«Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite.» (Friedrich Nietzsche, Ecce Homo, capitolo 1, Perché sono un destino)
GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.
I TEDESCHI
Goethe - Hesse - Heyse - Mann - Nietzsche -
Friedrich Nietzsche, nato Friedrich Wilhelm Nietzsche, citato in alcune traduzioni italiane come Federico Nietzsche (Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) è stato un filosofo, filologo e saggista.
È annoverato come un pensatore originale e a tratti problematico da un punto di vista interpretativo: la sua produzione filosofica ha influenzato il pensiero culturale del mondo occidentale nel XX secolo e contemporaneo. Il suo pensiero fu un'autentica cesura nei confronti del passato e consistette in una apertura a nuovi modi di fare filosofia tramite l'informalità e la provocazione.
Scrisse vari saggi e opere aforistiche sulla morale, sulla religione (in particolare quella cristiana, schierandosi in favore dell'ateismo), sulla cultura contemporanea e la annessa decadenza dei valori metafisici-religiosi che, assieme all'eredità culturale socratica, hanno sostenuto le vicissitudini del singolo individuo, ora perso e smarrito nel nichilismo; le sue riflessioni sono intrise di una profonda lucidità e avversione alla metafisica e da una forte carica critica, sempre sul filo dell'ironia e della parodia con un accentuato richiamo stilistico derivante dai moralisti francesi, come Montaigne, e dai filosofi illuministi, come Voltaire.
Il pensiero di Nietzsche, per quanto indipendente, si inserisce nella corrente dell'esistenzialismo: viene considerato come uno dei pensatori più complessi di tutta la filosofia addirittura mondiale, dato il suo modo di filosofare con la poesia, gli aforismi, la psicologia e i sofisticati riferimenti metaforici a concetti scientifici, filosofici, religiosi e mitologici. Ancor oggi viene definito uno spartiacque tra la filosofia ottocentesca e novecentesca, ed è indubbiamente uno tra i pensatori più influenti della cultura e della filosofia del XX secolo.
«All'osservatore frettoloso la sua figura non presentava nulla che desse nell'occhio: l'uomo di media statura, dagli abiti estremamente semplici, ma anche estremamente curati, dai tratti distesi e dai capelli castani pettinati all'indietro, poteva facilmente passare inosservato. Il contorno della bocca, sottile e quanto mai espressivo, veniva quasi interamente nascosto dai grossi baffi pettinati in avanti, aveva una risata sommessa, un modo di parlare senza fragore, un'andatura cauta e meditabonda con le spalle che un po' s'incurvavano; era difficile immaginare un uomo del genere in mezzo a una folla: portava su di sé il segno di chi resta in disparte, di chi sta da solo. D'incomparabile bellezza e di tale nobiltà di forma da attirare involontariamente lo sguardo erano invece le mani… Il contegno suscitava l'impressione di segretezza e di riservatezza. Nella vita di ogni giorno era di una grande cortesia e di una mitezza quasi femminile.»
(Nietzsche descritto da Lou Andreas-Salomé)
Anni giovanili
Carl Ludwig Nietzsche, padre di Friedrich
Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken, piccolo villaggio della Prussia meridionale (Sassonia-Anhalt), oggi municipalità della città di Lützen, nei pressi di Lipsia, il 15 ottobre 1844; viene chiamato così in onore del re Federico Guglielmo IV di Prussia il quale compiva quarantanove anni proprio nel giorno della nascita di Nietzsche. Successivamente il filosofo abbandonò il suo secondo nome "Wilhelm". Il primo nome, Friedrich, fu anche un omaggio al nonno Friedrich August Ludwig Nietzsche, autore di scritti pedagogici, religiosi e commentari biblici.
Apparteneva a una stirpe di pastori protestanti, ed era il figlio maggiore di Carl Ludwig Nietzsche, pastore ed ex precettore alla corte dei duchi di Altenburg, di idee monarchiche e reazionarie, e di Franziska Oehler, figlia a sua volta di un pastore luterano. Nel 1846 e nel 1848 nascono altri due figli, Elisabeth e Joseph (quest'ultimo morto nel 1850, per un'improvvisa febbre cerebrale non meglio specificata).
Franziska Oehler, madre di Friedrich (1850 circa)
Il 27 luglio 1849 muore il padre, a 36 anni, dopo un anno di "apatia cerebrale" (secondo Elisabeth dovuta a una caduta, secondo altri probabilmente un tumore cerebrale, un ictus, un incidente dovuto a epilessia del lobo temporale o la stessa malattia cerebrale non meglio identificata che avrebbe poi colpito il figlio, i cui primi segni si erano manifestati due anni prima). In seguito a tali disgrazie la famiglia si trasferisce nella vicina Naumburg ove convive con la nonna materna di Nietzsche e due sorelle nubili di suo padre. Dopo la morte della nonna nel 1856, la famiglia si trasferì in una propria casa, ora Nietzsche-Haus, casa-museo e centro studi.
Qui Friedrich inizia gli studi di lettere classiche e religione; frequenta la scuola pubblica maschile e poi, successivamente, una scuola privata, dove stringe amicizia con Gustav Krug e Wilhelm Pinder, i suoi primi amici ognuno dei quali proveniva da famiglie di tutto rispetto. In casa apprende la musica e il canto. Si impegna in composizioni musicali vocali e strumentali, compone poesie, legge Goethe e Byron.
Nel 1854 ha iniziato a frequentare il Domgymnasium di Naumburg, ma già distintosi per le sue non comuni doti intellettuali, avendo mostrato particolari talenti sia in musica sia nel campo linguistico, viene ammesso come allievo a Schulpforta, un complesso collegiale riconosciuto a livello internazionale. Inizia così a frequentare il liceo (Gymnasium) Landesschule di Pforta come interno beneficiante di una borsa di studio ecclesiastica. Qui studia tra il 1858-1864, sperimentando per la prima volta la lontananza dall'ambiente familiare, diventando prima amico di Paul Deussen (futuro indologo di fama) e in seguito di Carl von Gersdorff; troverà anche il tempo per lavorare sulle sue prime originali composizioni poetiche e musicali.
Nel 1860 insieme agli amici Krug e Pinder che lo avevano raggiunto per studiare anche loro a Pforta, fonda l'associazione Germania, con la quale si propone di sviluppare i suoi interessi letterari e musicali. Per questa associazione scrive alcuni saggi, come Fato e volontà e Libertà della volontà e fato, visibilmente ispirati dalla lettura di Fato e altri saggi di Ralph Waldo Emerson, specie quelli inclusi in Condotta di vita (1860), un'opera che è stata recentemente ritenuta fondamentale nella genesi del pensiero di Nietzsche. In questo periodo Nietzsche comincia a soffrire di un male che lo tormenterà tutta la vita, l'emicrania. È inoltre molto miope, soffre di anisocoria pupillare congenita e di problemi gastrici cronici.
Nietzsche nel 1861, all'età di 17 anni
Frequenta anche il vecchio poeta bohémien Ernst Ortlepp, un ex allievo di Pforta che ora vive gironzolando nei dintorni. Assieme a Ortlepp, eccentrico, blasfemo, forse omosessuale e spesso ubriaco, conosce l'opera del poeta allora quasi sconosciuto Friedrich Hölderlin, che verrà presto considerato il preferito dal ragazzo; compone anzi un saggio in cui scrive che il poeta pazzo ha sollevato la coscienza all'idealità più sublime: l'insegnante che gli ha corretto il compito, pur dandogli un buon voto, gli consiglia però vivamente di occuparsi in futuro di scrittori più sani, più lucidi, in definitiva "più tedeschi". Ortlepp verrà infine trovato morto in un fosso, dove probabilmente era caduto, in stato di ubriachezza, battendo la testa.
Il particolarmente accurato studio qui condotto delle lingue classiche e dell'antico ebraico, lo mettono in grado di leggere importanti fonti primarie; dopo gli esami finali all'ormai diciannovenne viene consegnato un attestato finale che gli assegna un giudizio eccellente in religione, tedesco e latino, un buono in greco e un sufficiente in francese e invece uno scarso in ebraico, matematica e disegno; nel commento conclusivo del corpo docente si legge: "la commissione esaminatrice gli ha rilasciato, ora che lascia la regia scuola territoriale per studiare filologia e teologia all'università di Bonn, il certificato di maturità e lo congeda nella speranza che un giorno applicandosi sempre con serietà e coscienziosità possa conseguire buoni risultati nella sua professione".
I membri della Burschenschaft Franconia nel 1865; Nietzsche è in seconda fila, seduto, di profilo, con la mano destra sulla tempia
Conclusi gli studi secondari nel 1864, comincia gli studi nella facoltà teologica all'Università di Bonn per volere materno, studi che regge per appena una sessione, dopodiché s'iscrive assieme all'amico e compagno di studi Deussen alla Burschenschaft (corporazione studentesca) della Franconia. È quest'ultimo a riferire del celebre episodio della "casa di malaffare" di Colonia come "contributo alla comprensione del modo di pensare di Nietzsche". Nel febbraio del 1865 il filosofo gli raccontò di essere stato condotto surrettiziamente in tale luogo dalla sua guida locale e, imbarazzatissimo, scappò via dopo aver suonato un po' il pianoforte per darsi un contegno di fronte a "una mezza dozzina di apparizioni in lustrini e veli". Questo episodio, secondo l'autore, è rivelativo di ciò che Nietzsche pensava delle donne: esse dovevano "consacrarsi al servizio e alla cura dell'uomo, e già a Pforta diceva talvolta un po' per scherzo: 'Io avrò bisogno di tre donne solo per me'. Del resto non fu mai sua intenzione rimanere scapolo". In seguito, quando si seppe che a Nietzsche era stata diagnosticata, forse erroneamente, la neurosifilide come causa del suo declino cognitivo e fisico dopo il 1888, diversi studiosi pensarono che avesse contratto la malattia da un rapporto sessuale con una prostituta proprio in quel bordello, basandosi proprio sul passo dei Ricordi di Deussen, che pure non ne aveva molta stima come filosofo e che esclude però (come sarà ipotizzato invece da altri come Thomas Mann, modellando su Nietzsche il personaggio di Adrian in Doctor Faustus) che tale rapporto sia stato effettivamente consumato, in quell'occasione o in seguito; Deussen conclude che "da questo episodio e da tutto ciò che so di Nietzsche sono portato a credere che a lui ben si applicano le parole di una biografia di Platone: mulierem nunquam attigit [non toccò mai una donna]". Riguardo a ciò si inserirono in seguito altre controverse teorie come quella di Joachim Köhler esposta in Nietzsche. Il segreto di Zarathustra.
Già nei suoi saggi sul fato degli anni immediatamente precedenti sosteneva che la ricerca storica ha oramai screditato gli insegnamenti centrali della religione. Nello stesso periodo legge la Vita di Gesù di David Friedrich Strauß la quale sembra aver avuto un profondo effetto sul giovane. Scrivendo alla sorella, profondamente devota, una lettera a riguardo della propria perdita della fede, afferma: "se si vuol lottare per la pace dell'anima, si deve credere; ma se vuoi esser un devoto della verità, allora devi domandare".
NietzscheNel 1865 si iscrive all'Università di Lipsia per continuare a seguire le lezioni di filologia classica di Friedrich Ritschl, già suo insegnante a Bonn. Studia Teognide e la Suida, ma è più affascinato da Platone e soprattutto da Ralph Waldo Emerson e Arthur Schopenhauer, che avrebbero influenzato tutta la sua produzione. Soprattutto quest'ultimo, con la sua opera Il mondo come volontà e rappresentazione doveva risvegliare un appassionato e duraturo interesse filosofico.
Nel 1866 legge anche la Storia del materialismo di Friedrich Albert Lange; qui le descrizioni della filosofia anti-materialistica di Immanuel Kant, dell'ascesa del materialismo nel continente europeo, della crescente preoccupazione nei riguardi dell'evoluzionismo di Darwin e infine dell'atmosfera generale di ribellione all'autorità tradizionale incuriosirono notevolmente Nietzsche. Conosce nel 1867 Erwin Rohde, futuro autore di Psiche e nel frattempo approfondisce lo studio dell'opera di Diogene Laerzio, Omero, Democrito e del succitato Kant, mentre un suo saggio su Teognide appare nella rivista filologica Rheinisches Museum, diretta da Ritschl.
Nietzsche nel 1868, in uniforme da artigliere
Il 9 ottobre comincia il servizio militare, avendo firmato per un anno come volontario, nel reggimento di artiglieria a cavallo dell'esercito prussiano di stanza a Naumburg. Nel marzo dell'anno successivo si infortuna seriamente allo sterno; mentre sta mandando il suo cavallo al galoppo colpisce violentemente con il petto il pomo della sella, strappandosi due muscoli del fianco sinistro: dopo sei mesi trascorsi immobilizzato, a ottobre si congeda anticipatamente. Tornato a Lipsia, l'Università lo premia per il suo saggio sulle fonti di Diogene Laerzio e lo assume come insegnante privato. L'8 novembre 1868 conosce Richard Wagner in casa dell'orientalista Hermann Brockhaus.
Professore a Basilea
Grazie all'appoggio di Ritschl, il 13 febbraio 1869 ottiene la cattedra di lingua e letteratura greca dell'Università di Basilea come filologo classico, pur non avendo ancora completato né il proprio dottorato né ricevuto alcun certificato di abilitazione all'insegnamento; il 28 maggio tiene la prolusione d'insediamento sul tema Omero e la filologia classica, mentre l'Università di Lipsia gli concede la laurea sulla base delle sue pubblicazioni nel Rheinisches Museum. All'età di 25 anni Nietzsche chiede l'annullamento della sua precedente cittadinanza prussiana e diventa apolide: lo rimarrà ufficialmente per il resto dei suoi giorni.
Cosima e Richard Wagner (Vienna, 1872)
Dal 17 maggio aveva cominciato a frequentare, nella villa di Tribschen, sul lago dei Quattro Cantoni nei pressi di Lucerna, Richard e Cosima Wagner, rimanendone fortemente colpito:
«Ciò che imparo laggiù, che vedo e ascolto e intendo, è indescrivibile. Schopenhauer, Goethe, Eschilo e Pindaro vivono ancora». Nel periodo fra il 1869 e il 1870 collabora, come correttore di bozze (e più in generale come informale segretario-factotum), alla redazione di un'autobiografia di Wagner, destinata a non vedere la luce prima del 1911, ma alla cui conoscenza il filosofo allude apertamente, e con ironia, in uno scritto degli anni 1880:
«Ci viene promessa un'autobiografia di Richard Wagner: chi dubita che sarà un'autobiografia avveduta?...»
(Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, 3° saggio, 19)
Anche dopo la rottura ideologica con Wagner, conserverà sempre grande stima per Cosima, considerandola, tra le sue conoscenze, l'unica persona al suo stesso livello intellettuale.
All'inizio del 1870 Nietzsche tiene a Basilea alcune conferenze ("Il dramma musicale greco", "Socrate e la tragedia"), che anticipano il suo primo volume, La nascita della tragedia (1872). A Basilea conosce il già famoso storico Jacob Burckhardt e stringe amicizia con il vicino di stanza alla pensione in cui risiede, il professore di teologia Franz Camille Overbeck, che gli rimarrà vicino fino alla morte e sarà grande estimatore delle sue opere, nonostante la sua posizione accademica rendesse la cosa alquanto imbarazzante, considerate le vedute di Nietzsche in materia di religione. Conosce anche l'opera di Afrikan Špir e ne rimane profondamente influenzato.
Allo scoppio della guerra franco-prussiana (1870-1871) chiede di essere temporaneamente esonerato dall'insegnamento per partecipare, come infermiere addetto al trasporto dei feriti, alla guerra. Dopo appena due settimane passate al fronte contrae però la difterite e un principio di dissenteria, tanto che deve venire a sua volta curato ed è quindi congedato il 21 ottobre. Osserva con pacato scetticismo e con un certo distacco la nascita dell'impero tedesco ad opera di Otto von Bismarck.
Nella sua risposta polemica intitolata Filologia del futuro, l'allora ancor giovane ma già affermato Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff critica fortemente la mancanza di metodologia accademica utilizzata da Nietzsche per scrivere la Nascita della tragedia dallo spirito della musica, per seguire un approccio invece molto più speculativo; solamente Rohde, già insegnante a Kiel, e Wagner ne difendono la forma schierandosi al suo fianco; osservando il profondo isolamento in cui s'è venuto a trovare in quest'occasione all'interno della comunità filologica, tenta senza successo di passare di ruolo come professore di filosofia.
Nel frattempo scrive La visione dionisiaca del mondo, abbozza La tragedia e gli spiriti liberi e un dramma intitolato Empedocle, in cui vengono anticipati con molta chiarezza molti dei temi che verranno in seguito ripresi nelle opere della maturità. Fra il 1873 e il 1876 scrive le quattro Considerazioni inattuali, le quali rappresentano un orientamento sempre più volto a una forte critica culturale del suo tempo: David Strauss, il confessore e lo scrittore; Sull'utilità e il danno della storia per la vita; Schopenhauer come educatore e infine Richard Wagner a Bayreuth. Nel 1873 cominciava anche ad accumulare le note che sarebbero state pubblicate postume sotto il titolo di La filosofia nell'epoca tragica dei greci.
Le Inattuali sfidano la cultura tedesca allora in via di sviluppo sul solco dell'esempio dato e delle linee suggerite da Schopenhauer e Wagner; incontrò in questo momento Malwida von Meysenbug e Hans von Bülow, e iniziò anche una stretta amicizia e collaborazione con Paul Rée, studioso di filosofia di origine ebraica il quale a partire dal 1876 lo influenzò positivamente nel respingere il pessimismo tragico che pervadeva i suoi primi scritti, e lo indirizzò così verso un fase "illuministica".
Rimasto profondamente deluso dal Festival di Bayreuth del 1876 (l'anno della prima rappresentazione di Sigfrido e Il crepuscolo degli dei, dove la banalità degli spettacoli e la bassezza del pubblico lo respinsero intimamente), Nietzsche comincia ad allontanarsi sempre più dal vecchio maestro Wagner, anche se la rottura ufficiale vi sarà solo con la pubblicazione di Umano, troppo umano (sottotitolato "Un libro per spiriti liberi") nel 1878-1879. Incontra il musicista per l'ultima volta nel 1877. Wagner muore improvvisamente a Venezia nel 1883. Negli anni successivi sarà il soggetto critico di due saggi, Il caso Wagner e Nietzsche contro Wagner, in cui il filosofo attacca, più che la musica, il wagnerismo culturale per i suoi legami col Völkisch e il nazionalismo tedesco, e il riavvicinamento alla religione tradizionale avvenuta col Parsifal del 1882, giudicato opera cristiana e decadente.
Lavoro come filosofo indipendente
Lou Von Salomé, Paul Rée e Nietzsche nel 1882
«Dalla mia infanzia non ho mai trovato nessuno che avesse in comune con me le angosciose istanze del sentimento e della coscienza [...] La malattia mi porta, sempre più, al più spaventevole scoraggiamento. Non invano sono stato tanto profondamente ammalato e non invano lo sono in genere tuttora.»
(Lettera alla sorella Elisabeth, 1885)
Per motivi di salute (emicranie frequenti e dolori agli occhi, possibili sintomi della malattia che lo colpirà più tardi), ma anche indubbiamente per dedicarsi con assiduità ininterrotta alla sua attività filosofica, Nietzsche all'età di 34 anni (pressappoco la stessa età in cui suo padre fu colpito dalla propria malattia, cosa che angosciava Nietzsche) abbandona l'insegnamento. Gli viene riconosciuta una modesta pensione che costituirà, da quel momento in poi, l'unico suo reddito. Inizia la sua esistenza da perfetto apolide, con i suoi pellegrinaggi da viandante senza casa e senza patria.
Casa Nietzsche a Sils Maria
Nietzsche si sposta spesso da un luogo all'altro per trovare climi che possano essere più favorevoli per la sua salute cagionevole e vive così fino al 1889 come autore indipendente in diverse città. Trascorre molte estati in località montane o termali, soprattutto a Sils Maria (dove la sua abitazione, la cosiddetta Casa Nietzsche, è aperta a visite e soggiorni), dove riferisce una sorta di "esperienza mistica" in cui avrebbe intuito l'eterno ritorno, e in Alta Engadina in Svizzera. Trascorre invece preferibilmente i suoi inverni nelle città italiane, sulla riviera ligure a Genova e Rapallo, infine a Torino. Sue altre mete frequenti e amatissime sono Venezia e la francese Nizza.
Nel 1881, quando la Francia occupò la Tunisia, aveva intenzione di recarsi a Tunisi per vedere l'Europa da fuori, ma poco dopo ha abbandonato una tale idea, probabilmente per motivi di salute. Occasionalmente tornò a Naumburg per visitare la sua famiglia, e, soprattutto in questo periodo, lui e la sorella continuarono ad avere periodi di conflitto e di ripetute riconciliazioni.
Durante un breve viaggio in traghetto a Messina e Taormina frequenta "l'Arcadia" locale e inizia a scrivere Così parlò Zarathustra. Durante la Pasqua del 1882, tramite la comune amica e nota scrittrice femminista Malwida von Meysenbug, incontra a Roma Lou von Salomé, una giovane studentessa russa in viaggio d'istruzione attraverso l'Europa. Si danno appuntamento presso la Basilica di San Pietro e Nietzsche la saluta con queste parole: «Da quali stelle siam caduti per incontrarci qui?». A maggio, durante una gita sul lago d'Orta passa alcune ore di intimità con questa ragazza ventunenne "intelligentissima". In seguito, la Salomé non ricordò se avesse baciato il filosofo, del quale comunque rifiutò una proposta di matrimonio (come del resto quella dell'amico di entrambi Paul Rée che le aveva presentato Nietzsche e con il quale si era formato una sorta di rapporto triadico filosofico-sentimentale).
Questo incontro, proseguito poi attraverso due anni di intensi scambi affettivi e culturali, è molto particolare, in quanto si tratta di una delle rare esperienze sentimentali-affettive di Nietzsche con una donna di cui si abbia conoscenza. Nietzsche continuò poi a frequentare i due amici, reiterando proposte di matrimonio alla Salomé e baciandola due volte di seguito in pubblico, cosa che provocò la gelosia della sorella Elisabeth e il disappunto della madre Franziska, che ritenevano Lou una donna frivola e inadatta.
Il rapporto con madre e sorella diviene di nuovo molto teso. Nietzsche non partecipa al matrimonio di Elisabeth nel 1885 con l'ex insegnante e agitatore antisemita Bernhard Förster, che disprezza. In seguito Lou von Salomé si allontanò da Nietzsche e Ree, terminando questa sorta di amore platonico, sposando poi Carl Andreas e avendo numerose relazioni, come quella con Freud e con Rainer Maria Rilke. Questa delusione, e il rancore che cominciò a provare per lei, spinsero Nietzsche a continuare alacremente il lavoro sullo Zarathustra, che portò a termine nel 1885, mentre la salute però peggiorava.
«Mi faccio coraggio quanto posso, ma una melanconia senza pari si impossessa ogni giorno di me, specialmente la sera [...] A che serve? [...] La vita è un esperimento[16], ma si ha un bel dire e un bel fare, lo si paga sempre a troppo caro prezzo.»
(Lettera a Elisabeth Förster-Nietzsche, febbraio 1886[17])
Ancora nel 1888 è di nuovo in rotta con la famiglia, come si evince da un passo di Ecce homo che sarà censurato dalla sorella nella prima edizione:
«Se cerco qual è la più profonda antitesi di me stesso, [...] ritrovo sempre mia madre e mia sorella - credermi imparentato con una tale canaille sarebbe un bestemmiare la mia divinità. [...] confesso che la più profonda obiezione contro l'"eterno ritorno" [...] è sempre mia madre e mia sorella».
Ultimo periodo e collasso mentale
«La testimonianza si trova scritta addirittura nei miei libri: i quali, riga per riga, sono libri vissuti per una volontà di vita e con ciò stesso, in quanto creazione, rappresentano un'aggiunta reale, un di più di quella vita stessa.»
(Friedrich Nietzsche, Ditirambi di Dioniso e Poesie Postume, "Dionysos philosophos", 23)
«La follia è nei singoli qualcosa di raro - ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola.»
(da Al di là del bene e del male)
Nel 1888, avendo già molte pubblicazioni alle spalle, Nietzsche si trasferì a Torino, città che apprezzò particolarmente, e dove scriverà L'Anticristo, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce Homo (pubblicato postumo).
