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John Maynard Keynes, il più influente economista del XX secolo

«Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso, non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi.» (John Maynard Keynes, Autosufficienza nazionale, 1933)


GRANDI PERSONAGGI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.

I BRITANNICI

Beckett - Blake - Byron - Chaucer - Coleridge - Darwin - Dickens - Donne - Dryden - Eliot - Golding - Keats - Keynes - Kipling - Locke - Marlowe - Milton - Newton - Pinter - Pope - Russell - Scott - Shakespeare - Shaw - Shelley - Spenser - Wyatt - Wilde - Wordsworth - Yeats -

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John Maynard Keynes nel 1933

John Maynard Keynes, 1º barone Keynes di Tilton (Cambridge, 5 giugno 1883 – Tilton, 21 aprile 1946), è stato un grande economista, padre della macroeconomia e considerato il più influente tra gli economisti del ventesimo secolo. Le sue idee furono sviluppate e formalizzate nel primo dopoguerra dagli economisti della scuola keynesiana; quest'ultima si contrappose all'idea di ordine spontaneo della scuola austriaca e al monetarismo della scuola di Chicago. I suoi contributi alla teoria economica, espressi nel saggioTeoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, hanno dato origine infatti alla cosiddetta "rivoluzione keynesiana" che, in contrasto con la teoria economica neoclassica, ha sostenuto la necessità dell'intervento pubblico statale nell'economia con misure di politica di bilancio e monetaria, qualora un'insufficiente domanda aggregata (In macroeconomia la domanda aggregata rappresenta la domanda di beni e servizi formulata da un sistema economico nel suo complesso, in un certo periodo temporale; come tale essa rappresenta la potenzialità di sfruttamento della capacità produttiva globale di un certo sistema economico) non riesca a garantire la piena occupazione nel sistema capitalista, in particolare nella fase di crisi del ciclo economico, promuovendo dunque una forma di economia mista. Keynes fu iscritto al partito liberale del Regno Unito, ma si domandava se lui stesso fosse liberale. Fautore della terza via, le sue posizioni furono quelle dell'intervento in economia, del socialismo liberale e della socialdemocrazia.

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Alfred Marshall: finanziò il lettorato di Keynes a Cambridge

Figlio dell'economista di Cambridge John Neville Keynes e della scrittrice attivista per i diritti civili Florence Ada Brown, John Maynard Keynes (chiamato semplicemente Maynard dai familiari, per non confonderlo con il padre, chiamato da tutti John) frequenta l'elitaria scuola di Eton, distinguendosi in ogni ambito dei suoi inusitatamente vasti interessi. Viene in seguito ammesso al King's College, presso l'Università di Cambridge, al corso di matematica; il suo interesse per la politica lo conduce però presto a passare al campo dell'economia che studia, sempre a Cambridge, sotto la guida di Alfred Marshall e Arthur Cecil Pigou.

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Arthur Cecil Pigou, esponente della "economia del benessere", professore universitario di Keynes

In cerca di una fonte di reddito, Keynes pospone la scrittura della tesi a Cambridge e partecipa al concorso per l'ammissione al civil service, qualificandosi secondo. Paradossalmente, consegue la votazione peggiore nella sezione dell'esame dedicata all'economia; commenterà in seguito questo risultato affermando che "gli esaminatori presumibilmente ne sapevano meno di me". Keynes accetta dunque un posto presso l'India Office, i cui impegni sono di entità tanto modesta che – affermò più tardi – il suo tempo si divide tra la lettura dei giornali e la corrispondenza privata.
Nello stesso periodo lavora alla stesura della tesi per l'università. Questa non sarà accettata, con la conseguenza che la fellowship vitalizia per Cambridge che normalmente ne deriverebbe non gli è assicurata. Accetta comunque un posto di lettore, finanziato personalmente in parte da Alfred Marshall e in parte da suo padre John Neville Keynes. Da tale posizione comincia a costruire la propria reputazione di economista.
Dal 1912 è direttore dell'Economic Journal, la principale rivista accademica economica dell'epoca. Secondo una serie di aneddoti riportati da Gans e Shepherd (1994), diversi economisti che avrebbero in seguito acquisito una considerevole fama si vedono rifiutare la pubblicazione, apparentemente a causa di una valutazione troppo frettolosa dei loro contributi da parte di Keynes.
È presto assegnato alla Royal Commission on Indian Currency and Finance, una posizione che gli consente di mostrare il suo considerevole talento nell'applicare la teoria economica a problemi di ordine pratico. La sua provata abilità in tal senso, con particolare riferimento alle questioni riguardanti le valute e il credito, gli consente di diventare, alla vigilia della prima guerra mondiale, consigliere del Cancelliere dello Scacchiere e del Ministero del Tesoro per le questioni economiche e finanziarie. Tra le sue responsabilità rientra la definizione dei rapporti di credito tra la Gran Bretagna e i suoi alleati continentali durante la guerra, nonché l'acquisizione di valute rare. Il "polso e la maestria [di Keynes] divennero leggendari", nelle parole di Robert Lekachman; ad esempio in una circostanza Keynes riesce, con difficoltà, a mettere insieme un quantitativo di pesetas spagnole e a venderle tutte, con un effetto dirompente sul mercato: funziona, e le pesetas diventano meno scarse e costose. Questi successi gli fruttano un incarico che avrà un enorme impatto sullo sviluppo della sua vita e della sua carriera, quello di rappresentante economico del Tesoro alla Conferenza di pace di Versailles del 1919. Egli si dimise dall'incarico diplomatico per protesta contro il trattato, che riteneva troppo punitivo verso la Germania e portatore di future guerre (come accadrà):

