Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.»
(Coro della prima strofa della prima edizione dell'Ode alla Gioia)
GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.
I TEDESCHI
Goethe - Hesse - Heyse - Mann - Nietzsche - Schiller
Schiller ritratto da Gerhard von Kügelgen.
Johann Christoph Friedrich von Schiller (Marbach am Neckar, 10 novembre 1759 – Weimar, 9 maggio 1805) è stato un poeta, filosofo, drammaturgo, medico e storico.
Casa natale di Schiller a Marbach am Neckar.
Friedrich Schiller nacque il 10 novembre 1759 a Marbach am Neckar, a 20 miglia circa da Stoccarda nel Ducato di Württemberg, unico figlio maschio di Johann Caspar Schiller, luogotenente dell'esercito del medesimo ducato, e di Elisabeth Dorothea Kodweiß.
Monumento di Schiller nella città nativa di Marbach.
Suo padre aveva inizialmente occupato uno degli ultimi ruoli della gerarchia militare, servendo l'esercito come chirurgo militare, occupazione considerata in Germania alla pari di quella dell'artigiano o del barbiere. Ricevuta la promozione a luogotenente partecipò alle campagne della Guerra dei sette anni, motivo per il quale Friedrich non poté vederlo fino all'età di due anni e mezzo quando suo padre tornò dopo aver acquisito il ruolo di capitano.
La sua infanzia fu pertanto caratterizzata da un ambiente domestico affettuoso e femminile. Sua madre, Elisabeth Dorothea Kodweiss, figlia di un albergatore, era una donna gentile le cui virtù domestiche erano accompagnate da una non comune (anche se non dotta) intelligenza, un grande amore per la letteratura devozionale e da una fervente fede religiosa. Fu da lei che Friedrich ereditò la sua natura emotiva e altruista insieme con la sua onestà; da suo padre provenne invece l'infaticabile energia che temprò il suo carattere.
Tra i sei e nove anni, dopo essersi trasferito con la famiglia nel villaggio di Lorch sul Rems, Friedrich iniziò a prendere lezioni private di latino dal pastore Moser. Il capitano era fermamente convinto che il suo unico figlio dovesse beneficiare di un'educazione classica che lo avrebbe condotto alla vocazione di pastore, alla quale lui stesso aveva dovuto rinunciare a causa della prematura morte del padre.
Friedrich fu educato secondo la rigida tradizione luterana; la fede di sua madre era semplice e forte e suo padre credeva fermamente nel potere della Provvidenza di guidare l'uomo attraverso le avversità. Tuttavia l'influenza intellettualmente più significativa sul giovane Schiller l'ebbe il pastore Moser, il quale credeva profondamente che il compito del cristiano fosse perseguire l'unione mistica con Cristo e vivere nell'obbedienza dei comandamenti di Dio compresi ascoltando la voce della propria coscienza.
Tale idea influenzò molto Schiller che l'approfondì nel momento in cui, da studente di medicina, la rincontrò secolarizzata nel contesto dell'Illuminismo e della nascente psicologia. Fu questa l'origine del grande interesse che dimostrò successivamente per i meccanismi della vita interiore dell'individuo e il motivo per cui rimase particolarmente sensibile ai pericoli etici inerenti alla personalità unilaterale.
Dopo che la famiglia si trasferì nel 1766 a Ludwigsburg studiò per tre anni alla scuola classica Latino, Greco e Ebraico come preparazione alla vita di Chiesa, verso la quale, sempre fortemente incoraggiato dal padre, si dirigevano i suoi pensieri. Era previsto che Friedrich, essendo uno studente diligente, avrebbe passato gli esami annuali e sarebbe quindi entrato alla scuola inferiore del monastero di Blaubeuren per poi passare a una scuola monasteriale superiore completando successivamente i suoi studi di teologia con una borsa di studio al Tübinger Stift. Alla scuola di grammatica di Ludwigsburg fu per la prima volta introdotto alla poesia e al teatro. Il Duca richiedeva che tutti i suoi ufficiali insieme con le loro famiglie assistessero regolarmente all'opera italiana e agli spettacoli teatrali. Il fantastico mondo dell'opera, del teatro e del balletto catturò ben presto l'immaginazione di Schiller che costruì addirittura un palcoscenico in giardino in cui si divertiva a mettere in scena rappresentazioni teatrali.
Schloss Solitude, il palazzo dell'Accademia a Solitude.
La famiglia Schiller dipendeva economicamente dal Duca e questo ebbe ripercussioni non indifferenti sulla vita di Friedrich. Quando Karl Eugen, in un periodo di stravaganza, tra il 1763 e il 1767 costruì nei pressi di Stoccarda il Schloss Solitude (Palazzo di Solitude), abbattendo i boschi e circondandolo di giardini spettacolari, la cura di questi fu affidata al capitano Schiller (non più utile nel suo ruolo di militare dal momento che il Duca, dopo che gli furono negati i sussidi francesi, aveva perso il suo interesse bellico), il quale si trasferì nei pressi del palazzo con tutta la famiglia, lasciando Friedrich a Ludwigsburg per proseguire gli studi.
Tale cambiamento non avrebbe inciso sulla vita di Friedrich se non fosse che fu proprio a Solitude che il Duca decise di fondare la struttura educativa (inizialmente pensata per gli orfani dei soldati e per i figli di artigiani e giardinieri) che si trasformò ben presto in un'accademia militare sotto il comando del colonnello von Seeger.
Il Duca, i cui agenti si erano informati sugli studenti brillanti delle scuole locali, invitò anche il capitano Schiller a mandare suo figlio all'Accademia dove gli sarebbe stata offerta un'educazione gratuita. Con il dovuto rispetto il capitano rispose che Friedrich era destinato a diventare un ecclesiastico e che siccome all'Accademia non c'era nessuna facoltà di teologia avrebbe preferito permettere a suo figlio di frequentare, attraverso diverse scuole, il seminario della città universitaria di Tubinga, il Tübinger Stift. Ma quando il capitano fu convocato alla presenza del Duca capì che un'ulteriore resistenza alla sua volontà non sarebbe stata possibile.
L'insistenza del Duca si comprende considerando che Karl Eugen vedeva nell'Accademia l'occasione di educare i giovani promettenti (per la maggior parte figli della borghesia) destinati a ricoprire posti importanti nel sua Corte, nei Ministeri e nell'Esercito, e Friedrich era stato scelto come uno di questi.
Molto riluttante il giovane Schiller decise di studiare legge all'Accademia, dove il trattamento fu molto rigido, soprattutto nei primi anni dalla sua apertura. Agli studenti non era concesso tornare a casa, le loro lettere venivano censurate, non erano permesse vacanze, erano confinati nei limiti di Solitude e quando i genitori li andavano a trovare dovevano conversare in presenza di uno dei membri dello staff. Le regole dominavano ogni minuto del giorno.
Il Duca era considerato come il loro padrone, e a lui i genitori dovevano essere grati. Moltissima importanza veniva data al merito rispetto al quale venivano istituite delle classifiche e consegnati dei premi. Gli studenti vivevano in totale assenza di privacy, inoltre il Duca richiedeva che ognuno scrivesse dei rapporti sul carattere e gli atteggiamenti dei propri compagni.
