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Alexis de Tocqueville e il suo capolavoro La democrazia in America

«Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla libertà.» (Alexis de Tocqueville, Epistolario, da una lettera a Joseph Arthur de Gobineau)


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

FRANCESI

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Tocqueville ritratto da Théodore Chassériau

«Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla libertà.» (Alexis de Tocqueville, Epistolario, da una lettera a Joseph Arthur de Gobineau)

Il visconte Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville (Parigi, 29 luglio 1805 – Cannes, 16 aprile 1859) è stato un filosofo, politico, storico, precursore della sociologia, giurista e magistrato. Il francese Raymond Aron, storico della sociologia, ha messo in evidenza il suo contributo alla sociologia, tanto da poterlo considerare uno dei primi osservatori non partecipanti della società.
È considerato uno degli storici e studiosi più importanti del pensiero liberale classico e conservatore, sostenitore e valorizzatore della giovane democrazia rappresentativa ma al contempo precoce critico delle sue inefficienze e degenerazioni.
Nato a Parigi, Alexis de Tocqueville apparteneva a una famiglia aristocratica di fede monarchica e legittimista, sostenitrice cioè del diritto dei Borbone a regnare in Francia. La caduta di Robespierre nell'anno II (1794) evitò in extremis la ghigliottina ai suoi genitori, arrestati nel 1793 durante il Terrore rivoluzionario. Suo padre era di origine normanna e la madre era nipote del celebre giurista Guillaume-Chrétien de Lamoignon de Malesherbes, avvocato difensore di Luigi XVI nel processo davanti alla Convenzione nazionale, in quanto Antoinette-Thérèse-Marguerite, figlia di Malesherbes e nonna di Tocqueville, aveva sposato Louis de Peletier de Rosanbo, mentre una delle loro figlie sposò il fratello di Chateaubriand, Jean-Baptiste (quindi zio di Alexis) e un'altra fu la madre di Tocqueville. Come lo stesso sovrano, Malesherbes finì ghigliottinato, assieme a quasi tutta la famiglia (la figlia, il genero e un nipote; solo le due nipoti, cioè la madre e la zia di Tocqueville si salvarono) con l'accusa di "cospirare assieme agli emigrati".
Tocqueville trascorse l'infanzia a Parigi, soggiornando durante l'estate al castello di Verneuil-sur-Seine. Dal 1820, le letture di Montesquieu, Voltaire, Rousseau e Buffon, provenienti dalla biblioteca paterna, lo portarono ad allontanarsi dai valori in cui era cresciuto e a focalizzare la sua analisi sul tramonto dell'aristocrazia e sull'avvento della democrazia liberale, senza che in lui venga mai meno la critica per gli eccessi di violenza perpetrati dai rivoluzionari.
Tra il 1820 e il 1823 studiò a Metz, dove il padre era Prefetto della Mosella, e nel 1826 ottenne la laurea in legge a Parigi. Compì in seguito un viaggio in Italia, giungendo fino in Sicilia. Nel 1827 ottenne la nomina a giudice uditore a Versailles, dove il padre era prefetto.

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Caricatura del 1849 di Tocqueville a opera di Honoré Daumier