«Questa è la politica di un vecchio, le cui più vivide impressioni e la cui fervida immaginazione sono del passato e non del futuro. Egli vede solo la Francia e la Germania, e non l'umanità e civiltà europea affaticantisi verso un nuovo ordine di cose. La guerra ha morso nella sua coscienza diversamente che non nella nostra, ed egli non si attende né spera che ci si trovi sulla soglia di una nuova epoca. [...] L'orologio non può essere rimesso indietro. Noi non possiamo rimettere l'Europa centrale nelle condizioni in cui era al 1870 senza provocare tale tensione nella sua struttura e senza aprire la via a tali forme umane e spirituali che, premendo oltre le frontiere e le distinzioni di razza, sopraffarebbero irresistibilmente non solo noi e le nostre garanzie, ma le nostre istituzioni e l'ordine attuale della nostra Società.» (Keynes su Georges Clemenceau)
È in seguito a tale esperienza che pubblica Le conseguenze economiche della pace (The Economic Consequences of the Peace, 1919), nonché Per una revisione del Trattato (A Revision of the Treaty, 1922), in cui sostiene che le pesanti riparazioni imposte alla Germania dai paesi vincitori avrebbero portato alla rovina l'economia tedesca a causa degli squilibri da esse determinati. Questa previsione viene confermata durante la repubblica di Weimar: solo una piccola parte delle riparazioni viene pagata ai vincitori: il sostegno finanziario degli Stati Uniti, con i "piani" Dawes e Young permetteranno alla Germania, almeno fino al 1931, di rispettare gli obblighi imposti a Versailles, sviluppando una potenza industriale di tutto rispetto. Inoltre, l'iperinflazione del 1923 causò un forte scontento ma furono soltanto la deflazione del 1930 e la dilagante disoccupazione ad aprire la strada al nazismo. Queste due opere ebbero una grande diffusione (furono tradotte anche in tedesco) e accrebbero notevolmente la fama di Keynes di osservatore attento del dibattito economico.
Nel 1920 pubblica il Treatise on Probability (Trattato sulla probabilità), contributo di notevole spessore per il sostegno filosofico e matematico alla teoria della probabilità. Fondamentale per la stesura di quest'opera è il saggio settecentesco di Charles François Bicquilley Du calcul des probabilités, incentrato sul lancio dei dadi, il gioco delle carte e la speranza matematica. Con il Trattato sulla riforma monetaria (A Tract on Monetary Reform, 1923) attacca le politiche deflazioniste britanniche degli anni Venti, sostenendo l'obiettivo della stabilità dei prezzi interni e proponendo tassi di cambio flessibili. La Gran Bretagna negli anni venti fu colpita da una forte disoccupazione, il che indusse Keynes a proporre la svalutazione della moneta per favorire l'aumento dei posti di lavoro, grazie alla migliore competitività dei prodotti britannici. Sostenne persino un aumento della spesa per lavori pubblici. Fu contrario al ritorno al "gold standard", la base aurea della moneta. Ciononostante, il Cancelliere dello Scacchiere, Winston Churchill, nel 1925 decise di ripristinare il "gold standard", provocando gli effetti depressivi sull'industria britannica previsti dal grande economista. A ciò Keynes reagì con la pubblicazione del saggio polemico: "Le conseguenze economiche di Mr Churchill" ("The Economic Consequences of Mr Churchill"), e continuò a perorare la causa dell'uscita dal "gold standard" fino a che ciò non avvenne, nel 1931. Nel Trattato sulla moneta (Treatise on Money, 1930), in due volumi, sviluppa ulteriormente la sua teoria del ciclo del credito di stampo wickselliano.
Oltre ai saggi, Keynes è molto attivo nella collaborazione a quotidiani anche statunitensi, quali il New York Times, e molti altri tra cui anche - curiosamente - con la rivista Vanity Fair, dove cura uno spazio.
Fino al 1936 si occupa dell'affinamento delle sue teorie per combattere la dilagante disoccupazione nel Regno Unito, discutendo con numerosi accademici e uomini politici, spesso convincendoli della validità delle proprie idee - ma non convinse del tutto il presidente statunitense Roosevelt, con cui ebbe un incontro privato di un'ora nel 1934, altrimenti non si capirebbe il grave errore, dal punto di vista keynesiano, commesso nel 1937. Convinto che ormai la depressione fosse finita, Roosevelt decise di tagliare la spesa pubblica per tornare al pareggio di bilancio, causando quattro nuovi milioni di disoccupati. L'autorevole biografo R. Skidelsky, infatti, sostiene che le idee di Keynes vennero completamente apprezzate, negli USA, solo a partire dal 1939. Nel 1936 si dedicò anche alla stesura della "Teoria generale". Tra i suoi interlocutori vi è anche Friedrich von Hayek (con cui mantiene una corrispondenza per un ventennio), uno dei maggiori esponenti della scuola austriaca, le cui teorie vengono spesso contrapposte a quelle di Keynes nel dibattito economico del secondo dopoguerra.

«Nel lungo periodo siamo tutti morti.» (John Maynard Keynes, risposta ai liberali che sostenevano che la mano invisibile, a lungo andare, avrebbe risolto ogni problema, senza ricorrere ad interventi da parte dei governi.)

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John Maynard Keynes dopo la seconda guerra mondiale

La sua opera principale è la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (The General Theory of Employment, Interest and Money, 1936), un volume che ha un notevole impatto sulla scienza economica, e costituisce il primo nucleo della moderna macroeconomia.
In esso Keynes pone le basi per la teoria basata sul concetto di domanda aggregata, spiegando le variazioni del livello complessivo delle attività economiche così come osservate durante la Grande depressione. Il reddito nazionale sarebbe dato dalla somma di consumi e investimenti; in uno stato dunque di coesistenza di diffuse sotto-occupazione e capacità produttiva inutilizzata, sarebbe dunque possibile incrementare l'occupazione e il reddito soltanto passando tramite un aumento della spesa per consumi o con investimenti. L'ammontare complessivo di risparmio sarebbe, inoltre, determinato dal reddito nazionale. È questo infatti proprio il quadro che si prospetta negli anni centrali della Grande Depressione: una "elevata disoccupazione a fronte di una capacità produttiva inutilizzata".
L'interventismo statale nel sistema capitalista
La sua posizione è che appunto lo Stato debba intervenire in quegli investimenti necessari affinché gli attori di mercato possano tornare ad essere efficaci per garantire la piena occupazione.
Nella Teoria generale, Keynes afferma che sono giustificabili le politiche destinate a incentivare la domanda in periodi di disoccupazione, ad esempio tramite un incremento della spesa pubblica. Poiché Keynes non ha piena fiducia nella capacità del mercato lasciato a se stesso di esprimere una domanda di piena occupazione, ritiene necessario che in talune circostanze sia lo Stato a stimolare la domanda, se necessario persino "facendo scavare a degli operai dei buchi nel terreno, per poi ricoprirli di nuovo". Questa frase, spesso citata, in realtà è un po' diversa:

"Se il ministero del Tesoro dovesse far riempire delle bottiglie di banconote, seppellirle in alcune miniere in disuso per ricoprirle completamente di immondizia (...), non ci sarebbe più disoccupazione e, con l'aiuto delle ripercussioni, il reddito reale della comunità e il suo stesso patrimonio aumenterebbero di un bel po'. Sarebbe certo più ragionevole far costruire delle case o cose del genere; ma se ci sono delle difficoltà politiche o di ordine pratico, quanto sopra sarebbe meglio di niente."

