri in nobili di corte di Stati assolutisti.
A Wetzlar
A maggio del 1772, dietro consiglio del padre, Johann si trasferì nella cittadina di Wetzlar, dove era stata istituita la Corte imperiale di giustizia, un tribunale presso il quale si iscrisse il 23 maggio come praticante. Naturalmente non si occupò di faccende legali: preferì frequentare la taverna del "Principe ereditario", dove conobbe, fra tanti, Karl Wilhelm Jerusalem, figlio di un noto teologo, giovane intellettuale inquieto, innamorato di una donna sposata, e l'avvocato Johann Christian Kestner, del quale si conosce un interessante giudizio sul giovane e ancora sconosciuto Goethe:

«Ha molti talenti, è un vero genio e un uomo di carattere, ha un'immaginazione straordinariamente viva, per cui si esprime per lo più con immagini e similitudini. Nei suoi affetti è impetuoso, tuttavia spesso sa dominarsi bene. Il suo modo di pensare è nobile. Libero da pregiudizi quanto più è possibile, agisce come gli viene in mente, senza curarsi di quel che pensano gli altri. Ogni costrizione gli è infatti odiosa. Ama i bambini ed è molto bravo a trattarli. È bizzarro e nel suo modo di fare, nell'apparenza esteriore, ha diverse cose che potrebbero renderlo sgradevole ma gode di molto favore fra i bambini, le donne e molti altri ancora. Ha moltissima stima del sesso femminile. I suoi principi non sono ancora molto saldi, non è quello che si può definire un ortodosso, ma non per orgoglio o per capriccio o per darsi delle arie. Non ama turbare negli altri la tranquillità delle loro convinzioni. Odia lo scetticismo, aspira alla verità e alla chiarezza su alcune materie principali e crede anche di avercela, questa chiarezza sulle cose importanti. Ma secondo me, non la possiede ancora. Non va in chiesa, non si comunica, prega raramente: "non sono abbastanza simulatore per farlo", dice. Della religione cristiana ha molto rispetto, ma non nella forma presentata dai teologi. Crede in una vita futura, in una condizione migliore. Aspira alla verità, ma preferisce sentirla più che darne una dimostrazione. Ha già fatto molto e ha dalla sua molte conoscenze e molte letture; ma è più quello che ha pensato e ha ragionato. La sua occupazione principale consiste nelle belle arti e nelle scienze o meglio, in tutte le scienze, tranne quelle che ci procurano il pane... insomma, è un uomo assai notevole.» (Johann Christian Kestner, da una lettera all'amico Hennings, autunno 1772)

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Charlotte Buff

Kestner era fidanzato con una ragazza, Charlotte (o Lotte) Buff che, egli scrisse, «non è una bellezza straordinaria ma è quello che si dice una bella ragazza e a me nessuna è mai piaciuta più di lei», mentre Goethe, che la conobbe il 9 giugno e la frequentò quasi giornalmente, la definì una «di quelle che sono fatte, se non per ispirare passioni violente, certo per suscitare la simpatia generale».
L'insistente assiduità della presenza di Goethe provocò la reazione di Lotte che, il 16 agosto, gli dichiarò che egli «non può sperare altro che amicizia» e l'11 settembre 1772 Goethe lasciò Wetzlar. A Francoforte, ricevette da Kestner la notizia che il comune amico Jerusalem si era ucciso il 30 ottobre; nella vicenda vi era tutto l'intreccio del prossimo romanzo I dolori del giovane Werther.

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Leggendo il Werther, dipinto di Wilhelm Amberg, 1870

Napoleone, nel noto incontro a Erfurt nel 1808, fece rilevare a Goethe proprio la mancata separazione, in Werther, fra ambizione e amore; e infatti Napoleone seppe ben distinguere, nella sua vita, la necessità della realizzazione del successo politico da quella del sentimento privato: in quanto non diviso dalla realtà di una società ben più matura, egli aveva ben chiara tale distinzione, da lui vissuta nella scissione della propria coscienza. Werther ha invece una coscienza indivisa proprio perché egli vive separato dalla realtà; per continuare a vivere, egli avrebbe dovuto "uccidere la sua coscienza", avrebbe dovuto "morire nella propria coscienza" per poter vivere senza sofferenze nella realtà.
Il successo di questo romanzo epistolare, scritto di getto dal febbraio al marzo 1774, fu straordinario e fu anche pretesto di non poche funeste imitazioni; lo stesso Goethe assistette al recupero del cadavere di una ragazza suicidatasi a Weimar con in tasca il romanzo. La maggior parte dei lettori credette di ravvisare in Werther, come scrisse il Croce, «l'apologia della passione e ragione, la protesta contro le regole, i pregiudizi e le convenzioni sociali» non vedendo invece la sostanza reale, la rappresentazione di una malattia, che non è tuttavia la malattia psichica di un individuo, ma è la malattia della Germania dell'epoca. Al tempo in terra tedesca, ancora lontana dagli ideali di libertà e autodeterminazione francesi o americani, il disagio e la ristrettezza dovuti alla condizione di cittadino rinchiuso tra le mura di mille staterelli era sentore comune tra le classi medio-alte. Werther, come borghese, ne è l'esempio ma anche al contempo la parodia: lo scopo di Goethe era infatti quello di mettere in ridicolo questo atteggiamento di passività fisica e mentale, cosa che non fu pienamente capita dai lettori meno attenti. In molti casi, la sottile ironia del maestro tedesco, soprattutto un'errata e affrettata interpretazione, finì per portare molti giovani di buona famiglia al suicidio. Quarant'anni più tardi, in Poesia e verità, Goethe scriverà al riguardo:

«L'effetto di questo libro fu grande, anzi enorme, specialmente perché comparve nel tempo giusto. Perché, come basta una pagliuzza per far scoppiare una mina potente, anche l'esplosione che si produsse nel pubblico risultò così potente perché il mondo dei giovani era già minato e la commozione fu tanto grande perché ciascuno veniva allo scoppio con le sue esigenze esagerate, le sue passioni inappagate e i suoi dolori immaginari.» (Goethe, Poesia e verità, 1811-1833)
A Weimar

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Ritratto di Goethe nella campagna Romana, dipinto di Tischbein

Goethe conobbe Klopstock e il teologo svizzero e appassionato di fisiognomica Johann Caspar Lavater, il quale credeva di individuare nel profilo dei volti il carattere delle persone e, a questo scopo, fece eseguire dal pittore Schmoll diversi ritratti di Goethe. Incontrò anche il filosofo Jacobi, il quale, polemizzando contro Spinoza e qualificandolo come ateo, stimolò Goethe, che pure non amava la filosofia, ad approfondire la conoscenza del filosofo olandese. In seguito Goethe si sarebbe sempre riconosciuto nelle teorie panteiste di Spinoza.
Nel 1775 ebbe un nuovo breve fidanzamento con la sedicenne Lili Schönemann, figlia di un banchiere, ma in ottobre, non sopportando la prospettiva di un vincolo matrimoniale, ruppe con lei e il 7 novembre giunse a Weimar come precettore del diciottenne Carlo Augusto, duca di Sassonia-Weimar-Eisenach, che governava uno staterello formato unicamente dalla capitale Weimar, cittadina di 6.000 abitanti, dalla città universitaria di Jena e da alcune "ville di delizia".
Nel 1776 Goethe divenne membro del Consiglio segreto: il 6 settembre 1779 venne nominato consigliere segreto e confessò: «mi sembra meraviglioso raggiungere, come in un sogno, a trent'anni, il più alto grado onorifico che un cittadino tedesco possa ottenere». Il 10 aprile 1782 ottenne il titolo nobiliare dall'imperatore Giuseppe II. Nel frattempo scrisse il dramma Stella.

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Charlotte von Stein, grande amica di Goethe

Gli anni che vanno dal 1776 al 1788 furono segnati dall'amicizia con Charlotte von Stein, donna che si impegnò a educarlo ai compiti che lo avrebbero atteso come precettore e poi come consigliere del duca. La von Stein dovette innanzitutto trasformare l'illustre poeta in un uomo di mondo, poi ridurre il viziato idolo del momento in un uomo rispettoso delle regole di vita esistenti nel ristretto e selezionato ambiente in cui viveva la duchessa Anna Amalia. Questi insegnamenti di equilibrio, misura e autocontrollo, che furono la base della sua evoluzione, vennero ben accettati da Goethe, pur costandogli considerevoli sforzi e sacrifici.
Nel 1777 morì la sorella Cornelia. Johann visitò la zona dello Harz e cominciò il Wilhelm Meister. Nel 1778 fece un viaggio a Berlino e cominciò a scrivere l'Ifigenia in Tauride (Iphigenie auf Tauris), completata nella versione in prosa l'anno successivo. Studiò mineralogia, anatomia, osteologia, geologia e botanica e, nel 1782, anno di morte del padre, si trasferì in una nuova e definitiva casa.
I primi dieci anni trascorsi a Weimar, caratterizzati da una certa povertà nella produzione poetica, mostrarono soprattutto questa sua lenta trasformazione. Vi furono opere ancora improntate alla sua poesia precedente, come, per esempio, I canti di Mignon inclusi nel Wilhelm Meister, le due ballate Il pescatore (Der Fischer) e Il re degli elfi (Erlkönig), e lo stupendo Canto notturno del viandante (Wanderers Nachtlied), poesia nella quale l'anima del poeta lentamente si sostituisce al cuore capriccioso che aveva dominato la produzione precedente.
La ricerca della verità ultima dell'anima dominò altre composizioni; scrisse infatti il Canto degli spiriti sopra le acque (Gesang der Geister über dem Wasser, che fu poi musicato da Franz Schubert), i Limiti dell'umano (Grenzen der Menschheit) e Il divino (Das Göttliche). In quel periodo (dal 1777 al 1785) Goethe compose anche il romanzo La missione teatrale di Wilhelm Meister (Wilhelm Meisters theatralische Sendung), in questa prima versione ritrovato e pubblicato solo nel 1911. Quegli anni, inoltre, lo videro impegnato su diversi fronti come consigliere ministeriale per gli affari militari, per la viabilità, per le miniere e la pubblica amministrazione.
Durante il suo soggiorno a Weimar, Goethe fu iniziato alla massoneria nella loggia «Amalia» il 23 giugno 1780.[16] Un anno dopo, il 23 giugno 1781, diventò «Compagno», «Maestro» il 2 marzo 1782, con il duca Carlo Augusto di Sassonia-Weimar-Eisenach, che era un suo amico e protettore. Il 4 dicembre 1782 ricevette il quarto grado scozzese della «Stretta Osservanza» e l'11 febbraio 1783 aderì agli «Illuminati».
Fu anche sovrintendente ai musei, e - come si è detto - nel 1782 venne insignito del titolo nobiliare. Quel periodo di radicali cambiamenti, e senza dubbio negazione di sé, finì quando Goethe, nel 1786, all'insaputa di tutti, fuggì in Italia.

