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Cosa mangiavano i nostri antenati

Che cosa dovrebbe fare,una persona che cerca di mangiare in modo sano? «Penso che queste testimonianze indichino che dovremmo sentirci liberi di provare un po’ di diete diverse e trovarne una adatta a noi», commenta Pontzer. Ma «quando qualcuno ci dice che c’è solo un modo di mangiare, si sta sbagliando, e possiamo smettere di ascoltarlo».

L’evoluzione della dieta umana e il ruolo frainteso della carne I nostri antenati vicini e lontani non mangiavano solo o soprattutto carne. Hanno invece evoluto la capacità di sopravvivere e prosperare grazie a una varietà di alimenti di Kate Wong

Paul Saladino è a torso nudo, i bicipiti rigonfi mentre spinge un segaossa da macellaio avanti e indietro sul femore di una mucca. Quando, finalmente, riesce a tagliare l’osso, una folla di spettatori prorompe in applausi entusiasti. Con un sorriso abbagliante, Saladino si accerta di essere filmato, poi raccoglie una cucchiaiata di midollo dal centro di un pezzo di osso e lo deposita nella bocca di una ragazza impaziente, come un prete che dà la comunione.
Medico professionista, Saladino è un famoso sostenitore di una dieta a base di alimenti di origine animale che esalta la carne e gli organi, e demonizza le verdure. Attraverso video come questo, apparso su TikTok, e il suo podcast, predica sui social media a milioni di follower il valore di mangiare bue e fegato, midollo e testicoli. È autore del libro del 2020 The Carnivore Code e del libro di ricette a esso collegato. Ha fondato la società Heart and Soil, che vende integratori a base di organi, ed è cofondatore di Lineage Provisions, che vende proteine in polvere e barrette a base di carne. Saladino sostiene che la tradizionale piramide degli alimenti, con la sua ampia base di cibi di origine vegetale che si assottiglia verso quelli di origine animale, vada rovesciata e che il punto di vista della comunità medica, secondo cui alti livelli di colesterolo provocano disturbi cardiaci, sia sbagliato. Dice che la carne e gli organi sono la chiave per la salute, la forza e la vitalità.
Saladino non è solo, nelle sue campagne pro-carne. TikTok, Instagram e YouTube pullulano di influencer che propinano menu «carne-centrici». Come la cosiddetta paleodieta che li ha preceduti, questi regimi alimentari rifuggono cibi ultra-processati come patatine, cereali da colazione, pane confezionato, bibite gassate e hot dog. Ma, quando si parla di cibi di origine vegetale, sono molto più restrittivi della paleodieta. Alcuni loro sostenitori, come Saladino e il re dell’avventura Bear Grylls, ammettono una quantità limitata di frutta ma scoraggiano l’assunzione di verdure che, secondo loro, sarebbero piene di composti chimici difensivi per le piante e tossici per gli esseri umani. Altri, come lo psicologo canadese Jordan Peterson e la figlia Mikhaila, conduttrice di un podcast, caldeggiano una dieta a base di carne di manzo, sale e acqua. Molti, come l’influencer Brian Johnson, noto come Liver King, consigliano di consumare i prodotti di origine animale crudi, uova e latticini compresi.

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Pitture rupestri di cro-magnon delle grotte di Lascaux (Francia) datate approssimativamente 16.000 anni fa