Queste argomentazioni trovano alcune conferme nei risultati della politica del New Deal, varata negli stessi anni dal presidente Roosevelt negli Stati Uniti d'America in seguito alla grande depressione, salvo l'errore commesso nel 1937, riferito in precedenza.
La teoria macroeconomica, con alcuni perfezionamenti negli anni successivi, giunge ad una serie di risultati di rilievo nelle politiche economiche attuali. All'inizio della sua carriera, Keynes era un economista marshallese profondamente convinto dei benefici del libero scambio. A partire dalla crisi del 1929, constatando l'impegno delle autorità britanniche a difendere la parità aurea della sterlina e la rigidità dei salari nominali, aderì gradualmente a misure protezionistiche .
Il cinque novembre 1929, ascoltato dal Comitato MacMillan per portare l'economia britannica fuori dalla crisi, Keynes indicò che l'introduzione di tariffe sulle importazioni avrebbe aiutato a riequilibrare la bilancia commerciale. Il rapporto della commissione afferma, in una sezione intitolata "controllo delle importazioni e aiuti alle esportazioni", che in un'economia dove non c'è piena occupazione, l'introduzione di tariffe può migliorare la produzione e l'occupazione. Così, la riduzione del deficit commerciale favorisce la crescita del paese.
Nel gennaio 1930, nel l'Economic Advisory Council, Keynes propose l'introduzione di un sistema di protezione per ridurre le importazioni. Nell'autunno del 1930, propose una tariffa uniforme del 10% su tutte le importazioni e sussidi dello stesso tasso per tutte le esportazioni. Nel Trattato sulla moneta, pubblicato nell'autunno del 1930, riprese l'idea di tariffe o altre restrizioni commerciali con l'obiettivo di ridurre il volume delle importazioni e riequilibrare la bilancia commerciale.
Il sette marzo 1931, nel New Statesman e Nation, scrisse un articolo intitolato Proposta per un'entrata tariffaria. Egli sottolinea che la riduzione dei salari porta a una diminuzione della domanda nazionale che limita i mercati. Egli propone invece l'idea di una politica espansiva associata a un sistema tariffario per neutralizzare gli effetti sulla bilancia commerciale. L'applicazione delle tariffe doganali gli sembrava "inevitabile, chiunque sia il Cancelliere dello Scacchiere". Così, per Keynes, una politica di recupero economico è pienamente efficace solo se il deficit commerciale è eliminato. Propose una tassa del 15% sui prodotti manifatturieri e semilavorati e del 5% su alcuni prodotti alimentari e materie prime, con altre necessarie per le esportazioni esentate (lana, cotone).
Nel 1932, in un articolo intitolato The Pro- and Anti-Tariffs, pubblicato su The Listener, prevedeva la protezione degli agricoltori e di alcuni settori come l'industria automobilistica e siderurgica, considerandoli indispensabili alla Gran Bretagna.
La critica della teoria dei vantaggi comparati
Nella situazione post-crisi del 1929, Keynes considerò irrealistici i presupposti del modello di libero scambio. Egli critica, per esempio, l'assunzione neoclassica dell'aggiustamento dei salari. Già nel 1930, in una nota al Economic Advisory Council, dubitava dell'intensità del guadagno dalla specializzazione nel caso dei manufatti. Mentre partecipava al Comitato MacMillan, ammise di non "credere più in un grado molto alto di specializzazione nazionale" e rifiutò di "abbandonare qualsiasi industria che non è in grado, per il momento, di sopravvivere". Criticò anche la dimensione statica della teoria del vantaggio comparato che, secondo lui, fissando definitivamente i vantaggi comparati, porta in pratica a uno spreco di risorse nazionali.
Nel Daily Mail del tredici marzo 1931 ha definito l'ipotesi di una perfetta mobilità settoriale del lavoro "un'assurdità", poiché afferma che una persona messa fuori dal lavoro contribuisce a una riduzione del tasso di salario finché non trova un lavoro. Ma per Keynes, questo cambio di lavoro può comportare dei costi (ricerca di lavoro, formazione) e non è sempre possibile. In generale, per Keynes, i presupposti della piena occupazione e del ritorno automatico all'equilibrio screditano la teoria dei vantaggi comparati.
Nel luglio del 1933, pubblicò un articolo sul New Statesman e Nation intitolato National Self-Sufficiency, criticando l'argomento della specializzazione delle economie, che è alla base del libero scambio. Propone quindi la ricerca di un certo grado di autosufficienza. Invece della specializzazione delle economie sostenuta dalla teoria ricardiana del vantaggio comparato, preferisce il mantenimento di una diversità di attività per le nazioni. In esso confuta il principio del commercio di pace. La sua visione del commercio è diventata quella di un sistema in cui i capitalisti stranieri competono per la conquista di nuovi mercati. Difende l'idea di produrre sul suolo nazionale quando possibile e ragionevole, ed esprime simpatia per i sostenitori del protezionismo.
Egli nota in National Self-Sufficiency:

«Un grado considerevole di specializzazione internazionale è necessario in un mondo razionale in tutti i casi in cui è dettato da ampie differenze di clima, risorse naturali, attitudini native, livello di cultura e densità di popolazione. Ma su una gamma sempre più ampia di prodotti industriali, e forse anche di prodotti agricoli, sono diventato dubbioso che la perdita economica dell'autosufficienza nazionale sia abbastanza grande da superare gli altri vantaggi di portare gradualmente il prodotto e il consumatore nell'ambito della stessa organizzazione nazionale, economica e finanziaria. L'esperienza si accumula per provare che la maggior parte dei processi moderni di produzione di massa possono essere eseguiti nella maggior parte dei paesi e dei climi con un'efficienza quasi uguale.»

Scrive anche in National Self-Sufficiency:

«Io simpatizzo, quindi, con coloro che vorrebbero minimizzare, piuttosto che con coloro che vorrebbero massimizzare, l'intreccio economico tra le nazioni. Idee, conoscenza, scienza, ospitalità, viaggi - queste sono le cose che dovrebbero essere internazionali per loro natura. Ma lasciamo che i beni siano fatti in casa quando è ragionevolmente e convenientemente possibile, e, soprattutto, che la finanza sia principalmente nazionale.»

Più tardi, Keynes ebbe una corrispondenza scritta con James Meade che si concentrava sulla questione delle restrizioni alle importazioni. Keynes e Meade hanno discusso la scelta migliore tra quote e tariffe. Nel marzo 1944 Keynes entrò in una discussione con Marcus Fleming dopo che quest'ultimo aveva scritto un articolo intitolato "Quote contro svalutazione". In questa occasione, vediamo che ha definitivamente preso una posizione protezionista dopo la Grande depressione. In effetti, riteneva che le quote potessero essere più efficaci del deprezzamento della moneta per affrontare gli squilibri esterni. Così, per Keynes, il deprezzamento della moneta non era più sufficiente e le misure protezionistiche divennero necessarie per evitare i deficit commerciali. Per evitare il ritorno delle crisi dovute a un sistema economico autoregolato, gli sembrava essenziale regolare il commercio e fermare il libero scambio (deregolamentazione del commercio estero).
Egli sottolinea che i paesi che importano più di quanto esportano indeboliscono le loro economie. Quando il deficit commerciale aumenta, la disoccupazione aumenta e il PIL rallenta. E i paesi con un surplus hanno una "esternalità negativa" sui loro partner commerciali. Si arricchiscono a spese degli altri e distruggono la produzione dei loro partner commerciali. John Maynard Keynes credeva che i prodotti dei paesi in surplus dovessero essere tassati per evitare squilibri commerciali. Così non crede più nella teoria del vantaggio comparato. (su cui si basa il libero scambio) che afferma che il deficit commerciale non ha importanza, poiché il commercio è reciprocamente vantaggioso.
Questo spiega anche la sua volontà di sostituire la liberalizzazione del commercio internazionale (libero commercio) con un sistema di regolamentazione volto a eliminare gli squilibri commerciali in queste proposte per gli accordi di Bretton Woods.

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Il Mount Washington Hotel, sede della Conferenza di Bretton Woods (Vedi sotto)

Nel 1942 Keynes, ormai celebre, ottiene il titolo di baronetto, diventando il primo barone Keynes di Tilton. Durante la seconda guerra mondiale, Keynes sostiene con Come pagare la guerra: un piano radicale per il Cancelliere dello Scacchiere (How to Pay for the War: A Radical Plan for the Chancellor of the Exchequer), che lo sforzo bellico dovrebbe essere finanziato con un maggiore livello di imposizione fiscale, piuttosto che con un bilancio negativo, per evitare spinte inflazioniste. Con l'approssimarsi della vittoria alleata, Keynes è nel 1944 alla guida della delegazione del Regno Unito a Bretton Woods, negoziando l'accordo finanziario tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America, nonché a capo della commissione per l'istituzione della Banca Mondiale.