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Il giardino di Goethe a Weimar


Goethe in Italia

Nel 1786 Goethe, a 37 anni, intraprese il suo primo viaggio in Italia, durato quasi due anni: arrivò a Trento il 10 settembre e poi continuò il suo viaggio verso Rovereto e Torbole.

«Eccomi a Rovereto, punto divisorio della lingua; più a nord si oscilla ancora fra il tedesco e l'italiano. Qui per la prima volta ho trovato un postiglione italiano autentico; il locandiere non parla tedesco, e io devo porre alla prova le mie capacità linguistiche. Come sono contento che questa lingua amata diventi ormai la lingua viva, la lingua dell'uso!» (Viaggio in Italia, 1829)

Entrato nel territorio della Repubblica di Venezia si fece malaccortamente sorprendere a Malcesine mentre redigeva uno schizzo del castello. Fu quindi sospettato di essere una spia e tratto in arresto, per essere poi liberato appena venne confermata la sua identità.

Il lago di Garda gli fece una grandissima impressione, in quanto il clima mediterraneo, gli uliveti e gli agrumi del Benaco gli schiudevano un nuovo mondo e quando, poche settimane dopo, giunse a Verona, ricchissima di resti romani, il suo entusiasmo salì alle stelle, soprattutto dopo la visita all'Arena.
Dopo Verona, Goethe si spostò dapprima a Vicenza. Qui visitò alcune opere architettoniche di Andrea Palladio, lodando l'artista, e Villa Valmarana ai Nani, elogiando il Tiepolo.

Il 28 settembre, alle cinque di sera, Goethe arrivò a Venezia e, alla vista di una gondola, lo scrittore rammentò un modello in miniatura che il padre aveva portato dal suo viaggio in Italia. Qua si fermò per 16 giorni dove, oltre alle opere artistiche, tra cui i Cavalli di San Marco, si divertì molto a vedere nei teatri gli spettacoli della Commedia dell'arte; inoltre si fece portare al Lido di Venezia, dove per la prima volta vide il mare.

Proseguì quindi per Roma e soggiornò in via del Corso 18 dove oggi c'è il museo la Casa di Goethe e riscrisse Ifigenia in Tauride in versi, poi nel febbraio-giugno 1787 arrivò a Napoli, dove si fermò più di un mese. In città soggiornò presso Palazzo Filangieri d'Arianello (dove è ora presente anche una targa in suo onore) e Palazzo Sessa, all'epoca sede dell'Ambasciata inglese nel Regno di Napoli.
A Napoli conobbe Jakob Philipp Hackert e Gaetano Filangieri. Salì per due volte sul Vesuvio in eruzione, visitò Pompei, Ercolano, Portici, Caserta, Torre Annunziata, Pozzuoli, Salerno, Paestum e anche Cava de' Tirreni, città da cui rimase particolarmente affascinato. Sbarcò poi in Sicilia, visitando Palermo, Segesta, Selinunte e Agrigento, passando per Caltanissetta, quindi sul versante est a Catania, Taormina e Messina. Ne rimase estasiato, affermando alla fine del suo lungo viaggio:

«L'Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. […] La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l'unità armonica del cielo con il mare e del mare con la terra […] chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita.»

Dopo un secondo soggiorno a Napoli rientrò a Roma e infine il 18 giugno 1788 a Weimar, dopo aver trascorso due anni di piena felicità, nel duplice appagamento dei sensi e dello spirito, grazie all'amore e all'incanto della civiltà antica. Il paesaggio, l'arte e il carattere del popolo italiano incarnarono il suo ideale di fusione di spirito e sensi. Qui egli riuscì a dare la forma definitiva a quella Ifigenia in Tauride che, scritta in prosa, trovò il suo compimento nel Blank verse o "pentapodia giambica". Durante il suo soggiorno di più di un anno a Roma commissionò allo scultore di Sciaffusa Alessandro Trippel il proprio famoso busto marmoreo.
La Ifigenia venne giudicata il vangelo del moderno umanesimo. Questo dramma, come tutti i drammi di Goethe, fu una tragedia solo in potenza, infatti Ifigenia avrebbe salvato il fratello dalla follia e Toante dall'ingiustizia, ma, soprattutto, grazie alla propria forza morale, avrebbe trionfato sul destino e mantenuto la propria libertà. Un altro esempio di questo peculiare intendere il dramma, fu il Torquato Tasso, altra opera portata a termine in Italia (Goethe visitò la cella del Tasso e la casa di Ludovico Ariosto a Ferrara e gli antichi palazzi degli Estensi), nel quale lo scrittore tedesco celebrò nel poeta italiano il proprio demone giovanile.
Al ritorno a Weimar trovò una fredda accoglienza. Rinunciò a quasi tutti gli incarichi e si legò stabilmente a Christiane Vulpius, una semplice fioraia. Dei cinque figli avuti con lei, solo August sarebbe sopravvissuto.
La pubblicazione delle Elegie romane (Römische Elegien), racconto del periodo italiano, suscitò indignazione per i suoi aspetti sensuali e licenziosi. Studiò anatomia e ottica.

Nel 1790 fece un breve viaggio a Venezia che gli ispirò gli Epigrammi veneziani (Venezianische Epigramme). Scrisse la Metamorfosi delle piante (Versuch die Metamorphose der Pflanzen zu erklären) e i Saggi sull'ottica. Nel 1792 assistette alla battaglia di Valmy e l'anno successivo all'assedio di Magonza. Poi pubblicò, senza successo, La volpe Reinardo (Reineke Fuchs), poema animalesco. Non condivise gli ideali della rivoluzione francese, fu invece ammiratore di Napoleone, pur avendo capito che era un tiranno, che ebbe modo di conoscere nel 1808.
L'insieme degli eventi chiuse Goethe in una sorta di isolamento sociale, ma soprattutto spirituale. La consapevolezza di essere incompreso e la dolorosa coscienza della propria momentanea aridità poetica lo portarono al disprezzo e rifiuto di tutto ciò che fosse lontano dal proprio modo di pensare. La crisi di quegli anni fu gravissima, ma, come già in passato, nel 1794, la comparsa e l'amicizia di un uomo come Friedrich Schiller lo salvò da tale situazione. Dal 1794 si dedicò principalmente alla letteratura. Nel 1808 uscì l'edizione Opera omnia in 12 volumi, ma ancora doveva pubblicare Le affinità elettive (Die Wahlverwandschaften), la Teoria dei colori (Zur Farbenlehre) e molto altro, tanto che nel 1826 cominciò l'edizione completa in 40 volumi.
Nel 1814 incontrò Marianne von Willemer. Nel 1817 assistette al matrimonio del figlio August con Ottilie von Pogwisch, dalla quale ebbe poi tre figli che Goethe poté conoscere. Intorno agli anni 1821-1823 amò (dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1816) una certa Ulrike von Levetzow, di 55 anni più giovane di lui.
Negli ultimi anni conobbe e si affezionò al giovane Felix Mendelssohn, allora poco più che ventenne, che lo venerava e poté abbellire le sue ore con la musica e la colta conversazione.
Dopo una vita di straordinaria fecondità creativa, morì nel 1832 a Weimar, probabilmente per un attacco cardiaco. Le sue spoglie riposano nella Cripta dei Principi nel cimitero storico di Weimar.
Anche se la questione è assai controversa, le sue ultime parole, divenute comunque famosissime, sarebbero state: Mehr Licht («Più luce»), quasi a conferma della sua convinzione che, se a un uomo vivo è inconcepibile la propria morte, allora la nostra vita non finirà. Tuttavia per altri la frase avrebbe una spiegazione molto più prosaica: Goethe chiedeva semplicemente che gli si aprisse la finestra.
Importanza storica
L'importanza di Goethe nel XIX secolo fu enorme. Per molti aspetti, fu l'iniziatore di molti concetti e idee che sarebbero con il tempo divenuti familiari a tutti. Goethe produsse volumi di poesia, saggi, critiche e lavori scientifici, inclusa una teoria sull'ottica e ricerche anticipatrici della teoria evolutiva e linguistica. Era affascinato dai minerali e dalla mineralogia; il minerale goethite prende nome da lui. Come filosofo e scrittore fu una delle figure chiave della transizione dall'Illuminismo al Romanticismo.