Questi «influencer della carne» o meatfluencer, come a volte vengono chiamati, spesso caratterizzano il proprio regime alimentare come «ancestrale», poiché costituito dei cibi mangiati dai nostri antichi predecessori. Se questo è ciò che mangiavano i nostri antenati, sostengono costoro, questo è ciò che il corpo umano dovrebbe consumare. «Dobbiamo allineare la nostra dieta e il nostro stile di vita a milioni di anni di evoluzione degli ominidi e degli esseri umani», commenta Saladino in un altro video su TikTok. «Ecco come gli esseri umani possono prosperare».
Ma gli studi sui resti dei nostri antenati, come anche le osservazioni sui primati e sui cacciatori-raccoglitori dei giorni nostri, bocciano l’idea che gli esseri umani si siano evoluti per sostenersi principalmente grazie a cibi di origine animale. La carne ha avuto un ruolo significativo nella nostra evoluzione, ma ciò non significa che siamo destinati a mangiare come i leoni. Le vere diete ancestrali degli esseri umani sono difficili da ricostruire con precisione, ma erano enormemente più varie della maggior parte dei regimi alimentari dei carnivori; una scoperta che ha implicazioni importanti per quello che le persone, oggi, dovrebbero mangiare per essere in buona salute.
Per essere onesti nei confronti di chi promuove diete centrate sulla carne, gli scienziati hanno sempre prestato attenzione all’alimentazione carnivora nell’evoluzione umana, e lo stesso può dirsi dei giornalisti che scrivono sulle nostre origini (compresa la sottoscritta). Sono molti i fattori che hanno contribuito a questa tendenza. Da un lato, noi esseri umani siamo gli unici tra i primati a cacciare regolarmente animali grandi come noi, o più grandi, e gli scienziati hanno un interesse particolare a capire le caratteristiche che ci distinguono dalle altre creature. Inoltre, nelle testimonianze archeologiche, gli strumenti in pietra e le ossa di animali macellati si conservano più facilmente dei fragili resti vegetali. E poi c’è il fatto che la caccia, in particolare di mammiferi particolarmente grandi e pericolosi come gli elefanti, è di per sé più eccitante dell’andarsene in giro a raccogliere bacche, nocciole e simili, tuberi. In ogni caso, non c’è bisogno di fare chissà quale ricerca su Google per racimolare un mucchio di articoli scientifici e divulgativi che cercano di venderci l’idea che cacciare e mangiare carne è quello che ci ha reso umani.
L’interesse nei confronti del ruolo della carne e della caccia nelle origini umane ha radici profonde. Addirittura Charles Darwin speculò sulla sua importanza nel trattato L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, del 1871. Le idee sul modo in cui l’essere carnivori ha plasmato l’evoluzione degli esseri umani sono cambiate negli anni, ma l’opinione prevalente è questa: circa 2 milioni di anni fa Homo erectus, uno dei primi membri del nostro genere, iniziò a evolvere proporzioni del corpo simili a quelle dell’essere umano moderno, con gambe più lunghe, braccia più corte, un intestino più piccolo e un cervello più grande. I primi strumenti in pietra e le ossa di animali con segni di taglio risalgono a un periodo precedente a questo, suggerendo che l’invenzione di strumenti in pietra affilati consentirono ai primi esseri umani di macellare animali grandi e di avere accesso a una nuova, ricca fonte di calorie.
Questo cibo nutriente richiedeva meno elaborazione da parte del tratto gastrointestinale, caratteristica che consentì al nostro tessuto intestinale (energeticamente dispendioso) di ridursi. La carne ricca di calorie forniva inoltre un carburante che permise al nostro cervello (energeticamente dispendioso) di espandersi. Si instaurò così un circolo virtuoso: via via che i cervelli aumentavano di volume, i nostri antenati sempre più intelligenti escogitarono strumenti sempre più efficaci per procurare cibi di origine animale altamente energetici, favorendo un ulteriore sviluppo del cervello nel genere Homo.
Se questo fosse tutto ciò che sappiamo sull’evoluzione umana, saremmo tentati dal concludere che noi esseri umani ci siamo evoluti per una dieta basata sulla carne. Questo, però, è solo una parte di quello che l’antropologia e l’archeologia hanno imparato sul cibo e sulle origini umane; anche questo capitolo della nostra storia, negli ultimi 15 anni, è stato rivisto alla luce di nuove testimonianze. Scoperte di nuovi fossili e analisi di ultima generazione del DNA stanno rivelando quello che mangiavano i nostri antenati con un livello di dettaglio senza precedenti. Per una comprensione più chiara dell’evoluzione nostra e della nostra alimentazione, dobbiamo dare uno sguardo più ravvicinato a ciò che è successo prima e dopo lo spartiacque di 2 milioni di anni fa.