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Keynes (primo a sinistra) alla firma del trattato di mutua cooperazione anglo-statunitense (1945)

Non riesce tuttavia a raggiungere i suoi obiettivi. Keynes sa che il sistema di cambi fissi stabilito dagli accordi può essere mantenuto nel tempo, in presenza di economie molto diverse quanto a tassi di crescita, inflazione e saldi finanziari, solo a patto di costringere gli USA, destinati ad avere una bilancia commerciale e finanziaria positiva, a finanziare i paesi con saldi finanziari negativi. Ma incontra l'opposizione statunitense verso la predisposizione di fondi, che Keynes avrebbe voluto essere assai ingenti, destinati a tale scopo.
I fondi vengono predisposti ma sono, per volere americano e grazie all'azione del negoziatore statunitense Harry Dexter White, di dimensioni contenute. Risulteranno insufficienti a finanziare i saldi finanziari negativi dei paesi più deboli e a fronteggiare la speculazione sui cambi che, nel corso del tempo, e in particolare dopo che la crisi petrolifera degli anni settanta avrà riempito di dollari le casse dei paesi produttori di petrolio, diventa sempre più aggressiva.
Il sistema di Bretton Woods resisterà fino alla prima metà degli anni settanta, quando le pressioni sulle diverse monete causeranno la fine dei cambi fissi e il passaggio a un regime di cambi flessibili, a opera del presidente degli Stati Uniti d'America Richard Nixon.
Tra le altre opere di Keynes, meritano di essere ricordate le raccolte Essays in Byography e Essays in Persuasion; nella prima, Keynes presenta ritratti di economisti e notabili; la seconda raccoglie alcune delle argomentazioni di Keynes volte a influenzare l'establishment politico ed economico negli anni della Grande depressione.
Keynes, come molti altri studiosi e intellettuali dell'epoca, fu un fervido sostenitore delle teorie eugenetiche (da non confondere con l'eugenetica nazista, che è una derivazione particolare); fu direttore della British Eugenics Society dal 1937 al 1944. Non più tardi del 1946, poco prima della sua morte, Keynes dichiarò che l'eugenetica sarebbe stata «la più importante, significativa e, vorrei aggiungere, originale branca della sociologia che esista».

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Keynes e la moglie Lidija Lopuchova.


Keynes era molto alto per gli standard dell'epoca (circa 1,98 m). Egli era bisessuale, e nella prima metà della sua vita ebbe diverse esperienze omosessuali: una delle prime fu con uno dei fondatori della psicoanalisi britannica, John Strachey, traduttore di Sigmund Freud. Ebbe in seguito un'importante relazione con il pittore Duncan Grant del Bloomsbury group, di cui lo stesso Keynes era membro, tra il 1908 e il 1911; Keynes avrebbe continuato ad assistere finanziariamente Grant per il resto della sua vita. Il Bloomsbury Group era un gruppo di scrittori, intellettuali, filosofi e artisti. Tra le persone coinvolte nel gruppo c'erano Virginia Woolf, John Maynard Keynes, EM Forster, Vanessa Bell e Lytton Strachey. Le loro opere e prospettive influenzarono profondamente la letteratura, l'estetica, la critica e l'economia, così come gli atteggiamenti moderni verso il femminismo, il pacifismo e la sessualità.

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Keynes e Duncan Grant

Nel 1918, Keynes fece la conoscenza della nota ballerina russa Lidija Lopuchova; a dispetto del passato omosessuale di lui, i due convoleranno a nozze; sarà, secondo i principali testimoni, un matrimonio felice.
Keynes fu inoltre un investitore di successo e riuscì a mettere insieme un ingente patrimonio, pari a circa 16,5 milioni di dollari del 2009, sebbene all'epoca del crollo di Wall Street avesse rischiato la rovina. Amava inoltre collezionare libri, e nel corso della sua vita collezionò e custodì numerosi lavori di Isaac Newton, tra cui numerosi manoscritti di alchimia che gli fecero coniare per lo scienziato inglese la definizione di "ultimo dei maghi". Keynes fu inoltre un collezionista d'arte (comprò dipinti di Paul Cézanne, Edgar Degas, Amedeo Modigliani, Pablo Picasso e altri) filantropo e membro del partito liberale del Regno Unito.
Era grande amico di Arthur Pigou, suo docente universitario e noto economista dell'epoca, nonché suo antagonista in campo economico, in quanto autorevole esponente della scuola "neoclassica". Sebbene i due avessero visioni diverse, la loro amicizia non fu mai a rischio. Anzi, lo stesso Pigou finanziò Keynes durante la stesura della Teoria generale.
Morì di infarto all'età di sessantadue anni. Dopo il funerale di Stato anglicano (benché fosse agnostico) all'abbazia di Westminster, il suo corpo venne cremato e le ceneri sparse nella campagna di Tilton, la sua tenuta e residenza di campagna nei pressi di Firle.
Gli sopravvissero entrambi i genitori (morti rispettivamente nel 1949 e nel 1958). Suo fratello sir Geoffrey Keynes fu un noto chirurgo, studioso e, come il fratello, bibliofilo. I suoi nipoti furono Richard Keynes, fisiologo, e Quentin Keynes, avventuriero e anch'egli bibliofilo come il padre e lo zio.
I brillanti risultati di Keynes come investitore sono testimoniati dai dati, disponibili pubblicamente, su un fondo che amministrò personalmente per conto del King's College a Cambridge.
Tra il 1928 e il tumore, nonostante una caduta rovinosa durante la Crisi del 1929, il fondo amministrato da Keynes genera un rendimento medio del 13,2% annuo, contro il magro risultato del mercato britannico in generale, che negli stessi anni mostra un declino medio dello 0,5% annuo.

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Keynes nel 1915, seduto tra Bertrand Russell e Lytton Strachey

L'approccio generalmente adottato da Keynes nei suoi investimenti è stato riassunto brevemente come segue:
- Selezione di un numero ridotto di investimenti, con attenzione alla loro economicità in relazione al valore intrinseco effettivo probabile e potenziale, per un periodo di anni in futuro, e in rapporto a possibili investimenti alternativi;
- Mantenimento delle posizioni assunte nel tempo, anche per anni, finché esse non hanno mantenuto le loro promesse, o finché non è evidente che l'acquisto è stato un errore;
- Una posizione di investimento bilanciata: assumere, ossia, una varietà di rischi, nonostante le singole posizioni possano anche essere rilevanti, e possibilmente rischi contrapposti (ad esempio, detenere una posizione nell'oro e nelle azioni, dal momento che i corsi delle due attività possono tendere a muoversi in direzioni opposte, compensandosi, in caso di fluttuazioni del mercato). Keynes sostiene che

"È un errore pensare di limitare il rischio spalmandolo su diverse attività, delle quali si conosce poco, e nelle quali non si ha motivo di riporre alcuna fiducia... La conoscenza e l'esperienza personali sono limitate, e raramente ci sono più di due o tre imprese, in ogni istante di tempo, cui darei piena fiducia".