La seguente lista di lavori chiave può dare il senso dell'impatto che la sua opera ha sul suo e sul nostro tempo.

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Monumento di Goethe a Lipsia

Il romanzo epistolare I dolori del giovane Werther, pubblicato nel 1774, narra una triste storia d'amore che si conclude con un suicidio. Goethe ammise di aver "ucciso il suo eroe per salvare se stesso". Il romanzo è tuttora in stampa in dozzine di lingue. Da quest'opera trasse ispirazione Ugo Foscolo per il romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Il poema epico Faust fu composto a intervalli, e pubblicato integralmente soltanto postumo. La prima parte fu pubblicata nel 1808 e suscitò grande impressione. La prima versione operistica musicata da Spohr apparve nel 1814, e divenne l'ispirazione per le opere di Charles Gounod, Hector Berlioz, Arrigo Boito e Ferruccio Busoni, i poemi sinfonici di Richard Wagner e Franz Liszt, Gustav Mahler, nonché per la cantata per soli, coro e orchestra. La trama essenziale del "vendersi l'anima al diavolo" in cambio di potere nel mondo terreno assunse importanza crescente e divenne una metafora del trionfo della tecnologia e della rivoluzione industriale con tutto il suo fardello di umane sofferenze. L'opera poetica di Goethe fu modello per un intero movimento poetico tedesco detto Innerlichkeit (introversione), rappresentato per esempio da Heine. Le opere di Goethe ispirarono molti compositori, fra i quali Mozart, Tomášek, Beethoven, Schubert, Brahms e Wolf.
Le affinità elettive (in tedesco: Die Wahlverwandtschaften) fu pubblicato nel 1809. Il titolo deriva dall'affinità chimica, proprietà degli elementi chimici che descrive la tendenza di alcuni di essi a legarsi con alcune sostanze a scapito di altre. Il romanzo racconta la vita di una coppia sposata che, trovandosi a convivere con un amico di lui e con la nipote di lei, va incontro al disfacimento della propria relazione e alla formazione di due nuove coppie, che in brevissimo tempo si divideranno per colpa di una serie di eventi avversi, che faranno terminare la storia in modo tragico.
Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (titolo originale Wilhelm Meisters Lehrjahre) fu pubblicato per la prima volta fra il 1795 e il 1796. Il romanzo è suddiviso in otto libri, a loro volta suddivisi in capitoli. Goethe iniziò a lavorare a questo romanzo dopo essere ritornato dal viaggio in Italia. Prima di questo viaggio aveva realizzato La missione teatrale di Wilhelm Meister (Wilhelm Meisters teatralische Sendung): i primi libri degli Anni di apprendistato riprendono la trama della Missione, ma lo stile e le concezioni di fondo sono totalmente diverse. Goethe, di ritorno dal Grand Tour che avrebbe dato spunto a Viaggio in Italia, è giunto ad una maturazione estetica e intellettuale che si riflette nel romanzo. Goethe ritornerà sul personaggio Meister in un altro romanzo, Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister (Wilhelm Meisters Wanderjahre), che vedrà il protagonista diventare medico, professione filantropica per eccellenza.
L'influenza di Goethe fu capitale perché rappresentò la transizione e il mutamento della sensibilità europea, un aumentato interesse per la sensualità, l'indescrivibile e l'emozionale. Ciò non vuol dire che Goethe fosse iperemotivo o sensazionalista, al contrario: predicava la moderazione e percepiva l'eccesso come una malattia. "Non vi è nulla di peggiore dell'immaginazione senza gusto". Argomentò che la legge scaturisce dalle profondità dello spirito di un popolo e dalla terra in cui vive, e che quindi anche le leggi più avvedute non possono sempre essere imposte dall'alto: una tesi che lo mise in opposizione diretta con coloro che cercavano di costruire monarchie "illuminate" basate su leggi "razionali", per esempio Giuseppe II d'Austria o, più tardi, Napoleone imperatore dei francesi.
Questa sensibilità avrebbe con il tempo costituito la base delle rivoluzioni liberali del XIX secolo. Ciò lo rende, insieme con Adam Smith, Thomas Jefferson, Ralph Waldo Emerson e Ludwig van Beethoven, una figura fondamentale dei due mondi culturali, dell'Illuminismo come del Romanticismo: da un lato, seguace del gusto, dell'ordine e del dettaglio cesellato che è il marchio di fabbrica dell'Età dei Lumi e del periodo neoclassico in architettura, dall'altro, vòlto alla ricerca di una personale e intuitiva forma di espressione.
Tra i grandi eredi della scrittura e del pensiero goethiano nella letteratura tedesca dell'Ottocento va citato senz'altro Friedrich Nietzsche e per il Novecento il romanziere Thomas Mann e il poligrafo Ernst Jünger.
Goethe scienziato
Come già accennato, Goethe era animato anche da profondi interessi di natura scientifica, riguardanti in particolare la morfologia, la botanica, la zoologia, la mineralogia, la meteorologia, l'ottica, che egli indagò con un suo metodo peculiare, contrapposto a quello tradizionale della scienza newtoniana, da lui giudicata astratta e unilaterale,[25] pervenendo tra l'altro a scoperte anatomiche di una certa rilevanza come quella dell'osso intermascellare.
Lo spettro luminoso, dalla Teoria dei colori: Goethe osservò che facendo passare un raggio attraverso un prisma i colori sorgevano solo lungo i bordi tra la luce e il buio, e lo spettro si verificava quando i bordi colorati si sovrapponevano. La natura, per Goethe, va indagata nel suo divenire, a partire dalle idee archetipe originarie (urphänomen) di cui è intessuta, e che si evolvono progressivamente come un organismo manifestandosi nella concretezza dei fenomeni particolari: tali sono per esempio l'idea della pianta-tipo illustrato nella Metamorfosi delle piante, che genera l'infinita varietà e molteplicità degli organismi vegetali a seconda delle differenti condizioni ambientali in cui si imbatte; oppure la luce, che incontrandosi con i fenomeni dell'oscurità dà luogo alla varietà dei colori percepibili ordinariamente con il senso della vista.
La convinzione che sia l'idea a operare nei fenomeni, e non la materia o gli atomi, lo portò a scontrarsi con la mentalità del mondo scientifico del suo tempo, che non ammetteva che un poeta potesse essere considerato uno scienziato. La distanza che separò Goethe dalla scienza moderna, di stampo newtoniano, fu rimarcata da Gottfried Benn con le seguenti parole: «Da Omero a Goethe c'è un'ora sola, da Goethe a oggi ventiquattro ore, ventiquattro ore di trasformazione.» (Gottfried Benn, Doppia vita, Sugar, 1967, p. 129)

Goethe non vedeva alcuna incompatibilità tra arte e scienza, ritenendo anzi che quest'ultima fosse «uscita dalla poesia»: entrambe le discipline, infatti, si propongono di rivelare in forma più compiuta e comprensibile quei modelli e archetipi che si nascondono alla percezione dei sensi, e possono essere dischiusi dallo scienziato solo mediante un'osservazione attiva, cioè una disposizione d'animo intuitiva che normalmente si attribuisce all'artista.
Il metodo della scienza goethiana verrà accolto e integrato nella disciplina spirituale dell'antroposofia fondata agli inizi del Novecento da Rudolf Steiner, il quale sosterrà che Goethe aveva raggiunto «concezioni fondamentali per la scienza dell'organico che hanno la stessa importanza delle leggi fondamentali di Galileo per quella dell'inorganico».[28]
Filosofia e religiosità di Goethe

«La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti.» (Goethe, da Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister)

Goethe fu anche portatore di una sua visione filosofica del mondo, che egli tuttavia non tradusse mai in un sistema compiuto di pensiero, ma lo spinse a ricercare nei filosofi del suo tempo, o a lui precedenti, quei concetti in grado di esprimere ciò che sentiva: egli li trovò dapprima in Giordano Bruno, per il quale la ragione universale è l'«artista interiore» che plasma e permea l'universo in ogni sua parte. In seguito si rivolse a Spinoza e alla sua concezione della divinità immanente al mondo, da ricercare all'interno di questo: le leggi della natura non sono soltanto una creazione di Dio, ma costituiscono la Sua stessa essenza.
Goethe non poté invece trovare in Kant alcuna affinità, ritenendo che costui eludesse il vero problema della conoscenza, poiché si occupava del modo in cui la realtà risulta apparirci e non di come essa fosse oggettivamente. Maggiore fonte di ispirazione trovò in Schiller, che lo spinse a vedere nel "tipo" della pianta o dell'animale, che Goethe chiamava entelechìa, l'"Idea" in senso filosofico. Goethe poté così venire attratto dagli esponenti dell'idealismo tedesco, soprattutto dal giovane Schelling, da cui apprese l'importanza di risalire dalla natura quale mero prodotto (natura naturata) alla natura creante (natura naturans) in via di divenire, e quindi da Hegel e dal suo tentativo di ricostruire il processo dialettico che dall'Assoluto conduce al dato finito.
Comune alla mentalità filosofica del Romanticismo, che egli stesso contribuì a forgiare, è la consapevolezza di Goethe che la natura è un organismo vivente, una totalità organizzata unitariamente, che si evolve in particolare attraverso l'alternanza di due forze: una di sistole, cioè di concentrazione in un'entità individuale, e una di diastole, ossia di espansione illimitata. Si tratta di un approccio contemplativo al divino, non però di tipo mistico, né fideistico nel senso religioso tradizionale, perché non esclude la riflessione e la possibilità di una conoscenza chiara e trasparente delle forme in cui si rivela la divinità. Questa va ricercata non nell'ultramondano, ma restando all'interno della natura, che è «la veste vivente della divinità», a partire dalle sue espressioni immediate.