Nel 1889 avvenne infine il famoso crollo mentale di Nietzsche, probabile effetto di una patologia neurologica: è datata 3 gennaio 1889 la prima crisi di follia in pubblico; mentre si trovava in piazza Carignano, nei pressi della sua casa torinese, vedendo il cavallo adibito al traino di una carrozza fustigato a sangue dal cocchiere , abbracciò l'animale, pianse, finendo per baciarlo; in seguito cadde a terra urlando in preda a spasmi. Per molti è un episodio leggendario e Nietzsche si sarebbe piuttosto limitato a fare vistose rimostranze e schiamazzi per i quali venne fermato e ammonito dalla polizia municipale. Alla luce delle testimonianze riferite da Davide Fino, proprietario dell'alloggio affittato da Nietzsche, a Karl Strecker (alla fine del 1888) e alla sorella del filosofo, Elisabeth (nel 1889), si dovrebbe distinguere il presunto episodio "del cavallo" dal "crollo" di Nietzsche. Il primo risalirebbe alla fine '88, mentre il secondo consisterebbe nella caduta dalla scalinata di piazza Carlo Alberto, dopo di che venne accompagnato a casa e "giacque due giorni sul divano, sempre parlando concitatamente da solo o scrivendo".
Le cause non sono mai state chiarite con certezza, ma sono state ipotizzate diverse possibilità come la MELAS (un'encefalomiopatia ereditaria), un meningioma, e altre come, ad esempio, neurosifilide; epilessia del lobo temporale (la stessa patologia di Dostoevskij), unita alla nota emicrania, forse con aura, disturbo bipolare (o disturbo schizoaffettivo) e avvelenamento cronico da mercurio, metallo pesante tossico usato (assieme all'altrettanto tossico arsenico) come farmaco anti-sifilitico, prima dell'avvento degli antibiotici e somministrato effettivamente a Nietzsche, almeno tramite frizionamento cutaneo, durante il ricovero (è probabile che l'uso del mercurio per presunta sifilide fosse causa comune di morti in ospedali psichiatrici, come potrebbe essere accaduto decenni prima a Robert Schumann); se l'emicrania, la malattia mentale e i problemi di vista congeniti furono infatti attribuiti alla neurosifilide, Nietzsche potrebbe essere stato vittima di avvelenamento non intenzionale fino a portarlo alla demenza vascolare da ictus e al deterioramento cognitivo da neurotossicità; demenza frontotemporale; arterite temporale (una vasculite delle arterie cerebrali); infine, dato che Nietzsche ebbe anche una serie di ictus che causarono paralisi e demenza vascolare, essi potrebbero essere stati causati da una malattia preesistente specifica quale l'arteriopatia cerebrale genetica, o CADASIL, una demenza ereditaria causata da micro-infarti cerebrali multipli subcorticali. La CADASIL è considerata un'ipotesi accreditata poiché è una sindrome ereditaria solamente per via paterna, e occorre ricordare che la famiglia materna era sana (almeno fisicamente, è probabile invece che ci fossero casi di depressione, e secondo Paul Julius Möbius una sorella di Franziska si sarebbe suicidata), mentre sia il padre sia il nonno che il fratello di Nietzsche morirono per una malattia cerebrale non identificata, che esordì forse con un ictus.
Nietzsche nell'ultima fase della malattia, in una ricostruzione cinematografica ricavata da fotografie originali scattate a Weimar (tratta dalle ultime sequenze del film "I giorni di Nietzsche a Torino", di J. Bressane, Brasile, 2001)
La sorella Elisabeth tenterà poi di nascondere la diagnosi di sifilide che fu ipotizzata in manicomio attribuendo la follia a uso di sonniferi e farmaci antidolorifici, come morfina, oppio e cloralio assunti per l'emicrania e l'insonnia negli anni precedenti.
Sempre nello stesso periodo del crollo, Nietzsche scrive lettere ad amici e conoscenti che sono solitamente classificate sotto il nome di Biglietti della follia: in essi la sua crisi mentale appare ormai in uno stato avanzato, anche se lo stile non è affatto diverso da quello classico, somigliante a quello poetico, altisonante e aulico delle ultime opere. Uno dei biglietti è indirizzato al re d'Italia Umberto I di Savoia, suo coetaneo (moriranno lo stesso anno) che Nietzsche apostrofa come "mio figlio", forse a causa di una leggera somiglianza fisica. Tre, firmati "Dioniso" o "Zagreo", vennero inviati a Cosima Wagner, chiamata nelle lettere "Arianna", la mitologica moglie del dio, e fa dei riferimenti ai suoi ultimi tre libri (L'anticristo, Ecce Homo e Il crepuscolo degli idoli).
«Alla principessa Arianna, mia amata. Che io sia un uomo, è un pregiudizio. Ma io ho già vissuto spesso fra gli uomini e conosco tutto ciò che gli uomini possono provare, dalle cose più basse fino a quelle più alte. Sono stato Buddha tra gli indiani e Dioniso in Grecia, – Alessandro e Cesare sono mie incarnazioni, come pure Lord Bacon, il poeta di Shakespeare. Da ultimo, ancora, sono stato Voltaire e Napoleone, forse anche Richard Wagner... Ma questa volta vengo come Dioniso il vittorioso, che farà della terra una giornata di festa... Non avrei molto tempo... I cieli si rallegrano che io sia qui... Sono stato anche appeso alla croce...»
(Una delle tre lettere a Cosima Wagner)
Pochi giorni dopo, viene ricoverato dall'amico Franz Camille Overbeck, teologo protestante e suo ex insegnante, a causa del suo stato alterato, che passava da momenti di esaltazione a tristezza profonda, prima in una clinica psichiatrica a Basilea (Svizzera) in cura dal dottor Wille, che gli diagnostica una "paralisi progressiva" di incerta origine e ipotizza per la prima volta la sifilide sulla base probabilmente di dati anamnesici erronei: l'affermazione del confuso Nietzsche di aver contratto "due volte" la lue nel 1866 probabilmente confondendosi con il colera, che ritenne anni addietro d'aver contratto appunto due volte, e l'anisocoria pupillare ereditata dalla madre e presente dall'infanzia (a causa forse di essa, della miopia e dell'emicrania, negli ultimi anni la vista di Nietzsche era molto peggiorata), che i medici scambiarono per il segno neurologico sifilitico detto pupilla di Argyll Robertson.
Uscito dalla clinica di Basilea, viene trasferito poi dalla madre a Naumburg (Assia, Germania), poi a Jena, in clinica dal dottor Otto Binswanger, esperto di paralisi e demenza, famoso per aver studiato la malattia eponima simile alla CADASIL, il quale conferma la diagnosi di Wille dichiarando privatamente a Overbeck che Nietzsche soffre di demenza paralitica da sifilide, menzionando un ipotetico contagio del 1886, mentre ufficialmente parla però di una possibile eredità famigliare della patologia dopo aver analizzato i sintomi che portarono alla morte padre e fratello; Binswanger, suscitando le ire di Franziska che ne scrive a Overbeck, sostiene che anche Elisabeth a suo parere ha "un che di esaltato". Anche il dottor Ziehen appoggia la diagnosi di sifilide, mentre Binswanger obietta comunque con Gast che l'unica stranezza è l'insolita lunga sopravvivenza all'infezione e alla paralisi luetica, per cui non si poteva attribuire l'intero decorso come derivato dalla lue. Nel 1890 viene trasferito nella casa della madre, per esser assistito da lei stessa e da due infermieri. La famiglia Nietzsche, specie la sorella, non accettò mai queste diagnosi (neurosifilide o patologia neurologica ereditaria), considerandole entrambe lesive dell'onore.
Nei primi tempi pare abbastanza lucido, ma irritabile e senza più interesse per la filosofia e la scrittura, che pare non comprendere. Dopo alcuni anni dal suicidio del marito (giugno 1889), Elisabeth Nietzsche ritorna dal Paraguay, a causa dei debiti nel 1893 e decide di occuparsi del fratello e della sua opera. Già dal 1892 Nietzsche gradualmente perde la memoria, e non riconosce le persone, salvo certi momenti di lucidità.
Nietzsche trascorre il suo tempo in un mutismo quasi totale, passeggiando con amici o suonando il pianoforte, fino all'aggravarsi delle condizioni fisiche (numerose paralisi, forse accentuate dalle eccessive dosi di farmaci per tenere sotto controllo gli attacchi di follia); talvolta parla con gli ospiti, ma è assente e i suoi ragionamenti spesso confusi. Nel 1893 perde l'uso delle gambe (secondo i medici a causa di tabe dorsale in forma paraplegica, una delle manifestazioni della neurolue), ed è costretto a spostarsi con una sedia a rotelle, mentre dal 1894 soffre di perdita della parola, indici di danni cerebrali e spinali diffusi, anche se Sax racconta di una visita di un amico a Nietzsche nel 1899 in cui, secondo la testimonianza, il filosofo era ancora in grado di comunicare, in certi momenti, e non era incosciente, anche se poco reattivo, almeno fino all'ultimo anno di vita (pur all'oscuro del grande dibattito che i suoi scritti cominciavano a suscitare in Europa). Al visitatore che tentava di interloquire con lui, nel 1899, Nietzsche avrebbe risposto "ho davvero scritto alcuni buoni libri?".
Dopo il 1895 visse in stato semi-catatonico, rispondendo solo se sollecitato dalla sorella o dai familiari. Nel 1897 muore di tumore la madre, e nel 1898 e 1899 è colpito nuovamente da ictus, come già anni prima.
Rudolf Steiner descrive ne La mia vita l'incontro con il filosofo avvenuto nel 1896 e da lui definito come "ottenebrato". In quell'incontro egli affermò di essere riuscito a percepire "chiaroveggentemente", secondo le sue teorie più tarde di matrice antroposofico-teosofica, il corpo eterico parzialmente distaccato dal corpo fisico nella zona del capo (per gli antroposofi il distacco del corpo eterico avviene durante il sogno, altrimenti è causa di malattia mentale).
«Là, disteso sul divano, giaceva l'Ottenebrato, con la sua fronte mirabilmente bella di artista e di pensatore. Erano le prime ore del pomeriggio. Gli occhi, pur essendo spenti, apparivano ancora pervasi d'anima; ma di quanto li circondava non accoglievano più che un'immagine a cui era ormai negato l'accesso all'anima. Stavamo dinanzi a lui, ma Nietzsche non lo sapeva. Eppure si sarebbe ancora potuto credere che quel volto spiritualizzato fosse l'espressione di un'anima la quale, nel corso del mattino, avesse intensamente pensato e volesse ora riposare un momento. Credetti che la scossa interiore da me provata si trasformasse in comprensione per il genio il cui sguardo mi fissava senza vedermi. La passività di quello sguardo, lungo e fisso, sprigionò la comprensione del mio proprio sguardo, che in quel momento poté lasciar agire la forza animica dell'occhio, senza che l'altro occhio lo incontrasse. E si presentò alla mia anima di Nietzsche, quasi librata sul suo capo, illimitatamente bella nella sua luce spirituale; liberamente aperta ai mondi spirituali nostalgicamente invocati, ma non trovati, prima dell'oscuramento: incatenata però ancora al corpo, conscio di essa soltanto quando il mondo spirituale era ancora per lei nostalgia...»
(Rudolf Steiner, descrizione di Nietzsche secondo le sue teorie religiose)
Gli ultimi anni e la morte
Nietzsche nel 1899, un anno prima della morte
Trasferitosi nel 1897 assieme a Elisabeth nella casa di Weimar (Turingia, Germania), dove la sorella ha fondato tre anni prima il Nietzsche-Archiv (a cui collaborava appunto il giovane Steiner, allora di idee nichiliste modellate su Stirner e Nietzsche), vi muore di polmonite il 25 agosto 1900. Nonostante il suo dichiarato e profondo ateismo, per volontà di parenti e amici viene seppellito con cerimonia religiosa nel cimitero di Röcken. Anche se Nietzsche si era espresso contro i concetti di "sacro" e "santità" numerose volte, durante il funerale Peter Gast lo elogiò affermando "santo sia il tuo nome per tutte le generazioni future!". Postumi escono i rimanenti manoscritti, i Frammenti e il manoscritto "ricostruito" da Gast ed Elisabeth de La volontà di potenza, nonché il libro autobiografico di incerta attribuzione Mia sorella ed io, che secondo i pochi studiosi che ne sostengono l'autenticità, almeno parziale, sarebbe l'ultimo scritto, redatto da Nietzsche durante l'internamento in manicomio e nel 1890 a casa della madre.
«Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te»
(Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 146)
Pensiero
«Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite.»
(Friedrich Nietzsche, Ecce Homo, capitolo 1, Perché sono un destino)
La filosofia di Nietzsche prende le mosse dal suo complesso retroterra culturale, specialmente di filologo classico, ammiratore della tragedia greca e poi entusiasta estimatore della nuova musica post-romantica di Wagner, della quale si fa promotore sul piano estetico e filosofico, scorgendo in essa una spinta per la rinascita dello spirito tedesco. A ciò si connette strettamente un intenso studio delle filosofie presocratiche, ad esempio quella di Eraclito, e una loro affermazione rispetto all'egemonia tradizionale dell'impianto socratico-platonico.
Fondamentale per la formazione del giovane Nietzsche è altresì la lettura, nel 1866-67, de Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, incontro definito dal filosofo "caso divino". Così, in una riflessione registrata in una pagina autobiografica, Nietzsche ricorda la prima lettura del capolavoro schopenhaueriano:
«In esso ogni riga gridava la rinuncia, la negazione e la rassegnazione, lì io guardavo il mondo come dentro uno specchio, e insieme la mia vita e la mia anima, investito di orrore; in esso come fosse un Sole, il grande occhio dell'arte mi fissava, staccandomi dal mondo; io vi vedevo malattia e salvezza, esilio e rifugio e inferno quanto paradiso.»
Fase tragica e wagneriana
Nella sua prima vera opera di argomento filosofico, La nascita della tragedia (1872), la tragedia greca viene vista come la massima espressione dello slancio vitale o "spirito dionisiaco", impulsivo e irrazionale, che si coniuga e nello stesso tempo si contrappone a quello apollineo, che rappresenta l'ordine e la razionalità. Il pensiero apollineo e quello dionisiaco sono perciò così definiti:
«Finora abbiamo considerato il pensiero apollineo e il suo opposto, il dionisiaco, come forze artistiche che erompono dalla natura stessa, senza mediazione dell'artista umano e in cui gli impulsi artistici della natura trovano anzitutto e in via diretta soddisfazione: da una parte come mondo di immagini del sogno, la cui perfezione è senza alcuna connessione con l'altezza intellettuale o la cultura artistica del singolo; dall'altra parte come realtà piena di ebbrezza, che a sua volta non tiene conto dell'individuo e cerca di annientare l'individuo e di liberarlo con un sentimento mistico di unità.»
(La nascita della tragedia, 2. Adelphi, Milano 1972, p. 26)
Ne La nascita della tragedia, Nietzsche individua per la prima volta in Socrate il corruttore della tragedia attica, e nella sua influenza sul tragediografo Euripide l'origine del prevalere dello spirito apollineo su quello dionisiaco, espresso dalla vecchia tragedia di Sofocle ed Eschilo. Non a caso Euripide presenta una rappresentazione che può essere vista come negativa della religione dionisiaca ne Le baccanti. La corruzione dello spirito tragico è da Nietzsche considerata come l'originaria decadenza cui si deve una visione astratta e intellettualizzante della vita e della morale, determinata dall'"intellettualismo etico" socratico.
Friedrich Nietzsche in un ritratto di Edvard Munch
Altrettanto forte è l'avversione di Nietzsche nei confronti di Platone, che egli considera autore di una concezione del mondo fondata sull'idealità metafisica dell'anima data dall'astrazione e sull'allontanamento dal corpo, ossia l'essenza umana e nobile. Da Platone egli ritiene esser nata quella continuità ideologica che lega la filosofia parmenidea con Platone e poi Plotino e, ancora, il cristianesimo (definito "platonismo per il popolo").
Nietzsche attacca, quindi, i tradizionali valori fondamentali della società (della metafisica, del cristianesimo, della democrazia, e del nazionalismo), sostenendo la natura meramente metaforica e prospettica di qualsiasi principio trascendente e della stessa morale, così come di ogni concezione tradizionale. Il suo obiettivo era di smascherare la falsità e l'ipocrisia del sistema culturale su cui si fondava l'Europa dei suoi tempi e in particolare il mondo germanico, ma tutta la storia dell'Occidente è vista come un lungo processo di decadenza dell'uomo, come negazione della vita, quando invece l'affermazione della libertà avrebbe dovuto essere il destino dell'uomo.
I grandi valori della cultura occidentale, quali la verità, la scienza, il progresso, la religione, sono così da smascherare nella loro mancanza di fondamento e nella loro natura di mera finzione. C'è nell'uomo una sostanziale paura verso la creatività della vita e la volontà di potenza, che produce valori collettivi sotto la cui giurisdizione la vita viene disciplinata, regolata, schematizzata.
Un tale nichilismo è tuttavia soggetto, nelle opere di Nietzsche, a una caratterizzazione più profonda e problematica, che egli giunge a delineare in due aspetti fondamentali. La prima forma di nichilismo, il nichilismo passivo (di cui un esempio è ravvisato in Schopenhauer) coincide con la perdita di fiducia dell'uomo europeo verso i valori della propria civiltà; coincide con la "diminuzione vitale", caratterizzata diversamente come perversione della volontà di potenza. Con nichilismo attivo, invece, Nietzsche intende l'atteggiamento che, fattosi forte di una demolizione dei vincoli metafisici che sopprimevano la forza vitale, si propone come creatore di nuove tavole di valori attraverso la loro trasvalutazione.
Deve tenersi presente che le determinazioni che portano Nietzsche al nichilismo derivano dal convincimento della necessità del distacco oggettuale e relazionale che portano da un lato all'affermazione non di un valore determinato ma di valori fluenti che sono alla base della trasvalutazione e che dall'altro consentono nell'analisi della oggettività di disceverare l'oggetto e l'altro ma nello stesso tempo di racchiudere il pensiero in sé stesso a realizzare proprio attraverso tale distacco la volontà di potenza.
È attraverso tale chiusura del pensiero in sé stesso che viene determinato il nichilismo di Nietzsche anche in quanto costituente la scissione dell'interno dall'esterno e attraverso cui si realizza la possibilità di cogliere l'opposizione dicotomica nel pensiero tra razionale in quanto sistematico e irrazionale in quanto nichilistico e distruttivo, rispetto alla quale dinamica si coglie una prospettiva della distinzione e del pari operativismo di nichilismo esteriore e di nichilismo interiore, processo in cui il nichilismo interiore correlato, tramite il dionisiaco, all'istinto ossia alla soddisfazione pone nello stesso tempo la relazione alla volontà di potenza fattori che si relazionano all'esaltazione del dionisiaco come irrazionale anche in quanto fattore non comprimibile e dunque enucleante appieno la possibilità di realizzare la volontà di potenza.
Da tale aspetto fondamentale di Nietzsche connotante il distacco oggettuale e la relazione con l'altro deriva anche il suo apprezzamento, da un lato, della caratteristica della assenza di compassione, che è uno dei fondamenti a base della trasvalutazione e che se non così fondata entrerebbe in contraddizione con il suo nichilismo e dall'altro il suo apprezzamento per i passi biblici e per l'ebraismo che si fondano sulla giustizia divina e in particolare sulla legge dell'"occhio per occhio e dente per dente" cui si unisce appunto quel distacco alla cui base vi è un'assenza di affettività che consente l'affermazione del valore del momento in rispondenza alla volontà di potenza e alla necessità di esistenza dell'esterno anche come altro-soggetto.
L'uomo, per Nietzsche, ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso", che non c'è nessun "oltre" di essa e che va vissuta con desiderio e libero abbandono pieno di "fisicità". Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l'uomo non avrebbe bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali. L'umanità occidentale, passata attraverso il cristianesimo, percepisce ora un senso di vuoto, trova che "Dio è morto", cioè che ogni costruzione metafisica vien meno davanti alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà l'Oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l'idea secondo cui l'Universo non ha un senso, l'umanità continuerà a cercare dei valori assoluti che possano rimpiazzare il vecchio dio (inteso come qualsiasi tipo di realtà ultraterrena e non come semplice entità quale potrebbe essere il Dio cristiano); dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza e il denaro.
La mancanza, però, di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. Le parole di Sileno a Re Mida mostrano un profondo pessimismo e antinatalismo simile a quello di Sofocle (con la citazione dall'Edipo a Colono), di Leopardi, di Schopenhauer e dei suoi discepoli diretti. Sileno è individuato come portatore della saggezza dionisiaca, ovvero del senso tragico dell'esistenza, celato dai greci stessi attraverso l'apollineo, in quanto impossibile da tollerare per l'uomo comune.
«L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: "Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto."»
(Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 2018, pp. 31-32)
È tuttavia possibile uscire da tale nichilismo, senza ricercare la morte o l'ascesi, comprendendo questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza (fase del nichilismo attivo). L'uomo, ergendosi al di sopra del caos e della mancanza di senso della vita, può generare propri significati e imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso del testo Così parlò Zarathustra, Nietzsche mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell'"Io voglio", e infine in un sacro "Dire di sì", espresso dalla figura del fanciullo giocondo.
Ovviamente il nichilismo attivo non giustifica i modelli valoriali proposti nel corso dei secoli per dare senso alla realtà, poiché questi non sono altro che il frutto dello spirito apollineo e, pertanto, non corrispondono all'effettiva essenza dell'uomo, che è dionisiaco, ossia legato inscindibilmente a quei "valori" (vitalità, potenza) intrinseci alla sua natura terrena:
«Si trasformi l'Inno alla Gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al Dionisiaco. [...] e ai colpi di scalpello dell'artista cosmico dionisiaco risuona il grido dei misteri eleusini: "Vi prosternate milioni? Senti il creatore, mondo?".»
(Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 1)
Per una rinascita del tragico in Germania
Nel primo testo filosofico di Nietzsche La nascita della tragedia del 1872, che è anche una messa a fuoco della sua cultura classica e della mitologia greca, egli concentra la sua attenzione sulle origini del teatro nell'antica Grecia. Si serve di e teorizza perciò due concetti-base, che diverranno poi "ideologici" per lo stesso autore e portatori di numerosi valori, lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo. Il dionisiaco (dal dio Dioniso) in quanto "ebbrezza" rappresenta l'elemento dell'affermazione della vita, della spontaneità, dell'istinto umano, della giocosità e raffigurerà nelle successive opere la volontà di potenza. È l'impulso che esprime la forza vitale propria dell'oltreuomo nella sua totale libertà, l'ebbrezza che trova la sua manifestazione più compiuta nella musica e nella danza.
Il "dionisiaco" gioca dialetticamente con il proprio contraltare, l'"apollineo", ovvero l'armonia delle forme e del vivere. Quando Dioniso vive è Apollo a dormire, viceversa quando Apollo si rappresenta ed è in superficie, Dioniso è "sotterraneo". Il dionisiaco è un continuo ciclo "vita-morte-vita", attraverso il quale tutte le arti sono state create e si sono modificate. L'apollineo è la luce del giorno razionalizzata nell'arte plastica degli scultori dell'epoca classica. L'"apollineo" rappresenta anche la ratio umana che porta equilibrio nell'uomo, che è capace di concepire l'essenza del mondo come ordine e che lo spinge a produrre forme armoniose rassicuranti e razionali. Senza di esso, nell'uomo ci sarebbe un'esplosione di emozioni incontrollate e bisognose di essere controllate.
Molto complesso è lo studio che il filologo Nietzsche fa delle arti greche e della tragedia in particolare. Nel "ditirambo" del coro tragico greco era insito lo spirito dionisiaco (Nietzsche lo chiama appunto "ditirambo dionisiaco"). Nella parola come sempre Nietzsche ricerca la chiave per l'interpretazione della realtà e per portare alla luce ciò che i concetti hanno di arcano dentro. In quanto filologo, ancor prima che filosofo, è sempre il "verbo" il suo primo amore. Dal ditirambo, che è il nucleo del "coro", al testo poetico in cui è scritto il dramma, si svolge la continua alternanza dei due dèi greci Apollo e Dioniso, fino alla suprema e sublime armonia.
L'analisi delle origini della tragedia greca, scorre lungo il testo nietzschiano attraversando tutta la storia di questo lungo percorso, da Archiloco a Euripide, passando per Eschilo e Sofocle fino alla sua stessa fine: la morte della tragedia avvenne per mano di Socrate ovvero di ciò che il filosofo ha rappresentato per la grecità e le sue espressioni artistiche.
Ma come la tragedia ebbe origine dalla musica, Nietzsche auspica che allo stesso modo possa rinascere. Da qui la critica profonda e sentita all'"Opera", in quanto genere artistico in cui vivono inconciliabili contraddizioni di carattere estetico e filosofico. Forte è l'esortazione del filosofo al musicista Richard Wagner - al quale era dedicata l'opera - e ad altri non specificati artisti contemporanei affinché ritrovino e ridestino l'ebbrezza dionisiaca insita nella musica e su di essa, assieme al mito tragico, inaugurino una nuova epoca tragica:
«Amici miei, voi che credete nella musica dionisiaca, sapete anche che cosa significhi per noi la tragedia. In essa noi abbiamo, rinato dalla musica, il mito tragico – e in questo potete sperare tutto e dimenticare ciò che è più doloroso! Ma ciò che è più doloroso per tutti noi - il lungo degrado nel quale, lontano da casa e dalla sua patria, al servizio di perfidi nani, è vissuto il genio tedesco. Voi capite quello che dico, così come, infine, capirete le mie speranze.»
(Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 24)
Fase illuministica
Secondo Eugen Fink, che per primo ha parlato dell'"Illuminismo di Nietzsche" questo percorso, che inizia con Umano, troppo umano (1878-1880), coincide con l'avvento della scrittura aforistica, e risulta caratterizzato dal ripudio dei vecchi maestri, come Schopenhauer e, in particolare, Wagner. Nietzsche rinnega la stima e l'amicizia personale con il musicista, di cui tanto aveva ammirato L'Anello del Nibelungo e il Tristano e Isotta, in quanto simboli dell'umana lotta nel tentativo di convivere con i propri impulsi annullandosi nella materia, al di fuori di qualsiasi concetto religioso. Ora lo accusa di essere diventato un tipico decadente, che con il Parsifal ricade nel più becero misticismo cristiano, quale ridicola rappresentazione di un mondo fasullo e immaginario.
In questo periodo, il filosofo abbandona la "metafisica dell'artista" (anche questa una definizione del sopracitato Fink), per privilegiare la scienza. Considererà l'arte come il residuo di una cultura mitica. Il redentore della cultura non sarà più l'artista o il genio (come invece pensava Wagner) ma il filosofo educato "alla scuola della scienza". Sarà illuminista, nel senso che si troverà impegnato in un'opera di critica della cultura tramite la scienza, che egli ritiene sia un metodo di pensiero, piuttosto che un insieme di tutte le scienze particolari. Un metodo critico di tipo storico e genealogico, perché non esistono realtà immutabili e statiche, ma ogni cosa è l'esito di un processo che va ricostruito.
I concetti base di questo periodo sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero si identifica con il viandante, cioè con colui che grazie alla scienza riesce a emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una filosofia del mattino che si basa sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite.
Fase nichilistica
«Ciò che non mi uccide, mi rende più forte.»
(Il crepuscolo degli idoli)
L'ultima fase è caratterizzata dai concetti più celebri della sua filosofia: nichilismo attivo, relativismo, oltreuomo, trasvalutazione dei valori, eterno ritorno e volontà di potenza.
Per quanto riguarda lo sviluppo del pensiero di Nietzsche, è stato osservato nella ricerca che, sebbene egli abbia trattato temi "nichilistici" (pessimismo, identificazione del nirvana con il nulla e il non-essere, come in Schopenhauer) a partire dal 1869, l'uso concettuale del nichilismo ha avuto luogo per la prima volta in appunti manoscritti a metà del 1880. In questo periodo viene pubblicata un'opera allora popolare, Lo sviluppo del nichilismo di Karlowitz che ricostruisce il cosiddetto "nichilismo russo" di stampo vagamente anarchico, sulla base dei resoconti dei giornali russi, opera che fu significativa per la terminologia di Nietzsche in generale.
Contro Socrate, Platone e cristianesimo
Riprendendo le sue precedenti idee, nella fase illuministica e poi nichilistica, il filosofo attacca platonismo e cristianesimo. Secondo Nietzsche la decadenza è il rifiuto dell'amore per la vita e della creatività, della spontaneità del vivere naturale e nello stesso tempo "tragico", dunque dello spirito dionisiaco. Per lui colui che per primo ha condizionato negativamente la civiltà occidentale verso questo annullamento della vita è stato Socrate: l'errore di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la conseguenza di ciò è il non-vivere.
Socrate ritiene che la ragione sia l'essenza dell'uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere dominate. Per Socrate una vita fondata sulla ragione è una vita felice, mentre una vita dominata dalle passioni è destinata a dolorosi conflitti e turbamenti. Nietzsche sostiene che l'accettazione della condanna a morte per Socrate, che obbedisce alle leggi pur ritenendole ingiuste e, come riportato da Platone, ringrazia Asclepio dopo aver bevuto la cicuta dicendo ai discepoli che gli sono debitori di un gallo, rappresenta l'estrema affermazione degli errori del filosofo e del suo rifiuto dei valori vitali a favore della metafisica. Nietzsche ritiene infatti che Socrate ringrazi il dio della medicina per averlo guarito dalla malattia del vivere: «Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano per chi ha orecchie: "O Critone, la vita è una malattia!"»
Anche Platone ha indirizzato la vita verso un mondo astratto e irreale, e in questo processo di decadenza si inserisce poi il cristianesimo, "platonismo per il popolo". Quest'ultimo ha prodotto un modello di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza, dettati dal motto cristiano del continuo pentimento e della richiesta implorata di salvezza e perdono.
«Al cristianesimo la malattia è necessaria, pressappoco come alla grecità è necessaria un’esuberanza di salute - rendere malati è la vera intenzione recondita dell'intero sistema procedurale della Chiesa per salvare se stessa [...] una religione che ha insegnato a fraintendere il corpo, che non vuole sbarazzarsi delle superstizioni dell'anima, che fa dell'insufficiente nutrimento un "merito", che nella salute combatte una specie di nemico, di diavolo, di tentazione, che vuole dare da intendere che si possa portare in giro un'"anima perfetta" in un cadavere di corpo.»
(F. Nietzsche, L'anticristo, aforisma 51)
Perciò l'uomo cristiano, al di là della propria maschera di serenità, è psichicamente tormentato, nasconde dentro di sé un'aggressività rabbiosa contro la vita ed è animato da risentimento contro il prossimo. Nietzsche crea in questo periodo le metafore del guerriero e del sacerdote: il primo rappresenta il manifestarsi della volontà di potenza, il secondo invece, timoroso dei propri mezzi, costituisce il "sottomesso" che a una morale dei forti, antepone una morale dei deboli, facilmente accessibile, che costituisce la negazione vera e propria dell'incondizionata gioia di vivere.
Più che con la figura di Gesù (verso cui manifesta simpatia, considerandolo un "santo anarchico, sia pure un po' idiota", che se fosse vissuto a lungo avrebbe ritrattato la sua dottrina) Nietzsche è polemico contro il Cristianesimo («la parola “cristianesimo” è un equivoco -, in fondo è esistito un solo cristiano e questi morì sulla croce. Il "Vangelo" morì sulla croce», scrive) ideato da Paolo, in quanto religione dei «poveri di spirito», fondata sul risentimento e sulla cattiva coscienza.
«Si legga Lucrezio, per capire che cosa ha combattuto Epicuro: non il paganesimo, ma il "cristianesimo", intendo dire la corruzione delle anime per mezzo dei concetti di colpa, pena e immortalità. Egli combatteva i culti sotterranei, l'intero cristianesimo latente - negare l'immortalità allora era già una vera redenzione. Ed Epicuro avrebbe vinto, ogni spirito ragguardevole nell'impero romano era epicureo: in quella apparve Paolo. Paolo: l'odio dei Ciandala contro Roma, incarnato, fatto genio: il giudeo, l'eterno giudeo par excellence. Il cristianesimo come formula per superare – e per assommare – i culti sotterranei d'ogni sorta, quelli di Osiride, della grande Madre, di Mitra, per esempio: in questa intuizione sta il genio di Paolo.»
(da L'Anticristo, 58)
L'idiozia del Cristo, invece, non deve però caricarsi di una sola accezione negativa: "idiota" è l'individuo che non partecipa della collettività, del modus intellegendi condiviso, e sposta la sua attenzione verso la propria interiorità abbandonando la realtà: probabilmente un riferimento a L'idiota di Dostoevskij, scrittore cristiano a cui Nietzsche si sente legato per lo psicologismo, e al protagonista Myškin, che viene visto dall'autore russo come un Cristo moderno, un uomo ideale e "ingenuo", che finisce per impazzire.
Il filosofo accusa però proprio la religione cristiana di creare questo equivoco e di essere uno pseudo-umanesimo, colpevole di «agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli», opponendosi alla vera filantropia e all'aggressività naturale della lotta per l'esistenza: «I deboli e i malriusciti devono perire, questo è il principio del nostro amore per gli uomini.» Riguardo alla "salute", anche questo passo può essere interpretato e derivato dalla lettura dell'intellettuale russo, che scrive nel Diario di uno scrittore che il suo interesse per personaggi problematici deriva dal fatto "che moltissime persone sono malate appunto della loro salute, cioè di una smisurata sicurezza della propria normalità (...) Questi uomini pieni di salute non sono così sani come credono, ma, al contrario, sono molto malati e debbono curarsi". La vera salute è quindi l'opposto della salute intesa dai più. Nietzsche contesta soprattutto il fatto che «l'individuo fu considerato dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani». Il filosofo deve comunque porsi come maestro verso chi può e vuole liberarsi dalla sua condizione approdando alla vera salute:
«Mite è Zarathustra con gli ammalati. In verità egli non s’irrita nè del modo con cui cercano di consolarsi nè della loro ingratitudine. Possano risanare, superare sè stessi, e crearsi un corpo più perfetto! E neppur s'adira Zarathustra col convalescente, che segue con trepida tenerezza la sua illusione e a mezzanotte s'aggira intorno alla tomba del suo Dio: ma nelle lagrime di costui egli vede ancora l'indizio del corpo ammalato. E ammalati ve n’ebbe sempre di molti tra i poeti e i cercatori di Dio: e tutti odiavano furiosamente chi aspirava alla conoscenza e quella più recente tra le virtù che ha nome sincerità. Guardarono sempre all’indietro, essi, verso tempi più oscuri [...]. Troppo bene conosco costoro che si credono simili a Dio: essi vogliono imporre la fede e chiamano il dubbio peccato. E per ciò ascoltano volentieri i predicatori della morte e predicano essi stessi i mondi soprannaturali. Ascoltate piuttosto, o miei fratelli, la voce del corpo ridonato alla salute: è questa una voce più sincera e più pura. Più sinceramente e puramente parla il corpo sano, il corpo saldo, perfetto: egli vi parla del senso della terra.»
Ribaltando le gerarchie di valori (anche con l'esempio dell'alto albero le cui radici scavano però nella profondità) afferma anche che «"L'uomo è cattivo", così parlano con mio conforto i più saggi. Ah se fosse pur vero anche oggi! Giacché il male è la migliore energia dell'uomo». Specifica anche sempre ne L'anticristo che «il pathos aggressivo appartiene necessariamente alla Forza, tanto quanto il sentimento di vendetta e il ressentiment appartiene alla debolezza». Al forte appartengono anche il "pathos della distanza" (nozione introdotta in Al di là del bene e del male) della casta "aristocratica" e l'intelletto, mentre il contrario, l'uguaglianza anti-gerarchica tra diversi e l'assenza di intelletto, è ciò che rende debole e malriuscito un individuo, nonché suddito del padrone. La vittoria della morale degli "schiavi ringhianti" mascherata da compassione universale, democrazia e diritti umani, secondo Nietzsche, ha rovesciato i valori tradizionali di bellezza e nobiltà sostituendoli con la venerazione della debolezza e della miseria.
«Nessuno oggi ha più il coraggio di vantare diritti particolari, diritti di supremazia, un sentimento di rispetto dinanzi a sé e ai suoi pari – un pathos della distanza... La nostra politica è malata di questa mancanza di coraggio! – L'aristocraticità del modo di sentire venne scalzata dalle più sotterranee fondamenta mercé questa menzogna dell'eguaglianza delle anime; e se la credenza nel «privilegio del maggior numero» fa e farà rivoluzioni, – è il cristianesimo, non dubitiamone, sono gli apprezzamenti cristiani di valore quel che ogni rivoluzione ha semplicemente tradotto nel sangue e nel crimine!» (da L'anticristo, 43)
Queste nozioni di tipo tradizionalista-aristocratico, assieme a quella più ribelle e individualista dell'oltreuomo e alla volontà di potenza verranno distorte poi dal nazionalsocialismo, specialmente con lo sviluppo della teoria della razza superiore e con l'eugenetica nazista (Nietzsche, pur avversando la mentalità del "giudeo", respinge l'antisemitismo).
Nonostante questo, Nietzsche dichiara relativi e falsi i concetti di bene e male, che dovranno essere superati, in quanto «quel che si fa per amore, è sempre al di là del bene e del male.» Sempre nelle ultime opere, descrive il cristianesimo come la religione della decadenza ("decadénce"), così come il buddhismo, che al contempo (a differenza del primo) ammira in quanto non lotta contro il peccato ma contro il dolore.
«Indipendentemente dal fatto che sono un decadente, sono anche il suo contrario.»
(Ecce homo)
Le pagine finali di L'Anticristo sono un durissimo e sarcastico attacco a questa religione, la cosiddetta "legge contro il cristianesimo", definito un vizio ("Il cristianesimo diede da bere del veleno ad Eros. Costui non ne morì, ma degenerò in vizio", scrive altrove).
«Data nel dì della salute, nel primo giorno dell'anno uno (– il 30 settembre 1888 della falsa cronologia)
Guerra mortale contro il vizio: il vizio è il Cristianesimo
- Prima proposizione. – Viziosa è ogni specie di contronatura. La più viziosa specie d'uomo è il prete: egli insegna la contronatura. Contro il prete non si hanno motivi, si ha la prigione.
- Seconda proposizione. – Partecipare ad un ufficio divino è un attentato alla pubblica moralità. Si deve essere più severi contro i protestanti che contro i cattolici, più severi contro i protestanti liberali che contro quelli di stretta osservanza. Il delittuoso dell'essere cristiani cresce vieppiù ci si avvicini alla scienza. Il criminale dei criminali è quindi il filosofo.
- Terza proposizione. – Il luogo esecrando in cui il Cristianesimo ha covato le sue uova di basilisco sia distrutto pietra su pietra e sia il terrore di tutta la posterità quale luogo abominevole della terra. Su di esso si allevino serpenti velenosi.
- Quarta proposizione. – La predicazione della castità è istigazione pubblica alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni contaminazione della medesima mediante la nozione di «impurità» è vero e proprio peccato contro il sacro spirito della vita.
- Quinta proposizione. – Chi mangia allo stesso tavolo con un prete sia proscritto: con ciò egli si scomunica dalla retta società. Il prete è il nostro Ciandala – lo si deve mettere al bando, affamare, menare in ogni specie di deserto.
- Sesta proposizione. – Si chiami la storia «sacra» sia chiamata col nome che merita in quanto storia maledetta; le parole «Dio», «salvatore», «redentore», «santo» siano usate come oltraggi, come epiteti da criminali.
Settima proposizione. – Il resto è conseguenza.
L'Anticristo»
(F. Nietzsche, L'anticristo, explicit)
In Così parlò Zarathustra Nietzsche dichiara nel prologo la sua avversione al trascendente:
«Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!»
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, 3)
Da ciò la proposta di Nietzsche di una trasmutazione o inversione dei valori. Si proclama egli stesso il "primo immoralista" della storia; egli non intende tuttavia proporre l'abolizione di ogni valore o l'affermazione di un tipo di uomo in preda al gioco sfrenato degli istinti, ma contrappone ai valori antivitali della morale pessimistica tradizionale una nuova tavola di valori a misura del carattere terreno dell'uomo. Per Nietzsche l'uomo è nato per vivere sulla Terra, la sua esistenza è interamente corpo, realtà sensibile. Infatti Zarathustra afferma: io sono corpo tutto intero e nient'altro. L'anima, secondo Nietzsche, è solo un'immagine metaforica e semplicistica della ricchissima varietà di desideri, inclinazioni e sensazioni che attraversano il corpo in ogni istante: questa rivendicazione della natura terrestre dell'uomo è implicita nell'accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco e dell'immagine dell'oltreuomo. La Terra non è più l'esilio e il deserto dell'uomo, ma la sua dimora gioiosa.
Morte di Dio
«Dio è morto! Dio resta morto! E lo abbiamo ucciso noi!»
(Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1965, p. 130)
L'affermazione della libertà e della spontaneità presuppone il superamento dei condizionamenti, delle regole, degli obblighi derivanti dalle credenze religiose o comunque dal riferimento a entità metafisiche. Ma comporta anche una conseguenza che pochi hanno la forza sufficiente per affrontare: assumersi la piena e definitiva responsabilità di ogni decisione, di ogni azione. Ogni comportamento è soggetto a una decisione individuale in quanto non esistono più valori trascendenti sui quali appiattirsi in modo conformistico. I contemporanei di Nietzsche dimostrano in mille circostanze di non essere più guidati dalla fede come poteva accadere agli uomini del Medioevo ma, per non essere obbligati ad affrontare le proprie responsabilità, non vogliono riconoscerlo neppure di fronte a sé stessi.
Celebre è la figura dell'"uomo folle" ("der tolle Mensch"), prefigurazione dell'Oltreuomo, ne La gaia scienza, che gira in pieno giorno con una lanterna accesa, urlando "Cerco Dio!", attirandosi così lo scherno dei presenti (si tratta di una parodia del famoso episodio in cui il filosofo cinico Diogene di Sinope cerca l'uomo, narrato da Diogene Laerzio). Alla richiesta di spiegazioni l'uomo afferma che Dio è morto, ovvero che nessuno crede più veramente. Ma nell'atto stesso di compiere questa affermazione si trova di fronte allo scetticismo e all'indifferenza, quando non alla derisione. Egli stesso si definisce come il "testimone" di un omicidio compiuto dall'intera umanità. E allora: "Vengo troppo presto" egli ammette, poiché gli uomini non sono ancora pronti ad accettare questo cambiamento epocale. I valori tradizionali sono sempre più pallidi («non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? (...) Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? – Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte?») sempre più estranei alla coscienza, ma i nuovi valori, quelli della gioiosa accettazione della vita e della fedeltà alla terra, sono ancora al di là dell'orizzonte: "Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino", ma come l'uomo ha annunciato "anche gli dèi si decompongono" e le stesse chiese non sono altro che "le fosse e i sepolcri di Dio".
L'annuncio della morte di Dio ha una straordinaria efficacia retorica e forse anche per questo non è stato sempre compreso a fondo: taluni interpreti si sono limitati a leggerlo come l'ennesimo attacco al Cristianesimo e non ne hanno percepito la profondità e la complessità. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò come il compimento di un processo nichilistico necessario, le cui radici si ritrovano nell'atto di omissione e di oblio del dionisiaco, che ha consentito all'apollineo, nel corso della secolarizzazione, di trovare modelli metafisici ragionevoli, capaci di giustificare il "senso dell'essere", ma che prima o poi, secondo l'autore tedesco, avrebbero dovuto fare i conti con la vera essenza vitale della natura umana, quale, appunto, il dionisiaco, ossia ciò che lega alla terra e alla vita.
Nietzsche è anche considerato, e non senza buoni motivi, come uno dei precursori dell'esistenzialismo ateo moderno per alcuni elementi etici che lo anticipano, per quanto questo si caratterizzi per aspetti di pessimismo esistenziale che in Nietzsche sono in gran parte assenti.
Oltreuomo e volontà di potenza
«Bisogna avere ancora il caos dentro di sé per generare una stella danzante.»
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, 5)
Nietzsche propugna dunque l'avvento di un nuovo tipo di uomo, libero dalle dottrine di metafisica platonico-cristiana e di moralità plebea socratica, il quale vive come si nota similmente a un nobile greco, individualista e capace di liberarsi dai pregiudizi e dai vecchi schemi, di smascherare con il metodo genealogico l'origine umana troppo umana dei valori, nonché di farsi consapevolmente creatore di valori nuovi: l'oltreuomo. Non sarebbe corretto definire un uomo del genere superuomo: super indica sopra, quindi "super-uomo" vuol dire "colui che è sopra gli uomini" e li schiaccia. Secondo l'interpretazione di Gianni Vattimo, introdotta nel suo testo Il soggetto e la maschera, il termine oltre-uomo, ovvero colui che ha superato l'uomo ed è andato oltre la sua condizione, rispecchia molto meglio la visione di Nietzsche. Inoltre, oltre-uomo sarebbe la traduzione letterale del tedesco Übermensch, mentre super-uomo dovrebbe essere tradotto come Oben-Mensch.
La pietra alla memoria di Nietzsche presso il lago di Sils, Sils-Maria, alta Engadina; durante una visita in questo luogo e al vicino lago di Silvaplana, secondo il suo racconto, ebbe l'intuizione dell'eterno ritorno dopo l'esperienza "mistica" vissuta «all'inizio dell'agosto 1881 [...] 6000 piedi sopra il mare e molto più in alto di tutte le faccende umane.» Durante una vacanza estiva in Engadina mi recai a Sils-Maria per onorare la memiria Nietzsche.
L'oltreuomo, secondo la comune interpretazione (Vattimo, Colli, Montinari), non schiaccia invece gli altri ma procede al di là delle convenzioni e dei pregiudizi che attanagliano l'uomo. Esso ha dei valori differenti da quelli della massa degli uomini, quella massa che ha aderito alla filosofia dei sacerdoti e degli imbonitori per farsi schiava di essi. Egli solo è in grado di non sostituire ai vecchi idoli quelli nuovi, ma fondare il nuovo mondo, e l'uomo attuale non è altro che "una corda tesa tra la scimmia e l'oltreuomo" stesso, secondo le parole di Nietzsche. Nei frammenti confluiti nella Volontà di potenza Nietzsche afferma che ciò che lui racconta "è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l'avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata". L'oltreuomo è colui che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita e fa sua la cosiddetta "morale aristocratica" che "dice sì" alla vita e al mondo. Egli non conosce bene e male, è al di là di essi, anche ciò che è negativo per gli uomini normali per lui diventa un male minore a volte pur necessario; anche i mali sono necessari: Zarathustra fa l'esempio del fare la guerra o delle "passioni" come calunnia, invidia, diffidenza, che solo l'oltreuomo può sopportare e trasformare in virtù. Più nulla che è considerato "male" scaturisce fuori dall'interno: "l'uomo è qualcosa che deve essere superato. Per questo devi amare le tue virtù: perché perirai per causa loro", in seguito all'invidia e alla gelosia prodotte e scagliate contro l'uomo superiore dagli altri umani, gli ultimi uomini. Essi provano infatti ressentiment: esso è uno dei frutti della morale degli schiavi ovvero del moralismo cristiano che incapace di assurgere alle vette del superuomo si piega ed esalta i valori dell'umiltà e della rinuncia predicati dall'altruismo e dall'egualitarismo cristiano da cui si generano sentimenti di odio.
«Dove realmente l'uguaglianza è penetrata ed è durevolmente fondata, nasce quell'inclinazione, considerata in complesso immorale, che nello stato di natura sarebbe difficilmente comprensibile: l'invidia. L'invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino ad essa. Esso pretende che quell'uguaglianza che l'uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale.»
(F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, §29)
Con l'amicizia dionisiaca, caratterizzata dal sano naturale egoismo non ci sono più risentimento e incomprensione. L'oltreuomo conosce e supera il senso tragico della vita trasformandolo in gioia e piacere, da qui l'ammirazione di Nietzsche sia per la tragedia greca (in particolare Eschilo), quale mezzo educativo all'eroica tragicità della vita, sia per il prometeico istinto dell'uomo rinascimentale (l'"uomo universale" o il condottiero spregiudicato) che nella sua completezza teorica e pratica sapeva tendere oltre l'"umano troppo umano"; con una magnificenza creatrice, culturale e politica, che quell'impulso vitale, "al di là del bene e del male", comporta. Per lui, e ai suoi tempi, quest'uomo era ancora stato incarnato recentemente, in particolare, da Napoleone e Goethe. L'oltreuomo è discepolo di Dioniso poiché accetta la vita in tutte le sue manifestazioni, nel piacere del divenire inteso come alternanza di vita e morte, gioia e dolore: «La vita è una sorgente di piacere: ma per colui nel quale parla lo stomaco guasto, padre dell'afflizione, tutte le fonti sono avvelenate», così "dove beve anche la plebe".
«Poiché prevedo che fra breve dovrò presentarmi all'umanità col più grave problema che le sia mai stato posto, mi pare indispensabile dire chi sono. [...] Io non sono affatto un orco, un mostro di immoralità: sono il contrario di quella specie d'uomo che finora è stata onorata come virtuosa. [...] Sono un discepolo del filosofo Dioniso, preferirei essere un satiro piuttosto che un santo. [...] L'ultima cosa che io mi sognerei di promettere sarebbe di migliorare l'umanità. Io non innalzo nuovi idoli; gli antichi forse potrebbero imparare da me che cosa significhi avere i piedi d'argilla. Rovesciare gli idoli - così io chiamo gli ideali - ecco il mio compito. [...] Chi sa respirare l'aria che circola nei miei scritti, sa che è l'aria delle grandi altezze, che è un'aria fine. [...] La filosofia nel senso in cui finora l'ho interpretata e vissuta io, è libera vita tra i ghiacci, in alta montagna, è la ricerca di tutto ciò che vi è di strano e di enigmatico nell'esistenza, di tutto ciò che finora era inibito dalla morale.»