Con la sua natura sensibile e la sua delicata costituzione, Schiller soffrì probabilmente più di ogni altro della dura routine dell'Accademia, che prevedeva anche orari molto rigidi. La totale dipendenza della sua famiglia dal Duca non gli permetteva nemmeno di ribellarsi apertamente alle autorità.
Schiller aveva 16 anni quando l'Accademia si trasferì a Stoccarda. La disponibilità di spazi più grandi diede l'opportunità a Karl Eugen di istituire le facoltà di filosofia, finanza, legge, belle arti, studi militari e medicina. La facoltà di medicina fu fondata per competere con la celebre Università di Tubinga.
Schiller decise immediatamente di trasferirsi a tale facoltà anche se le ragioni che lo spinsero a cambiare non sono ben chiare e sono state a lungo discusse. Sua sorella sostenne che gli era semplicemente stato ordinato dal Duca. Il suo compagno e amico Wilhem von Hoven, che si trasferì insieme a lui, affermò che avevano entrambi deciso volontariamente di studiare medicina. Entrambi ritenevano che studiare medicina fosse un miglior approccio alla poesia e al teatro rispetto all'“arida, rigorosa giurisprudenza”, sostenuti inoltre dall'esempio e dall'ispirazione di Albrecht von Haller che era riuscito a conciliare brillantemente medicina e poesia.
Inoltre bisogna considerare che, anche se desiderava ardentemente studiare poesia e teatro, Schiller aveva prudentemente accettato l'inevitabile necessità di doversi guadagnare da vivere una volta uscito dall'Accademia, e la pratica della medicina gli sembrava un buon mestiere, sicuramente migliore di quello che gli avrebbe garantito la laurea in legge. Decise pertanto di lavorare duramente per poter completare gli esami il prima possibile in modo tale da poter guadagnarsi l'indipendenza.
Influenze significative
Johann Friedrich Consbruch (1736-1810)
Il professore di medicina preferito da Schiller era Johann Friedrich Consbruch insegnante di fisiologia, patologia, semiotica e terapeutica per un totale di 16 ore alla settimana, le cui eloquenti e appassionate lezioni erano molto gradite al giovane. Era molto interessato all'interrelazione tra mente e corpo, oltre che al tema delle febbri maligne (sul quale scrisse una dissertazione esaminandone i segni e i sintomi e discutendo il ruolo di emetici e lassativi per il loro trattamento), e alla fisiologia. Questi ultimi temi furono entrambi trattati in seguito anche da Schiller.
Jakob Friedrich von Abel (1751-1829)
Il professore che più influenzò Schiller fu però Jakob Friedrich von Abel insegnante di filosofia e psicologia: fu proprio Abel a destare in Schiller l'interesse sia per la nascente psicologia del tempo, che egli stesso promuoveva, sia per quella che oggi verrebbe chiamata psichiatria forense o, più precisamente, psicopatologia delle menti criminali. Agli studenti di medicina, Abel insegnava filosofia, psicologia e logica per due ore alla settimana, e Schiller assisteva a un numero superiore di sue lezioni rispetto a quanto era richiesto dal piano di studi. Abel era il professore più conosciuto e stimolante: nelle sue discussioni filosofiche preferiva generalmente il metodo induttivo, rimpiazzando in tal modo il ragionamento sistematico con un approccio empirico che spingeva gli studenti a ricercare gli esempi di psicologia umana nella vita e non nei libri di testo.
Tra Abel e Schiller si instaurò un'amicizia che perdurò anche dopo che quest'ultimo lasciò l'Accademia. Fu Abel, che era solito citare passi di poesia, il primo a far conoscere Shakespeare a Schiller. Inoltre fu proprio l'influenza di Abel a stimolare l'interesse di Schiller riguardo alla relazione tra corpo e anima e tra la libertà mentale e spirituale dell'uomo. A questo proposito deve essere stato di particolare importanza il discorso all'assemblea scolastica nel dicembre 1776 tenuto da Abel sul genio, perfettamente collocato all'interno del nascente spirito dello Sturm und Drang.
Poesia e medicina
Ispirazioni di questo genere non erano però all'ordine del giorno. Schiller si dava molto da fare per terminare gli studi in modo tale da potersi poi guadagnare da vivere autonomamente e dedicarsi alla poesia. Pertanto non rimaneva tanto tempo da passare studiando letteratura o scrivendo la bozza dei Die Raüber (I Masnadieri), che si dice avesse iniziato a scrivere di nascosto prima del 1777 ma che aveva abbandonato sotto la pressione degli studi medici. Il suo impegno nello studio della medicina, che non rimpiazzava la passione per la poesia ma anzi ne era una conseguenza, lo portò a vincere nel 1779 i premi per merito rispettivamente per chirurgia, medicina clinica e materia medica. Proprio quell'anno alla cerimonia per la consegna dei premi, alla quale il Duca era solito invitare personalità importanti, era presente Goethe. A quest'ultimo non dovette certo passare inosservato il giovane di 20 anni, alto, pallido e dai capelli rossi, che gli comparve davanti tre volte per ricevere i premi che aveva ottenuto.
Sarebbe tuttavia errato pensare che Schiller dedicasse tutto il suo tempo alla medicina. Il suo interesse per la poesia, per il teatro e per la letteratura contemporanea non era affatto diminuito, anzi egli cercava conforto nello scrivere ogni volta che ne avesse la possibilità. La sua passione era nota anche al Duca e alla Contessa per i quali aveva composto rispettivamente uno spettacolo teatrale dal titolo De Jahrmarkt (La fiera) nel 1777, e alcuni versi di congratulazione nel 1778.
Le difficoltà del 1779
Nel gennaio del 1779 Schiller fu scelto per celebrare con un discorso il compleanno della Contessa. Il Duca gli chiese di rispondere al tema “Può un eccesso di gentilezza, socievolezza e straordinaria generosità propriamente costituire una virtù?”, e fu talmente soddisfatto di ciò che Schiller elaborò che acconsentì a che egli scrivesse la sua dissertazione medica finale.
Schiller sperava che elaborando una tesi meritevole, che venisse accettata con successo, avrebbe potuto lasciare l'Accademia un anno in anticipo. Scelse di trattare un tema filosofico, probabilmente grazie ad Abel, e intitolò la trattazione Filosofia della Fisiologia.
La tesi fu però unanimemente rifiutata dai professori e dal Duca, anche se rimasero tutti impressionati dalla sua originalità immaginativa. Il professore Consbruch non mancò di sottolineare che la dissertazione “rendeva onore alla conoscenza filosofica e psicologica dell'autore”, mentre il Duca affermò che se Schiller avesse continuato ad impegnarsi “sarebbe certamente diventato un uomo di davvero elevata importanza”.
Alla delusione per il rifiuto della tesi si aggiunse poi, nell'estate dello stesso anno, la morte, all'età di 18 anni, del suo amico August von Hoven, fratello del suo caro amico e compagno di studi Wilhelm. August era morto dopo aver sofferto per tutta la primavera di febbri intermittenti. Friedrich e Wilhelm gli facevano visita regolarmente ed entrambi scrissero un resoconto della sua malattia nei loro scritti successivi: Schiller incluse il caso nella sua successiva dissertazione sulle febbri. La reazione poetica di Schiller alla morte dell'amico fu la composizione del lamento funebre Eine Leichenphantasie (Una fantasia funebre).