Cominciamo dal principio. Esseri umani, scimmie e grandi scimmie antropomorfe costituiscono un sottoinsieme di primati, noto come Simiiformes, che si sono evoluti per mangiare frutta. La linea evolutiva degli ominini (che include Homo sapiens e i suoi parenti estinti, tra cui Ardipithecus e Australopithecus) risale a circa 6-7 milioni di anni fa. Fossili degli ominini più antichi indicano che questi individui camminavano in posizione eretta su due gambe, ma trascorrevano ancora molto tempo sugli alberi. Non sembra che fabbricassero strumenti in pietra e probabilmente sopravvivevano con un’alimentazione simile a quella degli scimpanzè e dei bonobo, i nostri parenti più stretti oggi in vita: soprattutto frutta, nocciole e simili, semi, radici, fiori e foglie, insieme a insetti e a qualche piccolo mammifero di tanto in tanto.
Sembra che gli ominini, per tutta la prima metà della storia a noi nota, abbiano mantenuto questa dieta a base vegetale: non hanno lasciato alcuna traccia materiale di un’alimentazione con carne. Soltanto quasi 3 milioni di anni dopo l’inizio della nostra linea evolutiva iniziamo a trovare qualche segno del fatto che i nostri antenati si cibavano di grandi animali.
La più antica, possibile testimonianza di ominini mangiatori di carne proviene da Dikika, in Etiopia. Qui, i ricercatori hanno trovato frammenti di ossa appartenenti a mammiferi grandi come capre e mucche con segni che suggeriscono una macellazione che sarebbe avvenuta almeno 3,39 milioni di anni fa. Il macellaio in questo caso era probabilmente Australopithecus afarensis, un esemplare della specie di ominini dal cervello e dal corpo di piccole dimensioni a cui appartiene il famoso fossile di Lucy: si tratta infatti dell’unica specie di ominino nota in quell’epoca in quel luogo. Sebbene non sia stato scoperto alcuno strumento, in base allo schema dei danni inferti alle ossa alcuni ricercatori hanno concluso che Australopithecus afarensis usava pietre aguzze per staccare la carne dalle ossa, che colpiva con sassi arrotondati per accedere al midollo interno.
Gli strumenti in pietra più antichi provengono dal sito di Lomekwi, nel Kenya nord-occidentale. Come le ossa segnate dai tagli di Dikika, questi strumenti vecchi di 3,3 milioni di anni sono di molto antecedenti all’origine del nostro genere, Homo, e sembrano essere piuttosto il frutto del lavoro di australopitechi dal cervello piccolo. Entrambi gli eventi sembrano poi temporalmente isolati, un fuoco di paglia evolutivo separato da centinaia di migliaia di anni dalla successiva testimonianza più antica di strumenti in pietra e di attività di macellazione.
Secondo Briana Pobiner, paleoantropologa allo Smithsonian National Museum of Natural History che studia l’evoluzione dell’alimentazione carnivora negli esseri umani, fu solo 2 milioni di anni dopo che gli ominini iniziarono a includere nella loro dieta selvaggina di grandi dimensioni con maggiore continuità. Il sito di Kanjera South, nel Kenya sud-occidentale, che documenta attività di ominini vissuti circa 2 milioni di anni fa, è uno dei primi a preservare testimonianze di quella che i ricercatori chiamano «carnivoria persistente». Qui, antichi membri del genere Homo scelsero alcune pietre e le trasportarono anche fino a 10 chilometri di distanza per fabbricare i loro strumenti in pietra che usarono per estrarre carne e midollo da un gran numero di mammiferi diversi che vivevano nelle praterie circostanti, dalle piccole antilopi a bovini delle dimensioni degli gnu. Alcune antilopi sembra siano state procacciate intatte, presumibilmente cacciandole, mentre gli animali più grandi potrebbero essere stati depredati già da morti: indipendentemente da come entrarono in possesso delle carcasse, gli ominini di Kanjera macellarono animali in questo sito ripetutamente, nel corso di diverse generazioni; le loro ossa sono state trovate attraverso uno strato sedimentario spesso tre metri.

Gli ominini di Kanjera ritornarono sul posto più volte per macellare animali, ma questa carnivoria persistente non era diffusa altrove. Non fu nemmeno seguita da un aumento costante del consumo di carne nel tempo, come ci si aspetterebbe nello scenario del circolo virtuoso. W. Andrew Barr, della George Washington University, e colleghi, tra cui Pobiner, hanno analizzato le testimonianze del consumo di carne da parte di ominini nel record zoo-archeologico dell’Africa orientale tra 2,6 e 1,2 milioni di anni fa. Sebbene le prove di un’alimentazione carnivora aumentino poco dopo 2 milioni di anni fa, con l’avvento di Homo erectus, il primo ominino a raggiungere proporzioni corporee moderne, lo studio ha scoperto che questo schema è il risultato di un bias di campionamento: i ricercatori hanno raccolto più materiale archeologico di questo periodo temporale rispetto a intervalli precedenti. Le loro scoperte, hanno concluso Barr, Pobiner e coautori, non sostengono l’ipotesi per cui la carne ci abbia reso umani.

«Quando penso ai cambiamenti dell’alimentazione nel corso del tempo, non credo che questi cambiamenti siano stati lineari», commenta Pobiner. In molti sensi, i cambiamenti sono andati più nella direzione di ampliare il ventaglio di alimenti che in quella di progredire da una dieta vegetariana a una carnivora, spiega la scienziata. «Gli esseri umani sono onnivori», commenta. «Lo siamo sempre stati».