Secondo alcuni, il parere di Keynes sulla speculazione sarebbe che egli la ritenesse immorale:

«Il gioco dell'investimento professionale è noioso e defatigante in modo intollerabile per chiunque sia del tutto immune dall'istinto del gioco d'azzardo; e chi lo possiede deve pagare il giusto scotto per questa sua tendenza.» (John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta)

Rivedendo le bozze di un importante contributo sugli investimenti azionari, Keynes ebbe a commentare che

"le compagnie industriali ben gestite, di regola, non distribuiscono per intero agli azionisti i propri profitti. Negli anni migliori, se non tutti gli anni, trattengono una parte di tali profitti e la reinvestono nella propria attività. C'è una sorta di interesse composto che opera a favore di un solido investimento industriale".

Autori che hanno influenzato il pensiero keynesiano

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L'economista e demografo Thomas Malthus

Dichiaratamente Keynes sviluppa il proprio lavoro sulla base, e come critica costruttiva, dell'opera degli economisti classici. Egli fu in particolare un grande estimatore del lavoro di Thomas Malthus, di cui contribuì a rivalutare l'opera e i contributi.
Gli economisti Alfred Marshall e Arthur Cecil Pigou, coi quali lavora a Cambridge, ebbero inoltre una rilevante influenza sullo sviluppo del suo pensiero, oltre a divenire l'oggetto di critiche molto severe nella sua opera maggiore, la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta.

Keynes, sostenitore di un'economia di mercato, fu comunque critico nei confronti del pensiero di Adamo Smith sul libero mercato e in generale del capitalismo, sviluppando a partire da tale concetto buona parte del suo pensiero economico: secondo Keynes infatti il sistema economico lasciato libero all'interesse privato genera distorsioni del sistema stesso (nonostante la tendenza all'equilibrio economico generale attraverso la cosiddetta mano invisibile) soprattutto in termini di occupazione e redistribuzione della ricchezza da cui la necessità dell'intervento statale per riequilibrare il sistema quando necessario. Tale concetto è alla base di gran parte dell'economia keynesiana promotrice dunque di una forma di economia mista. Giova notare che l'applicazione del libero mercato ha fatto sì che il 10% della popolazione mondiale detenga il 90 % della ricchezza.

Controverso e particolare è stato il rapporto tra Keynes e Marx. Keynes giudicò sempre Marx e la sua dottrina in modo alquanto critico. Ne La fine del laissez-faire (1926), criticando il capitalismo e la libertà economica, Keynes osserva incidentalmente:

«Ma i principi del laissez-faire hanno avuto altri alleati oltre i manuali di economia. Va riconosciuto che tali principi hanno potuto far breccia nelle menti dei filosofi e delle masse anche grazie alla qualità scadente delle correnti alternative – da un lato il protezionismo, dall'altro il socialismo di Marx. Queste dottrine risultano in fin dei conti caratterizzate, non solo e non tanto dal fatto di contraddire la presunzione generale in favore del laissez-faire, quanto dalla loro semplice debolezza logica. Sono entrambe esempio di un pensiero povero, e dell'incapacità di analizzare un processo portandolo alle sue logiche conseguenze.[...] Il socialismo marxista deve sempre rimanere un mistero per gli storici del pensiero; come una dottrina così illogica e vuota possa aver esercitato un'influenza così potente e durevole sulle menti degli uomini e, attraverso questi, sugli eventi della storia.» (Keynes, 1926)

Del disprezzo (o comunque della poca stima) nutrito da Keynes nei confronti della dottrina marxista vi è traccia anche nella sua corrispondenza. Così, come recentemente notato da Marcuzzo nel 2005, in una lettera inviata a Sraffa, che gli aveva consigliato la lettura del Capitale, Keynes ha scritto:

«Ho provato sinceramente a leggere i volumi di Marx, ma ti giuro che non sono proprio riuscito a capire cosa tu ci abbia trovato e cosa ti aspetti che ci trovi io! Non ho trovato neanche una sola frase che abbia un qualche interesse per un essere umano dotato di ragione. Per le prossime vacanze dovresti prestarmi una copia del libro sottolineata.» (John Maynard Keynes a Piero Sraffa, 5 aprile 1932; SP : 03/11:65 53)

Nonostante il palese disprezzo di Keynes, molti autori rintracciano in Marx alcune anticipazioni del pensiero keynesiano. Così, ad esempio, la possibilità di crisi da sottoconsumo e la critica radicale della legge di Say.
Le teorie di Keynes hanno dato un nuovo impulso alla disciplina economica, creando un vero e proprio filone di studiosi "keynesiani", che nel dibattito successivo sono spesso contrapposti ai "monetaristi" e/o ai "neo-classici". Tra i primi entusiasti delle teorie keynesiane ci sono tra gli altri James Tobin e Paul Samuelson, e successivamente Franco Modigliani e Paul Krugman tra i molti. Tra gli economisti post-keynesiani si segnalano Michal Kalecki, Joan Robinson, Nicholas Kaldor, Bill Mitchell e Warren Mosler (padre della Teoria della Moneta Moderna nella sua formulazione denominata Mosler Economics).
Nelle sue Memorie di guerra (1936) David Lloyd George tratteggiò negativamente la personalità di Keynes:

"Era un consigliere decisamente troppo mercuriale e impulsivo per una grande emergenza. Saltava alle conclusioni con disinvoltura acrobatica. E non migliorava certo le cose il fatto che corresse difilato a conclusioni opposte con la medesima agilità. Keynes è un economista da salotto, le cui brillanti ma superficiali dissertazioni in materia di finanza e di politica economica costituiscono sempre, qualora non vengano prese sul serio, una fonte di svago innocente per i suoi lettori. Non essendo particolarmente dotato di senso dell'umorismo, tuttavia, il Cancelliere dello Scacchiere [Reginald M'Kenna] non cercava uno svago, bensì una guida in questa alquanto stravagante controfigura di Walter Bagehot; e in un momento critico fu perciò portato fuori strada. Keynes fu per la prima volta insediato dal Cancelliere dello Scacchiere nella scranna girevole di un oracolo [for the first time lifted into the rocking-chair of a pundit], e si pensò che la sua semplice firma apposta a un documento finanziario gli conferisse peso. Ciò sembra alquanto assurdo ora, quando neppure i suoi amici - e men che mai i suoi amici - non hanno più la benché minima fiducia nei suoi giudizi finanziari. Fortunatamente Bonar Law e io sapevamo bene quale valore attribuire a ogni parere proveniente dalla fonte d'ispirazione del Cancelliere; e perciò trattammo la fantasiosa previsione della bancarotta britannica "entro la primavera" [del 1916] con la dose di considerazione dovuta al volubile profeta responsabile d'un simile presagio di sventura".