Nello stesso anno fu chiesto a Schiller di prendersi cura del suo amico J.F. Grammont che, in uno stato di disperazione suicida, gli aveva chiesto un sonnifero per mettere fine alla sua vita. Schiller stabilì subito un profondo livello di rapporto col suo paziente le cui confidenze gli permisero di riflettere sugli effetti della psicoterapia, confidenze che riportò nel Resoconto sulla malinconia di Grammont.
Busto di Schiller a Jena.
Nel 1780 Schiller aveva cominciato il suo quinto e ultimo anno da studente di medicina. Aveva seguito un lungo e rigoroso corso al livello degli standard contemporanei. Tuttavia, prima di poter lasciare l'Accademia doveva presentare una dissertazione medica che fosse accettata dal Duca e dai professori. La ragione per cui Schiller, nel novembre 1780 presentò ben due dissertazioni non è mai stata spiegata in maniera soddisfacente. Non c'è testimonianza che affermi che qualche suo collega abbia fatto lo stesso. Il motivo probabilmente risale alla natura radicalmente diversa delle due dissertazioni.
Una delle due, scritta in tedesco, dal titolo Sulla relazione tra la natura fisica e spirituale dell'uomo, esplorava lucidamente l'appassionante campo della medicina psicosomatica e della filosofia, e Schiller temeva potesse essere rifiutata come il trattato del 1779: anche se il tema del rapporto tra mente e corpo era il suo vero interesse non poteva rischiare un secondo fallimento. Sembra dunque probabile che fu unicamente a titolo cautelativo che scrisse anche Sulla Differenza tra le Febbri Infiammatorie e Putride; questo tema, più pratico e accessibile, era più vicino alla materia con cui il professore Consbruch si era laureato e, come ulteriore precauzione, Schiller decise di presentarlo nella lingua che tradizionalmente era usata per i trattati medici: il latino.
Questa volta il saggio di impronta filosofica fu accettato, mentre fu ironicamente rifiutata la tesi in latino, e insieme a altre undici dissertazioni fu stampato dall'editore Cotta di Stoccarda a spese dell'Accademia, con un'ampia dedica al Duca Karl Eugen. Nonostante il percorso di studi durato cinque anni, l'abilitazione ottenuta da Schiller gli permetteva unicamente di ricoprire il ruolo di ufficiale medico. Schiller infatti concluse gli studi un anno prima che all'Accademia fosse riconosciuto lo statuto universitario e dunque l'autorità di conferire licenze e dottorati in medicina. A causa della scarsa disponibilità di incarichi di medico militare e dello stretto legame di dipendenza che lo aveva legato da sempre al Duca, Schiller si trovò costretto ad accettare l'incarico che, a sua insaputa, quest'ultimo aveva scelto per lui. Si trattava dell'incarico di medico militare di un reggimento di veterani dell'esercito di Württemberg, presso Stoccarda.
L'autonomia che Schiller aveva sperato di ottenere lasciando l'Accademia era però ancora lontana. Ricoprire il ruolo di ufficiale medico implicava la sottomissione alla disciplina militare e il percepimento di un salario di per sé insufficiente, che doveva essere comunque integrato dai risparmi paterni. Per Schiller, era ancor più demoralizzante la consapevolezza di dover sempre indossare l'uniforme e che, nel tempo libero, non gli era permesso di esercitare la sua professione da civile.
Nonostante le difficoltà, Schiller era inizialmente deciso a impegnarsi seriamente nei suoi doveri medici, e la sua ambizione principale era quella di ottenere la licenza di medico civile, con la speranza di diventare poi professore di fisiologia e medicina. Da quando, a dicembre del 1781, l'Accademia ricevette lo statuto di università, considerato il percorso di studi che Schiller vi aveva svolto, per raggiungere l'obiettivo dell'abilitazione a medico civile, sarebbe stato sufficiente che scrivesse una dissertazione da discutere di fronte al Collegium Sanitatis di Stoccarda (di cui faceva parte anche il Duca).
Ogni mattina visitava le caserme, riferiva al suo comandante degli ammalati, si recava all'Ospedale Militare per visitare gli infermi e verificare se vi erano stati ricoveri durante la notte. In caso di difficoltà doveva rivolgersi a un suo superiore, il dottor Johan Friedrich Elwert, ma Schiller spesso ignorava le sue indicazioni, prescrivendo, di sua iniziativa, trattamenti a tutti i suoi pazienti senza consultarlo. Schiller si dovette confrontare con fratture, casi di tubercolosi, bronchite, malattie veneree, diversi tipi di ascessi, ma ciò che colpiva più frequentemente i soldati erano le varie febbri epidemiche. I rimproveri di Elwert nei confronti di Schiller infatti, si riferivano soprattutto all'autonomia con cui quest'ultimo eseguiva trattamenti non convenzionali per curare un'epidemia di diverse tipologie di febbre tifoide, che lui stesso aveva differenziato e per le quali aveva sviluppato un suo audace e indipendente trattamento. Tuttavia, anche se le sue mansioni non erano particolarmente impegnative, presto iniziò a sentirsi limitato e frustrato dalle restrizioni sia mediche che militari che mortificavano le sue iniziative.
La dipendenza economica dal duca lo perseguitò per quasi tutta la vita e lo debilitò moralmente.
La scelta della poesia e l'abbandono della medicina
Il Teatro Nazionale di Mannheim.
Il timido e obbediente studente dell'Accademia stava lasciando il posto a uno Schiller più sicuro di sé. Ad aumentare la sua autostima aveva certamente contribuito la fama che i suoi poemi stavano iniziando ad avere a Stoccarda e che lo confermava nella convinzione di dover pubblicare I Masnadieri, opera che continuava a rivedere e a discutere con il professor Von Abel e i suoi amici. Infatti, dal momento che i suoi doveri di medico militare non richiedevano molto tempo per essere svolti, Schiller disponeva di molto tempo che dedicava a lavori letterari. Col passare del tempo il suo interesse si rivolgeva sempre più alla scrittura, e la sua iniziale propensione verso la medicina, insieme con l'ambizione di diventare professore, diventavano sempre più deboli.
Nel luglio 1781 Schiller, non avendo trovato un editore, decise di pubblicare Die Räuber (I Masnadieri) a sue spese. L'opera era un'espressione potente dei sentimenti di ribellione nei confronti delle convenzioni sociali e dell'autorità. Schiller riscosse subito molto successo, tanto che già a gennaio dell'anno successivo la sua opera fu messa in scena nel teatro di Mannheim. Nello stesso anno scrisse e pubblicò altri lavori e poemi, dai quali, seppur implicitamente, emergeva la condizione di insofferenza nei confronti del Duca. Le pubblicazioni letterarie, mentre lo facevano crescere di notorietà, gli procuravano lo sfavore di Karl Eugen, infastidito dalle critiche che coglieva nelle parole di Schiller, e dal suo atteggiamento impertinente: una volta, ad esempio, aveva lasciato l'Accademia senza permesso per recarsi a una rappresentazione de I Masnadieri.