Persino a Kanjera, con il suo accumulo impressionante di ossa di animali macellati, la carne non era l’unico cibo a disposizione. Le analisi dei bordi taglienti di un campione di strumenti in pietra provenienti dal sito hanno rivelato che la maggior parte mostra schemi di usura caratteristici di strumenti usati per tagliare piante erbacee e i loro organi che, sottoterra, accumulano sostanze nutritive: tuberi, bulbi, radici e rizomi che le piante producono per conservare i carboidrati. Una parte più piccola degli strumenti mostrava segni collegati alla lavorazione di tessuti animali.
Per quanto l’evoluzione dell’alimentazione carnivora sia un punto importante del suo lavoro, Pobiner ha una posizione chiara: «Questo secondo me non significa che la carne sia mai stata la componente più significativa della dieta dei primi esseri umani».
È possibile che i primi esseri umani, quando iniziarono a macellare gli animali, andassero alla ricerca di grassi, anziché di carne. Jessica Thompson, della Yale University, e colleghi sostengono che prima che gli ominini inventassero strumenti di pietra adatti alla caccia di grandi animali potrebbero aver usato strumenti più semplici per rovistare nelle carcasse abbandonate, alla ricerca di cervelli e midolli ricchi di nutrienti. Carne magra come quella degli animali selvatici è energeticamente costosa da metabolizzare e, in assenza di grassi nella dieta, può provocare avvelenamento da proteine e altri disturbi. Frantumare le ossa delle carcasse potrebbe aver prodotto i nutrienti extra necessari per alimentare la crescita del cervello prima che i nostri antenati sviluppassero la tecnologia necessaria alla caccia, più complessa.
Il grasso e la carne dei mammiferi terrestri non erano l’unica fonte possibile di calorie aggiuntive per gli ominini affamati. Il pesce, i molluschi e gli altri organismi acquatici animali e vegetali nutrivano i nostri progenitori che vivevano vicino a fiumi, I nostri antenati, inoltre, potrebbero aver ottenuto più calorie dagli animali e dai vegetali di cui si cibavano cucinandoli. Richard Wrangham, della Harvard Universlaghi e oceani. Già 1,95 milioni di anni fa, nel bacino del lago Turkana, in Kenya, Homo si cibava pesci e tartarughe, tra gli altri alimenti di origine acquatica.
I nostri antenati, inoltre, potrebbero aver ottenuto più calorie dagli animali e dai vegetali di cui si cibavano cucinandoli. Richard Wrangham, della Harvard University, ha proposto che la cottura, che rende il cibo più facile da masticare e da digerire, potrebbe aver fornito al genere Homo il carburante extra necessario per alimentare un cervello più grande. Nel 2022, alcuni ricercatori hanno annunciato di aver trovato resti di pesci che avrebbero potuto essere stati cucinati con una fonte di calore controllato 780.000 anni fa nel sito di Gesher Benot Ya’aqov, in Israele.
C’è un altro luogo in cui gli scienziati possono andare alla ricerca di indizi su ciò che mangiavano i primi umani: i loro denti. Quando i ricercatori hanno analizzato il tartaro preservato nei denti macchiati di due esemplari sudafricani di Australopithecus sediba, hanno scoperto microscopici frammenti di silicio proveniente da vegetali che questi ominini mangiarono quasi 2 milioni di anni fa: corteccia, foglie, carici ed erbe.
Persino i Neanderthal, i nostri cugini robusti che dominarono l’Eurasia per centinaia di migliaia di anni e sono noti per essere stati abili cacciatori di selvaggina di grossa taglia, si nutrivano di vegetali. Amanda Henry, dell’Università di Leida, nei Paesi Bassi, e colleghi hanno trovato tracce di legumi, datteri e orzo selvatico nel tartaro dei denti fossilizzati di Neanderthal. E il gruppo di Karen Hardy, dell’Università di Glasgow, in Scozia, ha scoperto nei denti di alcuni esemplari granelli di amido arrostito, a indicare che mangiavano vegetali cotti. Alcuni Neanderthal potrebbero addirittura aver fatto a meno della carne: in uno studio co-diretto da Laura Weyrich della Pennsylvania State University, le analisi del DNA preservato nel tartaro di Neanderthal scoperti nella grotta di El Sidrón, in Spagna, hanno evidenziato la presenza di tracce di pinoli, muschio e funghi; di carne, neanche l’ombra.
