“[…] la distinzione tra passato, presente e futuro è soltanto un’illusione, anche se ostinata”. Einstein
La matematica?
Una questione di regolarità
Nella storia della matematica, quasi tutti i risultati più importanti
sono frutto dell’intuizione di giovani menti
brillanti. Non a caso, i riconoscimenti più prestigiosi in
campo matematico (su tutti la medaglia Fields, una sorta di «Nobel
della matematica») hanno un limite d’età, spesso fissato ben
al di sotto dei 40 anni. Non fa eccezione il premio assegnato ogni
quattro anni dall’European Mathematical Society, il più importante
a livello europeo, a dieci ricercatori e ricercatrici di età pari
o inferiore ai 36 anni.
Tra le premiate di quest’anno c’è anche Cristiana De Filippis,
ricercatrice dell’Università di Parma, che a soli 31 anni è già considerata
una delle massime esperte mondiali nel suo campo di ricerca,
che si muove intorno allo studio delle soluzioni di una particolare
classe di equazioni differenziali alle derivate parziali,
note come «ellittiche».
I suoi interessi di ricerca riguardano in particolare la teoria della «regolarità
ellittica». Di che cosa si tratta esattamente?
Il punto di partenza è che non tutte le equazioni differenziali –
anzi, a dir la verità praticamente quasi nessuna – sono risolvibili
esplicitamente. L’obiettivo della regolarità ellittica è quello di provare
a determinare una serie di proprietà qualitative della soluzione
di un’equazione, senza però conoscerla a priori. Per farlo, è
necessario anzitutto individuare lo spazio giusto in cui è possibile
dimostrare almeno l’esistenza di una soluzione; una volta individuato,
si prova a capire quanto la soluzione in questione sia migliore
rispetto a tutte le altre funzioni in quello spazio.
Quali sono i risultati più importanti che ha ottenuto?
Mi sono occupata in particolare delle cosiddette stime di
Schauder, un approccio che punta a trovare soluzioni «buone»
per una certa classe di equazioni differenziali ellittiche. Si tratta
di un problema classico nel campo della teoria della regolarità,
studiato fin dagli anni venti dello scorso secolo, in particolare per
le cosiddette equazioni uniformemente ellittiche. Il mio lavoro si
è concentrato su un caso più complesso e ancora aperto, rappresentato
dalle equazioni non uniformemente ellittiche: insieme a
Giuseppe Mingione dell’Università di Parma, siamo riusciti a trovare
un approccio alternativo a quello valido per il caso uniforme,
che permette di risolvere problemi che attendevano una soluzione
da molto tempo.
Esistono applicazioni particolarmente interessanti di questi risultati?
Alcuni modelli delle equazioni di cui mi occupo sono utilizzati
per risolvere problemi in campi come la scienza dei materiali
e la fluidodinamica: per esempio, lo studio del mescolamento di
due materiali con densità diverse, oppure quello di fluidi elettroreologici
o non newtoniani. Un’altra applicazione importante della
teoria della regolarità è nell’analisi numerica: conoscere la regolarità
massima delle soluzioni di un certo tipo di equazioni può
essere molto utile nella simulazione di sistemi fisici al computer,
per esempio per velocizzare la convergenza di un certo schema
numerico.
Di solito il suo lavoro è motivato o guidato dalle applicazioni, oppure
i suoi obiettivi di ricerca sono principalmente di carattere fondamentale?
Io mi occupo di problemi puramente teorici, il cui studio costituisce
una motivazione importante di per sé. Per esempio, i
problemi aperti nell’ambito delle stime di Schauder, citati in precedenza,
rappresentano una questione molto «naturale» nell’ambito
della teoria della regolarità, la cui risoluzione è una sfida teorica
molto forte. Le applicazioni, in questo come in molti altri casi,
sono più una conseguenza dei risultati teorici, a sottolineare il
ruolo importante giocato dalla ricerca fondamentale.
Si può parlare di «creatività» nella ricerca in matematica?
La creatività è una componente fondamentale in questo lavoro.
Soprattutto quando si affronta un problema su cui esiste una
letteratura precedente, e che magari ha rappresentato uno scoglio
anche per studiosi illustri che ti hanno preceduto, la creatività
è quell’elemento che ti permette di non farti condizionare da
ciò che è stato già tentato, ma di cambiare prospettiva e capire se è
il problema stesso a suggerirti un’alternativa.
Dopo un periodo all’estero, lei è tornata a lavorare in Italia, che certo
non si distingue per i finanziamenti alla ricerca fondamentale. La matematica
rappresenta un’eccezione?
Purtroppo no. Premesso che in questo momento mi trovo molto
bene all’Università di Parma, dove è stato creato un gruppo di
ricerca in analisi matematica di alto livello, è indubbio che l’Italia
paghi il confronto con altri paesi in termini di investimenti nella
ricerca e, di conseguenza, in competitività. Riconoscimenti come
quello che ho appena ricevuto rappresentano un importante
incentivo per chi lavora bene (e in Italia ci sono tanti casi eccellenti),
ma il livello di risorse destinate alla ricerca di base, a partire
dalla matematica, è ancora davvero troppo basso. E non si chiede
la Luna: rispetto ad altre discipline, la matematica è piuttosto
«economica», perché non necessita di laboratori o strumenti particolarmente
costosi. Eppure, anche la sola possibilità di creare un
gruppo di ricerca competitivo spesso è del tutto impraticabile, a
causa della mancanza di fondi sufficienti.
La matematica è sempre percepita dalla società come una materia
molto ostica. Pensa che esempi di eccellenza come il suo, oltre a quelli
di altri colleghi che hanno ricevuto riconoscimenti simili, potrebbero
costituire un’attrazione in grado di aumentare l’appeal della materia,
specie tra i più giovani?
Sicuramente esempi virtuosi possono rappresentare un riferimento
importante e utile, tuttavia la matematica è una di quelle
discipline in cui, spesso, tra il dire e il fare c’è di mezzo un oceano:
un conto è l’entusiasmo passeggero o il desiderio di emulazione,
tutt’altro conto è poi lavorarci davvero, affrontando difficoltà
che all’inizio sono indubbiamente non banali. Rispetto a discipline
come la fisica o la biologia, in cui ci sono aspetti più visibili e
concreti, «vendibili» fin da subito, in matematica la parte per cui
vale la pena studiare e faticare diventa visibile solo più avanti: è
soprattutto questo fattore, a mio parere, che porta spesso a relegare
questa materia tra quelle considerate più ostiche e talvolta
persino «antipatiche».
Cristiana De Filippis ha ricevuto il premio
dell’European Mathematical Society,
il più prestigioso della matematica europea
Eugenio Caruso - 13 ottobre 2024
Tratto da le scienze