(F. Nietzsche, Ecce Homo)
L'oltreuomo affronta la vita con "pessimismo coraggioso", unisce il fatalismo (amor fati) alla fiducia e si è liberato dai logori concetti del bene e del male attraverso un'elitaria indifferenza a valori etici che considera morti. Per l'oltreuomo ogni istante è il centro del suo tempo di cui è sempre protagonista. L'eterno ritorno, cioè l'eterna ripetizione, è la dottrina che Nietzsche mette a capo della nuova concezione del mondo e dell'agire umano. Per Nietzsche ogni momento del tempo, cioè l'attimo presente, va vissuto in modo spontaneo, senza continuità con passato e futuro, perché passato e futuro sono illusori: infatti ogni momento si ripete identico nel passato e nel futuro, come un dado che, lanciato all'infinito (poiché il tempo è infinito), darà un numero infinito di volte gli stessi numeri, in quanto le sue scelte sono un numero finito. Il vero oltreuomo è, in conclusione, colui che danza - non più in catene - liberamente e con leggiadria; è il Sé risvegliato del corpo, lo spirito libero tout court.
Eterno ritorno
L'Uroboro, il serpente che si morde la coda, simbolo esoterico della ciclicità del tempo. Un chiaro riferimento a questo simbolo è il "serpente" di cui scrive Nietzsche in Così parlò Zarathustra: «Un'aquila volteggiava in larghi circoli per l'aria, ad essa era appeso un serpente, non come una preda, ma come un amico: le stava infatti inanellato al collo» [L'aquila è l'oltreuomo per il quale il tempo come "eterno ritorno" non è un ostacolo alla sua volontà di potenza che domina il tempo.
«Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse:
“Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...]. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"?.»
(Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 341)
Nietzsche elabora un suo modo di intendere il tempo liberandolo dal trascendente e quindi dalla fiducia nell'avvenire. In Così parlò Zarathustra (nel capitolo Della visione e dell'enigma, §2), Zarathustra (protagonista dell'opera) racconta di aver avuto una visione mentre scalava un monte. L'eterno ritorno dell'uguale, più spesso detto soltanto eterno ritorno, significa che l'universo rinasce e rimuore in base a cicli temporali fissati e necessari, ripetendo eternamente un certo corso e rimanendo sempre sé stesso.
In senso più specifico, l'eterno ritorno è uno dei capisaldi della filosofia di Friedrich Nietzsche. Il ragionamento che sta dietro al semplice – ma spesso incompreso – concetto di Nietzsche è il seguente: in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione si ripeterà necessariamente infinite volte. Ad esempio, tirando infinite volte tre dadi a sei facce, ognuna delle 216 combinazioni comparirà infinite volte. Mentre è spiegato in termini poetici ne La gaia scienza e Così parlò Zarathustra, egli lo spiega in termini quasi scientifici nei Frammenti postumi, e questa formulazione ha affascinato molti fisici e matematici successivi:
«La misura della forza del cosmo è determinata, non è "infinita": guardiamoci da questi eccessi del concetto! Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza è certamente immane e in sostanza "non misurabile"; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito, cioè la forza è eternamente uguale ed eternamente attiva: fino a questo attimo, è già trascorsa un’infinità, cioè tutti i possibili sviluppi debbono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all’indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre. Se mai, a parte ciò, sia esistito qualcosa di uguale, è assolutamente indimostrabile. Sembra che la situazione complessiva plasmi di nuovo, fin nei minimi particolari, le qualità, talché due diverse situazioni complessive non possono avere nulla di uguale. In una situazione complessiva, può esservi qualcosa di uguale, per esempio due foglie? Ne dubito: ciò presupporrebbe che esse avessero una nascita assolutamente uguale, e con ciò dovremmo supporre che, indietro, fino a tutta l'eternità, vi sia stato qualcosa di uguale, nonostante tutti i mutamenti delle situazioni complessive, e la creazione di nuove qualità - ipotesi impossibile!»
(Frammenti postumi, 11)
«Ecco, tu [Zarathustra] sei il maestro dell'eterno ritorno [....] Vedi, noi sappiamo ciò che tu insegni: che tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e che noi siamo stati già, eterne volte, e tutte le cose con noi. Tu insegni che vi è un grande anno del divenire, un'immensità di anno grande: esso, come una clessidra, deve sempre di nuovo rovesciarsi, per potere sempre di nuovo scorrere, e finire di scorrere ("...damit es von neuem ablaufe und auslaufe").»
(Così parlò Zarathustra, capitolo "Il convalescente")
Nel capitolo dello Zarathustra intitolato La visione e l'enigma, Nietzsche introduce sotto forma di mito poetico e simbolico il pensiero dell'eterno ritorno dell'uguale (già evocato nel capitolo Della redenzione, allorché Zarathustra si rifiuta di enunciare ciò che insegna alla volontà, ossia il volere a ritroso), attraverso il dialogo tra il profeta e il nano, personificazione dello spirito di gravità:
«Tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo» è l'opinione del nano. Questa prima interpretazione è però giudicata come troppo superficiale («Tu, spirito di gravità! – replica infatti Zarathustra – non prendere la cosa troppo alla leggera!»)
e portatrice di una generica professione di fede nella circolarità e insensatezza del tutto (nichilismo passivo). Nella seconda parte però, Zarathustra espone la sua controinterpretazione della visione della "porta carraia" - dalla quale si dipartono le due "strade infinite", quella del passato e quella del futuro - che aggiunge caratteri essenziali alla prima interpretazione del nano. La novità di questa controinterpretazione consiste nel fatto che Zarathustra va a fondo e tocca l'argomento decisivo che pone il punto di svolta dal nichilismo passivo al nichilismo attivo. Non solo tutto ciò che diviene deve essere già stato vissuto, ma soprattutto la porta stessa, l'attimo presente, deve già essere stata in passato. Si è dunque raggiunto il piano di passaggio dal nichilismo passivo al nichilismo attivo, quindi dall'eterno ritorno come pensiero paralizzante, all'eterno ritorno come liberazione dal simbolico (viene confutata in parte la prima interpretazione del nano). L'attimo è compreso nell'eterno circolo di passato e futuro.
Successivamente, Zarathustra è come ridestato dall'ululato di un cane che gli permette di cambiare scena. Egli vede il cane quasi chiedere aiuto vicino a un pastore, che è come soffocato da un serpente, la cui testa esce dalla sua bocca. Il serpente, nello specifico, indica l'eterno ritorno ed è come se il pastore fosse soffocato da questa concezione dell'eterno circolo del tempo. Un gesto fondamentale, fa tornare il sorriso sulle sue labbra, ormai non più sofferenti, del pastore ("mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!"): questi infatti aveva morso e staccato la testa al serpente, indicando così allegoricamente l'accettazione dell'eterno ritorno. È importante sottolineare come l'accettazione dell'eterno ritorno sia dovuta a una decisione del pastore: se questi non avesse mai morso la testa al serpente, non sarebbe mai stato in grado di accettarlo e di istituirlo. Vi è quindi un attimo in cui il pastore istituisce, cioè vuole, il ripetersi eterno della vita e dell'istante.
Solo se l'attimo che l'uomo vive è immenso, cioè ingloba in sé tutto il suo significato, si può volerlo sempre di nuovo. L'uomo che può volere l'eterno ritorno è un uomo felice, a cui la vita dà attimi “immensi”, come testimonianza piena di esistenza e significato. In quest'opera è possibile vedere il ruolo di Nietzsche come "difensore" di un tempo qualitativo, qualificato nella sua densità dai contenuti vissuti. Famosa la definizione dell'"imperativo categorico" di Nietzsche: "vivere in modo da poter desiderare di rivivere questa stessa vita in ripetizione eterna". Correlata alla tematica dell'eterno ritorno e quindi al principio del movimento è la trasvalutazione dei valori che da alcuni è stata intesa come capovolgimento dei valori.
Il capovolgimento reca in sé l'affermazione di un valore ulteriore. Mentre la trasvalutazione è legata al fluire del valore stesso senza preminenza di alcuno in particolare, e quindi al superamento del valore. Riprendendo Nietzsche quando parla di Eraclito, l'unico filosofo a cui si sente legato, afferma che il movimento reca in sé la possibilità dell'annientamento. Tradotto in termini filosofici e legato questo concetto a quello caro a Nietzsche della trasvalutazione, non vi può essere una morale né un valore assoluto ma valori istintuali che si annientano nel movimento. Se non fosse così si considererebbe Nietzsche un moralista o un idealista.
L'amor fati
La caratteristica principale dell'oltreuomo è proprio la piena accettazione che la vita non ha senso logico, si ripete ed è casuale, ma nonostante ciò egli la desidera in qualunque aspetto si presenti.
«Lo stato più alto che un filosofo possa raggiungere è la posizione dionisiaca verso l'esistenza: la mia formula perciò è amor fati. [...] A tal fine occorre comprendere i lati finora negati dell'esistenza non solo come necessari bensì come desiderabili... per sé stessi come i lati più fecondi, più potenti, più veri dell'esistenza, in cui la volontà di essi si esprime più chiaramente [...] Ho scoperto come un altro e più forte tipo d'uomo debba necessariamente escogitare l'innalzamento e il potenziamento dell'uomo in un'altra direzione: esseri superiori, al di là del bene e del male... la mia formula per la grandezza dell'uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l'eternità.»
(Nietzsche, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, capitolo 2, Perché sono così saggio)
«Voglio imparare sempre di più a vedere come bello ciò che è necessario nelle cose; allora io sarò uno di quelli che fanno le cose belle. Amor fati: lasciate che sia il mio amore d'ora in poi! Non voglio fare la guerra contro ciò che è brutto. Non voglio accusare; io non voglio nemmeno accusare chi accusa. Guardare lontano sarà la mia unica negazione. E tutto in tutto e su tutto: un giorno desidero essere solo uno che dice sempre di sì.»
(da La gaia scienza)
La trasvalutazione dei valori
«Sono giunto alla conclusione ed esprimo il mio giudizio. Io condanno il cristianesimo, levo contro la chiesa cristiana la più tremenda di tutte le accuse che siano mai state sulla lingua di un accusatore. Essa è per me la massima di tutte le corruzioni immaginabili; essa ha avuto la volontà dell'estrema corruzione possibile. La chiesa cristiana non lasciò nulla di intatto nel suo pervertimento, essa ha fatto di ogni valore un disvalore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un'abiezione dell'anima. [...] E noi computiamo il tempo di quel dies nefastus con cui ebbe inizio questa fatalità - dal primo giorno del cristianesimo! E perché non invece dal suo ultimo giorno? - da oggi? Trasvalutazione di tutti i valori!...»
(F. Nietzsche, L'anticristo)
La trasvalutazione dei valori è un'esigenza che riguarda sia l'ambito della morale (relativismo etico o meglio prospettivismo, vedere anche il rapporto di Nietzsche col positivismo e il "fatto", legato al concetto della volontà di potenza), sia tutti quei principi della conoscenza in cui l'uomo ha finora creduto come se fossero verità oggettive. Le intuizioni e le idee nascono da una particolare prospettiva. Questo significa che esistono molti possibili schemi concettuali, o prospettive in cui può essere formulato un giudizio di verità o di valore. Ciò equivale a dichiarare che non esiste un modo di vedere il mondo che sia "veritiero", ma non significa necessariamente che tutte le prospettive siano egualmente valide.
Il prospettivismo nietzschiano nega che un oggettivismo di tipo metafisico sia qualcosa di possibile e afferma che non ci sono valutazioni oggettive in grado di trascendere una qualsiasi formazione culturale o le designazioni soggettive. Questo significa che non ci sono fatti oggettivi e che non è possibile la comprensione o la conoscenza di una cosa in sé. La verità viene così intesa come una totalità derivata dall'incorporazione dei differenti punti di vista. La verità viene fatta "da" e "per" l'individuo e la società.
«Molte cose che questo popolo approva, sono per un altro un'onta ed una vergogna: questo io ho trovato. Molte cose che qui erano chiamate cattive, le ho trovate là ammantate di porpora.»
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, capitolo Dei mille e uno scopo)
Il punto di vista di Nietzsche differisce secondo alcuni enormemente dai vari tipi o correnti del relativismo, che considerano la verità di una particolare proposizione logica come qualcosa che complessivamente non può essere valutata in relazione ad una "verità assoluta", a prescindere dalla cultura e dal contesto nel quale le prospettive nascono e si incrementano. Pur riconoscendo diverse correnti di pensiero come erronee o fuorvianti, Nietzsche ritiene che sia stato utile esservici precedentemente riconosciuti, poiché un tempo hanno svolto un ruolo efficace al fine di accrescere la volontà di potenza. È il positivismo che ha preteso di assegnare ai fatti studiati dalla scienza valutazioni oggettive in grado di trascendere la formazione culturale o le credenze soggettive. In realtà non ci sono fatti oggettivi e non è possibile la comprensione o la conoscenza di una cosa in sé. Non esiste l'assolutismo gnoseologico o etico, e occorre pertanto una costante trasvalutazione dei valori filosofici, scientifici ecc. secondo le prospettive individuali.
«Se io formulo la definizione del mammifero, e in seguito vedendo un cammello, dichiaro: 'ecco un mammifero' in tal caso viene portata alla luce senza dubbio una verità, ma quest’ultima ha un valore limitato, a mio avviso; è completamente antropomorfica e non contiene neppure un solo elemento che sia "vero in sé" reale ed universalmente valido, a prescindere dall'uomo»
(F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extra morale.)
La verità, fatta "da" e "per" l'individuo e la società, è quindi una totalità che ha incorporato, per trarne vantaggio, differenti punti di vista e prospettive:
«Che cos'è dunque la verità? Un esercito mobile di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state sublimate, tradotte, abbellite, poeticamente e retoricamente, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni delle quali si è dimenticato che appunto non sono che illusioni (...).»
Nietzsche si rifà anche alla morale pagano-romana per trasvalutare i valori in senso anti-cristiano e antipositivista:
«Devo aggiungere che in tutto il Nuovo Testamento emerge appena una sola figura a cui si debba rendere onore? Pilato il governatore romano. Prendere sul serio un affare tra Ebrei – è qualcosa di cui non riesce a rendersi conto. Un ebreo di più o di meno – che importa?... La nobile ironia di un romano al cui cospetto vien fatto un abuso spudorato della parola "verità", ha arricchito il Nuovo Testamento dell'unica parola che abbia valore – che è la critica, l'annientamento stesso di quello: "che cos'è la verità?"»
(F. Nietzsche)
Dal cristianesimo Nietzsche vede derivare quelli che lui considera mali politici, la democrazia di massa e il socialismo.
«Il veleno della dottrina dei «diritti uguali per tutti» – è stato diffuso dal cristianesimo nel modo più sistematico; procedendo dagli angoli più segreti degli istinti cattivi, il cristianesimo ha fatto una guerra mortale ad ogni senso di venerazione e di distanza fra uomo e uomo, cioè al presupposto di ogni elevazione, di ogni sviluppo della cultura – con il risentimento delle masse si è fabbricato la sua arma principale contro di noi, contro tutto quanto v'è di nobile, di lieto, di magnanimo sulla terra, contro la nostra felicità sulla terra … Concedere l'«immortalità»
«a ogni Pietro e Paolo, è stato fino a oggi il più grande e il più maligno attentato all'umanità nobile. [...] Gli ebrei hanno raggiunto quel miracolo di inversione di valori, grazie al quale la vita sulla terra ha, per un paio di millenni, acquistato un fascino nuovo e pericoloso. I loro profeti fusero il ricco, senza dio, malvagio, violento, sensuale in un unico concetto e furono i primi a coniare la parola mondo come un termine di infamia. È questa l'inversione di valori (con cui è coinvolto l'impiego della parola povero come sinonimo di santo ed amico) che risiede nel significato del popolo ebraico. Con loro si inizia la rivolta degli schiavi nella moralità.»
In alcune delle ultime pagine dell'Ecce homo, l'ultima opera di Nietzsche terminata pochi mesi prima del crollo, citando ancora Voltaire attacca ancora questa inversione dei valori:
«e tutto ciò fu creduto, sotto il nome di Morale! — «Écrasez l’infâme». (...) Sono stato compreso? — Dioniso contro il Crocifisso...»,
concludendo che bisogna quindi effettuare una scelta decisa se stare col cristianesimo e il nichilismo passivo o col dionisiaco e il nichilismo attivo creatore di nuovi valori.
Complessità del pensiero
La particolarità del pensiero di Nietzsche, la sua unicità, ha sempre generato nella critica degli interrogativi. Una delle domande che ci si è posti nella storia della critica a Nietzsche è la considerazione su qual è il "vero" Nietzsche ovvero quale fosse il suo reale intento e cosa volesse comunicare nelle sue opere ovvero quanto di ciò che ha lasciato è filtrabile in maniera lucida separandolo dalla parabola discendente della sua malattia mentale.
La sua filosofia, infatti, è in bilico tra la negazione totale della cultura e del pensiero occidentale (si veda la sua critica al razionalismo, importantissimo nella filosofia occidentale) e la creazione di un nuovo sistema di valori, incentrati sulla figura dell'Oltreuomo, sull'eterno ritorno e sulla volontà di potenza. Nietzsche, infatti, voleva senza dubbio eliminare il campo da ogni "mito", che appartenesse alla morale religiosa (da lui definita "morale dei vinti") o alla filosofia, con i miti laici di progresso, razionalismo, positivismo e idealismo. Tuttavia è lecito domandarsi se questa volontà distruttrice dei valori sia solo fine a sé stessa, frutto di un orientamento nichilista, ossia la base necessaria da cui far partire la creazione di un nuovo sistema di valori.
La filosofia di Nietzsche propone notevoli spunti di riflessione, che in parte spiegano la difficoltà di quest'autore di essere pienamente compreso nel suo tempo, nell'Ottocento, e la sua successiva riscoperta nel XX secolo. È il caso di ricordare che il Novecento vede l'arrivo alla ribalta di un esistenzialismo molto lontano da quello di Kierkegaard e che per molti aspetti Nietzsche è un anti-Kierkegaard in aperta concorrenza con la sua visione del mondo. Lo "scacco" kierkegaardiano per Nietzsche diventa il pretesto per una via a una vittoria sul destino di cui l'Oltreuomo si fa profeta.
Il pensiero di Nietzsche, se da un lato è la negazione di quelle correnti di pensiero basate sull'ottimismo metafisico e deterministico dell'idealismo hegeliano è anche contro l'ottimismo scientistico. Di esso era portatore il positivismo, con la sua idea di continuità del progresso. Incentrato il primo sul "tutto è bene" perché "così deve andare" necessariamente, l'ideale di progresso del secondo gli suona ingenuo e falso.
Sotto un altro punto di vista, per quanto Il mondo come volontà e rappresentazione sia uno dei testi chiave per la formazione di Nietzsche, egli ha poco della semplice considerazione pessimistica della realtà, propria di Schopenhauer. La sua filosofia, infatti, rifiuta ogni passiva accettazione della realtà, sia nel senso del "tutto è bene" hegeliano e sia quella del "tutto progredisce" positivistico e neppure il "tutto è sofferenza", di Schopenhauer. Essa, rivela piuttosto una sorta di titanismo romantico, ma in una nuova Weltanschauung (Visione del mondo) che è post-romantica.
In Italia
Notevole importanza rivestì per Nietzsche il contatto con la cultura e l'ambiente italiani, che in più di un'occasione fecero da stimolo alle sue riflessioni filosofiche. Nietzsche amava soggiornare in Italia, dove si recava spesso per curare i suoi malanni e dove sosteneva di ritemprarsi. Egli definiva il carattere italico come «il più fine» per la sua capacità di sapersi esprimere argutamente e con paradossi, «il più ricco» per la creatività e la varietà delle scenografie urbane e «il più libero» dai condizionamenti metafisici e religiosi. In Italia Dio era già morto prima, e in maniera più definitiva, che altrove. Del genio italico diceva:
«[...] ha usato nel modo di gran lunga più libero e fine ciò che ha preso a prestito e ci ha messo dentro molto di più di quello che ne ha ricavato, essendo il genio più ricco, che più poteva donare.»
(Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, aforisma)
Nietzsche contrapponeva in particolare la cultura italiana a quella tedesca, ravvisando in quest'ultima un oscurantismo e un moralismo che, sorto con Martin Lutero e la riforma protestante, e permeando di sé l'età moderna, aveva finito per prevalere su Roma, provocando la controriforma cattolica.
«Cesare Borgia papa... Mi capite? Ebbene sì, questa sarebbe stata la vittoria, alla quale io anelo; con quella, il cristianesimo sarebbe stato eliminato! Che avvenne? Un frate tedesco, Lutero, venne a Roma. Questo frate, con nel sangue tutti gli istinti vendicativi di un prete fallito, a Roma tuonò contro il Rinascimento. [...] Invece di comprendere con la più profonda gratitudine il prodigio accaduto, il superamento del cristianesimo nella sua sede, da quello spettacolo il suo odio intese trarre il suo solo nutrimento. Lutero "vide" la corruzione del papato, mentre era palmare esattamente l'opposto: la vecchia corruzione, il peccato originale, il cristianesimo, non sedeva più sul seggio del papa! Bensì la vita! Bensì il grande sì a tutte le cose alte, belle, audaci! [...] E Lutero ripristinò la chiesa!» (Friedrich Nietzsche, L'Anticristo, aforisma 61)
Nietzsche riteneva perciò che la teologia protestante fosse peggiore di quella cattolica, ravvisando nella mentalità dei popoli meridionali, dalle radici essenzialmente elleniche, una maggiore attitudine all'ozio, un'apertura mentale agli aforismi e ai paradossi, nonché un'indulgenza verso le passioni e gli istinti. A Napoli sperimentò come la bellezza non «affascina tutta in un colpo, ma esercita una presa che si insinua lentamente»; a Messina, scriverà gli Idilli, mentre Napoli gli ispirò anche l'epigrafe dell'ultimo capitolo della Gaia scienza è dedicato a Sanctus Januarius (intendendo sia il mese di gennaio, dedicato a Giano, che la figura di san Gennaro, di cui scrive a Overbeck: "Avete anche voi una 'primavera' come noi? Questi sono i veri 'miracoli di San Gennaro'!"). Genova gli procurò «una felicità malinconica vivere in mezzo a questa confusione di stradicciole, di voci: un'ebbrezza di vita». Venezia lo indusse talmente a struggersi per la musica di Richard Wagner che «quando cerco un'altra parola per musica, trovo sempre soltanto la parola Venezia». A Roma si identificò nel gesto donante, triste e inappagato, della statua del Tritone. A Firenze constatò come il «grande stile» di Palazzo Pitti sarebbe rimasto ineguagliato dalle epoche successive della Controriforma, mentre di Torino tessé l'elogio della pianificazione urbana e del nuovo stile emergente di architettura.
Nietzsche conobbe anche, a Basilea, durante un viaggio nel 1871, Giuseppe Mazzini, il capo dei repubblicani italiani, che gli fece un'ottima impressione. Era nota pure la sua ammirazione per Niccolò Machiavelli e il suo Principe, definiti, assieme a Tucidide, "terapia contro il platonismo". È significativo che l'ultimo Nietzsche creativo, prima della malattia, lavorerà a Torino fino alla sua crisi, che lo coglierà proprio nella città piemontese nel gennaio 1889, quando venne riportato in Germania (a Torino è ancora visibile la targa che commemora la permanenza del filosofo in una casa del centro durante la scrittura di Ecce Homo).
Nietzsche e la politica
«Stato si chiama il più freddo di tutti i mostri freddi (aller kalten Ungeheuer). È freddo pur nel mentire; e questa è la menzogna che esce dalla sua bocca: "Io, lo Stato, sono il popolo". [...] Là dove lo Stato cessa d'esistere, solo lì inizia l'uomo (da beginnt erst der Mensch) che non è inutile: là comincia la canzone della necessità, la melodia unica ed insostituibile (die einmalige und unersetzliche Weise). Là dove lo Stato cessa d'esistere – ma guardate un po' là, miei fratelli! Non vedete voi l'arcobaleno e i ponti dell'Oltreuomo?»
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, parte I, 11, Del nuovo idolo)
Benché sostanzialmente poco interessato alla politica, Nietzsche espresse anche opinioni riguardanti la gestione dello Stato e della società. Nietzsche difende spesso i valori pagano-aristocratici contro quelli cristiano-democratici, in quanto per lui i valori cristiani rispecchiano una visione falsa e nichilistica della vita che porta alla corruzione e al disgregamento della società. Quindi è stato avvicinato talvolta a un pensiero reazionario nostalgico. Tuttavia il fatto che egli detesti ogni organizzazione statale moderna, nonché il suo rifiuto dell'autorità, lo hanno fatto considerare un filosofo antipolitico. Nietzsche più che farsi politico denuncia tutti gli ideali politici del suo tempo. Egli è stato spesso associato anche al pensiero anarchico e individualista.