I ricercatori hanno sviluppato altre tecniche per studiare quello che gli ominini si mettevano in bocca e masticavano, per esempio misurare gli isotopi degli elementi chimici nei denti, ma questi metodi hanno limiti importanti: non sono in grado di determinare la proporzione, nella dieta, di cibi di origine animale rispetto a quelli di origine vegetale. Su questo aspetto, un altro studio sul tartaro ci offre un indizio. James Fellows Yates, del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie, e colleghi hanno analizzato il DNA di batteri preservati nel tartaro di Neanderthal e poi lo hanno confrontato con il DNA batterico dei denti di scimpanzé, gorilla, scimmie urlatrici (Alouatta) ed esseri umani moderni. Il gruppo ha scoperto che i Neanderthal e gli esseri umani moderni del loro campione ospitavano un gruppo di batteri Streptococcus che i primati non umani non avevano. Questi batteri si nutrono con gli zuccheri di cibi ricchi di amido come radici, semi e tuberi. La loro presenza nella bocca dei Neanderthal e degli umani moderni – ma non in quella dei primati non umani, che mangiano per lo più parti di piante prive di amido – indica che Homo si era adattato a mangiare una gran varietà di cibi vegetali ricchi di amido nel momento in cui i Neanderthal e gli esseri umani moderni si separarono dal loro ultimo antenato comune, circa 600.000 anni fa. Queste tempistiche indicano che nel genere Homo una dieta ricca di carboidrati aiutò ad alimentare l’espansione del cervello.
Altre caratteristiche dei denti suggeriscono indizi ulteriori nel tentativo di capire che cosa mangiavano i nostri antenati. Se osserviamo la morfologia dei denti degli ominini nel corso del tempo, commenta Peter Ungar, paleoantropologo e biologo evolutivo dell’Università dell’Arkansas, notiamo che gli australopitechi avevano grossi denti piatti, con lo smalto spesso: caratteristiche che ne indicano la specializzazione nel frantumare alimenti duri come i semi. Homo, dal canto suo, ha evlluto denti più piccoli, con creste più adatte a mangiare cibi che si masticano male, come la carne.
Eppure, noi esseri umani siamo privi dei lunghi canini affilati che permettono ai carnivori di infilzare e lacerare le prede, e anche degli appuntiti denti carnassiali che triturano la carne.
«Non siamo carnivori puri, non lo siamo mai stati», conclude Ungar. «I nostri denti non sono progettati per mangiare carne». Questo non significa che non possiamo sopravvivere cibandoci di tessuti animali, osserva lo scienziato, tagliare e cuocere sono due procedure che facilitano il nostro consumo di carne, ma «chiunque abbia masticato carne essiccata abbastanza a lungo sa che i nostri denti non sono stati progettati per questo scopo. E nemmeno per masticare una bistecca al sangue, se è per questo.
I buchini e i graffi microscopici lasciati dal cibo sui denti rinforzano il messaggio. Mentre i microscopici schemi di usura dentaria di Australopithecus riflettono un intervallo ristretto di alimenti, quelli dei primi esponenti di Homo mostrano un intervallo un po’ più ampio. I membri di Homo comparsi successivamente mostrano micro-schemi di usura che indicano come mangiassero più tipi di alimenti diversi. Per quanto queste testimonianze siano limitate, commenta Ungar, suggeriscono che Homo diventò un mangiatore più versatile, capace di consumare una quantità di cibi più ampia dei suoi predecessori. Questa versatilità sarebbe stata utile ai nostri antenati mentre si diffondevano in nuovi ambienti che offrivano una maggiore varietà di tipi di alimenti.