Il Duca, inizialmente, si limitò a avvertirlo di evitare offese al buon gusto e a suggerirgli di mettere da parte la poesia e il teatro per concentrarsi sulla medicina. Successivamente gli ordinò di scrivere una tesi ai fini di ottenere un dottorato, tesi che Schiller iniziò a scrivere senza però mai finirla. Sempre più infastidito dalla fama che gli scritti di Schiller assumevano il Duca giunse persino a impedirgli di occuparsi di letteratura, intimandogli di riservare i suoi scritti solo all'ambito della medicina: ordinò infatti che venisse arrestato nel caso fosse stato trovato a scrivere di argomenti che non avessero rilevanza medica. Schiller era profondamente scontento di questa situazione, mentre rimpiangeva la stima e l'ammirazione che aveva sperimentato durante il suo viaggio a Mannheim.
Per questo motivo era già da tempo che aveva intrapreso una corrispondenza con il Barone Wolfgang Heribert von Dalberg, con l'aspirazione a diventare poeta di corte al Teatro Nazionale di Mannheim, di cui il Barone era direttore. Quando ricevette l'offerta definitiva Schiller dovette confrontarsi con il fatto che non avrebbe potuto ritirarsi dall'esercito senza il permesso di Karl Eugen. Per quanto già detto, il Duca non era in nessun modo intenzionato a concedere a Schiller di potersi dedicare alla poesia, ma Schiller decise di seguire il suo amore per la letteratura e, il 22 settembre 1782, scappò dal reggimento, e dopo aver disertato la carica militare nell'esercito di Stoccarda, Schiller non riprese mai lo studio o la pratica della medicina.
Ritratto di Charlotte von Lengefeld.
Friedrich Schiller ritratto nel 1794.
Dal 1783 iniziò un periodo di viaggi e Schiller si trasferì prima a Lipsia e Dresda e infine a Weimar. Durante questi viaggi iniziò a pensare al Don Carlos, opera informata di idee dello Sturm und Drang. Tuttavia, mentre nel 1785 era presso i Korner, la tranquillità gli permise di cambiare stile, e iniziare la maturazione al Classico. Intanto scrisse Intrigo e amore e La congiura di Fiesco a Genova. Schiller fu iniziato alla loggia "Zur gekrönten Hoffnung" ("Alla speranza coronata") di Stoccarda nel 1787, all'età di 28 anni, e mantenne la sua affiliazione massonica per il resto della sua vita. Temi poetici come la fratellanza, l'idealismo e l'umanitarismo, possono essere stati influenzati dalla sua esperienza in Massoneria. A conferma della sua affiliazione massonica, il celebre Inno alla gioia, da lui composto, fu poi ripreso all'interno della nona sinfonia del massone Beethoven. Secondo il pronipote di Schiller, Alexander von Gleichen-Rußwurm, Schiller fu introdotto nella loggia Günther zum stehenden Löwen da Wilhelm Heinrich Karl von Gleichen-Rußwurm . Nessun documento di appartenenza è stato trovato.
Due anni più tardi, gli venne affidata, per intercessione del massone Goethe, la cattedra di storia e filosofia di Jena.
Il 22 febbraio 1790, migliorando la sua condizione finanziaria, poté sposare, preferendola alla sorella Caroline, Charlotte von Lengefeld in una piccola chiesa in Weningenjena. Poco dopo il matrimonio scriveva:
«Che vita meravigliosa ora ho [...]. L'esistenza di Charlotte, l'amore di questo dolce essere intorno a me... diffonde una luce morbida sulla mia esistenza»
Dal matrimonio nacquero quattro figli affidati per la loro istruzione al letterato e filologo tedesco Bernhard Rudolph Abeken. Nel 1791 inizia lo studio di Kant e dell'estetica. Nel 1793 scrive la Storia della guerra dei Trent'anni. Legata a questo argomento è la trilogia del Wallenstein (composta da Il Campo di Wallenstein, i Piccolomini, La morte di Wallenstein). Inizia la grande stagione dei capolavori di Schiller: nel 1800 scrive Maria Stuart, nel 1801 La pulzella d'Orléans, nel 1803 La sposa di Messina, nel 1804 il Guglielmo Tell.
Notevoli anche le sue poesie, alcune delle quali (Gli dèi della Grecia [Die Götter Griechenlands, 1788 e 1793], Gli artisti [Die Künstler, 1778-1789], La Passeggiata [Der Spaziergang, 1795]) vengono comunemente considerate "filosofiche". La prolifica attività letteraria di Schiller fu interrotta solo dalla morte, avvenuta nel 1805 a causa della tubercolosi.
Il pensiero filosofico
La filosofia di Schiller ha come punto centrale il senso tragico della libertà che l'uomo deve, tramite il sentimento del sublime, realizzare, opponendosi al destino, con la faticosa ricerca di una realizzazione armonica della sua personalità nella realtà storica.
L'anima bella
llustrazione della Canzone della campana
Schiller, come molti autori romantici, è profondamente influenzato dalla kantiana Critica del giudizio che evidenzia il doppio aspetto dell'uomo per un verso soggetto alla sensibilità del mondo fenomenic o e per un altro assolutamente libero come soggetto morale. Da qui nasce la teoria schilleriana dell'"anima bella" (in tedesco schöne Seele) elaborata nel saggio Grazia e dignità del 1793.
Successivamente in un componimento poetico del 1795, L'ideale e la vita, Schiller affronta liricamente questa stessa contrapposizione nell'uomo tra il suo aspetto ideale, come aspirazione alla piena attuazione dei valori morali e la soggezione al mondo sensibile che Kant pretende che debba essere messa da parte per l'attuazione del dovere morale. Nella concezione dell'anima bella Schiller è convinto che i due aspetti contrapposti di libera razionalità e sensibilità possano conciliarsi tramite la percezione della bellezza in un comportamento spontaneo e naturale:
«Si dice anima bella, quando il sentimento morale è riuscito ad assicurarsi tutti i moti interiori dell'uomo, al punto da poter lasciare senza timore all'affetto la guida della volontà e da non correre mai il pericolo di essere in contraddizione con le decisioni di esso. L'anima bella ci fa entrare nel mondo delle idee senza abbandonare il mondo sensibile come avviene nella conoscenza della verità…per mezzo della bellezza …l'uomo spirituale è restituito al mondo dei sensi.»
L'anima bella dunque può, spontaneamente e senza fatica, armonizzare sensibilità e dovere morale tramite quella dote naturale che Schiller chiama "grazia" che talvolta può però mancare e allora l'anima bella potrà ricorrere a quel sublime kantiano che col sentimento del bello armonizzerà sensibilità e ragione ottenendo la sostituzione della grazia con la "dignità".