«Il Vero è simile al Divino: non appare mai immediatamente; noi dobbiamo indovinarlo dalle sue manifestazioni.» (Goethe, Detti in prosa, 1819)

La religiosità da cui era profondamente pervaso si conciliò pertanto raramente con il cristianesimo protestante in cui era stato educato, sebbene Goethe rispettasse i riti di qualsiasi credo. Fece battezzare i suoi figli e non si pose mai in aperta ostilità con la Chiesa. Nel Faust mostra di conoscere la Bibbia e di essere esperto in questioni teologiche. Attribuiva a Gesù Cristo una grandezza «di natura così divina come mai più il divino è apparso su questa terra». Franz Rosenzweig lo definì «il primo cristiano come Cristo l'ha voluto».
Sempre nel Faust Goethe si dimostra attento al sentire religioso di Margherita, preoccupata di sapere se il suo amante onorasse i sacramenti, pur ricevendo da lui risposte elusive: «Amore, chi può dire: "Io credo in Dio?" Domandalo pure ai saggi o ai preti, e la risposta sembrerà solo prendere in giro chi l'ha domandato». Nel suo viaggio in Italia, Goethe provò una spontanea simpatia per la religione cattolica, al punto da affermare: «Come sono contento ora di addentrarmi completamente nel cattolicesimo e di conoscerlo in tutta la sua vastità!». Dall'altro lato si accrebbe in quell'occasione la sua avversione per le reliquie e la venerazione dei santi, con l'eccezione di san Filippo Neri, del quale apprezzò l'umorismo, definendolo il «santo spiritoso».
Goethe provò interesse anche per la religiosità pagana dell'antichità greca e romana, attratto dalla sua esperienza del divino nelle forme della natura tradotte in sembianze antropomorfiche; nel gennaio del 1813 scriverà:

«Come poeta, io sono politeista; come naturalista, io sono panteista; come essere morale, io sono teista; e ho bisogno, per esprimere il mio sentimento, di tutte queste forme.» (Goethe, cit. in Nuova antologia di lettere, scienze ed arti, vol. 188, p. 113, Direzione della Nuova Antologia, 1903)

Tra le religioni di cui Goethe subì il fascino non mancò l'Islam, al punto che dopo aver letto il Corano per la prima volta nel 1772, consigliato da Johann Gottfried Herder, suo mentore a Strasburgo, compose i frammenti di una tragedia, Mahomet, che ha per protagonista Maometto, e da cui pubblicherà, riadattandolo, il Canto a Muhammad. Goethe in seguito tradusse, per il teatro di Weimar, il Mahomet di Voltaire, dal quale ometterà i passaggi più critici nei confronti di Maometto, ma l'opera in cui ricorrono le influenze islamiche più evidenti è il Divano Occidentale-Orientale, dove oltre al Corano, egli mostra di conoscere approfonditamente gli Hadith, nonché la letteratura mistica araba e persiana.

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Una manifestante di Occupy Wall Street innalza un cartello con una massima di Goethe sulla libertà: "Nessuno è più inesorabilmente schiavo di coloro che falsamente credono di essere liberi".

L'esoterismo di Goethe
Nella religiosità di Goethe confluiscono in ogni caso anche concezioni esoteriche, che pur allontanandolo dalla credulità popolare, lo inducono piuttosto a vedere nella fede di ognuno il momento di un percorso progressivo, che consiste in un'evoluzione della natura, e di cui l'uomo libero rappresenta la meta finale. Pochi giorni prima di morire confidò al suo amico Johann Peter Eckermann:

«Se mi si chiede se appartenga o no alla mia natura esprimere di fronte a Cristo rispetto e adorazione, io rispondo: assolutamente! Mi inchino davanti a Lui come alla rivelazione divina del più alto principio della moralità. Ma se mi si domanda se sia nella mia natura venerare il Sole, rispondo anche: certamente! [...] In esso adoro la luce e la forza procreatrice di Dio. [...] Se qualcuno poi mi domanda se io sarei disposto a inchinarmi davanti all'osso del pollice dell'apostolo Pietro o Paolo, rispondo: risparmiatemi! e lasciatemi in pace con codeste assurdità.» (Goethe, da una conversazione avvenuta con Johann Eckermann l'11 marzo 1832[44])

L'esoterista Rudolf Steiner, che si occupò a lungo delle sue opere, afferma che Goethe era un «iniziato inconsapevole», in quanto molte di esse confermerebbero il possesso di conoscenze sul mondo spirituale. Il testo contenente espliciti contenuti ermetici, e presumibilmente massonici, è la favola del Serpente verde, densa di allusioni all'alchimia, ma costanti sono nei suoi scritti i riferimenti agli studi sull'astrologia, sull'occultismo, e in generale al mistero che egli continuamente presagiva.

«Siamo avvolti nei misteri […] in particolari circostanze le antenne della nostra anima possono andare al di là dei nostri limiti corporei […]. È anche probabile che un'anima influisca in maniera decisiva su un'altra attraverso la semplice vicinanza silenziosa. […] Quando ero giovane mi credevo anche circondato da intelligenze superiori e invisibili.» (Goethe, cit. da L'esoterismo di Goethe, di Paola Giovetti)


James McKeen Cattell pone Goethe settimo tra quelli che ritiene essere i più grandi uomini della storia.
Nietzsche lo cita più volte come esempio per l'oltreuomo, mentre Ralph Waldo Emerson lo cita tra i suoi uomini rappresentativi.
Charles Murray, tramite metodi storiometrici e di analisi delle voci enciclopediche, classifica Goethe come secondo scrittore occidentale più influente di sempre, dietro solo a Shakespeare. Nonostante la sua influenza in più campi, non è riuscito a raggiungere la top 20 di altre categorie.
In base all'analisi delle visualizzazioni delle pagine di Wikipedia, il progetto Pantheon 1.0 del gruppo Macro Connections del MIT ha riconosciuto Goethe come il sesto uomo più influente tra quelli nati tra il 1500 e il 1749; il progetto Pantheon 2.0 di Datawheel invece ha riconosciuto Goethe come 62º uomo più influente di sempre, quarto tra gli scrittori e sesto tra i tedeschi.
Numerosi psicologi e ricercatori hanno riconosciuto l'eccezionale intelligenza di Goethe: tra questi ricordiamo Catherine Cox Miles, Maud Merrill e Lewis Terman, Tony Buzan ed Herbert J. Walberg. Nonostante sia impossibile fare test psicometrici sui defunti, a conferma della sua ampia cultura e alta intelligenza verbale Goethe risulta essere l'autore con il più ampio vocabolario di sempre, contando oltre 93.000 termini diversi (circa il triplo di Shakespeare).

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Ritratto di Goethe del 1774

Nella mia età giovanile, ai tenmpi delle ferocissime letture "rivoluzionare per i tempi e per la tradizione familiare", il Werther, Le affinità elettive assieme all'Ortis erano le letture preferite e oggetto di feroci diiscussioni con gli amici.

Opere

Romanzi e novelle

  • Die Leiden des jungen Werthers (I dolori del giovane Werther) - opera del periodo "Sturm und Drang", 1774
  • Wilhelm Meisters theatralische Sendung , 1777-1785
  • Unterhaltungen deutscher Ausgewanderten (Conversazioni di emigrati tedeschi), 1795
  • Wilhelm Meisters Lehrjahre, 1796
  • Novelle (Novella), 1786-1798
  • Die Wahlverwandschaften (Le affinità elettive), 1809
  • Wilhelm Meisters Wanderjahre, 1807-1821

Opere teatrali

  • Die Laune des Verliebten (I capricci dell'innamorato), 1768, dramma pastorale
  • Die Mitschuldigen (I correi), 1769, commedia
  • Götz von Berlichingen, 1773, dramma in prosa
  • Prometheus (Prometeo), 1773, frammento drammatico
  • Ein Fastnachtsspiel vom Pater Brey (La commedia di Padre Brey), 1774, satira
  • Satyros (Satiro), 1774, dramma
  • Clavigo, 1774, tragedia
  • Götter, Helden und Wieland (I numi, gli eroi e Wieland), 1774, farsa
  • Das Jahrmarktsfest zu Plundersweilern, 1774, farsa per marionette
  • Hanswursts Hochzeit (Le nozze di Hanswurst), 1775, farsa
  • Erwin und Elmire (Erwin ed Elmire), 1775
  • Stella, 1776, commedia; 1806, tragedia
  • Die Geschwister (Fratello e sorella), 1776, tragedia
  • Der Triumph der Empfindsamkeit (Il trionfo della sensibilità), 1777, capriccio drammatico
  • Iphigenie auf Tauris, 1787, dramma
  • Egmont, 1775-1788, tragedia
  • Claudine von Villa Bella, 1775-1788, melodramma
  • Lila, 1777-1788, melodramma
  • Torquato Tasso, 1780-1790, dramma
  • Der Groß-Cophta, 1791, commedia
  • Der Bürgergeneral, 1793, tragedia
  • Mahomet der Prophet, 1802,
  • Die natürliche Tochter (La figlia naturale), 1803, tragedia
  • Faust, Parte 1, 1797-1808, opera del periodo della "Weimarer Klassik"
  • Pandora, 1807-1808), tragedia
  • Faust, Parte 2, 1832, opera del periodo romantico