OPERE

  • John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace, traduzione di Vincenzo Tasco, prefazione di Vincenzo Giuffrida, Milano, Fratelli Treves, 1920 [1919].
  • John Maynard Keynes, La revisione del trattato, prefazione di Claudio Treves, Roma, Ausonia, 1922.
  • John Maynard Keynes, La riforma monetaria, traduzione di Piero Sraffa, Milano, Fratelli Treves, 1925 [1923].
  • John Maynard Keynes, Trattato della moneta, traduzione di Enrico Radaeli, Milano-Roma, Fratelli Treves-Treccani-Tumminelli, 1932 [1930].
  • John Maynard Keynes, La fine del lasciar fare, Torino, UTET, 1936 [1926].
  • John Maynard Keynes, Occupazione, interesse e moneta, traduzione di Alberto Campolongo, Torino, UTET, 1947 [1936].
  • John Maynard Keynes, Politici ed economisti, traduzione di Bruno Maffi, Torino, Einaudi, 1951.
  • John Maynard Keynes, Saggi politici, a cura di Sergio Ricossa, Firenze, Sansoni, 1966.
  • John Maynard Keynes, Esortazioni e profezie, traduzione di Silvia Boba, Milano, il Saggiatore, 1968.
  • John Maynard Keynes, Inediti sulla crisi, a cura di Mauro Gobbini, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1976.
  • John Maynard Keynes, Antologia di scritti economico-politici, a cura di Giacomo Costa, Bologna, il Mulino, 1978.
  • John Maynard Keynes, Come uscire dalla crisi, traduzione di Pierluigi Sabbatini, Bari, Editori Laterza, 1983.
  • Lydia Lopokova e John Maynard Keynes, Lydia & Maynard, a cura di Marina Premoli, Milano, Rosellina Archinto Editore, 1990.
  • Michał Kalecki e John Maynard Keynes, Saggi sui metodi contro la disoccupazione, Milano, Unicopli, 1990.
  • John Maynard Keynes, Trattato sulla probabilità, a cura di Alberto Pasquinelli e Silva Marzetti Dall'Aste Brandolini, Bologna, CLUEB, 1994 [1921].
  • John Maynard Keynes, L'assurdita dei sacrifici, traduzione di Vincenza Scotto di Vettimo, introduzione di Giovanni Mazzetti, Roma, manifestolibri, 1995.
  • John Maynard Keynes, Corrispondenza politica, a cura di Giuliano Ferrari Bravo, Padova, CEDAM, 1995.
  • John Maynard Keynes, Sono un liberale? e altri scritti, a cura di Giorgio La Malfa, Milano, Adelphi, 2010.

Il dilemma degli economisti: Keynes è stato un liberale o un socialista?