P er perorare la propria causa di grandi consumatori di carne, i sostenitori delle diete a base di cibi di origine animale amano citare gli Hadza, un gruppo di cacciatori-raccoglitori della Tanzania settentrionale. Saladino e Liver King li menzionano regolarmente nei video che pubblicano sui social media. «Vi assicuro che agli Hadza non importa nulla delle verdure. Praticamente non mangiano verdure», dice Saladino, che una volta ha incontrato gli Hadza in un’escursione turistica.

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Antropologi che hanno vissuto con gli Hadza e ne hanno studiato l’alimentazione per anni non sarebbero d’accordo. Herman Pontzer, della Duke University, nota che da decenni i ricercatori hanno osservato che i cibi di origine vegetale costituiscono almeno il 40 per cento della dieta degli Hadza. E non sono l’unico caso: cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo ottengono in media circa la metà delle calorie da cibi di origine vegetale e l’altra metà da cibi di origine animale. Ma questa media oscura il vero valore della strategia di caccia e raccolta: consentire alle persone di sopravvivere grazie a un’ampia varietà di diete a seconda di quanto è disponibile nell’ambiente in un dato momento dell’anno. Studi di lungo termine sugli Hadza mostrano che in alcuni mesi ottengono la maggior parte delle calorie dal miele, in altri periodi mangiano soprattutto cibi di origine vegetale, radici comprese, in altri momenti ancora la carne è praticamente assente dalla loro dieta.
Ciò che ha fatto trionfare gli esseri umani non è stata la sostituzione delle piante con gli animali, ma aver aggiunto la caccia al nostro repertorio. Secondo Pontzer, caccia e raccolta producono ogni giorno, in modo affidabile, più calorie di qualsiasi altra strategia dei primati. La ragione per cui funzionano è che sono un portafoglio misto: «Ci sono alcune persone che vanno alla ricerca di animali ad alto valore nutritivo, difficili da catturare, con un sacco di grassi e proteine: un’ottima cosa», continua Pontzer. «E poi ci sono quelle che vanno a cercare cibi vegetali, più affidabili. È l’equilibrio di queste cose che rende la strategia così vincente».
La caccia e la raccolta producono così tante calorie, a dire il vero, che gli individui possono permettersi di condividerle con altri membri del gruppo, tra i quali i bambini, i cui cervelli si sviluppano più lentamente rispetto ad altre specie e che hanno bisogno di più tempo per imparare a cavarsela da soli. Un vegetariano puro non può fare una cosa del genere, perché per quanto il numero di calorie che si possono ottenere ogni giorno mangiando vegetali sia molto affidabile, potrebbe non essere abbastanza alto da produrre calorie in eccesso. Un carnivoro puro, d’altra parte, vivrà lunghi periodi di digiuno tra banchetti che, in media, non generano calorie extra. Ma quando mettiamo insieme le due cose, osserva Pontzer, generiamo un sovrappiù. E questo sovrappiù, ipotizza il ricercatore, è la variabile che ha reso possibili caratteristiche umane costose dal punto di vista energetico come un cervello grande e l’infanzia prolungata.
Ciò che indicano le prove fossili, archeologiche ed etnografiche, allora, è che non esiste un’unica dieta prescritta per noi dalla natura. I cibi che i nostri antenati mangiavano variavano moltissimo nel tempo e nello spazio, in (gran) parte sotto la spinta di quello che era disponibile via via che le stagioni cambiavano, il clima mutava e le popolazioni si diffondevano in nuovi ecosistemi. Forgiati in questo crogiolo di incertezze, abbiamo evoluto la capacità di sopravvivere e prosperare grazie a una varietà di alimenti impressionante. I cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo hanno diete che variano moltissimo nella proporzione di cibi di origine animale e vegetale e tutti loro sembrano godere di buona salute ed essere protetti da disturbi cardiaci, diabete e altre malattie comuni nelle popolazioni industrializzate. Ciò che indicano le prove fossili, archeologiche ed etnografiche, allora, è che non esiste un’unica dieta prescritta per noi dalla natura. I cibi che i nostri antenati mangiavano variavano moltissimo nel tempo e nello spazio, in (gran) parte sotto la spinta di quello che era disponibile via via che le stagioni cambiavano, il clima mutava e le popolazioni si diffondevano in nuovi ecosistemi. Forgiati in questo crogiolo di incertezze, abbiamo evoluto la capacità di sopravvivere e prosperare grazie a una varietà di alimenti impressionante.
I cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo hanno diete che variano moltissimo nella proporzione di cibi di origine animale e vegetale e tutti loro sembrano godere di buona salute ed essere protetti da disturbi cardiaci, diabete e altre malattie comuni nelle popolazioni industrializzate. Che cosa dovrebbe fare, allora, una persona che cerca di mangiare in modo sano? «Penso che queste testimonianze indichino che dovremmo sentirci liberi di provare un po’ di diete diverse e trovarne una adatta a noi», commenta Pontzer. Ma «quando qualcuno ci dice che c’è solo un modo di mangiare, si sta sbagliando, e possiamo smettere di ascoltarlo».

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Cambiamenti climatici e modifiche della dieta dei nostri antenati

 


L’alimentazione nella preistoria

Che cosa mangiava l’uomo preistorico? Quali gli alimenti principali e quante le varietà? Cosa c’è alla base del cerimoniale che circonda il cibo, la sua preparazione il significato conviviale e le funzioni sociali del cibo? Un viaggio nella Preistoria per capire lo sviluppo della civiltà anche attraverso le scelte alimentari.

L’alimentazione nella Preistoria. La Paleo-diet, un regime alimentare… “saporito”

Olive saporite in salamoia, frutti di mare, zuppa fredda di mandorle, cosciotto di cervo e di cinghiale arrostiti allo spiedo, accompagnate da gallette di avena e un contorno di lenticchie insaporite al lardo. Il tutto, volendo, leggermente inebriato da una bevanda fermentata al gusto di ginepro. No… questa non è la cena dell’uomo preistorico, ma un esempio di Paleo-diet, un regime che negli ultimi anni ha fatto molta tendenza, ispirato…liberamente… all’alimentazione dei nostri antenati. Ma iniziamo il nostro viaggio che, attraverso diversi articoli, ripercorrerà la storia dell’alimentazione partendo da questo che è un breve excursus sulle “preferenze gastronomiche” dei nostri predecessori preistorici.

L’alimentazione della preistoria: le fonti

Come è possibile conoscere di cosa si nutrivano i nostri precursori durante la Preistoria? Sappiamo che questo è un orizzonte impervio perché i resti sono pochi, tutto sommato, e non esistono fonti scritte né orali. Per questo periodo che precede la storia, sono le fonti materiali a sostenere le ricerche degli studiosi. In particolare, le informazioni sull'alimentazione sono state ricavate principalmente dall'analisi di feci fossilizzate, chiamate coproliti. L’analisi delle ossa, inoltre, ha permesso di individuare abbastanza verosimilmente il periodo e la composizione alimentare della nutrizione dei nostri predecessori. Questi dati sono stati infine completati e implementati dallo studio delle abitudini alimentari delle popolazioni indigene ancora viventi.