Sebbene il filosofo tedesco abbia criticato l'anarchismo, il suo pensiero si dimostrò influente per molti pensatori all'interno di quello che può essere definito come movimento anarchico. C'erano molte cose che attiravano gli anarchici a Nietzsche: il suo odio per lo Stato, il suo disgusto per la condotta sociale irrazionale del "gregge", il suo anti-cristianesimo, la sua diffidenza nei confronti dell'effetto del mercato e dello Stato sulla produzione culturale, il suo desiderio superomista, ossia il desiderio di un nuovo essere umano che non doveva essere né padrone né schiavo e portatore di nuovi valori. Ciò potrebbe essere il risultato dell'associazione, in questo periodo, tra le idee del filosofo e quelle di Max Stirner.
L'associazione tra Nietzsche e l'anarchia dura tuttora, in alcuni ambienti filosofici, ad esempio in Michel Onfray, o in chi si rifà alla teoria dell'anarca di Ernst Jünger.
D'altronde anche sulla questione dell'oltreuomo o superuomo è prevalsa oggi la prima interpretazione, data da Gianni Vattimo; tuttavia è stata contestata dal filosofo Domenico Losurdo, il quale critica Nietzsche affermando esplicitamente che egli appoggiasse una società schiavistica comandata dal Superuomo aristocratico (non dall'industriale), talvolta argomentando che gli schiavi negli Stati Uniti venivano trattati meglio dei moderni operai e accusandolo anche per l'appoggio all'eugenetica. Losurdo descrive Nietzsche come filosofo "totus politicus" e come "ribelle aristocratico" e conia per la sua filosofia la definizione di radicalismo aristocratico; sulla schiavitù cita in particolare passi in cui Nietzsche parla sarcasticamente del movimento abolizionista e di Harriet Beecher Stowe (autrice de La capanna dello zio Tom), utilizzando idee della letteratura anti-Tom in cui lo schiavismo era descritto come una società benevola e patriarcale.
«Se si vogliono degli schiavi – e di essi si ha bisogno – non si devono educare come padroni [...] gli schiavi sotto ogni riguardo vivono più sicuri e più felici del moderno operaio (Arbeiter) e il lavoro (Arbeit) degli schiavi è ben poca cosa rispetto a quello dell'operaio.»
(Nietzsche, citato da D. Losurdo)
Questa moralità aristocratica degli scritti degli ultimi anni, accreditata soprattutto dal nazismo, è spesso invece considerata, dalla maggioranza dei commentatori, come una metafora della superiorità dell'uomo-filosofo sull'uomo comune, anziché come una reale proposta di società tradizionale, come intesa sia da filosofi di sinistra, come Losurdo stesso, sia da pensatori di estrema destra come Julius Evola, sia da intellettuali critici come Gilbert Keith Chesterton, che interpretano Nietzsche in maniera letterale, ma anche da studiosi dei testi come Maurizio Ferraris.
L'interpretazione letterale di testi che fanno così ampio uso di metafore, come quella fatta da Losurdo, è stata invece contestata da molti studiosi[ e pensatori che si sono definiti "nietzscheani", come Michel Onfray. Più che di precursore del nazismo e sostenitore di una società che sottometta i deboli, da molti critici è invece visto come un elitario indifferente e aristocratico, per cui la non sopravvivenza dei deboli è un qualcosa di naturale, non organizzato e non voluto.
La filosofia di Nietzsche, nei suoi concetti principali, si mostra quasi sempre come non razzista (nel senso contraria o poco interessata al "razzismo scientifico" in voga all'epoca e alle sue derivazioni sociopolitiche, pur non negando il concetto di razza umana ampiamente accettato al tempo), contro lo Stato onnipotente di derivazione hegeliana (messo in atto e portato all'estremo dal totalitarismo nazista), e il nazionalismo tedesco (noto il suo fastidio per le figure di Bismarck e del kaiser Guglielmo II), definendosi lui stesso come "anti-antisemita". La sua avversione colpisce la cultura "semita" giudaico-cristiana europea e la mentalità "giudaica" (sulla scia di Schopenhauer), ma non parlò mai di una "razza ebraica" come inferiore o nemica. Altrove scrive che "gli ebrei sono il genio morale dell'Europa", e al contempo "il popolo più fatale della storia del mondo. Anche nei loro effetti più remoti essi hanno falsificato l’umanità", in quanto radice del cristianesimo. Scrisse però anche molti passi diretti esplicitamente contro gli antisemiti, e le origini ebraiche di Paul Ree non costituirono per lui un problema, mentre lo furono le convinzioni antisemite di Wagner, della sorella e del cognato.[121] Non solo sull'antisemitismo (Nietzsche si colloca più su un antigiudaismo culturale che colpisce anche i cristiani, esemplificato dalle citate critiche alla "mentalità giudaica" di san Paolo presenti ne L'anticristo), anche sul razzialismo separatista e il concetto di "purezza della razza" esprime sostanzialmente un giudizio molto negativo. Nietzsche è difatti favorevole a una mescolanza razziale.
«Dove le razze sono mescolate, c'è la fonte di una grande cultura.»
(Frammenti postumi, 1885-86)
«[Gli ebrei sono il popolo] che ha avuto la storia più dolorosa, e a cui si devono l’essere umano più nobile (Cristo), il saggio più puro (Spinoza), il libro più possente e la legge più influente del mondo.»
(Umano troppo umano)
«Dappertutto l'efficienza e superiore intelligenza degli Ebrei, il capitale di spirito e di volontà da essi accumulato di generazione in generazione in una lunga scuola di dolore, sono destinati a prevalere in misura tale, da risvegliare invidia e odio, sicché oggi in quasi tutti gli Stati, quanto più essi tornano ad assumere un atteggiamento nazionalistico, dilaga il malcostume letterario di condurre gli Ebrei al macello come capri espiatori di tutti i possibili mali pubblici e interni.»
(Umano troppo umano)
«Ovunque giunga, la Germania guasta la civiltà.»
(Ecce homo)
Opinione sulla pena di morte
Nietzsche contestò il concetto filosofico di libero arbitrio e la funzione rieducativa della pena, considerando la morte del criminale come l'unico atto che restituisce dignità al suo gesto (come il suicidio nella morale greco-romana), assolvendolo dalla colpa e liberandolo dall'umiliazione del pentimento, imposto dalla morale cristiana:
«Per colui che soffre talmente di sé stesso, non vi è redenzione, se non la rapida morte.»
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, parte I, 6, Del pallido delinquente)
Ne la Genealogia della morale (1887), Nietzsche sostenne che il valore della pena non debba essere quello di destare il senso di colpa né di rieducare il criminale, ma soltanto quello di punire in chiave extramorale «un cagionatore di danni, un irresponsabile frammento di fatalità». Separando nettamente il diritto dalla morale, e ribaltando la prospettiva di Cesare Beccaria in chiave diametralmente opposta, Nietzsche considerò positivamente la situazione in cui il criminale si senta moralmente sollevato dal proprio gesto allorché si trovi
«nell'impossibilità di avvertire come riprovevole la sua azione, la specie del suo atto in sé: vede infatti esercitata al servizio della giustizia esattamente la stessa specie di atti e quindi approvata, esercitata con tranquilla coscienza»
Al momento però di esprimere un giudizio sull'applicazione pratica della pena capitale nel mondo a lui contemporaneo, egli sembra schierarsi contro, attaccando quello che non è indice di energia spirituale dell'oltreuomo, ma un freddo rituale dello stato borghese, che egli giudica più colpevole dell'assassino stesso:
«Come è che ogni esecuzione ci offende più di un omicidio? È la freddezza dei giudici, sono i meticolosi preparativi, è il sapere che qui un uomo viene usato come mezzo per spaventarne altri. Giacché la colpa non viene punita, se anche ce ne fosse una: questa è negli educatori, nei genitori, nell'ambiente, in noi, non nell'omicida, intendo le circostanze determinanti.»
(Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, I, 70)
Rapporti con Hegel e il positivismo
Per Hegel c'è la Storia, per Nietzsche la genealogia. Nel pensiero di Nietzsche, nonostante il suo confronto con Hegel sia raramente esplicitato nelle opere, prevale una radicale contestazione dell'hegelismo: i più rilevanti punti di distanza fra i due filosofi tedeschi possono essere individuati nel diverso atteggiamento nei confronti della dialettica, oggetto di una critica aggressiva da parte di Nietzsche, essendo vista da lui come una pretesa del pensiero di ridurre la caoticità della vita e del mondo entro categorie fisse e stabili, e in particolar modo in una visione sistematica della filosofia, che era invece un tratto centrale dell'opera di Hegel.
Nella sua seconda considerazione inattuale Nietzsche fa esplicito riferimento alla filosofia hegeliana come la maggior causa di una diffusa idolatria del fatto nella cultura tedesca. Per Nietzsche, infatti, il tentativo di categorizzare e insieme divinizzare il processo storico annienta la forza vitale propria di ogni uomo e veicola una concezione della storia epigonale e giustificatrice. La filosofia di Hegel è ritenuta da Nietzsche un tradimento in danno alla vita, in quanto tentativo di fermare ciò che non si può fermare (la vita, dinamica per antonomasia) in un sistema di pensiero.
Analogo è il suo giudizio nei confronti dei positivisti: rei di spiegare la realtà mediante leggi meccanicistiche fisse, essi restano afflitti dallo stesso errore di Hegel ed epigoni. Nietzsche è distante dal pensiero di Hegel anche in ordine alla supposizione hegeliana che esista una forza meramente razionale manifestantesi nella storia, che tratterebbe gli uomini come banali strumenti della propria astuzia. All'affermazione hegeliana secondo cui "tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale" ossia comprensibile dalla ragione filosofica e manifestazione di questa razionalità storica, Nietzsche risponde che «l'irrazionalità di qualcosa non è affatto una ragione contro la sua esistenza, ma piuttosto una condizione di questa». Egli contesta la concezione storicista e razionale di hegeliani e positivisti:
«Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: "ci sono soltanto i fatti", direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto "in sé".»
(F. Nietzsche, Frammenti Postumi, (1885-1887))
Nietzsche ripudia la "tirannide della ragione sugli uomini" (per usare le sue parole), per cui biasima Socrate, Platone, Cartesio, gli illuministi e anche i positivisti del suo tempo. Questo atteggiamento di profonda messa in discussione del filone razionalistico-idealistico confluito in Hegel e Immanuel Kant (idealismo che per Nietzsche comprende anche il cristianesimo) della filosofia occidentale comporta allo stesso tempo una ridiscussione totale della tradizione metafisica, di cui Hegel si ritiene invece l'ultimo elaboratore.
Sussistono nondimeno talune analogie con alcuni aspetti dell'illuminismo. Malgrado il suo netto orientamento antirazionalista, è possibile accostare il pensiero di Nietzsche ad alcuni autori illuministi - nonché osservare un profondo retroterra di tipo razionalista, o meglio razionale, in alcune delle sue convinzioni e dei suoi ragionamenti - per quanto riguarda il rifiuto generale della metafisica e dell'ascesi; è tra l'altro significativo che egli abbia dedicato la sua opera Umano, troppo umano a Voltaire. L'ideale ascetico è visto in particolare da Nietzsche come una minaccia alla forza vitale insita nell'uomo. Più che di rifiuto del razionalismo, vi è quindi un rifiuto dell'idealismo.
Nietzsche può essere accomunato a Søren Kierkegaard: entrambi hanno un orientamento prettamente esistenziale ed entrambi sono considerati precursori dell'esistenzialismo novecentesco. Nietzsche però non condivide il cinismo della vita che porta inevitabilmente alla disperazione, e impedisce all'uomo di accettare con gioia l'esistenza, oltre a non condividere le credenze cristiane di Kierkegaard.
Sulle basi ut supra è incentrata la polemica contro la religione in generale e il cristianesimo in particolare: anche queste istanze rinnegano la forza vitale innata in ciascuno. La condanna colpisce anche Arthur Schopenhauer, seppur ammirato in gioventù da Nietzsche. Quest'ultimo imputa al suo vecchio maestro di aver generato l'ennesima morale, fondata sulla pietà e, in ultima analisi, sull'ascesi.
Nietzsche, a ogni modo, è influenzato da alcuni concetti di Schopenhauer: ammette l'idea di una forza irrazionale, la volontà ("wille") respingendone la nozione sinistra che ne aveva prospettato Schopenhauer e la rinomina volontà di potenza ("wille zur macht"), annoverandola quale forza benevola, esemplificata essenzialmente dal suo famoso oltreuomo. Il forte interesse giovanile verso Schopenhauer, portò Nietzsche a leggere i discepoli di quest'ultimo, e cioè Eduard von Hartmann, Julius Bahnsen e Philipp Mainländer.
Egli, tuttavia, non pensava che, questi autori, fossero autentici prosecutori del messaggio schopenhaueriano. Parla difatti di Mainländer, dopo aver affermato in uno scritto giovanile "È ora di riscoprirlo!", ne La gaia scienza (Die fröhliche Wissenschaft), nel seguente modo:
"Sarebbe possibile considerare Mainländer, dilettante e precocemente senile, turiferario sentimentale e apostolo della verginità, come un vero e proprio tedesco?!... Né Bahnsen, né Mainländer e né, in particolare, Eduard von Hartmann, danno una sicurezza in materia di gestire la questione se il pessimismo di Schopenhauer, il suo orrore di guardare a un Dio privato, stupido, cieco, folle, e a un discutibile Mondo, insomma il suo onesto sguardo d'orrore, non sia stato soltanto un caso eccezionale tra i tedeschi, ma possa essere, bensì, considerato come un tema generalmente tedesco".
Tuttavia, occorre notare che Nietzsche stesso mutuò proprio da Mainländer, la celebre espressione "Dio è morto" (sebbene con intenti diversi, significando la morte di Dio per Nietzsche un surplus di vitalismo immanente): la morte progressiva di Dio - dalla "superessenza unitaria" all'"essenza fenomenica nel molteplice", presente nel mondo attuale, sino alla "dissoluzione nullificante" - è, difatti, il cuore della filosofia stessa di Mainländer. L'ultimo Nietzsche, prima della malattia, si appassionò anche al Tolstòj della "conversione" (lo stesso Tolstòj che lo definì «un vivace tedesco posseduto da manie di grandezza, con idee limitate, folle»). Nietzsche lo «leggeva e compulsava avidamente, riconoscendo in lui lo stesso mito al quale anch'egli si sentiva forzato: la consumazione del confine tra "arte" e "vita", tra "volontà" e "realtà"». Altre influenze di Nietzsche furono i citati Ralph Waldo Emerson, Voltaire e l'illuminismo materialista, e secondo Bataille i libertini del XVIII secolo. Nietzsche lesse e stimò anche la poesia e la filosofia pessimista e nichilista di Giacomo Leopardi, che, come lui, vedeva, almeno in parte, nelle illusioni dell'arte e dei miti il mezzo per sottrarsi a una vita di dolore e al grigio presente.
Nietzsche, che pure ben può dirsi avversario del positivismo, è in parziale sintonia con il darwinismo e più in particolare con le categorie di «lotta per la vita», «selezione naturale» e «survival of the fittest». Egli però dilata questo assunto al di là della mera sopravvivenza: secondo Nietzsche c'è un «darwinismo» selettivo anche nella società umana: gli individui mirano a conseguire il predominio e la supremazia, sotto lo stimolo della «volontà di potenza». Darwin sarà d'altronde aspramente criticato da Nietzsche per il suo ottimismo progressista. Inoltre, Nietzsche critica Darwin per la preponderanza da lui data all'ambiente esterno quale principio regolatore dell'evoluzione e alla sopravvivenza quale fondamentale istinto vitale: la «filosofia da mercante del signor Spencer: assoluta mancanza di un ideale, al di fuori di quello dell'uomo medio». Altra sua critica a Darwin fu quella sui concetti di «individuo» e «specie» come erano creduti: «I concetti di "individuo" e di "specie" sono egualmente falsi e dovuti alla prima impressione. "Specie" esprime solo il fatto che una quantità di esseri simili si presentano nello stesso tempo e che il ritmo di crescita ulteriore e di mutamento è per molto tempo rallentato, sicché le piccole continuazioni e gli accrescimenti di fatto non vengono molto in considerazione (una fase di sviluppo, in cui lo svilupparsi non diventa visibile, sicché sembra che si sia raggiunto un equilibrio, e viene resa possibile la falsa rappresentazione che si sia qui conseguito uno scopo – e che ci sia stato uno scopo nello sviluppo...)».
Particolare importanza ebbe poi per Nietzsche la scoperta di Stendhal e di Dostoevskij (quest'ultimo definito, nel Crepuscolo degli idoli, «l'unico psicologo da cui avrei qualcosa da imparare»). In una lettera indirizzata a Franz Overbeck (febbraio 1887) scrive:
«Di Dostoèvskij qualche settimana fa non sapevo nemmeno il nome, io, uomo incolto che non legge i giornali. Il caso, in una libreria, mi fece posare lo sguardo su un libro suo, tradotto da poco in francese: L'esprit souterrain (la stessa cosa fortuita mi accadde a vent'anni per Schopenhauer, a trentacinque per Stendhal). L'istinto di parentela (o come diavolo dovrei chiamarlo?) parlò; la mia gioia fu straordinaria; devo risalire alla mia conoscenza con Rouge et Noir per ricordarmi una gioia altrettanto viva.»
La filiazione diretta di alcune idee di Nietzsche da quelle di Max Stirner è discussa. Nietzsche come si sa fu amico di Wagner per un certo periodo (e seguace di Schopenhauer come lui), e il compositore fu concittadino postumo di Bayreuth, città di origine di Stirner. Bernd Laska sostiene che Nietzsche si ispirò a Stirner (il dibattito sulle sue opere era noto grazie a Marx ed Engels), ma non riconobbe esplicitamente i suoi debiti nei confronti del filosofo e anzi confidò ad alcuni suoi allievi (sempre secondo Laska) il timore di essere accusato di plagio nei suoi confronti. Negò di aver mai letto il suo libro principale, L'Unico e la sua proprietà, cosa che invece risultò alcuni anni dopo la sua morte. Questa opinione di Laska è però criticata da altri.
Nei commentari dell'edizione critica Colli-Montinari e nelle numerose biografie sul filosofo gli autori sostengono che Nietzsche non abbia mai espresso alcun timore di plagio con i suoi allievi, anche perché, negli anni in cui Nietzsche insegnò, la disciplina di cui era docente era filologia classica e non filosofia. Nietzsche pare inoltre che non fosse in possesso di alcun libro di Stirner, o non risultano tali volumi nel suo archivio.
L'opinione di Laska si basa invece sul fatto che Adolf Baumgartner, allievo di Nietzsche, avrebbe preso in prestito L'Unico e la sua proprietà dalla biblioteca universitaria di Basilea su consiglio di Nietzsche stesso e sul fatto che in un discorso tra Nietzsche e la moglie di Franz Camille Overbeck (secondo la testimonianza della donna) comparve il nome di Stirner:
«Una volta, quando mio marito era uscito, [Nietzsche] si intrattenne un attimo con me e fece il nome di due tipi originali, che lo stavano occupando e nei cui scritti coglieva un'affinità con se stesso. Come sempre quando acquistava consapevolezza di relazioni interiori, era su di morale e felice. [...] "Stirner [...] quello sì!" E comparve un tratto solenne sul suo viso. Mentre osservavo con apprensione quel suo atteggiamento, questo si mutò nuovamente, egli fece con la mano un movimento come per scacciare qualcosa, difensivo, e mi sussurrò: "Ora Ve l'ho pure detto, ma non volevo parlarne. Lo dimentichi di nuovo. Si parlerà di un plagio, ma Voi non lo farete, lo so".»
(riportato da Bernd Laska)
Sempre secondo le medesime testimonianze Nietzsche avrebbe definito l'opera di Stirner come «la più temeraria e consequenziale dai tempi di Hobbes». Nietzsche intravide ne L'Unico e la sua proprietà un nucleo su cui costruire la pars destruens del proprio nichilismo e da Stirner trasse spunti per Il crepuscolo degli idoli. Come si filosofa col martello.
Nella sua critica all'idealismo e a Kant, alle presunte "fantasie metafisiche", all'"immoralità" della morale e alla retorica filosofica accademica, Nietzsche può essere considerato il più autorevole precursore dell'etologia, dell'epistemologia evoluzionista, nonché della psicoanalisi, e la sua opera contribuì a renderla in seguito possibile: Nietzsche ha prodotto influssi di assoluto rilievo in svariati ambienti e su numerose personalità della letteratura e della politica del XX secolo. È inevitabile, a tal proposito, riferirsi a Stefan George, così come in Italia a Gabriele D'Annunzio, che nel suo lavoro mostrò di aver manifestamente recepito il mito dell'oltreuomo, con la conseguente esaltazione, ai limiti del titanismo, di orgoglio e volontà, fondendo il superomismo con l'estetismo (il tema dell'estetica è toccato anche da Nietzsche).
Com'effetto della notevole ambiguità e scarsa esplicitazione dei contenuti nei proprî scritti, le opinioni di Nietzsche vennero e tuttora vengono interpretate con l'intenzione di porre l'intellettuale ora in ottica reazionaria, conservatrice ed elitaria, adesso come progressista, anticonformista ed individualista dedito alla frantumazione d'ogni cultura di massa. Fra i varî tentativi di adoperare gli scritti dell'intellettuale, che in vita mai si schierò con alcuna ideologia politica, viene e deve venire ricordata l'interpretazione dello studioso Georges Bataille, il quale rinnegò qualsiasi associazione dell'eredità intellettuale dello scrittore con l'ideologia nazista. Evidenti influenze del pensiero di Nietzsche sono altresì riscontrabili nell'originale metafisica concreta di Pavel Aleksandrovic Florenskij; nella psicoanalisi di Sigmund Freud e in quella di Carl Gustav Jung (psicologia analitica); nella filosofia "eraclitea" del detto Alfred Baeumler, così come più in generale nella cosiddetta Konservative Revolution della sfera culturale tedesca tra le due guerre, attraverso tra gli altri Oswald Spengler, Ernst Jünger, Thomas Mann e lo stesso Martin Heidegger; o ancora nel futurismo italiano, nell'individualismo moderno, nell'oggettivismo della romanziera russo-americana Ayn Rand, in Howard Phillips Lovecraft, Robert Musil, Hermann Hesse, Henry de Montherlant, Pierre Drieu La Rochelle e Rainer Maria Rilke, negli aforismi dello scrittore "reazionario" colombiano Nicolás Gómez Dávila ("Nietzsche sarebbe l'unico abitante nobile di un mondo derelitto. Solo la sua scelta potrebbe esporsi senza vergogna alla resurrezione di Dio"[145]), più recentemente nel transumanesimo, in alcuni discorsi e opere del mistico indiano Osho, e nel postmodernismo critico.
Tra gli autori contemporanei che apertamente rivendicano la propria filiazione nietzscheana troviamo tra gli altri Guillaume Faye, Alain de Benoist (fondatore della Nouvelle Droite) e l'anarco-edonista Michel Onfray. Va rammentata, del resto, la notoria affinità spirituale che legava il pittore Giorgio de Chirico al pensatore che qui si commenta. Nietzsche influenzò anche lo scrittore rumeno Emil Cioran che prese da lui il suo pessimismo e nichilismo, radicalizzandoli (in Cioran il nichilismo torna ad essere passivo e schopenhaueriano).
Secondo Sossio Giametta, ammiratore del pensatore di Röcken, nonostante l'affermazione di essere un "filosofo immoralista"
«Nietzsche è soprattutto un grande poeta che ha scritto in prosa ed anche un moralista, perché avendo negato la logica ha negato la filosofia come contemplazione della realtà. Per lui l'uomo può comprendere solo sé stesso, e quindi ha sostituito la logica con la psicologia.»
La tomba di Nietzsche a Röcken, dietro la casa natale, accanto alla sorella e ai genitori.
Critiche del pensiero di Nietzsche arriveranno dalla corrente esistenzialista del Novecento, in particolare da Martin Heidegger per il quale centro della riflessione filosofica è un nuovo corso metafisico sul senso dell'essere. In particolare Heidegger criticherà i concetti di volontà di potenza e oltreuomo come perdita di valori fondamentali da parte dell'individuo; nonostante ciò Heidegger riprenderà da
Forti critiche a Nietzsche saranno pronunciate dalle correnti spiritualiste, idealiste e religiose (tra chi sostenne la follia come conseguenza delle sue idee o le sue idee come originate da una mente alterata), ad esempio dal cattolico Gilbert Keith Chesterton, il quale sosterrà anche la non novità delle idee nicciane in dure prese di posizione:
- «Non riesco a pensare che uno sprezzo cosmopolita del patriottismo sia semplicemente questione di opinioni, così come non credo che uno sprezzo nietzscheano per la compassione sia semplicemente una questione di opinioni. Penso che entrambe siano eresie tanto orribili che il loro trattamento non dev'essere tanto mentale quanto morale, sempre che non sia solo un caso clinico. Gli uomini non sono sempre morti per una malattia, né sono sempre condannati da una delusione; ma finché ne sono a contatto, ne sono distrutti.»