La rivoluzione del 1830 che depone Carlo X (dopo la tentata doppia abdicazione del sovrano) e la linea primogenita dei Borboni, portando sul trono il cugino del re, Luigi Filippo d'Orléans, scatena in lui una forte crisi spirituale e politica, in quanto è combattuto tra la fedeltà al re precedente, in linea con gli ideali familiari, e il desiderio di appoggiare il nuovo monarca che appare in linea con le sue idee liberali. Alla fine presta comunque giuramento al nuovo regime.
Nell'aprile 1831 viene inviato negli Stati Uniti d'America assieme all'amico Gustave de Beaumont, rimanendovi fino al marzo dell'anno successivo. La motivazione ufficiale è lo studio del sistema penitenziario statunitense (essendo Tocqueville un magistrato, voleva trovare rimedi per migliorare il sistema penitenziario francese, in crisi e del tutto inadeguato alle esigenze del paese); in realtà, è probabile che la decisione della partenza sia stata presa anche sulla scia della suddetta crisi, che avrebbe spinto Tocqueville ad allontanarsi dalla Francia per poterne osservare la situazione politica dall'esterno.
Tuttavia, nel corso della sua permanenza negli Stati Uniti, non è solo l'organizzazione del sistema penitenziario a colpire l'attenzione di Tocqueville: è in particolare lo straordinario livellamento sociale statunitense, vale a dire l'assenza di privilegi di nascita e di ceti chiusi, e la possibilità per tutti di partire dallo stesso livello nella competizione sociale. È proprio dall'osservazione di questa realtà statunitense che prende vita il suo studio che sfocerà nella sua opera più importante, La democrazia in America, pubblicata in due parti nel 1835 e nel 1840 dopo il suo ritorno in Francia. Quest'opera è una base essenziale per comprendere gli Stati Uniti d'America, in particolare nel XIX secolo.
Nell'opera La democrazia in America Tocqueville, contro molte teorie affermò che la rivoluzione francese e quella americana non hanno aspetti in comune in quanto da quella francese scaturiscono violenza e terrore, mentre da quella americana libertà.
Intraprende tra il 1833 e il 1835 due viaggi in Inghilterra, e nel 1835 sposa l'inglese Mary Mottley, conosciuta a Versailles prima della rivoluzione del 1830. L'anno seguente è la volta di un soggiorno svizzero, mentre nel 1837 si candida alle elezioni legislative per l'Arrondissement di Valognes, nel dipartimento della Manica, ma non viene eletto.
Avrà miglior fortuna due anni più tardi, diventando deputato nel medesimo Arrondissement e incentrando l'attività parlamentare su tre questioni principali:
- l'abolizione della schiavitù nelle colonie,
- la riforma delle prigioni
- il coinvolgimento francese in Algeria, dove si recherà due volte (1841, 1846).[2]
Ottiene importanti riconoscimenti per la propria opera intellettuale e sociale, entrando nel 1838 all'Accademia delle Scienze morali e politiche e tre anni dopo all'Académie française.
Nel 1848 scoppiano nuovi tumulti e Luigi Filippo abdica a favore del nipote, ma è costretto a fuggire con la famiglia e in Francia viene proclamata la Seconda Repubblica. Tocqueville si oppone alla deriva radicale e socialista della rivoluzione francese del 1848, spaventato dal possibile ritorno del Terrore rivoluzionario e dal paventato emergere di un "uomo forte", cosa che accadrà qualche tempo dopo con Napoleone III. Alle elezioni presidenziali del 10 dicembre 1848 Tocqueville dichiara di votare per il generale Cavaignac. Nel 1849 è eletto deputato nel villaggio normanno di cui egli porta il nome e di cui parla nelle sue memorie. Dal 3 giugno al 29 ottobre 1849 ricopre la carica di ministro degli Esteri nel governo di Odilon Barrot.
Avvicinatosi alla corrente dei cattolici liberali, cerca di evitare l'intervento francese contro la Repubblica Romana del 1849, e la seguente restaurazione reazionaria di Pio IX; nella sua veste di Ministro degli esteri, tenta di dissuadere Luigi Napoleone dall'intervento armato, già in corso, ma invano, come vano sarà il tentativo di conciliazione tra il Pontefice e i liberali romani.
Tocqueville però si accorge quasi subito delle intenzioni del Presidente: diviene così critico verso il crescente autoritarismo ed è costretto alle dimissioni, fino a precipitare nello sconforto quando Bonaparte abbatte la Seconda Repubblica francese[15] per restaurare l'impero napoleonico, divenendo Napoleone III.[13] Già due anni prima, aveva commentato: «il corvo cerca di imitare l'aquila», intendendo che il nipote voleva imitare lo zio. A causa delle sue critiche, Napoleone III lo fa arrestare nella fortezza di Vincennes, ma viene presto liberato e si ritira a vita privata, continuando i suoi studi.
Stabilitosi a Cannes nel 1858, per curare, grazie al clima mite, la tubercolosi di cui soffre, vi muore a 53 anni nell'aprile 1859. La salma viene inumata presso il villaggio che porta il suo nome.