L’alimentazione della Preistoria. L’opportunismo alla base della sopravvivenza

Ormai da diversi decenni è aperto il dibattito sulle dominanti alimentari dei primi ominidi: l'Australopitecol'Homo habilis, poi l'Homo erectus.  Erano cacciatori o mangiatori di carogne? Prevalentemente carnivori o onnivori? L’ipotesi che fino a questo momento pare essere quella più attestata è che, all'origine, l'uomo abbia praticato una caccia attiva con gli strumenti che aveva a disposizione (bastoni, pietre), approfittando, quando si offriva la possibilità, anche delle prede uccise da altri predatori. Una “tecnica mista”, dunque. Prima di imparare l’utilizzo di strumenti specifici per cacciare, il nostro antenato deve essere stato un grande opportunista. Cominciò da subito a scavare la terra con le mani, poi con pietre appuntite, per estrarre radici e tuberi di tutti i tipi. 

Raccoglieva frutti e bacche che imparò ad individuare come commestibili; e poi insetti, le uova, piccoli invertebrati e in generale animali di piccola taglia facilmente catturabili, come molluschi, tartarughe e piccoli mammiferi. Dunque, possiamo immaginare una prima alimentazione in cui la carne ha un ruolo primario? Era veramente così dominante nelle abitudini degli ominidi? Sicuramente era il piatto principale, tuttavia non dobbiamo trascurare il ruolo dei vegetali. Proprio così, anche nel Paleolitico, gli uomini hanno abbondantemente integrato l’alimentazione proteica con cibi di natura vegetale Una cosa sembra essere certa: gli uomini sono stati onnivori fin dalla loro prima comparsa. Naturalmente la loro vocazione per una nutrizione prevalentemente vegetariana o carnivora ha attraversato fasi altalenanti in relazione all'epoca, alle condizioni climatiche e alla “cultura” che piano piano si affacciava sulle desolate terre dei primi tempi. D’altra parte, già prima dell'apparizione degli ominidi, esistevano primati onnivori.  Ma cerchiamo di seguire le tracce dei primi uomini per scoprire di cosa si alimentassero nelle diverse epoche mentre trascorrevano le grandi ere.

Il nostro antenato più antico

Partiamo dall’Homo habilis, che è il più antico antenato del genere Homo. Sappiamo tutti che è stato denominato così perché sono stati trovati degli utensili primitivi risalenti alla sua presenza, e anche che molto probabilmente è comparso in Africa due milioni di anni fa. Oltre a una capacità cranica ancora maggiore rispetto agli australopitechi, l’Homo Habilis presentava anche molari più piccoli, il volto meno prominente, più alto, con braccia più lunghe, gambe più corte e la sua corporatura era simile a quella delle scimmie. Dai resti sappiamo che utilizzava utensili primitivi per uccidere e squartare le carcasse di animali. Questo fa supporre che l’Homo habilis abbia sviluppato capacità più strutturate per raccogliere il cibo. La sua dieta era prevalentemente costituita da carne, ma anche frutta e vegetali. Per quanto riguarda il procacciamento del cibo gli studiosi oramai propendono per una tecnica mista.

La grande trasformazione dell’Homo erectus

Tuttavia, sarà con l’Homo erectus, primo ominide comparso due milioni di anni fa, che si assiste alla grande trasformazione nella linea evolutiva. Il suo cervello cresce ancora di volume, il cranio si fa più arrotondato, il viso più piatto, i denti più piccoli ed è molto più alto del suo predecessore. La sua corporatura e il maggior volume cerebrale gli consentirono di compiere attività che prima gli erano precluse, come costruire primi insediamenti, cacciare in modo sistematico, accendere il fuoco e produrre i primi utensili di pietra. Specialmente in Europa, dal paleolitico inferiore, la caccia e il consumo delle carni acquisiscono un ruolo sempre più importante. Nel paleolitico superiore, invece, prende sviluppo una caccia specializzata ai branchi di renne, di cavalli, di bisonti, di uri o di mammut, come testimoniano i dipinti rupestri. Naturalmente il tipo di animale cacciato variava a seconda delle regioni e delle risorse locali. È con il riscaldamento del clima europeo, che l'uomo del mesolitico deve rassegnarsi a cacciare animali molto più piccoli, come cervi, cinghiali, piccoli carnivori da pelo, lepri, uccelli e anche lumache. In questo periodo prosegue e si accentua la sua attività rivolta alla pesca e alla raccolta, che hanno sempre seguito l’attività dell’uomo. Con la rivoluzione neolitica e con le prime civiltà, il ruolo della caccia si è sempre più ridotto e ridimensionato per lasciare il posto all'addomesticazione e all’allevamento del bestiame come bovini, ovini, caprini, suini.  È proprio tra 1200 e 7500 a.C. che avvenne l’“addomesticazione”, cioè la coltivazione delle piante e l’allevamento degli animali. Sembra che la grande rivoluzione, la svolta più significativa nel campo dell’alimentazione, e quindi dell’economia, sia partita dalle regioni orientali, quelle che ora corrispondono all’Anatolia sud-orientale, alla Siria, a Israele, e alla Palestina: territori in cui i cacciatori addomesticarono il maiale, la capra, la pecora, i bovini. Nello stesso periodo cominciarono le prime coltivazioni strutturate di prodotti agricoli.Secondo un recente studio, l'agricoltura si è sviluppata 20-22.000 anni fa in modo indipendente in almeno una decina di luoghi della terra: dagli altopiani della Nuova Guinea, all'America centrale e al Medio Oriente. A differenza dei cacciatori, per gli agricoltori preistorici avere molti figli significava disporre di nuove braccia per dissodare, arare, seminare e raccogliere. Anche per questo la diffusione dell’agricoltura portò ad un forte e costante aumento delle nascite, e quindi alla crescita di villaggi stanziali sempre più estesi. In queste prime società agricole le prime piante coltivate furono le stesse già presenti allo stato selvatico ma di più facile coltivazione. Ci riferiamo principalmente ai legumi, ai tuberi e tra i cereali, soprattutto orzo e grano.