- «Come tutti sanno, Nietzsche predicò una dottrina, che egli stesso e i suoi seguaci mostrano di considerare molto rivoluzionaria; egli sostenne che la comune morale altruistica era stata inventata da una classe di schiavi per impedire il sorgere dì tipi superiori capaci di combatterli e di soggiogarli. Orbene, i moderni, sia favorevoli che contrari, vi alludono sempre come se fosse un'idea nuova e del tutto inaudita. Si suppone con la massima calma ed insistenza che i grandi scrittori del passato, come per esempio Shakespeare, non lo sostennero perché non vi avevano mai pensato, perché l'idea non era passata loro per la mente. Ma rileggete l'ultimo atto del Riccardo Terzo di Shakespeare, e vi troverete, espresso in due versi, non solo tutto ciò che Nietzsche aveva da dire, ma con le sue stesse parole. Riccardo il Gobbo dice ai suoi nobili: "La coscienza non è che una parola usata dai codardi, al principio creata per mantenere i forti in soggezione". Come ho detto, il fatto è chiaro. Shakespeare aveva pensato a Nietzsche e alla morale del Super-Uomo, ma ne valutò l'esatta portata, e la collocò esattamente al suo posto: cioè nella bocca di un gobbo mezzo dissennato, che parla alla vigilia della sua disfatta. Questa collera contro i deboli è possibile soltanto in un uomo che sia morbosamente coraggioso, ma fondamentalmente malato; un uomo come Riccardo, un uomo come Nietzsche.»
Opere
Cronologia
- Aus meinem Leben, 1858
- Über Musik, 1858
- Napoleon III. als Präsident, 1862
- Fatum und Geschichte, 1862
- Willensfreiheit und Fatum, 1862
- Kann der Neidische je wahrhaft glücklich sein?, 1863
- Über Stimmungen, 1864
- Mein Leben, (La mia vita), 1864
- Homer und die klassische Philologie, (Omero e la filologia classica), 1868
- Die Teleologie seit Kant, (La teleologia a partire da Kant), 1868
- Über die Zukunft unserer Bildungsanstalten
- Fünf Vorreden zu fünf ungeschriebenen Büchern, (Cinque prefazioni per cinque libri non scritti) 1872:
- I Über das Pathos der Wahrheit
- II Gedanken über die Zukunft unserer Bildungsanstalten
- III Der griechische Staat, (Lo Stato Greco)
- IV Das Verhältnis der Schopenhauerischen Philosophie zu einer deutschen Kultur
- V Homer's Wettkampf
- Die Geburt der Tragödie, , 1872
- Die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen, 1870-1873
- Über Wahrheit und Lüge im außermoralischen Sinn, (Su verità e menzogna in senso extramorale), 1873
- Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben, (Sull'utilità e il danno della storia per la vita), 1874
- Unzeitgemäße Betrachtungen, (Considerazioni inattuali), 1876
- Menschliches, Allzumenschliches, (Umano, troppo umano), 1878
- Morgenröte, (Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali), 1881
- Idyllen aus Messina, (Idilli di Messina), 1882
- Die fröhliche Wissenschaft, (La gaia scienza), 1882
- Also sprach Zarathustra, (Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno), 1885
- Jenseits von Gut und Böse, (Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell'avvenire), 1886
- Zur Genealogie der Moral, (Genealogia della morale), 1887
- Der Fall Wagner, (Il caso Wagner), 1888
- Götzen-Dämmerung, (Il crepuscolo degli idoli, ovvero Come filosofare a colpi di martello), 1888
- Der Antichrist, (L'Anticristo. Maledizione del Cristianesimo), 1888
- Ecce Homo, (Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è), 1888
- Nietzsche contro Wagner, (Nietzsche contro Wagner. Documenti processuali di uno psicologo), 1888
- Der Wille zur Macht, (La volontà di potenza: saggio di una trasvalutazione di tutti i valori), 1901
COSI' PARLO' ZARATUSTRA
«Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a coloro i quali vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!» (Proemio di Zarathustra)
Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno è un libro composto in quattro parti, la prima nel 1883, la seconda e la terza nel 1884, la quarta nel 1885.
Gran parte dell'opera tratta i temi dell'eterno ritorno, della parabola della morte di Dio, e la profezia dell'avvento dell'oltreuomo, che erano stati precedentemente introdotti ne La gaia scienza. Definito dallo stesso Nietzsche come "il più profondo che sia mai stato scritto", il libro è un trattato di filosofia e di morale, e tratta della discesa di Zarathustra dalla montagna al mercato per portare l'insegnamento all'umanità.
Il comportamento di Zarathustra qui descritto è opposto a quello già espresso da un saggio di Arthur Schopenhauer che prefigura - al contrario - un allontanamento del mistico dal mercato verso, appunto, la montagna. Ironicamente il testo utilizza uno stile simile a quello della Bibbia, ma contiene idee e concetti diametralmente opposti a quelli del cristianesimo e del giudaismo riguardo alla morale ed ai valori tradizionali.
Origini dell'opera e suo stile
Zarathustra veniva introdotto per la prima volta al termine de La gaia scienza, nell'inquietante Incipit Tragoediae, mentre la parabola della morte di Dio è resa nel famosissimo "aforisma 125" (anche, in parte, nel 108). L'opera, scritta nel 1882, in seguito alla pubblicazione di Umano, troppo umano, nel quale il filosofo rende sé colpevole del suo appoggio intellettuale a Wagner, da egli rinnegato alla stagione mattutina del suo pensiero come un "nostalgico cristiano" è catartica per la comprensione dell'alba della filosofia di Nietzsche, e, per di più, contiene anche la prima formulazione della dottrina dell'eterno ritorno, uno dei concetti cardinali degli insegnamenti di Zarathustra. L'autore dichiara che l'opera è superiore al Faust di Goethe per "il vigore e la virilità del linguaggio".
Struttura e temi trattati
Il libro racconta i viaggi fittizi e la pedagogia di Zarathustra: il nome del personaggio protagonista è tratto da quello dell'antico profeta fondatore dell'antico credo iranico indicato come zoroastrismo il cui testo sacro è costituito dall'Avestā; basato sul monoteismo e la contrapposizione di bene e male.
Nietzsche vuole qui raffigurare chiaramente un tipo nuovo o diverso di Zarathustra, profeta e fondatore di religione, ossia colui che predica al mondo col suo esempio la trasvalutazione dei valori, di tutti i valori fino ad oggi considerati tali.
Compreso il proprio errore, il profeta Zarathustra lo comunica agli uomini e annuncia loro una nuova dottrina, quella dell'oltreuomo, un superamento radicale del sé che perde la sua essenza, del sé nichilista e passivo davanti alla decadenza della cultura occidentale cristiana e socratica, dell'idea di un "mondo dietro al mondo" avallata dalla metafisica, dal cristianesimo (nient'altro che "platonismo per il popolo", come diceva Nietzsche) e dal pietismo etico derivante.
Caratteristica del tutto originale, presentata per la prima volta nel Prologo, è la designazione degli esseri umani come una transizione, un passaggio tra le scimmie come in Darwin e l'Übermensch, superamento dell'uomo nichilista, padrone di sé stesso e della propria vita, rinnegante di qualsiasi autorità impostagli: il funambolo sulla corda sopra l'abisso è colui che cerca d'allontanarsi dalla sua istintuale animalità in direzione dell'oltreuomo.
Nietzsche introduce una miriade di idee nel libro, ma vi sono anche alcuni temi ricorrenti: l'essere umano come razza a sé stante non è altro che un ponte tra le bestie e l'oltreuomo; mentre l'eterno ritorno rappresenta l'idea che tutti gli eventi sono già accaduti e ancora dovranno accadere infinite volte (tutto torna per l'eternità); e, infine, la volontà di potenza che compone fondamentalmente la natura umana, in quanto espressione dell'impulso di vivere.
Moltissime delle future critiche al cristianesimo (come nel seguente Anticristo) possono già essere trovate in luce nello Zarathustra, in particolare quella dei valori cristiani di bene e male, e la sua tendenza a porsi come platonismo per il popolo, cioè a rimandare ogni consolazione per le miserie vissute a una vita ultraterrena. Compassione e pietà sono sentimenti intesi in senso negativo, poiché non sono creatori: "Ogni grande amore è sempre superiore alla propria pietà: giacché ciò che ama, esso vuol prima crearlo!".
Idee centrali di base: volontà di potenza, morte di Dio, oltreuomo, eterno ritorno dell'identico
Nietzsche utilizza la figura dell'antico profeta persiano per collegare e sviluppare i 4 elementi principali su cui poggia l'intera sua opera, tutti ampiamente discussi in questo libro definito insieme "per tutti e per nessuno".
Dal punto di vista dell'originale Zoroastro tutti gli esseri umani si trovano in condizione d'uguaglianza di fronte all'unico Dio: poco prima della morte di Dio, tutti gli individui risultano uguali in quanto folla, gregge anonimo. Conseguentemente la morte di Dio è una possibilità d'espressione per il futuro oltreuomo.
Nel 3° paragrafo della Prefazione il profeta definisce l'uomo come un ponte lanciato in direzione del superuomo: "L'uomo è qualcosa che dev'essere superato", per l'avvento dell'oltreuomo è pertanto necessaria la caduta finale dell'uomo attualmente presente in questo mondo. Ma ad un tale sforzo creativo d'allevamento e formazione non è possibile giunger sostando nel bel mezzo della piazza, dove s'assembra la folla sterminata e senza alcun valore di sorta: questa folla la quale in cambio di vantaggi e beni materiali (il "benessere") fa solo ciò che favorisce il proprio personale beneficio di guadagno e tornaconto individualistico.
L'uomo superiore è invece "fine a sé stesso", spirito creativo piuttosto che passivo consumatore di beni e cose: egli è un innovatore che continua imperterrito a produrre ciò che alla gente che vive in mezzo al mercato sembra inutile e indifferente; in tal maniera si innalza al di sopra della folla, dell'immondo "spirito del gregge". Il simbolo dell'oltreuomo allude anche alle nozioni di padronanza e coltivazione di sé, auto-direzione ed auto-superamento.
Espressioni preferite da Nietzsche per indicar l'affermazione dell'esistenza in tutte le sue manifestazioni son la leggerezza data nella risata e nella danza: la più alta forma di affermazione della vita è simboleggiato nell'"anello del ritorno". Anche se il mondo non tende affatto a una meta finale divina, in modo che il superuomo trovi nel suo atto creativo di auto-perfezione la propria suprema affermazione, egli vive l'eterno ritorno affermando costantemente sé stesso.
Di fronte alla consapevolezza che ogni azione è destinata a ripetersi infinitamente solamente l'oltreuomo è in grado d'accoglierne tutte le conseguenze non avendo mai alcun rimpianto.
La trasvalutazione di tutti i valori fino a quel momento creduti come veri, conduce il suo creatore ad aspirare e realizzar la volontà di potenza (parte 2°, discorso 12-Dell'autosuperamento). Sulla base di un tale principio, la creazione d'un mondo rinnovato senza più alcun Dio sfugge alla sua insignificanza implicita e trova un nuovo significato al suo interno.
Le nuove virtù propugnate dall'oltreuomo sono: creatività; amore nei confronti d'ogni evento dell'esistenza, anche il più terribile, e fiducia nelle proprie capacità; la volontà (di potenza) come unica scala di valore ed azione; coraggio, forza ed intransigenza nel perseguire gli obiettivi prefissati.
Proemio di Zarathustra (10 paragrafi)
- Dopo aver trascorso 10 interi anni come eremita in cima ad un monte, Zarathustra inizia a provar una qual sorta di nostalgia nel confronti dell'umana convivenza mondana, poiché prova il desiderio di condividere la saggezza acquisita anche con altri. Scende, pertanto, compiuti 40 anni, dalle vette innevate e inizia a predicare alla folla d'una cittadina chiamata "Vacca pezzata": annunzia l'avvento d'un nuovo tipo di essere umano, il superuomo. Così ebbe inizio il tramonto di Zarathustra.
- Prima però incontra in mezzo ai boschi un vecchio che vive in una capanna; questi gli sconsiglia caldamente di recarsi in mezzo agli uomini, in quanto esseri ancor troppo imperfetti: l'amore per l'uomo uccide, è molto meglio amare Dio. Zarathustra porta un dono agli uomini? Meglio non dar loro nulla, se non un'elemosina, ma non prima d'averla lungamente richiesta. Il vecchio incalza: non gettarti in mezzo agli uomini, rimani invece al sicuro nella foresta tra gli animali, cantando e danzando, ridendo e piangendo e lodando Dio. Si separano, Zarathustra e il vecchio eremita, ridendo come fanciulli, ma quando fu lontano il profeta meditò su queste parole: Incredibile, il vecchio santo non è ancora giunto a conoscenza della grande notizia riguardante la morte di Dio.
- Ai margini del bosco sorge una cittadina e quivi il popolo si era radunato nella piazza centrale del mercato, era stato difatti promesso uno spettacolo circense e tutti stavano in attesa col naso in su. Zarathustra inizia a parlare a quella gente ammucchiata: gli uomini, dice, dovrebbero creare qualcosa che stia al di sopra di loro stessi, nell'esser umano vi è difatti ancora molto del verme e al giorno d'oggi egli è ancora molto più scimmia di qualsiasi vera scimmia. Ecco, voglio istruirvi nei riguardi dell'oltreuomo, egli è il nuovo senso della terra, sia questa la vostra ultima e più alta volontà: smettete di credere ai moribondi che predicano speranze ultraterrene!
Infatti Dio è morto, pertanto l'unico crimine è oggi quello perpetrato contro la terra: la divinità dei moribondi chiedeva un'anima che disprezza il corpo, un'anima brutta e cattiva, l'odio per il mondo era il suo alto godimento; quest'anima povera, miserabile e immersa nella sporcizia data dalla "buona coscienza" morale. In verità l'uomo è una cloaca vivente, uno scarico d'acque nere: l'oltreuomo è l'oceano che può ripulirlo.
- L'essere umano è una corda sospesa sopra l'abisso, incamminarvisi e cercar di passar di là è molto pericoloso: non puoi guardar indietro, né spaventarti né tanto meno arrestarti titubante. La grandezza della specie umana è proprio quella d'esser una fase di passaggio, non certo una meta; io amo l'uomo che cerca la propria fine. Io amo i grandi spregiatori che si sacrificano alla terra, coloro che esistono per conoscere e la loro sapienza è tutta incentrata nella volontà di far vivere l'oltreuomo che dovrà prendere il loro posto; amo colui che lavora per preparargli la via. Amo colui che non vuole per sé troppe virtù, ma quelle poche che ha le venera perché lo conducono in direzione del suo tramonto: amo colui che della sua virtù fa un nodo che si stringe al proprio destino.
Amo chi non vuole gratitudine e non contraccambia, perché la sua anima donatrice desidera consumarsi e non tener nulla per sé; amo colui che si vergogna d'aver più fortuna degli altri; amo colui che dà sempre di più di quanto abbia precedentemente promesso. Li amo tutti perché desiderano tramontare, scomparire e lasciar uno spazio. Amo chi giustifica il futuro e assolve il passato, in quanto vuol morire a causa del presente; amo colui che si fa uccidere dall'ira del suo dio. Amo quelli dall'anima profonda, anche le ferite per loro son profonde e posson pertanto morire per una minima esperienza. Amo chi ha l'anima talmente ricca da dimenticare sé stesso e tutto ciò che gli appartiene: tutto si trasforma così nel suo tramonto. Amo chi ha lo spirito ed il cuore immersi nella libertà, e la sua mente rappresenta gli intestini del proprio cuore, e il cuore lo sprona a tramontare. Amo coloro che annunciano la tempesta imminente e muoiono a seguito di quest'annuncio: io annuncio il fulmine tempestoso il cui nome è oltreuomo.
- Zarathustra osserva allora i propri interlocutori e si rende conto che la cosa di cui vanno più orgogliosi è quella che chiamano "cultura", cerca pertanto di parlare al loro orgoglio, descrivendo l'ultimo uomo (Letztemensch), il più spregevole di tutti: si avvicina il tempo in cui l'uomo avrà consumato tutti i propri desideri e speranze. Prima che questo accada piantate il seme del vostro volontario tramonto, ponetevi un fine: occorre aver un caos dentro sé per poter creare una stella danzante.
L'ultimo uomo è quello che non crea più stelle, che non conserva più alcun caos in sé; s'approssima il tempo in cui la terra intera, divenuta oramai troppo piccola, vedrà saltellare l'ultimo uomo, colui che rende tutto infimo. La sua razza è sterminata, son le pulci della terra: l'ultimo uomo vive più a lungo di tutti i suoi predecessori, e a causa di ciò è convinto d'aver creato la felicità e il benessere per tutti. La malattia fisica e diffidare della vita che han prodotto è considerato da loro grande peccato.
La società dell'ultimo uomo rende tutti uguali, non v'è più alcuna differenza: tutti pretendono le stesse cose e chiedon gli stessi diritti ("chi sente in modo diverso entra spontaneamente in manicomio"). Ci si crea così il miserabile piacere per il giorno e l'altrettanto miserabile piacere per la notte, e si predica che la salute e viver molto è la cosa più importante.
Ma l'approccio di Zarathustra col mercato è estremamente amaro: il suo discorso viene dileggiato dalla folla, che sembra preferire l'ultimo uomo all'oltreuomo.
- A questo punto lo spettacolo che tutti attendevano ebbe inizio: il funambolo si mette a camminare su una fune tesa tra due torri, sospesa sopra il mercato e il popolo. Appena giunto a metà strada, ecco giunger uno vestito da pagliaccio che si mette a inseguirlo sulla corda e a insultarlo: lo raggiunge e con un urlo terribile salta oltre il funambolo sorpassandolo. Quest'ultimo perde allora la testa, getta la pertica che lo manteneva in equilibrio e precipita nel vuoto; il corpo si schiantò esattamente davanti a Zarathustra, che gli si inginocchiò accanto: era ancora vivo.
Il profeta lo rassicura su diavolo, inferno e anima, in quanto nulla vi è da temere: il tuo valore, dice, è quello d'aver fatto del pericolo il tuo mestiere, ora muori a causa di ciò ed avrai l'onore d'esser da me seppellito.
- È scesa la sera e non era rimasto più nessuno, da un pezzo tutti quanti, annoiati, se n'erano andati. Zarathustra seduto accanto al cadavere medita: volevo pescare uomini vivi, ho invece pescato un morto: davvero insensata è l'esistenza umana, se persino un clown può annientarla. "Voglio insegnare agli uomini il senso del loro essere": l'oltreuomo sarà la tempesta distruttrice dell'uomo. Si carica quindi il morto in spalla e si mette in cammino, ma poco dopo il pagliaccio lo raggiunge e gl'intima d'andarsene in quanto i credenti della "vera fede" già lo odiano e lo considerano un pericolo per la serenità del loro gregge. È stato un bene che tu sia stato scambiato per un pagliaccio, gli sussurra, ciò t'ha salvato, ma vattene presto.
- Davanti alla porta d'uscita della città incontra dei becchini che iniziano a prendersi gioco di lui, ma il profeta prosegue senza dir motto. Cammina per ore in mezzo a boschi e paludi, in mezzo all'ulular dei lupi. Scorge poi una casupola e bussa chiedendo un po' di ristoro; l'eremita che vi soggiorna gli offre pane e vino. L'intera notte proseguì seguendo la luce stellare ma all'alba, deposto il morto all'interno d'un albero, si sdraia sul muschio e s'addormenta.
- Risvegliatosi, comprende che ciò di cui ha veramente bisogno sono compagni di viaggio vivi, che vogliono andare nella sua stessa direzione, non di cadaveri: non deve più parlare al popolo, bensì ad amici. Zarathustra non desidera diventare pastore di greggi, lui vuole staccare molti dal gregge, questo il suo compito, allontanarli dai buoni e giusti, i credenti nella "vera fede". I buoni odiano chi distrugge i loro comandamenti, ovverosia il creatore.
E il creatore cerca altri creatori, che scrivono nuovi valori su nuove tavole della legge; chi crea cerca compagni creatori simili a lui, distruttori delle vecchie idee di bene e di male. Il popolo con cui il profeta ha parlato finora è simile al morto che s'è portato appresso: la sua via sia il loro tramonto.
- È giunto il mezzodì, alza gli occhi al cielo e vede un'aquila in volo, attorcigliato al suo collo sta un serpente che l'accompagna: il più orgoglioso e il più astuto tra gli animali, insieme. Sono il simbolo dell'eterno ritorno. Davvero è più pericoloso stare in mezzo agli umani che tra gli animali. Impara così a proprie spese cosa significhi il disprezzo e il ridicolo scagliatigli contro dai suoi ascoltatori, la gente del mercato. D'ora in poi Zarathustra evita il contatto con folti gruppi di persone e si mette alla ricerca di singoli spiriti affini. Ciò che annuncia è ancora troppo prematuro per la capacità di comprensione della massa.
Tiene poi i propri discorsi nel deserto sino alla ricerca finale dell'uomo superiore, l'unico che può seguirlo (che si rivela scisso in una pluralità di figure allegoriche).
Parte prima. I discorsi di Zarathustra
Delle tre metamorfosi
La prima parte si apre con uno dei discorsi più famosi di Zarathustra: vengono qui descritte le tre fasi principali che la mente umana oltrepassa attraverso il processo della scoperta di sé stessi e della verità insita dentro sé. "Vi sono 3 metamorfosi dello spirito", annunzia il profeta, la prima delle quali identificata col cammello, la seconda col leone e l'ultima col "fanciullo".
Il cammello raffigura i valori d'umiltà, rinuncia, abnegazione e frugalità, obbedienza e capacità d'adattamento alle circostanze avverse, vale a dire la capacità di soffrire: è lo spirito paziente che s'inginocchia, felice di portar pesi, porgendo l'altra guancia e amando il proprio nemico. Ma nel deserto per il cammello ha luogo una trasmutazione e lo spirito diventa leone.
Il leone simboleggia l'obiettivo di conquistare una propria "potenza" attraverso l'ordine gerarchico dato dalla società d'appartenenza; si raggiunge qui la Libertà nel senso di sovranità del più forte e conquista dell'autodeterminazione. Il suo ultimo padrone, il Dio-Drago che dice "Tu devi", diviene il suo acerrimo nemico: il leone dice difatti "Io voglio".
Ma al leone non è ancora possibile "lavorare" in modo costruttivo, non è capace di creare nuovi valori ma solo di distruggere i vecchi per lasciar spazio libero: "crearsi un sacro no anche di fronte al dovere".
Una terza trasformazione è pertanto necessaria, per ricreare i valori del mondo dominati fino ad allora dall'imposizione morale: il leone predatore deve diventare fanciullo. Egli rappresenta un nuovo inizio, in una forma originale d'innocenza e dimenticanza, un ricominciare nuovamente da capo in forma di gioco; solo così l'uomo può giungere alla vetta del suo cammino e divenir creatore, dopo che i vecchi valori sono stati scartati e superati.
Dietro quest'idea vive già la teoria dell'eterno ritorno dell'identico (delle stesse cose): l'immagine del bambino è presa qual nuovo punto di partenza e risultato finale del percorso dell'umanità tutta, come arco di sviluppo che si estende al di là della mera individualità. Tal idea conduce infine a quella utopica data dal concetto d'oltreuomo: la terza trasmutazione ha vinto debolezze, malattie e dipendenze umane.
Delle cattedre della virtù
Il profeta viene a sapere dell'esistenza d'un vecchio saggio, apprezzato dai più e molto famoso, il quale sa discutere molto bene della virtù data dalla condizione di sonno: allora va a trovarlo e si pone a sedere insieme con i suoi giovani discepoli ai piedi della sua cattedra. Ascoltatolo per un po' discutere con belle e forbite parole a favore del "buon sonno" Zarathustra "rise in cuor suo... Ed egli così parlò al suo cuore:... se la vita non avesse senso e io dovessi scegliere il non-senso, questo sarebbe anche per me il non-senso più degno d'esser prescelto".
Comprende quindi che quelle che fino ad allora eran chiamate virtù non son altro che tentativo oppiaceo di addormentar il prossimo; ma oramai per i predicatori di tali virtù è giunto a termine il loro tempo, e conclude così: "Beati sono i sonnolenti, perché presto si addormenteranno".