«Nella dignità… Lo spirito si comporta da padrone del corpo, perché qui esso deve affermare la sua autonomia contro l'imperioso istinto, che procede ad azioni senza di lui e vorrebbe sottrarsi al suo giogo. Nella grazia invece governa con liberalità, perché qui è lui che mette in azione la natura e non trova alcuna resistenza da vincere… La grazia sta dunque nella libertà dei moti volontari; la dignità nel dominio di quelli involontari. La grazia lascia una parvenza di spontaneità alla natura, là dove questa adempie gli ordini dello spirito; la dignità invece la sottomette allo spirito, là dove essa vorrebbe regnare. Nella dignità… ci è presentato un esempio della subordinazione dell'elemento sensibile a quello morale… Nella grazia, invece la ragione vede la propria esigenza soddisfatta nella sensibilità. […] Avendo dignità e grazia campi diversi per la loro manifestazione, non si escludono vicendevolmente nella medesima persona; …anzi soltanto dalla grazia la dignità riceve la sua convalidazione, e soltanto dalla dignità la grazia riceve il suo valore.»
La teoria dell'anima bella nel clima romantico dell'Ottocento si carica di toni misticheggianti fortemente criticati da Goethe e da Hegel che evidenzia l'atteggiamento autocelebrativo e vuotamente contemplativo dell'anima bella contrapposta ai valori dell'agire concreto nella società.
Il gioco
Bisognerà quindi educare l'uomo al sentimento della bellezza facendo rivivere in lui l'antico ideale pedagogico greco della kalokagatia, del bello e del buono. Una pedagogia estetica che renda completo l'uomo come armonica sintesi di sensibile e sovrasensibile basata sul "libero gioco" delle facoltà umane. Il gioco è un'attività ineliminabile nella natura umana che non persegue alcun fine esterno a se stessa, né esso è ispirato da un preciso scopo razionale, ma è un atto dove sensibilità e razionalità convivono nell'azione ludica rendendo l'uomo libero. In questa armonia di forma e materia si realizza la bellezza e l'essenza umana per cui «l'uomo è completamente uomo solo quando gioca». Per recuperare il senso dell'armonia perduta, provocata dalla moderna civiltà basata sulla divisione del lavoro, Schiller attribuisce inoltre al teatro l'educazione di una nuova umanità.
C'è poi l'aspetto ludico dell'arte, dove il gioco estetico, che può apparire gratuito, ha nella disposizione al fare la vera componente essenziale, indipendentemente dal risultato. Scrive Schiller: «L'animale lavora se il movente della sua attività è la mancanza di qualche cosa; e gioca se invece lo muove la pienezza della sua forza, se a stimolare la sua attività è un'esuberanza di vita».
Ingenuità e sentimento
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Nell'opera Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795-1796) Schiller riprende il tema del rapporto tra sensibilità e ragione che appaiono sinteticamente uniti nell'ingenuità e spontaneità artistica mentre nel sentimento prevale il momento della riflessione razionale sull'emotività. Questi due aspetti della creazione artistica e della struttura spirituale umana Schiller li ritrova anche nella storia dell'arte. L'aspetto ingenuo infatti si rintraccia nell'arte antica, mentre nella poesia moderna prevale quello sentimentale tipico del progresso culturale. Lo sviluppo della creazione artistica mostra come la sintesi della sensibilità e della ragione non si realizzerà mai in maniera definitiva ma anche che essa è irrinunciabile per l'umanità che vuole progredire.
Opere
Scritti medici e psicologici
Anche se poco conosciuti, possiamo leggere alcuni degli scritti che Schiller elaborò durante i suoi studi medici. Si tratta sia di brevi resoconti su alcune esperienze da tirocinante, sia delle dissertazioni che scrisse a conclusione dei suoi studi.
- Resoconto sull'autopsia, ottobre 1778
La facoltà di medicina dell'Accademia prevedeva per gli studenti, come tirocinio di patologia, la possibilità di assistere, e a volte effettuare, autopsie. A questo proposito esiste un resoconto redatto da Schiller, durante il suo secondo anno da studente di medicina, di una necropsia effettuata sullo studente Hiller. Dal momento che agli studenti di medicina erano assegnati dei pazienti da supervisionare durante i giri nei reparti, è probabile che Hiller fosse un suo paziente, il che giustificherebbe la sua presenza durante l'autopsia.
Dal Resoconto sull'autopsia viene fortemente suggerito che il deceduto fosse stato affetto da tubercolosi miliare; non era infatti ancora stata scoperta la natura infettiva di tale malattia e pertanto i pazienti non venivano isolati: gli era concesso di stare insieme alle altre persone e, se stavano abbastanza bene, di andare a teatro.
- Filosofia della fisiologia, 1779
Filosofia della fisiologia è la prima dissertazione elaborata da Schiller e rifiutata dall'Accademia, della quale è pervenuto a noi solo un frammento. Il manoscritto di tale frammento è stato ritrovato tra i documenti di un amico di Schiller, Franz Conz. In questa prima dissertazione Schiller affrontava due problemi principali, innanzitutto la relazione tra la natura corporea dell'uomo e la sua anima, in secondo luogo il problema della natura della percezione. La sua intera discussione si fonda sulla supposizione che all'uomo è affidato da Dio un compito, quello di riconoscere e apprezzare il grande disegno dell'Universo.
Dall'indice dei contenuti riportato nel frammento si comprende che il testo di cui disponiamo costituiva solo una parte del primo capitolo che affrontava il tema della Vita Mentale.
- Resoconto sulla malinconia di Grammont, 1780
Annotazioni dei diversi stati di salute e sintomi riportati dall'amico Grammont durante un periodo di grande depressione nel tentativo di individuare una relazione tra gli stati mentali e gli stati fisici del paziente. Si tratta di uno studio che Schiller fa sulle potenzialità della psicoterapia, da lui considerata una logica alternativa ai trattamenti somatici.
- Sulla differenza tra le febbri infiammatorie e putride, 1780
Sulla differenza tra le febbri infiammatorie e putride è il primo dei due saggi che Schiller scrisse nel 1780 al fine di poter lasciare l'Accademia. Scritto in latino, tratta in modo abbastanza convenzionale di un tema piuttosto comune per una tesi del diciottesimo secolo. Bisogna tuttavia sottolineare che mentre Schiller preparava questa dissertazione circa i due terzi di pazienti dell'ospedale dell'Accademia soffrivano di differenti tipologie di febbri, le cui diagnosi risultavano molto difficili. Infatti i termometri non erano ancora utilizzati in ambito clinico e la temperatura si misurava registrando i battiti dal polso, esaminando il colore delle urine e le sensazioni dei pazienti.
- Sulla relazione tra la natura fisica e spirituale dell'uomo, 1780
Si tratta del secondo saggio scritto nel 1780, che si presenta come una continuazione della riflessione sul rapporto anima-corpo già affrontato nella dissertazione sulla Filosofia della fisiologia.