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Stampa di De Tocqueville nel 1835

Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, Tocqueville si interroga sulle basi della democrazia. Contrariamente a Guizot, che vede la storia della Francia come una lunga emancipazione delle classi medie, pensa che la tendenza generale e inevitabile dei popoli sia la democrazia. Secondo lui, questa non deve soltanto essere intesa nel suo senso etimologico e politico (potere del popolo) ma anche e soprattutto in un senso sociale; corrisponde a un processo storico che permette l'eguaglianza delle condizioni che si traduce con[:
- L'instaurazione di un'uguaglianza di diritto
Tutti i cittadini sono assoggettati alle stesse norme giuridiche mentre sotto l'Ancien régime, la nobiltà ed il clero beneficiavano di una legislazione specifica (i nobili ad esempio erano esenti dal pagamento delle imposte).
- Una mobilità sociale potenziale
mentre la società di ordini dell'Ancien régime implicava un'eredità sociale quasi totale. Ad esempio, i capi militari erano necessariamente derivati dalla nobiltà.
- Una forte aspirazione degli individui all'uguaglianza
Tuttavia, l'uguaglianza delle condizioni data dalla mobilità sociale non implica la scomparsa di fatto delle diverse forme di disuguaglianze di natura economica o sociali.
Secondo Tocqueville, il principio democratico comporta negli individui «un tipo d'uguaglianza immaginaria nonostante la disuguaglianza reale della loro condizione». La tendenza all'uguaglianza delle condizioni che considera inevitabile presenta ai suoi occhi un pericolo. Constata che questo processo si accompagna a un aumento dell'individualismo («piega su di sé») e questo contribuisce da un lato ad indebolire la coesione sociale e dall'altro induce l'individuo a sottoporsi alla volontà della maggioranza.
A partire da questa constatazione, si chiede se questo progresso dell'uguaglianza è compatibile con l'altro principio fondamentale della democrazia: l'esercizio della libertà, cioè la capacità di resistenza dell'individuo al potere politico. Uguaglianza e libertà sembrano in realtà opporsi poiché l'individuo tende sempre più a delegare il suo potere sovrano a un'autorità dispotica e quindi più non ad utilizzare la sua libertà politica:

«l'individualismo è una sensazione ragionata che porta ogni cittadino ad isolarsi dalla massa dei suoi simili in modo che, dopo essersi creato una piccola società al suo impiego, abbandoni volentieri la grande società».

Secondo Tocqueville, una delle soluzioni per superare questo paradosso, pur rispettando questi due principi fondatori della democrazia, risiede nel restauro dei corpi istituzionali intermedi che occupavano un posto centrale nell'ancien régime (associazioni politiche e civili, corporazioni, ecc.). Solo queste istanze che incitano a un rafforzamento dei legami sociali, possono permettere che l'individuo isolato deleghi al potere di Stato di esprimere la sua libertà e così resistere a ciò che Tocqueville chiama «l'impero morale della maggioranza».
Secondo Tocqueville la società democratica è destinata a trionfare perché è quella che può portare felicità al maggior numero di individui: questa società ugualitaria deve essere governata da leggi certe che verranno sposate dal popolo in virtù del fatto che esso partecipa alla stesura delle stesse attraverso i propri rappresentanti.
Questo non implica un livellamento delle condizioni di vita ma un pareggiarsi delle condizioni di partenza: la società statunitense è ugualitaria perché permette a tutti di potersi realizzare, senza sbarramenti di censo. È una società che premia il progresso individuale. Negli Stati Uniti vi è la certezza della sovranità popolare perché tutti partecipano alla gestione della cosa pubblica (suffragio universale maschile).
Si viene a evidenziare, però, anche un risvolto negativo: con il suffragio allargato si cade nel dispotismo della maggioranza, è poco cioè lo spazio per chi dissente; si ha così una società massificata e conformista ma allo stesso tempo atomista. Si delinea come conformista perché se la maggioranza sceglie una cosa la minoranza deve adeguarsi senza discutere; allo stesso tempo ciascun individuo, delegato il potere non partecipa più all'attività politica.
Nell'ancien régime vi sono corpi intermedi (corporazioni, ordini professionali) che mediano tra lo Stato e il cittadino: ora vengono meno e i cittadini tendono a rinchiudersi nella loro vita privata (atomizzazione). Se la democrazia è solo una vuota affermazione di uguaglianza essa non funziona perché esclude la viva partecipazione. Vi è però il rischio che la società passi dalla dicotomia nobili-non nobili a quella ricchi-poveri: il pauperismo non deve essere risolto solo attraverso l'intervento dello Stato ma l'individuo deve essere aiutato a realizzarsi da sé.
Ci sono però dei contravveleni alla scarsa partecipazione che fanno sì che gli USA siano una società mobile: decentramento, associazionismo, religione. Grazie a un ampio decentramento all'interno della struttura federale si moltiplicano le occasioni di partecipazione, è infatti nelle istituzioni comunali che si impara la democrazia. Un eccessivo centralismo tenderebbe a soffocarla. L'associazionismo abitua i cittadini a stare insieme, tutti partecipano alla vita dell'associazione con la stessa posizione di partenza, senza differenze di censo.