Poemi e poesie

  • Prometeo, 1773, inno
  • Der Erlkönig (Il re degli elfi), 1782
  • Römische Elegien (Elegie romane), 1788-1790
  • Venezianische Epigramme (Epigrammi veneziani), 1790
  • Reineke Fuchs (La volpe Reineke), 1794, epopea animalesca
  • Der Zauberlehrling (L'apprendista stregone), 1797, ballata
  • Arminio e Dorotea, 1798, poema idillico
  • Il divano occidentale-orientale, 1819

Saggi

  • Von deutscher Baukunst (Dell'architettura tedesca), 1773
  • Briefe aus der Schweiz (Lettere dalla Svizzera), 1779
  • Versuch die Metamorphose der Pflanzen zu erklären (La metamofosi delle piante), 1790, saggio scientifico
  • Belagerung von Mainz (L'assedio di Magonza), 1793,
  • Sul dilettantismo, 1799, in collaborazione con Schiller
  • Teoria dei colori, 1810, saggio scientifico
  • Über Kunst und Altertum (Scritti sull'arte e sull'antichità), 1816-1832
  • Scritti postumi, 1832-1833, opere postume

Scritti autobiografici

  • Dalla mia vita. Poesia e verità, 1811-1833
  • Viaggio in Italia, 1816-1817
  • Kampagne in Frankreich 1792 (Campagna di Francia del 1792), 1822

Conversazioni

  • Johann-Peter Eckermann, Gespräche mit Goethe (Conversazioni con Goethe), 1836; II ed. aumentata, 1848. [ricordi di colloqui con Goethe, ricostruiti a memoria, scritti dal suo segretario]

I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER

I dolori del giovane Werther è un romanzo epistolare pubblicato nel 1774. Il Werther (come viene anche riduttivamente chiamato) appartiene all'età giovanile di Goethe ed è considerato opera simbolo del movimento dello Sturm und Drang, anticipando molti temi che saranno propri del romanticismo tedesco. Il romanzo è composto da una serie di lettere che il protagonista invia al suo amico Guglielmo nel corso di 20 mesi (dal maggio 1771 fino alla fine di dicembre dell'anno successivo).
Trama
Libro primo (4 maggio-10 settembre 1771)
Werther, ragazzo ventenne proveniente da una buona famiglia e dotato di ottima cultura, con una particolare passione per il disegno e le opere classiche, si reca in campagna, sia per sistemare alcune questioni familiari, sia per dedicarsi all'otium litterarum (ozio letterario); raggiunto il villaggio di Wahlheim, incomincia a fraternizzare con la comunità locale, e in occasione di un ballo incontra Charlotte, soprannominata Lotte, una ragazza del luogo dotata di bellezza e acume, ma già promessa ad Albert, un giovane funzionario temporaneamente fuori città.
Werther rimane presto stupito dalla grazia e dall'agilità di Lotte quando ha l'occasione di invitarla per un valzer. Nel corso dei giorni successivi scopre sempre più chiaramente di essersene infatuato e approfondisce la confidenza sia con lei, sia con i suoi fratelli minori, che la ragazza accudisce con affetto materno, a causa delle prolungate assenze del padre. Benché Werther conoscesse sin dall'inizio la promessa di matrimonio di Lotte, è solo al ritorno di Albert che incomincia ad accorgersi dell'impossibilità di coronare il crescente desiderio affettivo - sbocciato nel profondo del suo cuore - verso la ragazza. Nonostante ciò riesce a instaurare un sincero rapporto di amicizia anche con Albert, sebbene la reciproca gentilezza venga talvolta ostacolata dalla netta differenza di personalità: Werther di indole irrazionale e sognatrice mentre Albert è un uomo pragmatico, al limite della freddezza, e con una minore apertura mentale. La consapevolezza di non poter amare Lotte produce sconforto e continuo malumore, il che, combinato al suo carattere istintivo, lo porta a diverse ostentazioni della propria impulsività, dalle quali Lotte deduce lo stato di amarezza in cui versa il giovane. Werther a un certo punto, per liberare la sua mente dall'inerzia in cui è precipitato a causa dell'irresolubile pena d'amore, decide di accettare l'offerta del caro amico Guglielmo (con cui fino a quel punto si è sempre interamente confidato) e di abbandonare Wahlheim per recarsi in città e cercar d'incominciare una carriera da diplomatico.
Libro secondo (20 ottobre 1771-6 dicembre 1772)
Dopo poco la città lo delude, a causa delle ipocrisie e dell'indifferenza tipiche dell'alta società con la quale ha a che fare, intrattenendo superficiali quanto necessari rapporti sociali; sceglie quindi d'interrompere tale percorso. Tornato al villaggio, in seguito a un breve periodo di visite a un amico della nobiltà locale, viene a sapere di più di una disgrazia occorsa agli abitanti con cui aveva stretto rapporti di amicizia, ma anche del matrimonio tra Albert e Charlotte; l'evento ha il palese effetto di incrementare l'infelicità di Werther, che più e più volte nelle lettere all'amico Guglielmo si dichiara insoddisfatto della propria vita. Medita di interrompere la propria agonia, prima grazie a un vago progetto di entrare nell'esercito, poi col desiderio di togliersi la vita. Charlotte, a cui non sfuggono il dolore di Werther e il rapporto teso che lui ha con Albert, chiede ripetutamente al giovane di trasformare il loro rapporto in un sentimento di amore platonico e fraterno, un'autentica amicizia e nulla più, assicurando l'amico che ogni infelicità sarebbe scomparsa appena avesse conosciuto un'altra ragazza da amare. Werther, tuttavia, non riesce a liberarsi dall'ossessione per Lotte, tanto da baciarla contro la sua volontà, durante il loro ultimo incontro prima di Natale, in occasione dell'assenza di Albert. Pur forse ricambiando in segreto l'interesse di Werther, Lotte è irrimediabilmente vincolata al marito e non ha altra scelta se non spingere l'amico a lasciare la sua dimora.
L'editore al lettore (considerazioni ed estratti di lettere fino al 22 dicembre 1772)
Il giorno dopo, al ritorno di Albert, arriva una richiesta scritta di Werther di prestargli le sue pistole, con la motivazione di viaggio da affrontare a breve; Albert acconsente ed è Lotte stessa a porgerle, con mano tremante, al servo dell'amico. Il giovane tormentato, dopo aver ultimato i propri impegni, aver fatto un'ultima volta visita ai fratellini di Lotte e aver percorso l'ultima passeggiata in campagna, si ritira nella propria abitazione, dove congeda il proprio servo e finisce di scrivere la lettera d'addio a Lotte. A mezzanotte in punto, Werther si spara alla fronte con una delle pistole prestategli da Albert. Il mattino dopo, il servo entra nella sua stanza e lo trova sanguinante in fin di vita; viene chiamato un medico, mentre accorrono rapidamente amici e autorità locali. Dopo ore di agonia, Werther muore verso mezzogiorno. Nessun prete accompagna il suo corteo funebre, neppure Albert e Charlotte. Vi partecipano invece il padre di lei e i fratelli minori. Werther viene sepolto dagli artigiani locali undici ore dopo la morte in un luogo del villaggio a lui caro, in mezzo a due grandi tigli, come lui stesso ha espressamente richiesto nella sua lettera d'addio.
Personaggi
Werther
Per la stessa struttura del libro, tutto ruota intorno al protagonista: Werther non è mai descritto esplicitamente, ma si crea una sua immagine piuttosto definita già dalle lettere iniziali, ben prima dell'incontro con Charlotte, quasi la sua antitesi. Il giovane è colto e raffinato, ma dimostra ben presto le due caratteristiche che gli impediranno di inserirsi veramente nella società: una decisa insofferenza verso le convenzioni sociali, limite dell'individuo, e una netta propensione a farsi rapire dai sentimenti in maniera assoluta, visione propria del preromanticismo germanico, di cui il Werther è la rappresentazione perfetta, come dirà poi Cesare Dominici : Il Werther non è solo il volto d'un giovine Goethe, ed i suoi occhi non solo ardono e brillano per Lotte, ma egli è anche l'incarnazione letteraria "trascendentale", che guiderà per più d'un secolo il mondo del romanticismo e i poeti all'immortalità dell'amore... "Difatti, forse, la fiamma, che arse il vate tedesco, non era l'amore, ma la consapevolezza che il suo riflesso letterario stesse ed avrebbe cambiato l'umanità, restituendo il volto più nobile alla passione d'amorosi stenti. Inoltre il Goethe ivi mostra, magistralmente e divinamente, come l'amore abbia per sorella la morte e per madre l'immortalità del ciel, poiché nel suo intimo il protagonista avea già perfettamente compreso che la passione che lo guidava, sebbene più volte invochi l'intimità fisica..., non fosse carnale ma iperuranica, poiché Iddio non avea concesso alla loro unione la durata d'un'esistenza, ma la lunghezza d'un bacio nella immortalità". Werther appare come un'anima innocente, che non per niente si trova a suo agio con i bambini, completamente avulsa dalla routine che invece in qualche modo è percepibile in Albert e anche in Lotte. Werther non cerca una vita tranquilla, ma quella felicità totale che solo l'amore potrebbe dargli. Questo aspetto lo rende estremamente fragile, essendo in definitiva legato alle decisioni di qualcun altro, cui ha affidato la sua intera vita. Werther è capace di amare e lo fa donando ogni attenzione e pensiero a Lotte, ma lei non può ricambiare e lo costringe a uno stato di frustrazione continua, dalla quale neanche Werther riesce realisticamente a immaginare un'uscita serena.
Il fatto che Werther non cerchi a tutti i costi di attirare Lotte a sé, dettaglio che può colpire il lettore moderno, può essere interpretato come estremo gesto d'amore. Egli sa che Lotte ha bisogno di tranquillità e di certezze, e non vuole essere un impedimento alla sua realizzazione. In questo si dimostra quindi molto lontano dal titanismo romantico, a cui si è tentato di accomunarlo. Nonostante una buona consapevolezza di sé e dei propri pregi emersi fin dall'inizio del libro, Werther non si ritiene un animo superiore inadatto a questo mondo, ma più che altro riconosce la propria sconfitta, la propria nullità davanti a un sentimento totalizzante.
Charlotte (Lotte)
Il personaggio di Lotte è delineato in due modi: per prima cosa sono presenti lunghe ed esplicite descrizioni di una donna bella, di statura non alta, aggraziata nei lineamenti, scura di capelli e di occhi, resa preziosa da una sensibilità rara e da un animo ingenuo, responsabile, intelligente, anticonformista e matura, tanto da aver saputo crescere i suoi fratellini dopo la morte della madre. L'altro mezzo attraverso cui traspare la figura di Lotte è la descrizione degli altri personaggi.
Albert
Albert rappresenta il ceto borghese, le sue convenzioni, la routine, i luoghi comuni, la razionalità, ma raramente è descritto con toni negativi, anzi più volte Werther dimostra la sua stima per un uomo saggio, calmo, fedele e orgoglioso della sua famiglia, che riesce a mostrarsi come un solido punto di riferimento per la moglie, tanto da rendersi indispensabile, nonostante alcune sue carenze dal punto di vista affettivo. Albert è l'anti-eroe rappresentante del conformismo, un motivo più volte ripreso dal successivo fenomeno letterario del Romanticismo: non si esalta per l'animo artista di Werther, non ne approva gli slanci emotivi, critica aspramente la visione del suicidio come atto di estrema libertà, e soprattutto non riesce a comprendere realmente il sentimento che lega Werther e la moglie.