Dei transmondani
Qui Zarathustra prova ad immaginare il mondo così com'è veduto dagli occhi dei transmondani (Hinterweltlern), ovvero i propugnatori di un mondo al di là del mondo; ed ecco allora che lo vede come opera eternamente imperfetta d'una divinità sofferente e lacerata dall'angoscia più nera, perennemente insoddisfatta: "Stornare lo sguardo da sé stesso voleva il Creatore, e creò il mondo". Grande felicità è difatti per chi soffre perdersi e allontanar lo sguardo dal proprio dolore.
Giunge però alla conclusione che una tal visione è niente altro che idiozia e vaneggiamento: oltrepassando il misero sé stesso sofferente, ritirandosi in cima al monte gli si rivelò una più bella verità, e abbandonò le fole di questa sofferenza da impotente. In verità fu il corpo che per un momento disperò di sé stesso e della Terra, creando un mondo al di là del mondo che altro non è che "nulla celeste"; fu così che Zarathustra imparò un nuovo orgoglio e una nuova volontà e cercò d'insegnarla agli uomini, invitandoli a non nasconder più la testa come gli struzzi sotto la sabbia delle "cose celesti".
Malati, moribondi e schiavi sono tutti coloro che rinnegando il corpo e la vita terrena s'inventarono di sana pianta un qualche Regno dei Cieli (contornato da sangue divino redentore) adatto alla loro meschinità; in verità non volevano altro che sfuggir dalla loro interiore umanissima miseria "e inventarono per sé vie tortuose e bevande sanguinolente!" Sono sempre stati un numero sterminato i malsani che cercavano per la propria salvezza un qualche Dio redentore.
Questi esseri così intimamente malati odiano più d'ogni altro coloro che invece si danno al cammino che conduce a conoscenza e sincerità; alcuni cercano di guarire ed entrano in stato di convalescenza ("Possano... superare sé stessi e crearsi un corpo migliore!"), ma i più rimangono avvinti ad una tal Fede religiosa che altro non è se non pazzia della ragione. Pretendono che si creda in loro e che il minimo dubbio sia considerato come un grave peccato morale: risultato ultimo di questa fede malsana è che li fa diventare predicatori di morte e di mondi "veri" dietro il mondo "apparente", sempre piangenti davanti al sepolcro del loro Dio.
Ma la voce di un corpo sano è molto più sincera e pura: il corpo perfetto ed eretto è destinato a creare il nuovo senso della Terra, questa è l'unica via buona e giusta. Così parlò Zarathustra.
Degli spregiatori del corpo
Qui Zarathustra si scaglia contro coloro che predicano una morale fintamente spirituale e nemica del corpo. Ma il corpo fisico costituisce in realtà la più grande ragione e una pluralità di sensi possibili vive in esso: strumenti, e allo stesso tempo zimbello, del corpo sono ragione-anima-senso e spirito, e il proprio corpo è la propria più alta ragione possibile.
"C'è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza... Il corpo creante si creò lo spirito come una mano della sua volontà". Prosegue definendo gli spregiatori del corpo come asserviti al loro Sé ed alla propria piccola ambizione ancora così "troppo umana"; in tal maniera si vendicano in quanto mai stati davvero capaci di creare qualcosa al di sopra di sé stessi.
Negando il corpo dimostrano tutto il loro misero risentimento nei confronti della vita e della Terra: "Un'inconscia invidia è nello sguardo bieco del vostro disprezzo". Conclude affermando che essi non gli sono mai stati autentici compagni di strada e il proprio cammino prosegue lontano da loro: chi condanna moralisticamente e si dimostra nemico delle naturali funzioni corporee non sarà mai un ponte in direzione dell'oltreuomo.
Delle gioie e delle passioni
Qui Zarathustra parla a favore delle più intime virtù (gioie e passioni) insite in ognuno e insegna: che la tua virtù personale non divenga mai miserabile passione da avere in comune col popolo-gregge. La tua virtù risieda così in alto da esser addirittura impronunciabile per il volgo, senza nome; soprattutto essa non risulti esser legge proveniente da una qualche illusoria figura divina, precetto da seguire che se disatteso conduce ad una pena-condanna divina. "Una virtù terrena sia quella che amo: in essa è poco intelligenza e meno che mai la ragione di tutti".
Un tempo credevi d'avere "passioni cattive" e moralisticamente le etichettavi e condannavi; ma ora che Dio è morto hai soltanto virtù e gioie (in suprema libertà), con la conclusione che la passione si tramuta in virtù e il diavolo in angelo: più nulla di considerato "male" scaturisce fuori dal tuo interno. "L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Per questo devi amare le tue virtù: perché perirai per causa loro", in seguito all'invidia e alla gelosia prodotte e scagliate contro di te dagli altri umani, gli ultimi uomini.
Del pallido delinquente
Qui Zarathustra interpella i difensori della legge costituita, chiamando i giudici con l'epiteto di rossi sacrificatori del tempo moderno: "Il vostro uccidere, giudici, dev'essere compassione e non vendetta. E mentre uccidete, fate in modo di giustificare voi stessi la vita!". La triste mestizia conseguente ogni giudizio di condanna sia una forma d'amore nei confronti del futuro oltreuomo; soltanto in questa maniera può giustificarsi la vostra esistenza.
Per qual motivo il delinquente condannato dal giudice è pallido? Perché non è riuscito a rimanere all'altezza delle proprie azioni, non sopportandone l'immagine: questo e solo questo lo rende colpevole e meritevole di condanna inappellabile. Non ha avuto il coraggio d'ammettere il proprio desiderio gratuito di sangue ammantando il tutto con un falso tentativo di ragione (lo faccio per questo e quest'altro motivo).
Il pallido delinquente, presa coscienza di ciò, vuole perire per lasciare spazio all'avvento dell'oltreuomo: il mio stesso senso dell'Io è qualche cosa che dev'essere superato, dice. Il proprio istante supremo l'ha vissuto definitivamente nel momento in cui ha giudicato se stesso.
Ma questo, voi che ascoltate, rifiutate d'intenderlo in quanto nocivo per i vostri buoni sentimenti: ma che importa a me dei vostri buoni sentimenti! Molte caratteristiche delle persone considerate buone provocano in realtà un autentico senso di nausea e ripulsa, molto più del cosiddetto male e/o peccato che recano in sé. Purtroppo questi esseri non muoiono facilmente in quanto la loro bontà gli permette di vivere a lungo in un miserabile status di buona coscienza.
Del leggere e dello scrivere
Zarathustra ama solo ciò ch'è stato scritto utilizzando il proprio stesso sangue. "Scrivi col sangue: ed apprenderai che il sangue è spirito!" La semplice e troppo superficiale buona lettura è l'esatto contrario di ciò; un secolo ancora di buoni lettori e perfino lo spirito inizierà ad emanare un tanfo insopportabile. Lo spirito che era prerogativa esclusivamente divina si è fatto plebe: che a tutti venga insegnato obbligatoriamente a leggere risulta un danno sia allo scrivere che soprattutto al pensare.
Chi scrive col sangue non va semplicemente letto, bensì imparato a memoria; egli vive in solitudine sulle vette, ricolmo d'un coraggio il quale altro non desidera che ridere. Egli non sente mai all'unisono con la plebaglia immersa nella nebbia della pianura: la plebaglia guarda in alto nell'impossibile tentativo d'elevarsi, egli invece misericordiosamente guarda in basso, in quanto è già elevato alla massima potenza. "Chi sale sulla montagna più alta ride di tutti i drammi seri e faceti" senza far distinzione tra essi, in quanto alla fine essenzialmente simili: chi è elevato ride d'ogni cosa che appare nel mondo. E si uccide infine molto di più e meglio col riso che con l'ira.
Questa è suprema saggezza che rende forti, impassibili, irridenti; ma la plebe continua a gracchiare e strilla blaterando che la vita è invece una cosa seria e difficile da sopportare.
Alla fine si ama la vita non perché ci si sia abituati in qualche modo ad essa, ma in quanto ci si abitua ad amare qualche cosa che esiste al suo interno: nell'amore v'è sempre una dose di follia, ma nella follia v'è sempre anche una gran buona dose di ragione. Il profeta conclude con un nuovo tipo di affermazione di fede: potrebbe credere difatti solamente ad un Dio che gli dimostrasse d'esser capace di danzare, simile ad un Dioniso ebbro, a un Siva in condizione estatica.
Il proprio spirito di gravità è il proprio peggior ed acerrimo demonio; con una grande risata si dà il colpo di grazia mortale allo spirito di gravità. Dopo aver imparato a camminare cerca d'imparar a correre, dopo aver imparato a correre cerca d'imparar a volare: volando leggero come ballerino sul palcoscenico, un Dio finirà per servirsi di te avendo l'unico scopo di danzare.
Dell'albero sul fianco della montagna
Zarathustra s'accorge d'un giovane che rimaneva lontano da lui in disparte e in solitudine; lo ritrova un dì seduto appoggiato con la schiena a un imponente albero che osserva un po' sconsolato la profonda valle che gli si staglia davanti agli occhi. Il ragazzo confessa le proprie paure, si sente cambiato e gli pare di trasmutarsi con troppa velocità, e ciò lo rende sempre più solo e nostalgico.
Il profeta annunciatore dell'oltreuomo osserva allora il grande albero e disse queste parole, in forma di parabola: all'uomo capita la stessa cosa che accade all'albero, più alto e verso la luce del sole vuole esso salire e più deve al contempo fortemente radicarsi nel buio terreno e farsi maestoso nel tronco; è in tal maniera difatti ch'è potuto crescere tanto da arrivar a superare in possanza sia l'animale che l'essere umano: cosa attende ora? Forse niente altro che il fulmine destinato ad abbatterlo! "E se volesse parlare non avrebbe nessuno che lo capirebbe: tanto è cresciuto".
Il giovane comprende che tanto l'albero quanto lui, spingendosi così in alto, altro non attendono ora che il proprio tramontare, la propria fine: a tale scoperta piange amaramente. Zarathustra allora lo consola abbracciandolo forte stretto a sé e si decide ad accompagnarlo per un tratto di cammino. Dopo un po' riprende a parlargli: hai cercato la libertà ma ancora non sei totalmente libero, ché anche i tuoi più malvagi istinti desiderano esser liberati, ti trovi pertanto ancora in uno stato parziale di prigionia spirituale.
Tu sei un nobile, conclude, e i buoni ti odiano: i nobili vogliono crear nuove virtù mentre i buoni vogliono mantenere e conservare tutto il vecchiume morale. In queste condizioni il maggior pericolo che corre l'uomo nobile non è quello di diventare a sua volta buono, bensì uno sfrenato distruttore. Cerca invece di diventare un Eroe.
Dei predicatori della morte
Questo pianeta, dice il profeta, è pieno di gente irrimediabilmente superflua e inutile, l'esistenza della massa è intimamente corrotta: fosse ancora possibile scaraventarli fuori dal mondo allettandoli con la promessa di un'illusoria vita avvolta in beatitudine eterna dopo la morte!
I predicatori di morte posson esser di differenti tipi: gli accusatori terribili o i tubercolotici dell'anima, la cui sapienza non sa affermare altro che questo, cioè che l'esistenza è avvolta tutta in un manto di perenne dolore. Ma Zarathustra a questo punto si chiede: ma allora perché non fate voi in modo per primi di cessare d'esistere? Scomparite e non farete altro che un bene al mondo e a chi rimane. Uccidetevi, così avrà termine finalmente questa vita che voi considerate intessuta solamente di dolore e sofferenze.
Altri predicatori di morte invece affermano che la voluttà e i piaceri della carne sono peccato mortale; purtroppo non son capaci neppure d'esser cattivi, ché sarebbe questa la loro vera bontà. "Al di sopra di tutto risuona la voce di quelli che predicano la morte: e la terra è piena di quelli cui non si può non predicare la morte": o la vita eterna, che è la stessa identica cosa... purché ci andassero, questi superflui, il più presto possibile. Così parlò Zarathustra.
Della guerra e dei guerrieri
Amici, fratelli, se non avete la capacità di diventare dei nuovi santi dediti alla conoscenza, siatene almeno i suoi guerrieri, coloro che combattono ogni uni-formità. Cercate con occhio acuto e profondi il vostro proprio nemico, entrate in guerra a difesa del vostro pensiero. "Non vi consiglio il lavoro, ma la lotta. Non vi consiglio la pace, ma la vittoria. Il vostro lavoro sia una lotta, la vostra pace una vittoria!"
Una buona guerra riesce a santificare anche la causa peggiore; il coraggio guerriero ha portato più bene al mondo di tutto l'amore del prossimo, non la compassione ma la valentia salva... e vi chiamano senza cuore rispondete che il vostro cuore è sincero, a differenza del loro. Esser valorosi è sommo bene, così l'anima divien grande ed orgogliosa, cattiveria sublime!
Cercate un nemico degno d'esser odiato, il nemico che si disprezza è indegno di voi; dovreste esser fieri del vostro nemico ("allora i successi del vostro nemico saranno anche i vostri successi"). Ribellione, rivolta, l'attimo di superiorità degli esseri irrimediabilmente schiavi; il vostro perenne status superiore sia invece atto d'obbedienza! "Anche il vostro comandare sia un obbedire!"
Tutto ciò che più amate dovete cercar di far in modo che ve lo comandino; gioia di vita sia amore per il vostro pensiero più alto nei riguardi dell'esistenza terrena. Io vi comando il pensiero più alto, questo: l'uomo è oramai un qualche cosa che dev'esser oltrepassato. Così parlò Zarathustra.
Del nuovo idolo
Il nuovo idolo è lo Stato, il più gelido fra tutti i gelidi mostri, e la sua bocca sputa tal immonda menzogna: io, lo stato, rappresento il popolo. Ma lo stato è invece un'orrida trappola per il popolo; lo stato va odiato e combattuto come la maggiore disgrazia ed il più grande peccato commesso dall'uomo sull'uomo. Qualunque cosa dica lo stato, esso mente; qualunque cosa faccia l'ha rubata, falso è fin nelle sue viscere.
"Troppi uomini nascono: per i superflui fu inventato lo stato!" Lo stato attrae la massa, il popolo bue, il gregge umano, strillando come bestia feroce: nulla è più grande di me, il potere che ho acquisito mi viene direttamente da Dio. Ed ecco che il nuovo idolo vi concederà tutto ciò che volete, basta che vi mettiate in ginocchio e lo adoriate.
Vivere all'interno d'uno stato significa assuefarsi al veleno malefico ch'esso emana, perdere se stessi in un lento ma inesorabile suicidio chiamato esistenza comune: tutto al suo interno si fa malattia e disturbo; vomita bile e la chiama informazione giornalistica. Ed ognuno al suo interno accumula ricchezze attraverso le quali divengono solamente sempre più poveri. Questi superflui e impotenti, che accumulano denaro per sentirsi più forti; non sono altro che scimmie che si trascinano l'una con l'altra in mezzo al fango.
Vogliono il potere concesso dalla ricchezza, come se in cima vi fosse la felicità invece che immondo sterco. Scimmie maniache puzzolenti sono, adoratori del nuovo idolo, la gelida bestia: fratelli, vi scongiuro, infrangete le finestre e fuggite all'aperto, fuggite dal tanfo prodotto dall'idolatria di questi superflui, i nuovi sacrificatori dell'uomo.
Vi è ancora possibilità di Libertà per le anime grandi, di coloro che vivono in due immersi nella beatifica solitudine, intorno a cui aleggia fragranza paradisiaca. In verità vi dico che chi meno possiede tanto meno è posseduto, vivendo in piccola ma gioiosa povertà. Là dove muore lo stato, lì inizia l'uomo che non è inutile, là comincia la necessità; oltre lo stato vi è l'arcobaleno e il ponte che conduce all'oltreuomo.
Delle mosche del mercato
Amico, se sei infastidito dal vano rumore e chiacchiericcio umano, fuggi nella mia solitudine! Ascolta il silenzio della Natura. Dove finisce la solitudine ha inizio il mercato, "là incomincia anche il rumore dei grandi commedianti e il ronzio delle mosche velenose" Grandezza è creare, ma il popolo chiama "grandi uomini" coloro che mettono in scena e rappresentano grandi vicende; commedianti cui il popolo dona la fama.
Al fine credono maggiormente ciò cui riescono meglio a far credere anche agli altri; ieri credevano in una cosa diversa, domani crederanno in un'altra ancora; il migliore dei loro argomenti e metodi di convincimento rimane sempre il sangue. Loro verità e fede è quella che produce più rumore nel mondo!
"Pieno di solenni saltimbanchi è il mercato, e il popolo si vanta dei suoi grandi uomini": sono i padroni del tempo attuale. Ma tu, amico di verità, fai attenzione, ché essa mai s'accompagnò a braccetto d'un assolutista. Distante da mercato e fama avvengono le grandi cose, distanti da mercato e fama vivono gli inventori di nuovi valori; allontanati, amico, dalle piccole mosche vendicative. Sei già troppo in alto anche solo per degnarti di schiacciarle.
Ti ronzano attorno anche con la lode, quando non sono più in grado d'attaccarti con le loro punture velenose, invadenti, fastidiose, adulatrici e piagnucolose: la loro finta amabilità è l'astuzia dei vigliacchi. Ti vogliono nel più profondo del cuore punire per tutte le virtù che dimostri loro d'avere; ti perdonano solo gli sbagli che fai, mai le cose giuste. La loro anima meschina pensa: "Colpevole è ogni grande esistenza!" E quando ti dimostri buono con loro, ti ricambiano con maledizioni, in quanto si sentono disprezzati. Di fronte a te si sentono piccoli, così che la loro invidia cova e arde al loro interno.
Tu, amico mio, rappresenti la loro cattiva coscienza, in quanto saranno pur sempre indegni di te: per questo ti odiano e vorrebbero tanto bere il tuo sangue. Chi ti sta troppo vicino sarà sempre per te come mosca velenosa, la tua superiorità la irrita: allontanati, mettiti in salvo, scegli la solitudine.
Della castità
Zarathustra ama i boschi isolati, non le città lussuriose; è meglio cadere nelle grinfie di un assassino seriale che in quelle d'una donna presa da smania sessuale. Gli occhietti di tali miseri uomini di città, guardateli, brillano perché non conoscono nulla di meglio che passar il tempo a letto assieme a una donna. Niente altro che fango è in fondo alla loro anima; e neppur l'innocenza animale riescono a raggiungere.
Non dovete uccidere i vostri sensi, ma toccar la loro sublime innocenza: siate perfetti come l'animale innocente. La castità? Per alcuni è indubbiamente una virtù, per altri si riduce al peggiore dei vizi: a nulla serve la continenza sessuale fisica se poi si è dominati da un'ossessione mentale sessuale. Fin sulle più alte vette della loro cosiddetta virtù li insegue la loro ossessa insoddisfazione, e questa loro ossessione divien pensiero dominante anche in tutte le questioni dello spirito, e ciò la chiamano morale religiosa.
Quanto diffida Zarathustra di una morale tanto meschina nata da una tal ossessione, meglio non rinunciare se il risultato è questo. E la compassione di questi esseri casti e religiosi cos'è? Libido e voluttà travestita; molti, troppi di questi che chiamavano diavolo il proprio naturale desiderio sessuale son poi finiti miserevolmente in mezzo ai porci, dominati interamente da questo loro diavolo.
A chi procura fatica, la castità non è bene ma male, va pertanto sconsigliata in quanto non può che condurre diritti nel più profondo dell'inferno: è meglio un semplice e puro atto sessuale che esser vessati da una perenne fregola (desiderio ossessivo) dell'anima. In verità esistono uomini casti nell'intimo: ma essi ridono molto più spesso e soprattutto più sinceramente di voi moralisti repressi. Essi si trovano a ridere e non prender sul serio neppure la loro castità e chiedono: cos'è mai questa cosa?
Dell'amico
L'eremita vive in solitudine accompagnato costantemente da Io e Me, impegnati a discutere animatamente: come si può pensar di resistere senza un amico? E se non si riesce ad avere un amico, si cerca almeno di ottenere un nemico... Tu vuoi un amico, ma io ti chiedo: sei disposto a scender in guerra per lui? "Nel proprio amico si deve onorare anche il nemico"; anzi, ancor meglio: "Nel proprio amico bisogna aver il proprio miglior nemico".
Non sarai mai sincero abbastanza per l'amico, cerca d'esser per lui una freccia che ti indica il cammino in direzione dell'oltreuomo; il volto del tuo amico sia il tuo stesso viso riflesso in uno specchio. Ti spaventano i difetti e imperfezioni che noti nell'amico? L'uomo è una cosa che va superata. Amicizia silente è quella più profonda, senza tante belle vesti (chiacchiere inutili e fasulle) Devi esser aria pura delle vette, cibo e medicina per l'amico.
Se però sei uno schiavo, allora non potrai mai esser un amico; se invece il tuo essere è quello d'un tiranno, allora non potrai mai avere amici: e nella donna da sempre si è celato uno schiavo e un tiranno. La donna non ha la capacità di viver l'autentica amicizia, ha esperienza solo d'amore; e quanta ingiustizia e ottusità si nascondono nel suo amore (il suo giudizio è: ciò che amo è bene, tutto il resto è male).
Non sa esser amica la donna, nella sua anima vive un gatto, un uccello... o una vacca. Ma quanti uomini son davvero capaci di amicizia?
Di mille e una meta
La più grande forza scoperta da Zarathustra nel mondo è quella che valuta in "bene" e "male"; molte cose che risultano buone ad un popolo, appaiono invece ad un altro indegne e viceversa; un popolo onora ciò che il suo vicino reputa, giudica e condanna come cattivo. Una tavola su cui è impresso ciò ch'è stato capace d'oltrepassare sta sopra ogni popolo: voce della sua volontà di potenza. Degno di lode è ciò ch'è difficoltoso raggiungere; ciò ch'è necessario è anche buono e ciò che libera dall'estremo bisogno è santo. La speranza dell'uomo nuovo sale la scala di tal legge dei superamenti.
In verità i vari popoli si diedero da soli le loro leggi, ovvero tutto il loro bene e tutto il loro male insieme: non sono affatto scese in qualità di voce divina dall'alto dei cieli. È l'esser umano che ha deciso di ripor il suo maggior valore in queste cose con l'intento così di sopravvivere meglio nel mondo; ha dato un senso alle cose e creato un giudizio umano su di esse. Dando un suo precipuo valore alle cose le ha anche create; modificare i valori significa trasformare i creatori.
Le tavole del bene furono creata dall'amore che vuole comandare alleato all'amore felice di obbedire; la felicità data dal gregge è più arcaica di quella dell'Io; "e finché la buona coscienza si chiama gregge, solo la cattiva coscienza dice Io". L'Io rappresenta il tramonto del gregge. Chi creò bene e male fu un creatore bruciato nell'anima dal fuoco dell'amore e dell'ira. La più gigantesca potenza che Zarathustra incontrò sulla terra fu quella prodotta dalle azioni commesse da coloro che amano e valutano in "bene" e "male". Mostro immane è una tale potenza e la sua capacità di giudicare.
È sempre mancata una meta unica ai vari popoli: all'umanità manca una meta.
Dell'amore del prossimo
Predicate l'amore per il prossimo e vi date tanto da fare per esso, ma in verità io vi dico che proprio il vostro amore del prossimo è nient'altro che il cattivo amore nei confronti di voi stessi e la fuga da sé stessi verso il prossimo la chiamate ipocritamente virtù: fuggite piuttosto dal prossimo, io vi invito invece al più elevato amore nei confronti del lontano! Si va dal prossimo perché si cerca sé stessi, o perché ci si vuole perdere: è il cattivo amore per sé che rende la solitudine un male... già quando si è radunati in cinque si è in troppi.
Nemmeno i grandi banchetti e festeggiamenti in onore del prossimo sono sinceri, sono invece intrisi di spirito da pagliaccio e doppiogiochista. Al posto del prossimo io voglio insegnarvi l'amico; questi sia la festa più bella che prelude all'oltreuomo: l'amico creatore sempre ricolmo di cose da donare. Nell'amico devi amare il lontano, il futuro oltreuomo. Così parlò Zarathustra.
Del cammino del creatore
Il gregge, la voce del popolo gracchia: chi si allontana da noi commette un peccato, l'isolamento è male. Tutti i tuoi dolori son stati creati dall'aver una coscienza in comune con loro; mostrami fratello d'esser migliore, di non appartenere a tale genia. Ti consideri libero? Fammi ascoltare il tuo pensiero dominante. Sei capace di crear da te stesso il tuo proprio male e bene ("sai... sospendere sopra di te il tuo volere come una legge?") e farti giudice di te stesso? Sempre troppo hai sofferto a causa dei molti, fatti un nuovo Diritto.