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Manoscritto di una pagina de La democrazia in America

Tocqueville è laico e propone la divisione tra Stato e Chiesa: egli è praticamente ateo (anche se secondo diverse ricostruzioni ebbe negli ultimi anni un profondo riavvicinamento al cattolicesimo sotto influsso di Sof'ja Petrovna Sojmonova), tuttavia, come già Voltaire, Machiavelli e Rousseau prima di lui, attribuisce un ruolo importante alla sfera religiosa, come stimolo alla moralità delle masse popolari (religione civile), potendo quindi essere definito un fautore dell'ateismo cristiano. Nella società statunitense la religione può aiutare a esprimere libertà e assume un ruolo fondamentale nella vita, dove sono molto attive le associazioni a cui ogni persona è libera di iscriversi; invece la rivoluzione francese iniziò a combattere, come conseguenza della confusione europea tra religione e politica, contro la chiesa e la religione, perché ritenuta un ostacolo alla libertà, e impedì alle persone di associarsi. La religione gioca un ruolo fondamentale nelle dinamiche politico-sociali degli USA. Chi va ad abitare in quel paese scappa da persecuzioni religiose: la religione deve essere qualcosa che insegna all'individuo a vivere con gli altri individui. La sfera religiosa è staccata dalla sfera politica: la religione (anche una laica "religione della libertà", per usare un'espressione crociana) ci aiuta a rispettare l'altro, garantisce i costumi; aiuta a governare la cosa pubblica, non con istituzioni ma con precetti

«L'incredulità è un accidente; la fede sola è lo stato permanente dell'umanità.»

Il senso della frase è che in una società deve esistere una tensione morale esterna allo Stato, che sia la diffusione di sette cristiane, di una religione civile o di una moralità sociale personale (da non confondere col moralismo bigotto tipico dell'età vittoriana).
La sua tipica separazione liberale tra Chiesa e Stato ispirò, tra gli altri, il Conte di Cavour (con la formula "libera Chiesa in libero Stato"). Tocqueville non approva l'anticlericalismo, ma si esprime anche contro la religione di Stato; egli accusa la commistione tra fede e politica di aver causato la crisi politico-religioso-istituzionale che ha portato alla Rivoluzione francese, che risolse il problema imponendo però una sua religione, il Culto dell'Essere Supremo (quindi sempre una religione imposta per fini politici, ma neppure capace di servire da esempio di moralità, poiché non avvertita come propria dalla maggioranza dei cittadini). La religione, inoltre, abitua il cittadino ad avere una pluralità di vedute e lo prepara al confronto politico, sociale e culturale.
Nonostante questa attitudine non certo ostile alla forma religiosa esteriore, oltre che alla religione della sfera privata, Tocqueville espresse una netta condanna verso la politica della Restaurazione (propugnata ad esempio da Joseph de Maistre) in quanto volta a ripristinare l'alleanza tra il "Trono e l'Altare", cioè tra Stato monarchico e Chiesa, che egli giudicava una cosa negativa per entrambi (stesso giudizio espresse in chiave storica per il concordato di Napoleone): la religione non va combattuta, ma nemmeno deve compromettersi col potere, e non va finanziata dallo Stato.
In sintonia con le vedute dell'Illuminismo, non è dello stesso avviso sull'Islam, che egli considera un pericolo per l'umanità: «Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto. A quanto vedo l'Islam è la causa principale della decadenza oggi così evidente nel mondo musulmano, e benché sia meno assurdo del politeismo degli antichi le sue tendenze sociali e politiche sono secondo me più pericolose. Per questo, rispetto al paganesimo, considero l'Islam una forma di decadenza anziché una forma di progresso.»