GIANFRANCO SABATTINI DEL 26 NOVEMBRE 2019

Gli effetti negativi provocati dalla Grande Depressione del 2007-2008 sulle economie di mercato più avanzate e le politiche adottate, soprattutto in Europa, per contrastarli hanno aperto tra gli economisti un dibattito, il cui esito è consistito nel rilanciare la validità dell’opera, del pensiero e delle proposte di politica economica di John Maynard Keynes e, in subordine, la questione se l’economista di Cambridge sia stato un liberale o un socialista.
Quest’ultimo dilemma ha offerto a Jesper Jespersen e Bruno Amoroso di curare la pubblicazione di un libro snello, il cui titolo, “Sono un liberale?”, è uguale a quello di un discorso che Keynes ha tenuto nel 1925, durante la “Liberal Summer School” di Cambridge. Il libro, pubblicato da Castelvecchi nel 2016, è stato rieditato quest’anno; esso contiene un insieme di brevi scritti del grande economista, la cui lettura, supportata da due saggi introduttivi di Jespersen, consente al lettore di farsi un’autonoma e precisa idea circa il pensiero politico di Keynes.
Nel saggio introduttivo di Jespersen, intitolato “John Maynard Keynes: filosofia, morale politica”, lo studioso di Cambridge viene presentato come uno dei tre grandi economisti che, nell’arco temporale di tre secoli, hanno contribuito alla comprensione, non solo “delle funzioni del sistema capitalistico di mercato”, ma anche delle sue dirette connessioni con la struttura del sistema sociale in cui quelle funzioni si svolgono. A Keynes, Jespersen associa Adam Smith e Karl Marx.
Smith ha descritto la nascita dell’economia di mercato nel XVIII secolo e le condizioni istituzionali e sociali in presenza delle quali essa (l’economia di mercato) può funzionare; nella seconda metà del XIX secolo, Marx ha analizzato, oltre al funzionamento del sistema economico “guidato” dallo spontaneo funzionamento del mercato, anche le contraddizioni interne del sistema capitalistico, nonché la situazione di ingiustizia della quale è vittima la forza lavoro occupata nelle attività produttive; Keynes, infine, è stato l’economista – afferma Jespersen – “che per primo ha spiegato perché le economie di mercato industrializzate nella prima metà del XX secolo erano caratterizzate da una durevole e fino ad allora mai vista disoccupazione”. Per i tre economisti considerati, quindi, l’impegno non è stato solo per lo studio fine a sé stesso del funzionamento del sistema economico, lo è stato anche per quello dell’impatto che tale funzionamento ha sul piano sociale. Fatto, quest’ultimo, che ha motivato i tre grandi economisti a impegnarsi pure sul piano strettamente politico.
La storia del pensiero economico mostra numerosi esempi di studiosi che hanno cercato di connettere i fatti economici, oggetto delle loro analisi, con quelli di natura strettamente sociale; ma, Smth, Marx e Keynes hanno considerato primario l’impegno a studiare il funzionamento del sistema sociale nella sua interezza e complessità, caratterizzato dalla stretta interazione tra fatti economici e fatti sociali. Proprio per questo essi sono tuttora ricordati e le loro proposte per realizzare la “buona società” sono state assunte a fondamento di ideologie che il pensiero di ognuno di essi ispirava: Smith il liberalismo, Marx il socialismo e Keynes il keynesismo.
Inoltre, ciascuna delle ideologie, ascrivibili ai tre “grandi”, è risultata comunque connessa all’influenza del pensiero degli altri. La famosa domanda che Keynes ha posto a se stesso “Sono un liberale? (Am I a liberal?) sollecita una risposta che deve essere data tenendo conto delle reciproca influenza tra le tre forme di pensiero (facenti capo, rispettivamente, a Smith, Marx e Keynes), che hanno caratterizzato l’azione e il modo di risolvere i problemi economici e sociali di coloro che hanno condiviso le ideologie nate da quelle forme di pensiero.
La domanda è stata (ed è tuttora) motivo di discussione tra quanti ritengono che Keynes sia stato effettivamente un liberale e quanti, invece, sostengono che egli sia stato un socialista; la negazione che Keynes sia stato un socialista proviene soprattutto da parte di critici d’ispirazione marxista. Alcuni, ad esempio, partendo dalla considerazione che la formazione politica di Keynes sia maturata nella temperie della situazione economico-politica che ha investito il mondo dopo la fine della Grande Guerra e dopo lo scoppio della Grande Depressione del 1929-1932, affermano che il suo convincimento della non-validità della legge di Say (secondo cui l’offerta del sistema economico crea sempre una domanda equivalente, garantendo sempre la piena occupazione) sia da ricondursi all’incapacità della teoria economica tradizionale di spiegare le cause del fenomeno della disoccupazione dei fattori produttivi (in particolare della forza lavoro) che aveva sconvolto le economie di mercato più avanzate.
La critica alla teoria economica tradizionale di non essere capace di spiegare il fenomeno della sotto-occupazione dei fattori produttivi sarebbe stata quindi la “molla” che avrebbe condotto Keynes a pubblicare, nel 1936, la sua famosa “Teoria generale”, l’opera che gli è valso il riconoscimento di essere uno degli economisti più importanti di tutti i tempi; in essa Keynes è giunto alla conclusione che lo Stato, nei periodi di generalizzata disoccupazione, deve attuare delle politiche di intervento fondate in parte su un aumento della propensione al consumo, in parte sull’uso strumentale del sistema fiscale, in parte sulla manovra del tasso di interesse e in parte sul miglioramento delle aspettative future degli investitori privati.
Oltre a queste prescrizioni di politica economica, poiché non aveva previsto la necessità di allargare l’intervento pubblico, sino a realizzare un socialismo di Stato che abbracciasse la maggior parte della vita economica della collettività, Keynes, per i suoi critici marxisti, non è possibile ritenerlo un socialista; anche perché, essendosi egli limitato ad affermare che, per assicurare il pieno impiego dei fattori produttivi, non è tanto necessario che lo Stato assuma la piena proprietà dei mezzi di produzione, quanto che agisca con la sua diretta iniziativa per promuovere un volume complessivo di produzione corrispondente alla piena occupazione, la teoria neo-classica che lui criticava ha avuto modo di riproporre la validità dei suoi algoritmi.
Il non-socialismo di Keynes, quindi, non sarebbe tanto motivato sulla base del rifiuto del socialismo di Stato, quanto sul fatto che le sue prescrizioni varrebbero a riproporre la validità della teoria neo-classica, sia pure in presenza dell’azione diretta dello Stato, per stabilire un volume complessivo di produzione tale da richiedere la piena occupazione. Keynes, quindi, non può essere considerato un socialista, perché la sua analisi non coglie le contraddizioni intrinseche all’ordinamento del capitalismo, e perché la sua critica al pensiero economico tradizionale è limitata al rifiuto della validità solo di due dei massimi principi del liberalismo: il primo, che ogni singolo soggetto sociale, perseguendo egoisticamente la propria felicità, concorra a realizzare quella di tutti; il secondo, che il mercato sia il sistema in grado di contribuire, meglio di ogni altro, alla ricchezza generale e all’equa distribuzione del prodotto sociale. Con ciò Keynes avrebbe concorso a salvare il capitalismo, limitandosi ad indicare quanto di esso può essere salvaguardato per assicurare l’uso efficiente delle risorse.
Di recente Ann Pettifor, un’analista del Regno Unito nel novero dei principali consiglieri economici del Partito laburista, nonché direttrice di una società di consulenza economica di sinistra, in un suo recente articolo ha paragonato la teori di Keynes nel campo economico a quella di Charles Darwin nella biologia, per il cambio di paradigma prodotto da entrambi. Così come Darwin ha cambiato le assunzioni basilari della spiegazione dell’origine delle specie animali e vegetali con la teoria dell’evoluzione, Keynes, “inventando la macroeconomia” ha sottratto alla soffocante ossessione microeconomica della teoria neoclassica lo studio del funzionamento dei sistemi economici a livello aggregato; sulla base di questo nuovo approccio, durante la Grande Depressione, in alternativa alle soluzioni monetariste della crisi, Keynes ha proposto il ricorso allo stimolo fiscale, per contrastare gli esiti negativi del ciclo economico in termini molto più radicali rispetto alla politica tradizionale. Per la Pettifor, dunque, Keynes è stato tutt’altro che un liberale, ma un socialista.
Altri critici di sinistra, muovendo da posizioni ancora più radicali, ritengono che il giudizio sulla qualifica di Keynes come socialista sia quasi impossibile, se si pensa che la sua disamina della teoria neo-classica è stata unicamente mirata a giustificare limitati interventi per fare funzionare il capitalismo liberale, senza alcuna rivoluzione. Egli, secondo questi critici, voleva certamente creare istituzioni “civilizzate” per assicurare pace e prosperità a livello interno e globale; ma le sue idee di un ordine interno e mondiale per controllare gli eccessi del capitalismo si sono concretizzate, alla fine, in istituzioni principalmente utilizzate per promuovere politiche favorevoli al capitale e non al lavoro. In tal modo, l’interventismo pubblico keynesiano nell’economia ha dato al mondo, anziché la riforma delle istituzioni capitaliste, la loro continuità in tutte le economie di mercato.
Ciononostante, il mito di un Keynes socialista è stato preservato e il suo pensiero ha continuato ad essere proposto come alternativa all’economia di mercato e all’ideologia propria del liberalismo. In realtà, la sua critica alla teoria neo-classica non ha nulla a che vedere con la critica marxista del modo di produzione capitalista; ciò perché la critica keynesiana non è stata volta al superamento della logica del profitto, ma è stata orientata a porre rimedio alle sue contraddizioni, solo attraverso una “macro-gestione tecnica” dell’economia. Troppo poco perché Keynes possa essere considerato un socialista; secondo i critici marxisti, la sua denuncia dei presunti malfunzionamenti del capitalismo “liberale” non gli ha consentito di proporre una strategia politica, economica e sociale con cui “salvare” la civiltà nel lungo periodo.
Il giudizio di Ann Pettifor su Keynes socialista sembra prevalere su quello dei critici marxisti, se si considera quanto lo stesso Keynes ha avuto modo di precisare in di un discorso (“Liberalismo e laburismo”) che egli ha tenuto nel 1926 presso il Manchester Reform Club; in quell’occasione, egli ha avuto modo di affermare che i liberali non trovano “incongruo il confronto e la compagnia dei socialisti”, a patto però che essi esplicitino, sia il percorso da compiere, sia gli obiettivi da raggiungere, condividendo che “il problema politico dell’umanità è di riuscire a combinare tre cose: efficienza economica, giustizia sociale e libertà individuale”. La prima richiede senso civico, precauzione e conoscenza tecnica; la seconda spirito altruista aperto ai bisogni esistenziali e culturali dell’uomo; la terza “tolleranza, ampio respiro, apprezzamento dei valori dell’eccellenza, della diversità e dell’indipendenza.
La giustizia sociale è “il bene principale” del socialismo, ma l’efficienza e la libertà individuale richiedono la qualità di un’azione politica concepita in termini di garanzia e presidio dell’individualismo economico e della libertà sociale. Sono queste le convinzioni che, sottraendo le società ai vincoli estremi del socialismo reale e a quelli, ugualmente estremi, del neoliberismo globalizzato, fanno di chi le professa un autentico socialista riformista e democratico.


GLI ACCORDI DI BRETTON WOODS (22-07-1944)