LE AFFINITA' ELETTIVE

Le affinità elettive (in tedesco: Die Wahlverwandtschaften) è il quarto romanzo di Johann Wolfgang von Goethe, pubblicato nel 1809. Il titolo deriva dall'affinità chimica, proprietà degli elementi chimici che descrive la tendenza di alcuni di essi a legarsi con alcune sostanze a scapito di altre. Il romanzo racconta la vita di una coppia sposata che, trovandosi a convivere con un amico di lui e con la nipote di lei, va incontro al disfacimento della propria relazione e alla formazione di due nuove coppie, che in brevissimo tempo si divideranno per colpa di una serie di eventi avversi, che faranno terminare la storia in modo tragico.
Trama
Prima parte

Il libro inizia raccontando la tranquilla vita di Edoardo e Carlotta. I due avevano vissuto il loro amore in giovane età, ma le loro famiglie avevano piani diversi per il futuro: Edoardo fu indotto dal padre a sposare una donna ricca e anziana e anche Carlotta fu data in sposa ad un altro uomo, benestante, dal quale ebbe anche una figlia, Luciana. Rimasto vedovo, Edoardo parte per un viaggio attorno al mondo durato anni, in compagnia di un vecchio amico, il Capitano. Al suo ritorno, i due si rincontrano; essendo entrambi vedovi, la fiamma tra loro si riaccende. Si sposano e dedicano la loro pacata esistenza alla cura della loro tenuta, circondata da un grande parco. La storia si complica quando Edoardo, venuto a sapere della disgrazia in cui è caduto il suo amico, decide di portare il Capitano a vivere con loro. Carlotta è dapprima contraria, poiché teme che un terzo elemento possa rompere gli equilibri e la soddisfazione sentimentale faticosamente raggiunta. Viene dedicato un intero capitolo alla descrizione chimica di ciò che sarebbe successo quando l'elemento C, il Capitano, si sarebbe unito all'elemento B, Edoardo, lasciando così l'elemento A, Carlotta, solo. Il problema trova soluzione quando Carlotta decide di prelevare una giovane nipote orfana, Ottilia, dal facoltoso collegio in cui questa risiede assieme a Luciana, e di trasferirla nella loro tenuta, non solo perché l'ama come fosse una figlia, ma anche perché avvertita dall'Assistente e dalla Preside di tale istituto come troppo introversa per un'istruzione collegiale. Ad occupare la tenuta, dunque, sono ora in quattro. Edoardo e il Capitano si dedicano a opere di ingegneria e architettura, mentre le due donne sono completamente dedite all'organizzazione del parco. Pian piano, le affinità elettive fanno la loro comparsa, avvicinando terribilmente Edoardo ad Ottilia e il Capitano a Carlotta. Questi nuovi sentimenti vengono dapprima fortemente contrastati da tutti i personaggi coinvolti, ma la forza dell'amore parla per loro: quando, infatti, i due sposi si lasciano andare a una notte di passione, sentono e immaginano l'altro non come Carlotta o Edoardo, ma come Ottilia e il Capitano. L'interesse che Edoardo prova per Ottilia cresce con il tempo fino a quando anche Carlotta e il Capitano, nello stesso momento, vanno contro le loro reciproche proibizioni e si scambiano un bacio; Carlotta è, tuttavia, una persona più pragmatica rispetto a Edoardo, e decide così di non perdere completamente il proprio autocontrollo, cercando di cancellare dal suo cuore e dalla sua mente quel bacio illegittimo. È proprio a questo punto della storia che fuoriescono inesorabilmente i diversi comportamenti che i due coniugi, uniti dal matrimonio ma separati da una forte diversità caratteriale, assumono di fronte ad una stessa situazione: Edoardo, più simile ad Ottilia, continua ad amarla in maniera irrazionale, ma riservata, sperando in un futuro insieme; Carlotta ed il Capitano, invece, entrambi dallo spirito fermo, pur lasciandosi andare di fronte alla forza dell'eros comprendono che sarebbe meglio, per entrambi, sopprimere ogni sentimento, per evitare che la situazione degeneri. Non a caso, quando il Capitano si trasferisce dopo un'offerta di lavoro ricevuta da un amico di Edoardo, Carlotta affronta il marito comunicandogli l'intenzione di mandare Ottilia da una sua amica, in modo che ella possa essere introdotta nell'alta società e che la coppia possa tentare un ritorno alla stabilità antecedente all'arrivo del Capitano e di Ottilia. Edoardo, per evitare ad Ottilia un futuro incerto, decide di lasciare il castello informando la moglie, comunicandole che fino a quando la ragazza fosse rimasta lì, lui non l'avrebbe cercata! Ma, ponendo la condizione che se Ottilia avesse abbandonato la proprietà, lui si sarebbe sentito libero di cercarla e corteggiarla.
Seconda parte
Edoardo se ne va, così, senza salutare Ottilia, e Carlotta rimane sola nella tenuta con la giovane nipote. Proprio mentre il marito è via, Carlotta scopre di essere rimasta incinta durante la notte di passione col marito vissuta all'insegna di un reciproco e mentale "adulterio", nel quale l'una era vicina col pensiero al Capitano e l'altro ad Ottilia. La donna avvisa Edoardo della notizia tramite un intermediario, speranzosa che egli torni finalmente al castello; ma l'uomo, distrutto dalla lontananza dall'amata, decide di partire per la guerra, persuaso dal fatto che scampare alla morte potrebbe essere un segno per il quale egli sarà necessariamente destinato a coronare il suo amore con Ottilia. L'uomo non tornerà dal fronte fino alla nascita del piccolo Otto, assurdamente somigliante al Capitano e ad Ottilia, anziché ai suoi reali genitori. Ormai desideroso di riavvicinarsi al suo vero amore, Edoardo convince il Capitano ad andare da Carlotta per persuaderla a rompere il matrimonio, così che ella sarà finalmente libera di legarsi al Capitano ed Edoardo ad Ottilia. Durante l'attesa egli non riesce ad aspettare, e si reca così nel bosco del proprio castello, dove casualmente Ottilia passeggiava assieme ad Otto. Lì, finalmente, i due si dichiarano un reciproco amore, sebbene Ottilia si mostri restìa ad accettare completamente una situazione non ancora consentita da Carlotta, cui la ragazza è comunque profondamente legata. Edoardo si allontana, dunque, per definire con Carlotta gli accordi che permettano a entrambi di costruirsi una nuova vita. Mentre l'uomo è via, Ottilia decide di tornare alla tenuta attraversando il lago in barca; vogando, il bambino cade disgraziatamente in acqua e la sua vita viene stroncata precocemente. Ottilia, divorata dai sensi di colpa, convinta che la disgrazia sia avvenuta come punizione per aver amato un uomo sposato, si lascia morire non toccando cibo per settimane. Edoardo è inconsolabile per la morte del suo unico vero amore e qualche mese dopo muore anch'egli. Carlotta, ormai tra le braccia del Capitano, dispone che Edoardo e Ottilia vengano seppelliti uno accanto all'altra, cosicché, un giorno, possano risvegliarsi insieme.
Personaggi
Le due coppie del romanzo sono accomunate dai rispettivi caratteri. Carlotta e il Capitano sono persone pragmatiche e posate che pensano alle conseguenze delle loro azioni e cercano di non farsi sorprendere dagli eventi e dagli affetti. Edoardo e Ottilia si comportano come due bambini; Edoardo in particolare cerca una persona che si rispecchi nella sua e infatti intuisce che Ottilia lo ama quando vede che ella copiando un contratto scritto da lui ha talmente preso a cuore il compito da finire per imitare la sua calligrafia quasi che volesse fondersi e confondersi con lui. Ottilia in Edoardo vede il padre che ha perso quando era piccola e questo si evidenzia nel libro quando lei smette di portare al collo un pendaglio con l'immagine del padre, dato che oramai Edoardo nel suo cuore ha preso il posto del padre defunto. Ottilia nel romanzo viene descritta come una persona eterea, quasi un angelo che non si rende conto che le attenzioni che gli uomini le riservano non dipendono solo da un comportamento cavalleresco, ma in realtà da un amore nascente nei suoi confronti. Ella dopo aver conosciuto Edoardo non ha spazio nel suo cuore per nessun altro e riesce a pensare solo a lui.