Alexis de Tocqueville sbarcò a Filadelfia e viaggiò a lungo nella zona nord-est del paese, cioè nel New England, ed è su questi vagabondaggi che il suo celebre libro si basa. Tuttavia, rispetto al Sud schiavista, questa zona non era che una realtà secondaria del Paese sia in termini politici che economici. A Tocqueville sarebbe bastato spingersi fino alla città di Baltimora, che all'epoca distava meno di una giornata di viaggio da Filadelfia, per osservare di persona quello che venne chiamato il "motore americano", cioè l'economia delle piantagioni. Questo è però un viaggio che non intraprese mai e, seppure nella sua opera accenni al Sud, ciò è solo per mettere in risalto il suo carattere "eccezionale" rispetto alle istituzioni politiche del Nord. Il motivo di questo scarso interesse è che Tocqueville giudicava l'area schiavista una democrazia imperfetta con residui aristocratici, e per ciò poco pertinente all'oggetto del suo studio, volto a cogliere gli aspetti di novità dell'esperienza statunitense.
Tocqueville riconosceva che i nativi americani avevano diritto all'integrazione nello Stato statunitense anglosassone, ma riteneva che fosse tardi per una vera accoglienza degli indiani, e che dopo i massacri subiti e l'inimicizia con i bianchi sarebbero finiti emarginati. Per quanto riguarda gli afroamericani, pensava che l'emancipazione dalla schiavitù fosse inutile se essi non avessero potuto integrarsi appieno (cosa che giudicava difficile), e sarebbero finiti per diventare un popolo di secondo livello, rischiando lo sterminio anch'essi; queste previsioni si dimostreranno in parte tragicamente vere, come si vedrà con il perdurare del razzismo negli Stati Uniti d'America.
Tocqueville nominò segretario al Ministero il suo amico Joseph Arthur de Gobineau, con cui avrà un lungo carteggio epistolare sui temi della razza e della libertà: Gobineau era infatti un teorico del cosiddetto razzismo scientifico, mentre Tocqueville non condivideva queste idee.
Pensatori marxisti come Domenico Losurdo hanno accusato Tocqueville di volere una democrazia etnica liberale o colonialista, poiché giudica il liberalismo pienamente applicabile solo in realtà preparate a esso.

La grandiosità di Tocqueville è aver capito che anche in una democrazia può subentrare una dittatura: oggi, ad esempio, abbiamo subito, prima la dittatura sanitaria, poi la dittatura guerrafondaia e infine la dittatura finanziaria degli USA.

 