La Grande depressione
Un elevato livello di intesa tra le potenze sugli obiettivi e sugli strumenti di amministrazione economica internazionale facilitò le decisioni raggiunte dal congresso di Bretton Woods: il fondamento di quell'accordo era la fiducia comune in un sistema basato sul capitalismo. Questo sebbene alcuni paesi sviluppati abbiano preferito basarsi su principi differenti nell'economia nazionale (in Francia, per esempio, si preferisce una pianificazione centralizzata e interventi statali, mentre gli Stati Uniti d'America preferiscono un intervento statale limitato); ma tutti si sono basati sugli stessi principi per quanto riguarda le politiche che regolano i meccanismi del mercato e la tutela della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Tuttavia la comunione di intenti superava di gran lunga le differenze politiche. Infatti tutti i governi che siglarono gli accordi di Bretton Woods concordarono sul fatto che la dura lezione del caos monetario del periodo tra le due guerre mondiali fosse sufficiente per placare gli animi e superare le divergenze reciproche.
Nella mente degli economisti era bene impressa la recente esperienza della Grande depressione, durante la quale i controlli sul tasso di cambio e le barriere commerciali avevano portato al disastro economico. Gli accordi di Bretton Woods diedero la speranza di superare la sconfitta completa degli anni '30, periodo in cui il controllo del mercato dei cambi aveva minato il sistema di pagamenti internazionali su cui era basato il commercio mondiale. In quel periodo, infatti, i governi avevano usato politiche di svalutazione per far crescere le esportazioni giocando sulla competitività del cambio, con lo scopo di ridurre il deficit della bilancia dei pagamenti, causando, però, come effetti collaterali la caduta a picco del prodotto interno lordo, la riduzione della domanda, un enorme aumento della disoccupazione e un declino complessivo del commercio mondiale.
Gli scambi si ridussero a ristretti blocchi di monete (di gruppi di nazioni che usano la stessa valuta, come ad esempio il blocco della sterlina inglese nell'Impero britannico). Questi blocchi ritardarono la circolazione di capitali e le opportunità di investimenti stranieri. Tuttavia, questa strategia, tesa ad aumentare i redditi dei singoli paesi nel breve periodo, provocò disastri nel medio e lungo periodo.
I due progetti
Le basi politiche degli accordi di Bretton Woods vanno cercate nella forte presenza dello Stato nell'economia (banche e industria, sia in USA e URSS che in tutto il mondo industrializzato) e nella confluenza di circostanze chiave: le comuni esperienze negative degli Stati nella Grande depressione, la concentrazione di potere in un determinato numero di stati, la presenza di un potere dominante disposto ad assumere un ruolo di direzione/coordinamento e in grado di svolgere tale ruolo.
Mentre ancora non si era spento il secondo conflitto mondiale, si preparò la ricostruzione del sistema monetario e finanziario, riunendo 730 delegati di 44 nazioni alleate per la conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite (United Nations Monetary and Financial Conference) al Mount Washington Hotel, nella città di Bretton Woods (New Hampshire). Dopo un acceso dibattito, durato tre settimane, i delegati firmarono gli accordi di Bretton Woods.
I progetti presentati furono quelli di Harry Dexter White, delegato degli Stati Uniti d'America e quello di John Maynard Keynes, delegato del Regno Unito. Il progetto di Keynes prevedeva la costituzione di una stanza di compensazione all'interno della quale i Paesi membri avrebbero partecipato con quote rapportate al volume del loro commercio internazionale, in base alla media dell'ultimo triennio. La compensazione tra debiti e crediti avveniva tramite una moneta denominata Bancor. Il piano White prevedeva un ente sovranazionale, nel quale i Paesi avevano un peso rapportato alla quota del capitale sottoscritto; essi avrebbero potuto accedere ai prestiti in proporzione a tale quota, in un sistema dollaro-centrico.
Gli accordi di Bretton Woods sono un compromesso tra i due piani, in cui ha avuto più peso il piano White. Tali accordi prevedevano:
- la creazione del Fondo Monetario Internazionale (FMI), a cui fu affiancata la creazione della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Il FMI aveva il compito di vigilare sulla stabilità monetaria con l'obiettivo di ricostituire un commercio internazionale aperto e multilaterale. Al suo interno ogni stato aveva un peso proporzionale alla quota del capitale del fondo sottoscritta.
- i diritti di prelievo permettevano di accedere a prestiti dal FMI, concessi agli stati in situazioni di disavanzo.
- che tutte le valute dovessero essere convertibili in dollari. Era un sistema dollaro-centrico, per cui i commerci internazionali avvenivano soprattutto in dollari; per esempio, i prezzi delle materie prime, come il petrolio, erano espresse in dollari.
- che le banche centrali dovessero mantenere un cambio stabile con il dollaro; in particolare, se il cambio saliva o scendeva di un punto percentuale rispetto agli accordi, le altre banche (non quella statunitense) dovevano riallinearlo con operazioni di mercato aperto.
- la svalutazione era ammessa solo in caso di approvazione del FMI e sotto la sua vigilanza, ma poteva essere votata solo in caso di problemi strutturali.
- negli accordi era presente la clausola di scarsità: se una valuta era scarsa, gli altri Paesi potevano limitare unilateralmente le importazioni da quel Paese per far ripartire le proprie.
In pratica il sistema progettato a Bretton Woods era un gold exchange standard, basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all'oro. Gli accordi di Bretton Woods favorirono un sistema liberista, il quale richiede, innanzitutto, un mercato con il minimo delle barriere. A differenza del sistema che lo precedette (Gold Standard), la mobilità dei capitali fu limitata, poiché si era consci dell'enorme peso che essa ebbe nel determinare la crisi del '29. Quindi, anche se vi furono delle divergenze sulla sua implementazione, fu chiaramente un accordo per un sistema aperto.
Tutti gli accordi derivati direttamente o indirettamente da Bretton Woods non prevedevano un corretto controllo della quantità di dollari emessi, permettendo così agli USA l'emissione incontrollata di moneta, fatto contestato più volte da Francia e Germania Ovest in quanto gli USA esportavano la loro inflazione, impoverendo così il resto del mondo.
La fine degli accordi
Fino all'inizio degli anni '70, il sistema fu efficace nel controllare i conflitti economici e nel realizzare gli obiettivi comuni degli Stati, sempre con le stesse immutate condizioni che l'avevano generato.
In seguito, la guerra del Vietnam e il programma di welfare chiamato Grande Società fecero aumentare di molto la spesa pubblica statunitense e misero in crisi il sistema: di fronte all'emissione di dollari e al crescente indebitamento degli USA, aumentavano le richieste di conversione delle riserve in oro. Ciò spinse il presidente statunitense Richard Nixon, il 15 agosto 1971, ad annunciare, a Camp David, la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Le riserve statunitensi si stavano pericolosamente assottigliando: il Tesoro degli USA aveva già erogato oltre 12.000 tonnellate di oro. Nella gestione del Fondo Monetario Internazionale erano già operativi i diritti speciali di prelievo con un valore puramente convenzionale di un diritto speciale di prelievo per un dollaro.
Nel dicembre del 1971, il Gruppo dei Dieci firmò lo Smithsonian Agreement, che mise fine agli accordi di Bretton Woods, svalutando il dollaro e dando inizio alla fluttuazione dei cambi. Nel febbraio del 1973 ogni legame tra dollaro e monete estere venne definitivamente reciso e lo standard aureo fu quindi sostituito dal sistema di cambi flessibili.
È da notare che le istituzioni create a Bretton Woods, pur rivedendo i propri obiettivi, sopravvissero alla dismissione del sistema a base aurea (sistema aureo): il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale continuano ad esistere tuttora, mentre il GATT fu sostituito nel 1995 dall'OMC (Organizzazione mondiale del commercio).
Descrizione
Le caratteristiche principali di Bretton Woods erano due:
- la prima, consisteva nell'obbligo, per ogni paese, di adottare una politica monetaria tesa a stabilizzare il tasso di cambio a un valore fisso rispetto al dollaro, che veniva così eletto a valuta principale, consentendo solo delle lievi oscillazioni delle altre valute;
- la seconda, prevedeva il compito di equilibrare gli squilibri causati dai pagamenti internazionali, assegnato al Fondo Monetario Internazionale (o FMI). .
Il piano istituì sia il FMI sia la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (detta anche Banca Mondiale). Queste istituzioni sarebbero diventate operative solo quando un numero sufficiente di Paesi avesse ratificato l'accordo. Ciò si realizzò nel 1946. Nel 1947 fu poi firmato il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade - Accordo generale sulle tariffe e il commercio) che si affiancava all'FMI ed alla Banca Mondiale con il compito di liberalizzare il commercio internazionale.

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04-07-2024

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