FAUST

«La lotta tra Dio e il demonio è la battaglia dei vizi e delle virtudi […]. Questa […] è la base della leggenda del Dottore Faust che vendé l'anima al diavolo, leggenda così popolare al Medioevo, e resa immortale da Goethe.» (Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana [1870], Morano, Napoli 1890, p. 85.)

Faust è un dramma in versi pubblicato nel 1808, è una delle opere più famose di Goethe nonché una delle più importanti della letteratura europea e mondiale. Si ispira alla tradizionale figura del Dottor Faust della tradizione letteraria europea. Il poema racconta il patto tra Faust e Mefistofele e il loro viaggio alla scoperta dei piaceri e delle bellezze del mondo. È una chiara condanna del periodo della rivoluzione francese.
Johann Wolfgang von Goethe lavorò al suo Faust per sessant'anni, dal 1772 al 1832, costruendo un'opera monumentale che consacra il suo autore come il massimo scrittore di lingua tedesca e imprimendo il suo personaggio nell'immaginario collettivo come simbolo dell'anima moderna.
L'opera fu scritta in tre momenti successivi:
l'Urfaust, scritto tra il 1772 e il 1775, influenzato dalle rappresentazioni del Faust di Christopher Marlowe a cui il giovane Goethe aveva assistito sotto forma di teatro delle marionette . L'Urfaust appartiene culturalmente alla corrente letteraria tedesca dello Sturm und Drang e venne pubblicato, con alcune aggiunte, nel 1790 sotto il nome di "Faust. Ein Fragment". Più tardi (1808) pubblicò un ulteriore seguito, che già ricade nella corrente letteraria del classicismo, "Faust. Erster Teil" (Faust. Prima parte): viene aggiunto il Prologo in cielo e sono apportate modifiche significative all'Urfaust. Così Mefistofele appare a Faust promettendogli di fargli vivere un attimo di piacere tale da fargli desiderare che quell'attimo non trascorra mai. In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust è sicuro di sé: tale è la sua brama di piacere, azione e conoscenza, che è convinto che nulla mai al mondo lo sazierà tanto da fargli desiderare di fermare quell'attimo. Mefistofele gli fa conoscere la giovane Margarete (Margherita) - detta Gretelchen (Margheritina) e Gretchen (Greta) - la quale si innamora di Faust, inconsapevole del fatto che lo slancio (in tedesco Streben) che ispira Faust è nient'altro che il dominio della materia e la ricerca del piacere. La sorte di Margherita sarà tragica. In Faust. Zweiter Teil (Faust. Seconda parte, 1832) la scena si allarga per celebrare l'unione tra letteratura classicistica e mondo classico: Faust seduce e viene sedotto da Elena di Troia.

L'opera ebbe un successo straordinario grazie anche alla piena comprensione da parte dell'autore dell'anima moderna, protesa verso ideali sempre più elevati e il dramma diventa un compendio non solo del sapere filosofico ma anche degli ideali politici, morali ed estetici.
Trama
«Avvicinatevi ancora, ondeggianti figure apparse in gioventù allo sguardo offuscato. Tenterò questa volta di non farvi svanire? Sento ancora il mio cuore incline a quegli errori? Voi m'incalzate! E sia, vi lascerò salire accanto a me dal velo di nebbia e di vapori.» (Goethe, Faust, vv. 1-6)

La dedica dell'opera, scritta nel giugno 1797, è rivolta da Goethe agli «amici e i primi amori» della sua gioventù che riemergono «allo sguardo offuscato», la cui nostalgia muove il suo canto come il vento smuove e fa suonare l'arpa eolia.

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L'ambientazione del Faust è quella di un interno con alte volte gotiche, simile allo studio di un alchimista.


Prologo sul teatro
L'impresario di una compagnia di teatro discute animatamente con un anziano poeta e un attore faceto. Cosa assicura la buona riuscita di uno spettacolo? L'attore sostiene che l'opera dovrebbe andare incontro il più possibile alle aspettative della gente, secondo il poeta invece ciò che conta è l'ispirazione, che non deve curarsi del plauso degli spettatori. L'impresario decide per uno spettacolo che abbia un forte impatto sul pubblico.
Prologo in cielo
Tre arcangeli ammirano l'opera del Creatore, «insondabile» come la sua Mente, mentre Mefistofele (un diavolo) la critica nel vedere che l'uomo si tormenta usando il «lume celeste», cioè la ragione, «solo per essere più bestia di ogni bestia». Mefistofele vuole scommettere con Dio che riuscirà a portare alla perdizione l'integerrimo medico-teologo Faust; Dio non accetta la scommessa (essendo Dio, non si abbassa a scendere a patti, né a scommettere con alcuno) ma gli concede il permesso di tormentare Faust, così che il dottore non sia mai indotto a riposarsi o arrendersi: «finché vive sulla terra, ciò non ti sarà vietato; erra l'uomo finché cerca», poiché solo sbagliando egli si approssima alla verità. Dio sa che Faust è un uomo buono, ed è fiducioso che si salverà.
Prima parte

«Sono una parte di quella forza che desidera eternamente il male e opera eternamente il bene.» (Mefistofele)

Nonostante la sua eminenza scientifica il dottor Faust è annoiato e deluso dalla vita e dalla finitezza umana: dopo aver studiato filosofia, alchimia, diritto, medicina, teologia, che gli consentono soltanto di fingersi sapiente, è convinto di saperne quanto prima, e che in fondo «nulla ci è dato sapere». Per questo si è «dato alla magia», nella speranza che qualche spirito lo aiuti a penetrare i segreti della Natura. Scorgendo in un libro il segno del macrocosmo, simboleggiante la totalità della creazione, si inebria di una tale visione, subito però allontanata trattandosi solo di uno «scenario». Rivoltando con dispetto le pagine si imbatte allora nel disegno dello spirito elementale della terra, forza immanente della Natura che «tesse la veste vivente di Dio»; colto da ispirazione lo invoca, ma non riesce a reggerne la vista.
Subentra il suo assistente Wagner, raffigurato come fiducioso nel progresso umano della conoscenza. Faust, tra sé e sé, schernisce la sua illusione che basti tramandare la parola scritta per elevare sempre più in alto lo scibile umano: se una parte dell'uomo vuol sollevarsi dalla polvere, l'altra si aggrappa al mondo in una bramosia d'amore: «due anime vivono nel mio petto».
I suoi cupi pensieri spingono Faust a «volgere le spalle al dolce sole della terra» e ad avvelenarsi. Mentre porta alle labbra la coppa del veleno, però, ode un suono di campane e di cori religiosi annuncianti il giorno di Pasqua, che gli fanno tornare alla mente la sua infanzia quando prestava servizio in chiesa. Desiste allora dal suicidio.
Brevi dialoghi di personaggi di ogni età e ceto sociale, dipinti da Goethe con magistrale realismo, descrivono l'ambientazione storica. Faust riceve elogi e ringraziamenti per essersi più volte prodigato con suo padre nella cura delle epidemie, ma confida a Wagner di non meritarli perché in realtà «pozioni infernali funestammo queste valli assai più della peste».
Calata la notte, dopo che un cane nero lo ha seguito fin dentro lo studio, Faust alla ricerca di un'ispirazione apre il Nuovo Testamento e vi legge il prologo di Giovanni: «in principio era il Verbo». Sforzandosi di tradurlo in maniera più consona, intuisce che il Principio della realtà non sia propriamente la «parola», né il «pensiero», né la «forza», bensì l'«atto»: l'azione nel suo farsi dinamico.
Il dottor Faust e Mefistofele
Il cane disturba però le sue meditazioni, ringhiando e gonfiandosi in maniera innaturale. Faust rivolge contro di lui lo scongiuro dei quattro elementi (Salamandra, Ondina, Silfide e Coboldo) che non sortisce però alcun effetto perché l'animale non è posseduto da un elementale, bensì da uno spirito infernale. Esplodendo fa allora la sua comparsa Mefistofele, in veste di «chierico vagante». Si presenta come lo «spirito che nega», cioè che distrugge e non tollera la nascita e la vita. Mefistofele, mentre Faust cerca di trattenerlo, vorrebbe andarsene per tornare in seguito. Tuttavia è impossibilitato a uscire, perché sulla soglia è tracciato il pentagramma, cioè il sigillo di Salomone simbolo di Cristo. Un topo viene indotto a rosicchiarlo e così Mefistofele può andar via.