Opere drammatiche
- I masnadieri (Die Räuber), 1781
- La congiura di Fiesco a Genova (Die Verschwörung des Fiesco zu Genua), 1783
- Intrigo e amore (Kabale und Liebe. Ein bürgerliches Trauerspiel), 1784
- Der Verbrecher aus Infamie, novella scritta nel 1786 in collaborazione con Jakob Friedrich von Abel, pubblicata da Schiller nel 1792 col titolo Der Verbrecher aus verlorener Ehre
- Don Carlos (Don Karlos, Infant von Spanien), 1787
- Wallenstein, 1799. Trilogia composta da:
- Il campo di Wallenstein (Wallensteins Lager), 1796
- I Piccolomini (Die Piccolomini), 1798
- La morte di Wallenstein (Wallensteins Tod), 1799
- Maria Stuarda, 1800
- La Pulzella d'Orléans (Die Jungfrau von Orléans), 1801
- La sposa di Messina (Die Braut von Messina), 1803
- Guglielmo Tell (Wilhelm Tell, 1804)
- Demetrius, opera incompiuta, 1805
Opere in prosa
- Il delinquente per infamia (Der Verbrecher aus verlorener Ehre – eine wahre Geschichte; successivamente Verbrechen aus Infamie), 1786
- Il visionario (Der Geisterseher), frammento pubblicato sulla rivista Thalia, 1789
Poesia
Illustrazione della
Canzone della campana.
- Inno alla gioia o Ode alla gioia (An die Freude), pubblicato sulla rivista Thalia nel 1786 (musicato da Beethoven nel 1824)
- Gli dei della Grecia (Die Götter Griechenlands), 1788
- Gli artisti (Die Künstler), 1789
- Die Xenien (epigrammi scritti con Goethe), 1796
- Il tuffatore (Der Taucher), 1797
- Le gru di Ibico (Die Kraniche des Ibycus), 1798
- Canzone della campana (Das Lied von der Glocke), 1799
Scritti filosofici
- Della Grazia e Dignità (Über Anmut und Würde), trattato estetico, 1793
- Kallias, o della bellezza (Kallias-Briefe), 1793
- Lettere sull'educazione estetica dell'uomo (Briefe über die ästhetische Erziehung des Menschen), trattato politico-culturale, 1795
- Sulla poesia ingenua e sentimentale (Über naive und sentimentalische Dichtung) trattato di estetica, 1800
- Del sublime (Über das Erhabene), trattato di estetica, 1801
Opere storiche
- Storia dell'insurrezione dei Paesi Bassi (Geschichte des Abfalls der Vereinigten Niederlande von der spanischen Regierung), 1788
- Che cosa significa la storia universale e per quale scopo la si studia? (Was heißt und zu welchem Ende studiert man Universalgeschichte?), discorso inaugurale all'Università di Jena), 1789
- Storia della Guerra dei Trent'anni (Geschichte des Dreißigjährigen Krieges), 1790
Traduzioni e adattamenti
- Macbeth di Shakespeare, 1800.
- Il Parassita (Der Parasit, oder die Kunst, sein Glück zu machen), commedia di Louis-Benoît Picard, 1803
- Turandot di Carlo Gozzi, 1806, rappresentata a Weimar con la regia scenica di Johann Wolfgang von Goethe
- Lezioni di filosofia della storia, a cura di Lorenzo Calabi, Pisa ETS 2012
I MASNADIERI
I masnadieri è un dramma in cinque atti; con questo dramma teatrale l'autore esordisce nel panorama teatrale dell'epoca.
Rappresentata nel 1782 a Mannheim, fu un successo clamoroso: si racconta che durante la rappresentazione alcune signore siano svenute dall'emozione e che gli spettatori si siano abbracciati perché coinvolti emotivamente dall'azione.
Trama
L'azione si svolge in Germania, tra il castello di Franconia e la Selva Boema, e dura circa due anni.
Le prime scene sono quelle che presentano i personaggi: al castello il vecchio Moor, Karl, il fratello malvagio Franz e l'amata Amalia (si potrebbe dire da entrambi i fratelli, ma Franz vuole solo servirsene).
Si può supporre che la contea dei Moor non sia molto grande visto che non ci sono ministri o cortigiani ma solamente pochi servi. Franz rivela subito le sue mire malefiche: è intenzionato infatti a diventare signore a ogni costo, prendendosi con la forza i diritti che la natura (e non Dio, non è credente, solo in punto di morte si ricrederà), essendo egli secondogenito, gli ha negato («Perché non sono sgattaiolato per primo fuori dal ventre di mia madre?» «Come se per foggiar me non avesse disposto di più che d'un avanzo»). Fa credere perciò a suo padre, scrivendo delle finte lettere, che Karl abbia disonorato il nome di famiglia; il vecchio Moor si lascia convincere che sia meglio non perdonare Karl, ma lasciare che sia lui a tornare a casa. Franz scrive invece al fratello che il perdono non potrà mai averlo.
La seconda scena ci presenta la combriccola di giovani dalle idee rivoluzionarie che decidono di diventare masnadieri. Nonostante quest'idea venga da Spiegelberg, tutti approvano come capo Karl Moor. Spiegelberg dimostrerà comunque di non avere la stoffa dell'eroe di fronte all'azione e serberà rancore contro Karl, per questo verrà ucciso (da Schweizer).
Al castello proseguono i piani di Franz: egli non riesce a sedurre Amalia, ma riesce invece a convincere un servo (Hermann) a presentarsi al vecchio Moor travestito, e a portare notizia della finta morte di Karl. Sembra che il dolore per la perdita del figlio tolga definitivamente le ultime forze al vecchio Moor e Amalia lo vede spirare. Il servo però rivela ad Amalia che sia Karl che il vecchio Moor (suo zio) sono ancora vivi. Franz ha infatti fatto rinchiudere suo padre nella torre con l'intenzione di lasciarvelo a morire.
Nella Selva Boema intanto i masnadieri gioiscono per essere riusciti a salvare Roller dal patibolo (come diversivo fanno saltare in aria la polveriera della città, facendo numerose vittime; Schufterle viene cacciato da Karl perché non si accorge che Roller è stato salvato a caro prezzo). Nel frattempo Karl è riuscito a far accerchiare i soldati per provare il valore dei compagni. I soldati mandano avanti per le trattative un frate che non risolve però nulla. Combattono e i masnadieri vincono. Alla banda si aggiunge Kosinsky, un giovane sventurato con vicende simili a quelle di Karl: anche lui è nobile, ma non può governare il suo feudo, anche la sua amata si chiama Amalia e gli è stata portata via.
Con l'aiuto di Kosinsky, Karl entra al castello sotto falsa identità e scopre che Amalia l'ama ancora, ma anche che suo padre è morto. Franz riconosce però i tratti del fratello e costringe un servo (Daniel) ad avvelenarlo; anche questi però ha riconosciuto Karl e invece di avvelenarlo passa dalla sua parte.
Frattanto Schweizer ha ucciso Spiegelberg perché tramava contro Karl. Questi tormentato e senza speranza è sul punto di uccidersi, ma non lo fa perché non vuole che la sfortuna prenda il sopravvento su di lui. A questo punto avviene uno dei grandi colpi di scena: Karl scopre che suo padre non è morto, ma è stato rinchiuso dal fratello in una torre ed è vivo solo perché un servo ha avuto pietà di lui portandogli dei pasti. Karl vuole la vendetta e manda i suoi compagni a prendere vivo il fratello.
Da parte sua, Franz sente che la sua fine è vicina e dopo un incubo sul giudizio finale, manda a chiamare il pastore. Questi è certo che sul punto di morte anche lui invocherà la grazia di Dio ma Franz non vuole assolutamente dargli ragione. A sconvolgerlo maggiormente è però sapere di avere commesso due gravi peccati, il fratricidio e il parricidio: è talmente terrorizzato che caccia il prete. Intanto i masnadieri danno fuoco al castello e Franz in preda al panico si inginocchia e prega; infine sul punto di essere catturato si strozza con la corda del cappello. Schweizer a sua volta si uccide perché non riesce a portare Franz vivo al suo capitano. Grazie al suicidio di Franz, Karl non si macchia di sangue fraterno.