Opere in edizione italiana

  • Democrazia e libertà, a cura di Lorenzo Caboara, Collana Storia, filosofia e religione, Milano, Hoepli, 1945.
  • L'antico regime e la rivoluzione, introduzione e trad. a cura di Michele Lessona, Collana I Grandi Scrittori Stranieri, Torino, UTET, 1945-1967.
  • L'Antico regime e la Rivoluzione. Le cause sociali e culturali della Rivoluzione francese in un classico della storiografia, Collana Storica Rizzoli, Milano, Rizzoli, 1980..
  • L'Antico Regime e la Rivoluzione, introduzione di Luciano Cafagna, Einaudi, 1989.
  • Scritti politici (vol. I: La rivoluzione democratica in Francia; vol. II: la democrazia in America), a cura di Nicola Matteucci, Collana Classici della politica, Torino, UTET, 1969-1997.
  • Del sistema penitenziario negli Stati Uniti e della sua applicazione in Francia
  • L'amicizia e la democrazia. Lettere scelte, 1824-1859. A cura di Massimo Terni, Collana Classici e contemporanei, Edizioni Lavoro, 1987.
  • Quindici giorni nel deserto americano, traduzione di M. Folin, a cura di M. Diani, Collana La diagonale, Palermo, Sellerio, 1989.
  • Viaggio negli Stati Uniti. Collana NUE n.201, Torino, Einaudi, 1990.
  • Viaggio in America 1831-1832, A cura di Umberto Coldagelli, Collana Saggi, Milano, Feltrinelli, 1990.
  • Ricordi, a cura di Corrado Vivanti, Roma, Editori Riuniti, 1991-2012.
  • La democrazia in America, Milano, Rizzoli, 1992.
  • Scritti, note e discorsi politici, 1839-1852, a cura di Umberto Coldagelli, Torino, Bollati Boringhieri.
  • Viaggi, traduzione di Laura Tamburrini e M. Sozzi, introd. di Umberto Coldagelli, Collana Pantheon, Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
  • Democrazia e povertà, a cura di A.M. Revedin, Collana Lettere scarlatte, Roma, Ideazione, 1998.
  • Democrazia, libertà e religione: pensieri liberali. Armando, Roma, 2000