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Il pentagramma, simbolo del macrocosmo.

Mefistofele ritorna nella scena seguente e propone a Faust di fargli «sperimentare la leggerezza e libertà della vita». Faust dapprima oppone resistenza, maledicendo il peso della vita umana, col suo carico di sogni, di amore, speranza, fede, e soprattutto pazienza, che adulano l'anima. Di fronte all'insistenza di Mefistofele, tuttavia, accetta di stringere un patto: il diavolo lo servirà con i suoi poteri magici per un determinato periodo, alla fine del quale però, solo se egli godrà al punto tale che «dirò all'attimo: sei così bello! fermati!» il diavolo prenderà l'anima di Faust, che sarà dannato in eterno. Ma a lui, del resto, dell'aldilà interessa ben poco, una volta abbandonato questo mondo da cui soltanto sgorgano le sue gioie. Mefistofele, consapevole che se nessuna gioia soddisferà Faust egli continuerebbe comunque a dannarsi, gli fa firmare il patto col sangue e lo invita a godere finalmente della gioia di vivere, smettendo di ingrigirsi nei suoi pensieri perché «chi filosofa è come un animale che un folletto malvagio fa girare in tondo su un campo disseccato, mentre intorno bei pascoli verdeggiano».
Facendosi beffe della cultura accademica, impelagata in rigidi formalismi, Mefistofele si traveste da Faust per ricevere uno studentello impacciato venuto nello studio del dottore a chiedergli consiglio su quale facoltà universitaria scegliere. Più che a «sudare per la scienza» lo invita a cogliere l'attimo, e a imparare «a trattar le donne: i loro eterni ohi e ahi, che non finiscono mai, si curano tutti da un unico punto». Si congeda quindi da lui scrivendogli una dedica: «Eritis sicut Deus, scientes bonum et malum».
La prima tappa della nuova vita che Mefistofele ha promesso di far godere a Faust è una taverna di Lipsia, la cantina di Auerbach, dove quattro bevitori, anziane matricole universitarie, fanno baldoria pervasi dall'ebbrezza del vino. Faust però assiste annoiato alla scena, mentre Mefistofele si prende gioco di loro facendo magicamente zampillare del vino che poi cadendo a terra prende fuoco.
Allontanatisi a cavallo di una botte Mefistofele conduce Faust nell'antro di una famiglia di Gatti mammoni. Qui, servendosi dell'aiuto di una strega che fuoriesce da un pentolone, ordina che a Faust venga somministrato un filtro per farlo ringiovanire. Nel prepararlo la strega declama la filastrocca dei numeri: «Devi capire! Da Uno fai Dieci, il Due lascialo andare, il Tre prendilo subito, così sei ricco. Il Quattro lascialo perdere! Poi con il Cinque e il Sei, dice la strega, fai Sette e Otto, così è perfetto. Il Nove è Uno, il Dieci è nessuno. E questa è la filastrocca delle streghe». La pozione viene quindi fatta bere a Faust, la cui attenzione è rivolta però a un'immagine di donna riflessa da uno specchio.

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Margherita sedotta da Faust

Le scene seguenti coincidono col nucleo centrale dell'Urfaust rimasto pressoché inalterato. Faust, diventato un giovane cavaliere, si avvale del patto con Mefistofele per sedurre una ragazza bella e innocente, Margherita, di cui si è invaghito al primo sguardo. Nonostante Mefistofele non abbia alcun potere su di lei, essendo «una creatura tutta innocenza» che è appena andata a confessarsi per peccati da nulla, il diavolo cerca di accontentare Faust ricorrendo a espedienti.
Per prima cosa lo fa introdurre in casa di Margherita che è appena uscita. Respirando il senso di ordine, pace e contentezza emanato dalla sua camera da letto, Faust, che era impaziente di «godere subito», si sente «sciogliere in un sogno d'amore». Poco prima che lei ritorni Mefistofele chiude nell'armadio uno scrigno pieno di gioielli preziosi come dono che Faust gli aveva chiesto per Margherita, quindi entrambi vanno via. Dopo essersi svestita cantando la canzone del Re di Thule, storia di un amore infelice, Margherita scopre con stupore lo scrigno nell'armadio. In seguito Mefistofele diventa furioso raccontando che i gioielli sono finiti nelle mani di un prete, a cui l'ha donato la madre di Margherita. Faust allora gliene chiede degli altri.
Secondo un piano ideato da Faust, Mefistofele si reca dalla vicina di casa di Margherita, di nome Marta, che si sta lamentando per essere stata abbandonata dal marito, scomparso anni prima. Mefistofele s'imbatte anche in Margherita, incredula per aver trovato nel suo armadio dei nuovi gioielli ancora più belli dei precedenti. Fingendosi un forestiero Mefistofele riporta a Marta delle notizie inventate su suo marito, il signor Schwerdtlein, raccontando che è morto ed è stato sepolto a Padova vicino alla basilica di Sant'Antonio. Prendendosi gioco di lei aggiunge che il marito, avendo sperperato le sue fortune in giro per l'Italia, non le ha lasciato nulla, tranne la richiesta di «far cantare per lui trecento messe». Poiché Marta gli chiede un documento che ne attesti la morte, Mefistofele promette di tornare quella sera con un testimone «assai distinto» in grado di deporre davanti al giudice. Mefistofele pensa chiaramente a Faust, che tuttavia, dopo essere stato messo al corrente delle sue intenzioni, subito si rifiuta all'idea di testimoniare il falso. È costretto però a cedere quando Mefistofele gli ricorda che non sarebbe la prima volta che mente, domandandogli se non ingannerà allo stesso modo anche Greta, cioè Margherita, «giurandole un amore senza fine».
Così quella sera, in giardino, Faust si ritrova a passeggiare a braccetto con Greta, che sfogliando i petali di una margherita esclama «mi ama!», al che lui le giura un amore senza fine. Mefistofele invece tiene impegnata Marta fingendo di non capire i suoi approcci amorosi. Più tardi Margherita, rimasta sola, si domanda cosa Faust ci trovi in lei, essendo soltanto «una povera ignorante».
In seguito alla sua relazione segreta con Faust, Margherita rimane incinta e la sua vita è distrutta e disonorata: la madre muore accidentalmente a causa di un sonnifero procuratole da Faust, il fratello perde la vita in un duello con Mefistofele e la maledice in punto di morte. La donna impazzisce e in uno scatto di ira e disperazione affoga il figlioletto appena nato e viene condannata alla pena di morte. Invocando il perdono di Dio, ella otterrà tuttavia la salvezza eterna.
Seconda parte
Conclusa l'esperienza amorosa, Faust si volge al "gran mondo" della corte imperiale, dove sperimenta le seduzioni del potere, della ricchezza e della gloria terrena. Tutto ciò però non lo soddisfa ancora.
Faust seduce e viene sedotto da Elena di Troia. Hanno un figlio, Euforione (nel mito, figlio di Elena e Achille), destinato però a morire giovinetto. In seguito, preso da nostalgia e rimorsi (ripensa a Margherita, Elena ed Euforione) Faust si stabilisce in un appezzamento costiero, da cui fa espellere due anziani, Filemone e Bauci, provocandone così la morte non voluta. È oramai vecchio, stanco e pieno di rimorsi e Angoscia, detta anche Cura (un diavolo che personifica la depressione) lo tenta continuamente, e per farlo cadere nello sconforto lo priva della vista. Ma Faust non si abbatte neanche nella cecità. Immaginando un futuro roseo dove un popolo laborioso e libero avrebbe realizzato grandi opere per la propria felicità, Faust afferma che, se fosse vissuto tanto da vederlo, avrebbe desiderato che quell'attimo si fermasse:

«All'attimo direi:
sei così bello, fermati!
Gli evi non potranno cancellare
l'orma dei miei giorni terreni.
Presentendo una gioia tanto grande,
io godo ora l'attimo supremo.»
(Faust, subito prima di morire. Faust. Urfaust, trad. e cura di Andrea Casalegno, vol. II, pp. 1040-1041)



Mefistofele non capisce, e crede che Faust stia davvero chiedendo a quell'attimo di fermarsi. Fa morire perciò Faust, convinto di aver vinto la scommessa. Vedendo come l'ardore di Faust sia stato sconfitto infine dal tempo («è passato!»), esclama:

«Passato! Una parola sciocca.
Perché passato?
Passato e puro nulla sono la stessa cosa!
A che pro dunque l'eterno creare!
Per far sparire il creato nel nulla
«È passato!» Che senso si ricava?
È come se non fosse stato affatto,
eppure gira in tondo, come fosse.
Per me io preferisco il Vuoto eterno.»
(Mefistofele. Faust. Urfaust, trad. e cura di Andrea Casalegno, vol. II, pp. 1042-1043)


Mefistofele reclama l'anima di Faust, che però sale al cielo per il suo costante impegno a favore del bene e della società. Nel finale, un angelo spiega il motivo per il quale Faust è stato salvato: la sua continua aspirazione all'infinito. Faust viene quindi salvato per grazia di Dio grazie alla sua costante ricerca del Supremo nella forma dell'Eterno Femminino (la femminilità nella sua essenza immutabile).

Eugenio Caruso - 10 maggio 2024

 

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www.impresaoggi.com