Fuori dal castello intanto Karl parla col padre ottenendo una semi-benedizione (il vecchio Moor non sa che quello è suo figlio, non lo benedice completamente perché vuole uccidere Franz “E tu, che hai salvato il padre, vorresti distruggere il figlio?…Sii felice quanto sarai misericordioso!”).
Si perviene pertanto al dramma finale: giunta Amalia, il vecchio Moor scopre che quello è il suo Karl ma che è anche il capo dei masnadieri e non sopravvive al colpo. Karl in un primo momento sembra rifiutare l'amore di Amalia perché crede di averla resa infelice. Quando i due si sono chiariti e ritrovati però, intervengono i masnadieri che, richiamandosi al giuramento di fedeltà del loro capitano, costringono gli amanti a separarsi. Amalia, che non riuscirebbe a sopportare di essere nuovamente abbandonata, chiede di essere uccisa. Karl si rifiuta ma è costretto a trafiggerla quando vede che comunque l'avrebbe fatto un altro masnadiero.
Compiuto questo gesto le forze di Karl cedono e, come se gli cadessero le bende dagli occhi, vede improvvisamente la realtà: non si può “sognare di liberare il mondo, commettendo atrocità” poiché questo “scardinerebbe dalle basi tutto l'edificio del vivere civile”. Ciò che gli viene in mente per riscattarsi agli occhi di Dio, cui solo spetta la vendetta, è mettersi nelle sue mani vivo: si consegna quindi a un bracciante con molti figli che potrà riscuotere la sua taglia. Karl compie questo atto per separarsi dai suoi compagni.
Poetica
Il sentimento rivoluzionario delle opere giovanili, nelle prime tragedie diventa vera e propria polemica contro le istituzioni politiche e sociali. Schiller ci offre sinceramente la sua anima come non riuscirà più a fare nelle opere posteriori. Il dramma non è una rappresentazione esatta della sua Germania (le figure al di fuori della ribellione sono spesso poco vive se non false), ma analizza in modo accurato il sentimento rivoluzionario. Le figure libertarie sono infatti piene di passione poiché i masnadieri sono lo sfogo di un'anima grande per troppo tempo compressa in una società bassa.
La storia dei personaggi principali è ricalcata sul racconto di Schubart Il fannullone virtuoso, che ispirò l'omonimo dramma di Lenz. Per quanto riguarda le tematiche presenti nell'intreccio, il motivo dei fratelli nemici è lo stesso del parricidio; la maledizione paterna è invece la massima sventura che possa colpire l'eroe schilleriano.
Schiller finge di voler dimostrare che la ribellione alla società costituita è dannosa non solo di per sé, ma lo è anche perché mina l'entità etica della famiglia. Va chiarito però che Karl si sarebbe ribellato anche se il fratello non avesse tramato contro di lui. La sua rivolta rappresenta un tentativo di liberare la vitalità che gli ordini politici e sociali della sua epoca sopprimono. Egli si vende a modo suo al demonio, rappresentato da Spiegelberg, e non a caso all'inizio della tragedia Karl ci viene presentato solo in sua compagnia. Il nome stesso Spiegelberg fa pensare allo Spiegel ("specchio" in tedesco) in cui Karl può riconoscere la sua parte malvagia. Egli quindi non solo ha il fratello come nemico, ma si trova anche ad affrontare inconsapevolmente questa figura maligna. Fortunatamente c'è anche il riflesso buono e cioè Kosinsky, dalla storia molto simile a quella di Karl. Nelle future opere di Schiller la psicologia narrativa sarà più rettilinea, mentre ne I masnadieri il protagonista è non solo sé stesso ma anche il peggiore e il migliore dei compagni che lo circondano. La figura di Karl oscilla tra il bene ed il male. Una situazione in cui è rappresentata questa oscillazione potrebbe essere quella nella foresta dopo la battaglia: Karl rievoca le gioie e l'innocenza di quand'era bambino; compiuto il passo decisivo verso il male si rende conto che è troppo tardi per tornare indietro. Va osservato che la crisi religiosa finale di Franz (e in misura minore anche di Karl) sembrano concessioni fatte alla censura e al gusto del pubblico. Il fatto che Karl alla fine trovi la via giusta, ovvero quella verso il popolo (consegnandosi alla giustizia) non basta per poter affermare che egli si redime anche socialmente.
Per quanto riguarda il rapporto tra i due fratelli, nella prima redazione questi non si incontravano mai ed era anche naturale visto che rappresentano due aspetti complementari dell'anima schilleriana (è quindi anche naturale che amino la stessa donna).
Nella scena in cui Karl si presenta ad Amalia travestito da conte Brand, questa si ritrova inconsapevolmente a confrontare l'anima buona e quella malvagia del suo amato. Questo confronto è genialmente rappresentato dal fatto che Amalia si ritrova con Karl malvagio di fronte, da cui comunque si sente attratta, e con il ritratto del suo Karl in mano. Alla fine riconoscerà la duplicità di Karl: «Mörder! Teufel! Ich kann dich nicht lassen, Engel!» ("Assassino! Diavolo! Non posso lasciarti, angelo mio!").
LA CONGIURA DI FIESCO A GENOVA
La congiura di Fiesco a Genova (o anche solo Fiesco) è una tragedia in prosa in cinque atti, rappresentata per la prima volta a Bonn nel 1783.
Il Fiesco è la seconda tragedia che Schiller portò a termine dopo I Masnadieri, composta nel 1781 e rappresentata a Mannheim il 13 gennaio 1782. Come I Masnadieri, il Fiesco fu scritto nel periodo in cui Schiller aderiva allo Sturm und Drang: entrambi i drammi sono a sfondo storico e dedicati allo scontro di eroi plutarchiani combattuti fra la potenza e la libertà.
Il duca Carlo II Eugenio del Württemberg, nel cui esercito Schiller prestava servizio come medico militare, irritato perché l'autore aveva esercitato senza permesso l'attività di drammaturgo, nel maggio 1782 fece condannare Schiller a due settimane di prigione e al divieto di scrivere in futuro di null'altro se non di medicina. Schiller rispose a questo divieto iniziando la composizione di altri drammi. Nel settembre 1782 Schiller fuggì dal Ducato del Württemberg a Mannheim, nel Palatinato, dove portò una prima redazione del Fiesco che consegnò al barone von Dalberg, intendente del teatro di corte, il quale tuttavia non la ritenne adatta alle scene. Schiller fece una seconda versione del dramma, ma non ebbe ancora il favore dell'intendente. Non potendo rappresentare il dramma, Schiller lo vendette all'editore Schwan di Mannheim che lo pubblicò nell'aprile 1783. La prima messa in scena di questa redazione ebbe luogo a Bonn il 20 luglio 1783. Una terza versione fu fatta per la messa in scena a Mannheim, dopo che Schiller era stato assunto come Teatherdichter a Mannheim; ma, forse anche per le modifiche pretese dal Dalberg, fra cui un nuovo finale in cui Fieschi non viene ucciso ma rinuncia al potere di sua volontà, dopo la prima dell'11 gennaio 1784 il dramma fu tolto dal cartellone dopo due sole repliche.