Non li hai degnati d'uno sguardo, non te lo perdoneranno mai; t'invidiano, come tutti i vigliacchi. Stai troppo in alto per loro, i quali dal basso ti vedono piccolo; li obblighi a pensare e mutar opinione nei tuoi confronti, di ciò t'incolpano. Vogliono ucciderti, se non ci riescono devono morire loro: hai abbastanza coraggio da lasciarli morire?
Diffida dei buoni e giusti, della santa semplicità e anche dagli attacchi del tuo sentimento amoroso; ma alla fine il peggior nemico che potrai mai incontrare sarà sempre il vecchio te stesso dentro di te. Rinnovati pertanto, per esser creatore occorre diventare come la Fenice. Zarathustra ama sopra ogni altra cosa colui che, volendo creare qualcosa che sta più in alto di sé, perisce.
Di donnicciuole vecchie e giovani
Chiedono a Zarathustra: cosa nascondi con cura estrema sotto il mantello? Risponde: un tesoro, una piccola verità.
Nel corso d'una passeggiata serale il profeta incontra una vecchia donna, la quale gli chiede di raccontare quel ch'egli pensa degli esseri femminili. Così parlò allora Zarathustra: Tutto ciò che riguarda la donna è un insoluto mistero, e tutto nella donna ha una sua soluzione specifica, e questa si chiama gravidanza. L'uomo è sempre stato e sempre sarà per la donna un mero mezzo; in quanto lo scopo finale è sempre il bambino! L'uomo desidera rischio e divertimento, per questo cerca la donna, che è il giocattolo più pericoloso; al guerriero non piacciono le cose troppo dolci, per questo gli piace la donna ("amara è anche la donna più dolce").
L'uomo è indubbiamente più infantile della donna, in lui si cela un bimbo che desidera giocare; la donna dev'esser gioco prezioso, perfetto e nobile come diamante: "Il raggio di una stella risplenda nel vostro amore!" La più alta speranza riposta nel cuore della donna sia quella di partorire infine l'oltreuomo. Da temere è la donna quando ama, è capace di superar qualsiasi ostacolo, ogni altra cosa divenendo del tutto inutile. Ma è da temere anche quando odia, ché l'uomo sa essere malvagio, ma ella è capace di malignità, meschinità, cattiveria allo stato più puro. Gioia immensa per l'uomo è dire "Io voglio"; suprema gioia per la donna è dire "Lui vuole": la perfezione del mondo ecco è raggiunta quando la donna obbedisce in letizia amorosa. Obbedendo trasforma in profondità la propria superficialità
La vecchia, avendolo attentamente ascoltato, conclude allora questa riflessione con una "piccola verità" che dona a Zarathustra, consigliandogli però di nasconderla e non lasciarla uscire allo scoperto: "Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta!"
Una possibile chiave interpretativa viene data nell'aforisma 424 di Umano, troppo umano in cui Nietzsche discute sul possibile futuro dell'istituto matrimoniale. Rimane poi da chiarire chi sia in realtà la vecchia che incontra e parla col profeta; una risposta a tale domanda la si può trovare nella Canzone della terza appendice de La gaia scienza: "La Verità era questa donna vecchia...". Zarathustra consiglia infine d'esprimere sottovoce questa "piccola verità", di modo che non appaia troppo impetuosamente nel mondo, magari in forma gridata, rimanendo però incompresa da tutti.
Del morso della vipera
Zarathustra, addormentato sotto un fico, viene morso da una vipera: egli si svegliò e costrinse il serpente a riprendersi il veleno, succhiandogli la ferita. I suoi discepoli gli chiesero il significato, la morale d'una tale parabola, e il profeta rispose così: i buoni e giusti mi definiscono un distruttore della morale. Ascoltate: se avete un nemico, non rispondete mai al male col bene, sarebbe indegno di voi, dimostrategli semmai che v'ha fatto qualcosa di bene.
Non vergognatevi della vostra ira, se vi maledicono maledite anche voi. Se subite un torto, ripagate con la stessa moneta, e restituitene in cambio cinque piccole; vendicatevi ogni tanto. È più degno incolparsi da soli che farsi dare ragione dagli altri; non mi piace la gelida giustizia della legge degli uomini. Non si può dare a ciascuno il suo: io dono ad ognuno il mio.
Del figlio e del matrimonio
Sei giovane, desideri pertanto sposarti e avere un figlio, non è vero? Ebbene, io allora ti chiedo: sei tu degno veramente di desiderare ciò? Sei tu un uomo che ha raggiunto la piena padronanza di sé? Solo in tal caso meriti di desiderare un figlio: un creatore devi creare, qualcuno di più grande di te. Il matrimonio dev'essere questa volontà di creare, in due, un uno che risulterà esser maggiore dei due che lo crearono.
Ma ciò che la massa dei superflui anonimi chiama matrimonio per me altro non è che miseria dell'anima divisa in due, putrido benessere e volgarità in due: e questo schifo lo chiamano santificato dai cieli, un sacramento. In queste condizioni: "Quale figlio non avrebbe motivo di piangere dei propri genitori?" Quell'uomo mi sembrava degno di rispetto; ebbene, quando ne scorsi la moglie la sua vita mi parve esser simile a quella che si svolge all'interno d'un manicomio... troppo spesso accade purtroppo che un uomo superiore e una donna stupida si uniscano.
Il matrimonio, una miserabile menzogna rivestita di tanti bei colori; anche l'uomo migliore si riduce a diventar infine il servo di sua moglie; anche il miglior mercante compra sua moglie con gli occhi bendati. L'amore? Molte stupidaggini che durano poco; il matrimonio? Mette fine all'amore in un'unica lunghissima stupidaggine. Chiamate amore l'istinto da bestia che cerca l'altra bestia.
Al di sopra di sé si deve amare, solamente così si può sperar d'imparare cosa significhi veramente amare; ma infine dolore amaro risiede anche all'interno del migliore amore, e ciò mette nostalgia nei confronti dell'oltreuomo, mette desiderio d'esser creatori.
Della libera morte
Molta gente muore troppo tardi, altri invece troppo in anticipo; quanto difficile è seguire l'insegnamento: "Muori al momento giusto!" Ma chi non è mai vissuto al momento giusto, come potrà mai morire al momento giusto? Sarebbe stato meglio non fosse mai nato, e ciò riguarda la stragrande maggioranza dei viventi.
Ma persino la persona più inutile si dà una grande importanza quando è arrivato il suo tempo di morire; tutti danno sommo valore e gran serietà all'atto del morire, purtroppo la morte non è ancora vissuta come una festa. L'essere umano non ha ancora imparato come celebrare la morte, la festa più bella di tutte: Zarathustra vuol mostrare la morte come perfetta conclusione della vita, grande promessa. Ma solo chi ha realizzato la propria vita muore vittorioso: si deve imparare anche a morire.
La morte peggiore è quella viscida e subdola che s'avvicina di nascosto, odiosa quant'altre mai, come ladra: Io insegno la libera morte, che giunge a me perché io lo voglio. Ci son molti che diventano troppo vecchi, per le proprie mete, verità e lotte; onorevole e degno del massimo rispetto è colui che se ne va in tempo al momento giusto, né troppo presto né troppo tardi.
Ad alcuni invecchia prima il cuore, al altri invece è lo spirito che divien affetto da senescenza; alcuni son vecchi già da giovani, mentre chi diventa giovane tardi rimane giovane a lungo. Qualcuno non sembra portato per la vita, come se una tarma gli rosicchiasse perennemente il cuore: sapesse almeno morire bene.Troppi vivono, e troppo a lungo rimangono in vita: potesse giungere una catastrofe universale che si portasse via tutto questo marcio e lo desse in pasto ai vermi. Sarebbe una benedizione l'arrivo di predicatori della "morte veloce"; purtroppo vi son solo predicatori di morte santa e buona, lenta e paziente, nemici della terra. In verità è morto davvero troppo presto quell'ebreo chiamato Gesù che tanto venerano questi ultimi: ha conosciuto solo tristezze, fino a che non venne aggredito dalla nostalgia della morte.
Quanto meglio sarebbe stato per lui vivere per sempre nel deserto lontano da tutti; forse così avrebbe imparato a ridere, cosa che purtroppo gli è sempre mancata. Se fosse vissuto di più, avrebbe lui stesso rinnegato il proprio credo, era nobile abbastanza per poterlo fare; ma il suo amore era ancora troppo immaturo.
Che il vostro morire risulti libero, in pienezza di spirito e virtù, come il tramonto naturale al crepuscolo: altrimenti il morire non vi sarà riuscito bene. Scopo ultimo di Zarathustra è quello di morire, per far sì che i suoi amici amino ancora e sempre più la terra
Della virtù che dona (in 3 sottocapitoli)
Parte seconda
Il fanciullo con lo specchio
Sulle isole beate
Dei compassionevoli
Dei preti
Zarathustra parla ai suoi discepoli dei [preti], quelli che considera cioè da sempre i suoi peggiori avversari: pessimi nemici intrisi di vendicativa umiltà, ci si sporca solo a stargli vicino. Ma lo inducono comunque ad un senso di pietà nei loro confronti, in quanto sono schiavi sottomessi al loro "liberatore"; incatenati saldamente a falsi valori e sciocche parole. Stanno all'antitesi del gusto estetico di Zarathustra.
Dovrebbero essere redenti dal loro redentore: gli edifici di questi esseri son chiamati chiese: "spelonche dolceodoranti!" immerse in una luce fasulla e in un'aria ammuffita. La loro fede gli ordina di stare in ginocchio, ché son peccatori. In verità a Zarathustra è preferibile e più piacevole la vista di un porco immerso nello sterco, piuttosto degli occhietti stralunati di questi preti immersi nel pudore dell'adorazione.
Hanno dato il nome di Dio a ciò che li punisce e mette in penitenza: "E non seppero amare il loro dio in altro modo se non crocifiggendo l'uomo!" Han sempre vissuto come cadaveri viventi vestiti di nero; in tutte le loro parole è impregnata la puzza di cimitero e obitorio. Sono brutti, mentre è solo la bellezza che potrebbe esser degna di predicar penitenza. Brutti e tristi, mai hanno seguito la via della conoscenza.
Pieno di buchi è il loro spirito, e in ognuno di questi sta celata un'illusione: è la favola chiamata dio utilizzata per riempire le loro lacune. Ed il loro spirito affoga nella più stupida compassione. Con zelo trascinano il gregge lungo il loro sentiero; ma non vi è un'unica via di verità che conduce al futuro, soglion esser pastori ma sono ancora troppo irrimediabilmente pecore loro stessi.
Spiriti piccoli con sangue avvelenato sono, che predicano una dottrina che ha sempre portato odio nei cuori torbidi di chi li sta ad ascoltare. Ma la via che conduce alla libertà passa attraverso la redenzione da tutti i loro presunti redentori. La terra non ha ancora mai conosciuto il passaggio dell'oltreuomo; l'uomo più grande e l'uomo più piccolo sono ancora troppo simili fra loro, l'uomo più grande è ancora troppo umano!
Dei virtuosi
I virtuosi, spesso, esigono di ricevere "qualcosa" in premio alle loro soprelevate virtù; Zarathustra è fortemente sconcertato dal questo desiderio, ed attribuisce la colpa alle menzogne che, fattesi strada nella mente dei virtuosi, li hanno portati a fidelizzarsi ai concetti più che astratti di ricompensa e punizione. Le virtù sono amate dai loro possessori come una madre ama la sua prole, ma si chiede Zarathustra una madre pretende d'esser pagata per l'amore donato ai propri figli?
La virtù deve essere la base solida e coscienziosa della vita e non un manto o qualcosa di estraneo e superficiale. Zarathustra parla non per accusare i discepoli, di non conoscere o conoscere fittiziamente le virtù e i loro profondi e molteplici aspetti, ma per chiedere loro di far "tedio" delle parole pronunciate dai buffoni e dai bugiardi, parole come: "ricompensa", "rivalsa", "punizione", "vendetta nella giustizia", e di fondare nuovi valori veritieri e concreti.
Della plebe
Là dove comandano i plebei, un ributtante ghigno domina e i più sporchi desideri riescono ad avvelenare anche le cose più pure; molti di coloro che fuggirono dalla vita vollero allontanarsi in verità soltanto dalla plebaglia che infesta le città, meglio difatti patire la sete nel deserto in compagnia degli animali feroci piuttosto che star vicini a tale sporcizia. Ed altri tra quelli che vollero distruggere il mondo, in realtà desideravano solamente ripulirlo dalla plebaglia. Zarathustra si chiede: ma alla vita è indispensabile anche la plebe? Questi vermi che corrompono il meglio dell'esistenza e trasformano tutto in mercato e traffici, solo per ottenere un po' di guadagno materiale.
Il ribrezzo che prova Zarathustra è tale che si trova costretto a turarsi il naso: al giorno d'oggi tutto puzza di plebaglia che sa leggere e scrivere. Sempre più in alto e lontano ha dovuto dirigersi: "Sull'albero del futuro edifichiamo il nostro nido; aquile porteranno cibo a noi solitari nei loro rostri!" Per fortuna la nostra gioia suprema è per la plebe del tutto incomprensibile; troppo vicina alle nevi eterne e al sole bruciante dell'alta montagna.
Delle tarantole
Proprio come tarantole sono i predicatori dell'uguaglianza, vendicativi e velenosi al massimo grado. Ma Zarathustra sa ridere in faccia anche a loro, e strattona la tela di ragno che hanno prodotto cercando di strapparla, questo per costringerle così ad uscire dalle loro oscure spelonche colme di spirito menzognero.
L'uomo del futuro deve esser redento dalla loro vendetta, chiamata giustizia: "Vendetta vogliamo infliggere e biasimo a tutti quelli che non sono uguali a noi - così si ripromettono i cuori di tarantola".
La "volontà d'uguaglianza" è il nome dato alla loro smania, e questa è la massima virtù moderna: contro tutto quel che s'innalza potentemente scagliano strali e condanna. La tarantola strilla all'unisono tutt'attorno a sé parole d'uguaglianza; ma è una follia tirannica da impotenti, questa, che grida chiedendo uguaglianza: i più riposti desideri dittatoriali si travestono così da chiacchiere virtuose (le quali dicono "siamo tutti uguali, abbiamo gli stessi diritti...")
Sono presuntuosi che vivono rosi da malcelata invidia, la quale a volte esplode in follia di vendetta e gelosia nei confronti di chi "non" è uguale a loro, di chi "non" ha gli stessi diritti (in quanto non ne ha bisogno...): "In ogni loro lamento risuona la vendetta, in ogni loro lode c'è un'offesa; ed esser giudici sembra loro la beatitudine".
Il profeta consiglia quindi agli amici di diffidare di coloro che dimostrano posseder un forte impulso a punire in nome di un fantomatico senso di giustizia: gente di pessima razza e origini, sul cui muso si riflette prima un cane da caccia e poi un boia!
La loro anima è carente, fuggite lontano da tutti coloro che blaterano di una propria Giustizia maiuscola; chiamano sé stessi "buoni e giusti": non sono altro che farisei alla ricerca del potere. Non voglio mescolarmi con tale genia di ragni velenosi, né tanto meno esser confuso con loro: sono i discendenti di coloro che han calunniato e condannato la vita terrena, e bruciato a loro tempo i cosiddetti eretici. Così parla la giustizia di Zarathustra.
Gli esseri umani non sono affatto tutti uguali... e nemmeno debbono diventarlo! L'amore verso il superuomo conduce attraverso sentieri di guerra, inimicizia e disuguaglianza: utilizzando le armi dei valori contrapposti bene-male, ricco-povero, superiore-inferiore. Ma è la vita stessa che cerca in continuazione di oltrepassarsi, accrescendo viepiù l'acutezza del suo sguardo; in direzione della bellezza s'innalza in verticale, bella e ingiusta.
E poiché necessita d'altezza gli occorrono gradini e coloro che lottando vi salgano: in tutta la bellezza del mondo vi è disuguaglianza e guerra per il predominio, combattimento tra luce e ombra. I miei amici sono belli e anelano a combattere come antichi eroi semi-divini l'uno contrapposto all'altro.
Ma ad un tratto, inaspettatamente ecco che la tarantola riesce a mordere il dito anche a Zarathustra, facendogli notare che ci devono essere "giustizia e castigo"; con il suo spirito vendicativo cerca di trasmutar anche il profeta in un tarantolato che gira a vuoto... ma egli preferisce diventar uno stilita legato alla colonna piuttosto che un uragano vendicativo. In verità Zarathustra non sarà mai un danzatore asservito alla tarantola.
Dei saggi illustri
Zarathustra si rivolge ai saggi illustri, che hanno predicato per secoli, menzogne e finte verità, sfamando l'irrefrenabile desiderio del popolo di superstizione ed oltremondo. Essi insieme a quest'ultimo, cacciarono l'uomo diverso, il pensatore, il solitario, colui che cerca.. e per stanarlo inviarono contro il lupo, i “cani dalle zanne più aguzze”. Stupidi e senza cervello vengono descritti da Nietzsche , come asini avvocati del popolo. I veraci debbono vivere nel deserto, “affamata, violenta, sola, senzadio” deve essere la loro volontà… debbono spezzare il cuore venerante, dove gli dei non esistono e le superstizioni valgono ben poco. Mentre, i cosiddetti saggi vivono in paesi, affumicando nelle loro fedi, e misconoscendo il significato delle parole spirito e felicità, alle quali si può dare un senso solamente cercandolo.
Il canto notturno
Il canto di danza
Il canto funebre
Dell'auto-superamento
Il profeta riflette sulla "volontà di verità" posseduta dai saggi di ieri e di oggi, questo piatto desiderio di render pensabile l'essere intero; ma anche voler con tutte le forze posseder la verità morale altro non è che volontà di dominio. Il popolo ottuso e insulso è un gran fiume sopra cui naviga un'imbarcazione, all'interno della quale stanno i giudizi morali: ciò che dalla massa è chiamato giudizio sopra il bene e sopra il male è la più antica forma di volontà dominante. Ma unica legge del fiume è quella del divenire; la fine dei giudizi morali è la nuova volontà di potenza, imperitura ed immensa energia vitale.
Ma cosa è vita, quale l'essenza di tutto ciò che vive? Ovunque trovai un essere vivente, afferma Zarathustra, là v'era anche desiderio inespresso d'obbedienza: "Ogni essere vivente è qualcosa che obbedisce"! Ma riceve ordini colui che non sa obbedire a sé stesso, e questa è l'essenza di tutto ciò che vive. Comandare è ben più pericoloso che obbedire: ogni qual volta comanda, l'esser vivente mette a rischio sé stesso. "Anche quando comanda a sé stesso: anche allora deve scontare il suo ordinare"; deve diventare giudice, vincitore e vittima ad un tempo della propria stessa legge.
Ma cosa spinge l'esser vivente a comandare, a obbedire? Là dove scorsi un qualsiasi essere che vive, ivi trovai anche volontà di potenza; anche il servo possiede dentro sé la volontà di essere padrone: il più debole serve il più forte, ma a sua volta comanda a qualcuno ch'è ancora più debole di lui, e dinnanzi ad un tal piacere non si sottrae di certo. E come il più forte trae piacere e potenza dal più debole, il più forte di tutti per la potenza mette in gioco la vita stessa... è come giocare a dadi con la morte.
Anche dove c'è sacrificio, servizio e sguardo amorevole regna la volontà d'esser padrone: così come è la vita, una cosa che deve sempre auto-superarsi. Anche l'amante della conoscenza è una traccia e un segnale lasciato dalla volontà di potenza, un'altra parola per dire volontà di verità.
Solamente dove già c'è vita vi può anche esser volontà, ma non volontà di esistere bensì volontà di potenza: moltissime cose per l'essere vivente han più valore della stessa vita. Anche nel giudicare ciò ch'è buono e ciò ch'è cattivo si manifesta nient'altro che volontà di potenza; ora, un bene e un male eterno ed immutabile non è mai esistito: "Da sé stesso deve sempre di nuovo superarsi" Voi giudici della morale con le vostre parole esercitate una violenza; ma tali valori verranno superati da una nuova creazione di valori, dopo che i vecchi siano stati infranti e finalmente distrutti.
In tal modo la massima cattiveria va unita alla massima bontà, divenuta ora creativa.
Dei sublimi
Del paese della cultura
Zarathustra vola verso il futuro, trova uomini con "cinquanta macchie di colore sul volto", senza una precisa identità. Che forse pur di trovarla, hanno tentato di colorarsi in ogni modo; tolto il colore cosa si trova? Nulla. Nietzsche questi uomini li definisce sterili, senza fiducia in loro stessi, senza futuro. Come suo solito Nietzsche profetizza, in modo incredibilmente preciso, le caratteristiche dell'ultimo uomo. Come fece anche in "al di là del bene e del male" l'autore descrive uomini senza identità, uomini "brutti" che hanno lasciato morire i loro vecchi valori senza crearne di nuovi, essi non hanno slancio nel futuro.
Dell'immacolata conoscenza
Dei dotti
Dei poeti
Dei grandi eventi
Il profeta
Della redenzione
Dell'accortezza verso gli uomini
L'ora più silenziosa
Parte terza
- Il viandante
Zarathustra ripensa al suo cammino solitario intrapreso da lui fino a quel momento dopo aver abbandonato i suoi amici e discepoli. Descrive il suo cammino passato come un susseguirsi di peregrinare e montagne da scalare mettendo così alla prova sé stesso. In seguito, fa un elogio alla morte come interruzione del continuo ripetersi di eventi e la descrive come "ultima vetta" e "ultimo rifugio" per la strada di grandezza. Zarathustra racconta le sue sensazioni mentre sale la sua ultima vetta e ne parla come di un cuore fattosi ormai duro, durezza necessaria ad ogni scalatore, specie per la sua vetta più importante. La montagna che sta scalando si trova più in profondità di quanto non è riuscito mai a salire; parla inoltre di come le montagne più alte provengano dal "mare", cioè il luogo più profondo. Arrivato alla fine del cammino Zarathustra è stanco e nostalgico. Tutto tace intorno a lui. Questo silenzio lo fa ragionare sul suo amore in quanto solitario e di come abbia avuto fiducia e amore anche nei confronti dei suoi mostri più orribili come un amoroso folle. Zarathustra ci lascia come messaggio che il pericolo del solitario è quello di amare solo perché c'è vita. Infine Zarathustra si commuove ripensando agli amici che aveva abbandonato e piange amaramente lacrime d'ira e nostalgia.
- Della visione dell'enigma (in 2 sottocapitoli)
- Della beatitudine non voluta
- Prima del levar del sole
- Della virtù che rimpicciolisce (in 3 sottocapitoli)
- Sull'uliveto
- Del passare oltre
- Degli apostati (in 2 sottocapitoli)
- Il ritorno in patria
- Delle tre cose cattive (in 2 sottocapitoli)
- Dello spirito di gravità (in 2 sottocapitoli)
- Di tavole antiche e nuove (in 30 sottocapitoli)
- Il convalescente (in 2 sottocapitoli)
- Del grande anelito
- Il secondo canto di danza (in 3 sottocapitoli)
- I sette sigilli. Ovvero il canto del sì e dell'amen (in 7 sottocapitoli)
Parte quarta e ultima
- Il sacrificio del miele
- Il grido d'aiuto
- Colloquio coi re (in 2 sottocapitoli)
- La sanguisuga
- Il mago (in 2 sottocapitoli)
- Fuori servizio
- L'uomo più brutto
- Il mendicante volontario
- L'ombra
- Meriggio
- Il saluto
- La cena
- Dell'uomo superiore (in 20 sottocapitoli)
- Il canto della melanconia (in 3 sottocapitoli)
- Della scienza
- Tra figlie del deserto (in 2 sottocapitoli)
- Il risveglio (in 2 sottocapitoli)
- La festa dell'asino (in 3 sottocapitoli)
- Il canto d'ebbrezza (in 12 sottocapitoli)
- Il segno
L'autore dimostra di conoscere molto bene il linguaggio biblico, in particolar modo quello del Nuovo Testamento: lo Zarathustra di Nietzsche si rivela essere il suo Gesù Cristo senza comandamenti, sublimazione dell'immagine delle gemelle arbussiane nel doppio, il suo messia. Il tentativo di Nietzsche fu quello di creare un mito della modernità utilizzando il linguaggio simbolico del mito (e dei sogni) per riuscirvi.
Nietzsche considerava Così parlò Zarathustra con grande orgoglio e un'esaltazione simile a quella con cui avrebbe guardato i libri a seguire cioè quelli prima della catastrofe dei primi giorni del 1889. È inquietante come tutti questi ultimi libri, lo Zarathustra compreso, contengano riferimenti costanti ad un finale drammatico e alla presenza di un doppio (nello Zarathustra è ad esempio il nano o il pagliaccio della torre o ancora il mago-Wagner), tutti elementi della tradizione tragica.
Al di là del bene e del male, pubblicato poco dopo lo Zarathustra, ne rielabora le tematiche in una forma più convenzionale e diretta.
Eugenio Caruso - 15 maggio 2024
Tratto da