LA DEMOCRAZIA IN AMERICA
Nel 1831, Alexis de Tocqueville e Gustave de Beaumont, entrambi, furono inviati dal loro governo per raccogliere informazioni sul sistema carcerario americano. Giunti a New York in maggio, essi passarono nove mesi in viaggio attraverso gli Stati Uniti, osservando non soltanto le prigioni, ma parecchi aspetti della società americana, ivi compresi quello economico e quello politico. Soggiornarono per un po' anche in Canada, passando qualche giorno dell'estate del 1831 sia nella parte sud-est delle provincie centrali del Canada (l'attuale provincia di Ontario) sia nella parte nord-est del Canada (l'attuale provincia di Quebec).
Ritornati in Francia nel febbraio 1832, nel 1833 consegnarono il loro rapporto sul sistema carcerario americano, dal titolo Sul sistema penitenziario negli Stati Uniti e sulla sua applicazione in Francia. Beaumont scrisse in seguito un romanzo sui rapporti razziali negli Stati Uniti. Tocqueville, invece, che era rimasto affascinato dalla politica americana, scrisse un trattato politico-sociale dal titolo La democrazia in America.
Riassunto
La democrazia in America è innanzitutto e soprattutto un'analisi della democrazia rappresentativa repubblicana, e dei motivi per i quali essa aveva potuto attecchire tanto bene negli Stati Uniti mentre era fallita in numerosi altri paesi.
L'opera si divide in due distinti temi, pubblicati separatamente: nella sua introduzione al primo, Tocqueville dichiara anzi di rinunciare alla pubblicazione del secondo (decisione sulla quale, evidentemente è tornato in seguito). Più che per il tempo trascorso tra le due pubblicazioni, i due temi si distinguono per l'argomento trattato. Il primo tratta dell'impulso che il movimento democratico (che è una trasformazione sociale che prende successivamente forma in varie istituzioni politiche) dà alla forma di governo, alle leggi e alla vita politica – cioè alla democrazia come struttura politica. Il secondo tratta dell'influenza che la democrazia (e stavolta non tanto come trasformazione sociale quanto come regime politico) esercita sulla società civile, cioè sui costumi, le idee e la vita intellettuale. In breve, si potrebbe dire che il primo tomo è più politico, il secondo più sociologico.
Tocqueville riflette sul futuro della democrazia negli Stati Uniti, e sui potenziali pericoli «per la democrazia» e «della democrazia». Egli scrive che la democrazia ha la tendenza a degenerare in ciò che descrive come «dispotismo addolcito». Osserva anche che l'unico ruolo che può essere giocato dalla religione è dovuto alla separazione dal governo, ciò che permette una laicità dello stato che, in ultima istanza, conviene ad entrambi.
La democrazia in America ha visto numerose edizioni nel corso del diciannovesimo secolo. L'opera ha un immediato successo sia in Europa che negli Stati Uniti. Nel ventesimo secolo essa diventa un classico della politica, della sociologia e della storia.
Quest'opera è spesso ricordata per aver visto in anticipo fenomeni che si sono successivamente verificati. Essa prevede ad esempio correttamente il dibattito sull'abolizione della schiavitù sul quale l'America si sarebbe lacerata durante la guerra civile. Allo stesso modo descrive l'emergere degli Stati Uniti e della Russia come le due superpotenze mondiali, ciò che conduce a quel bipolarismo che prese in seguito il nome di guerra fredda. La democrazia in America, secondo Tocqueville, aveva alcune potenziali debolezze: il dispotismo popolare, la tirannia della maggioranza, l'assenza di libertà intellettuale, ciò che gli sembra degradare l'amministrazione e favorire il crollo della politica pubblica di assistenza ai più deboli, dell'educazione e delle lettere. Il libro predice anche la violenza tra i partiti politici e il fatto che gli incoscienti giudichino i saggi.
Oltre ai numerosi elogi, La democrazia in America viene criticata dagli intellettuali d'oggi su alcuni temi, per esempio l'autore non parlò quasi mai della povertà nelle grandi città. Alla sua opera si può accostare un altro scritto meno noto sulla democrazia americana, Society in America, uscito nel 1838, della scrittrice inglese Harriet Martineau, la quale approfondi temi più tipici della storiografia contemporanea quali la condizione degli schiavi neri e della donna.
Nel 2006, Bernard-Henri Lévy ha pubblicato in USA, e poi in Francia, il controverso "American vertigo" che si presenta come un "remake" del libro di Tocqueville, 170 anni dopo.
Da quest'opera deriva il soprannome "The Forest City" per Cleveland, avendo egli descritto come "ricca di foreste" l'area in cui è situata la città.
Secondo Tocqueville le società moderne e democratiche sono caratterizzate da un certo dispotismo non tirannico: il problema della tirannia della maggioranza non è solo il fatto che i pochi devono sottostare al volere dei molti, ma anche il fatto che i molti tendono a dominare l’opinione pubblica, polarizzando la società verso un pensiero unico (o, usando le parole di Marcuse, verso una "società a una dimensione", in cui l'uniformità ha talmente tanto permeato la mente al punto da auto censurare le opinioni impopolari). La tirannia della maggioranza non è dunque una tirannia materiale che ha come obiettivo i corpi, ma una tirannia più subdola che si esercita sul pensiero: la democrazia ha per sua natura dei perenni esclusi, cioè coloro che hanno posizioni estreme lontane sia dalla maggioranza, sia dalle minoranze.
Tocqueville propone alcuni "antidoti" per affrontare la tirannia della maggioranza. Il primo è lo spirito legistico nel suo ruolo di contrappeso alla democrazia: i giudici della corte suprema, eletti a vita, sarebbero dotati della massima integrità di giudizio in quanto non necessitano di mutare la loro opinione per inseguire consensi. Anche l'associazionismo sarebbe una buona contromisura alla tirannia della maggioranza, in quanto capace di aggregare persone attorno ad un'idea e attaccare così l'impero morale del mainstream.
Tocqueville intuisce il rischio che dall’industria possa nascere una nuova aristocrazia, quella dei tycoon, ossia dei grandi proprietari industriali. L’aristocrazia industriale americana è però strutturalmente diversa da quella europea: non è un’aristocrazia nobiliare e titolata, ma è un’aristocrazia economica con un’alta mobilità sociale (cioè senza meccanismi di casta: si può diventare ricchi come si può perdere tutto e tornare in povertà, a prescindere dallo status sociale della famiglia di nascita).
Tocqueville considera inoltre i rapporti tra servo e padrone come rapporti di natura contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro; inoltre vede nello strumento del contratto uno strumento di libertà che lo schiavo non ha, in quanto il lavoratore, terminata la sua prestazione, può tornare alla sua vita e alle sue libertà personali. Si tratta di una concezione del contratto diametralmente opposta a quella del suo contemporaneo Karl Marx, in cui il lavoratore che sottoscrive il contratto è comunque in posizione di diseguaglianza e obbligato dalle circostanze (cioè dal dover lavorare per sopravvivere).

9 luglio 2024 - Eugenio Caruso

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