Fondamento storico
La tragedia prende spunto da un fatto storico accaduto a Genova nel 1547 e conosciuto da Schiller attraverso La congiura del conte Gian Luigi Fieschi, opera giovanile del cardinale de Retz, e dal terzo volume della History of the reign of the Emperor Charles V dello storico scozzese William Robertson.
Nel 1547 si ebbe a Genova una cospirazione contro il doge Andrea Doria a cui prese parte Gian Luigi Fieschi "il Giovane", conte di Lavagna, della nobile famiglia dei Fieschi, capo del partito filofrancese. Il tentativo fu ammantato di slogan repubblicani (scopo dichiarato della congiura era ripristinare le libertà della Repubblica di Genova) per conquistare il patriziato borghese. Inizialmente le sorti dell'insurrezione sembrarono favorevoli ai seguaci del Fieschi: la notte precedente il 3 gennaio 1547 i congiurati riuscirono a impossessarsi delle porte cittadine e della darsena, e a uccidere Giannettino Doria, nipote ed erede designato del doge. Ma improvvisamente, mentre cercava di impossessarsi di una galea dei Doria, nell'attraversare una passerella, Gian Luigi perse l'equilibrio, scivolò in mare e annegò. I seguaci dei Fieschi si diedero alla fuga e la congiura fallì.
Trama
Schiller rispetta rigorosamente l'unità di luogo e di tempo: l'azione si svolge infatti nel palazzo del conte Fiesco a Genova e non si protrae per più di tre giorni, precisamente dalla mezzanotte del 31 dicembre 1546 alla notte fra il 2 e il 3 gennaio 1547. Nella Prefazione Schiller cita le due opere storiche da cui ha tratto la storia, vale a dire i testi del cardinale de Retz e di Robertson, ma rivendica anche la libertà del drammaturgo di modificare la storia per renderla funzionale alla rappresentazione teatrale.
Il tiranno di Genova non è Andrea Doria, ma suo nipote Giannettino. Per Schiller il grande ammiraglio Andrea Doria aveva reso più forte e prospera la repubblica di Genova e, sebbene avesse poi trasformato il dogato in signoria, aveva conservato le libertà repubblicane della città. Il suo successore, il nipote Giannettino Doria, è invece un despota violento e volgare il cui regime provoca presto a Genova una congiura contro i Doria ordita da Verrina, ardente repubblicano, la cui figlia Berta era stata violentata da Giannettino. Anche per Schiller, come per il cardinale de Retz, Fiesco, conte di Lavagna, è apparentemente uno dei tanti eroi plutarchiani che in nome della patria e della libertà si ribellano all'oppressione e viene perciò facilmente convinto da Verrina a unirsi alla congiura. La congiura è coronata da successo: i Doria sono rovesciati, Giannettino viene ucciso e i repubblicani si illudono di aver riconquistato la libertà. Tuttavia, anche Fiesco, che si fa proclamare doge, aspira alla signoria: la sua smisurata ambizione è sorda perfino all'amore della moglie Leonora e alle proteste dell'onesto Verrina, il quale si rende conto che Fiesco non è un novello Bruto, un vendicatore delle libertà repubblicane, ma un novello Cesare, un aspirante tiranno, e come tale dovrà essere fermato: non a colpi di pugnale, ma gettato in mare con uno spintone. Il vero Bruto, l'austero repubblicano Verrina, si rivolgerà al vecchio Andrea Doria chiedendogli di reggere nuovamente la città e garantirle la pace.
Critica
Il Fiesco è generalmente giudicato uno dei drammi minori di Schiller. È accusato di teatralità, pathos e retorica, e del resto Schiller, giunto alla maturità, fu il primo a sconfessare le sue opere drammatiche giovanili. Un giudizio molto positivo fu invece espresso da Hölderlin, che ne lodò "i caratteri così grandi eppur così veri e le situazioni scintillanti ", nonché i "giochi magici e colorati con la lingua". Per Ottone Lennovari, confrontata con quella de I Masnadieri, la lingua del Fiesco «è più pura, meno oratoria, ma ha un campo più limitato: non sempre si salva dal pericolo di cadere nella "storia sceneggiata". Sulla scena si salva perché ha due o tre prime parti per grandi attori». Storicamente, la prima versione in lingua italiana del Fiesco, fatta dall'«ottimo Pompeo Ferrario», ebbe importanza nella storia del linguaggio teatrale italiano, «per un linguaggio di cose più che di modi, per un lessico essenziale ma diretto e pregnante, senza qualificazioni ridondanti, che sono invece peculiarità della lingua, poetica e non, italiana». «[...] nella veste italiana di Ferrario i dialoghi schilleriani sono quelli della conversazione, in cui serio e comico possono persino mescolarsi, mantengono i caratteri della naturalezza e dell’immediatezza, dovuti anche, come in questo caso, ad un andamento per così dire sussultorio che traduce l’ansia della protagonista e insieme l’improvvisazione delle risposte delle due interlocutrici socialmente inferiori; tutte caratteristiche quali non erano del teatro italiano del primo Ottocento.». Siamo ben lontani dai pur tragici Saul o Filippo II alfieriani. Il Fiesco schilleriano vive solo sulle tavole del palcoscenico, coinvolge gli spettatori perché alle singole frasi corrispondono movimenti sulla scena o espressioni che materializzano quelle stesse espressioni (e già pensiamo al Simon Boccanegra di Verdi che proprio da quella tragedia si fece influenzare per la revisione del 1881 della propria opera).
INNO ALLA GIOIA
La poesia nella prima versione era composta da 9 strofe di otto versi ciascuna, poi ridotte a 8 nella seconda versione. Ogni strofa è seguita da un ritornello di 4 versi, che si caratterizza come «coro».
Prima strofa (1ª versione)
«Gioia, bella scintilla divina,
figlia dell'Eliseo,
noi entriamo ebbri e frementi,
o celeste, nel tuo tempio.
Il tuo incanto rende unito
ciò che la moda rigidamente separò,
i mendichi diventano fratelli dei principi
dove la tua ala soave freme.
CORO
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.»
(Prima strofa della prima edizione dell'Ode alla Gioia)
LA CANZONE DELLA CAMPANA
Mille braccia s'ajutano da questo
Legame al bene social rivolte.
E nell'opra che ferve è manifesto
Il valor delle forze insieme accolte.
Tute fuor che del buono e dell'onesto
Le antiche differenze ora son tolte;
tal che sotto una legge e una fede
artefice e alunno oprar si vede.
Or pago è ciascheduno del proprio stato,
non s'umilia per beffa e non si offende;
del lavor si fa bello ed onorato;
e condegna mercè dal Cielo attende.
La pompa dignitosa all'uom scettrato
Dall'eminente suo grado discende;
ma vien dalla fatica e dal sudore
della fronte e del braccio a noi l'onore.
llustrazione della Canzone della campana
Eugenio Caruso - 22 maggio 2024
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