Crudo o cotto? L’importanza di cucinare il cibo

Ora sai di cosa si nutrisse l’uomo preistorico, ma ti sei mai chiesto come preparasse il suo cibo? Quando comincia a “cucinare” gli alimenti? La “gastronomia” degli uomini primitivi è un aspetto che è sempre stato trascurato. Perfino i grandi antropologi Charles Darwin o Claude Levi-Strauss hanno sorvolato sulla questione. Un aspetto considerato di poca importanza, relegato ai margini della storia. Ma poco più di una decina di anni fa l’antropologo di Harvard, Richard Wrangham, suggerisce forse per la prima volta, che il segreto dell'evoluzione dei nostri progenitori sarebbe proprio quello di aver imparato a cucinare. Una teoria inedita e certamente rivoluzionaria che portò all’espressione «the cooking hypothesis», l’ipotesi culinaria, espressa nel libro dell’antropologo, dal titolo, “Catching fire: How cooking made us human”.  In questa opera, Wrangham, docente di antropologia biologica della più prestigiosa università americana, afferma che la scoperta del fuoco e la conseguente intuizione che il cibo avvicinato alle fiamme migliorasse sapore e qualità, abbiano avuto effetti decisivi sull'evoluzione dell’uomo.

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L’evoluzione dell’uomo intorno al fuoco

Non è solo una questione di gusto e di igiene, si tratta di una questione biologica. Sappiamo tutti che sia le carni che i vegetali, una volta cotti, sono molto più facili da digerire rispetto a quelli crudi. Ma non tutti sanno che l’energia risparmiata nella digestione venne recuperata dall'organismo dei primi ominidi e trasferita al cervello. Questo ha favorito un aumento di volume e un miglioramento della capacità intellettuale. Scrive anche l’antropologo: «Quest’energia in più ha dato ai primi cuochi significativi vantaggi biologici che li aiutarono a riprodursi meglio di prima, moltiplicando i propri geni».

L’angelo del focolare

Nasce così l’abitudine di consumare i pasti attorno al fuoco, abitudine che favorirà la socializzazione dei nostri antenati tra loro. Questo aspetto deve aver anche contribuito a temperare la loro natura tendenzialmente aggressiva. L’effetto collaterale? È proprio da questo momento che la donna, volente o nolente, viene assimilata al ruolo, di “angelo del focolare”. Una condanna? Dipende dai punti di vista. Comunque, per la sua minor forza fisica, la donna era meno adatta allo scontro con animali di grossa taglia e, quindi, a cacciare. Da questo momento, dunque, le donne furono probabilmente destinate alla cottura dei cibi, un’attività stanziale che richiedeva tempo e cura, anche per il mantenimento del fuoco.

Viaggio dentro le “cucine” preistoriche

Non sono molti gli studiosi che hanno avuto l’ardire di immaginare un vero e proprio viaggio dentro alle “cucine” preistoriche. Studiando la composizione delle ossa dei primi ominidi, la loro dentatura, le misure e i batteri ritrovati, Stephanie Schnorr, docente dell'Università di Leiden nei Paesi Bassi, ha cercato di ricostruire i loro gusti e le loro abitudini alimentari anche in termini di preparazione dei cibi. Lo ha fatto in modo appassionato e appassionante e, negli ultimi anni, è arrivata ad un’ipotesi molto accreditata di come potessero essere le tecniche di cottura preistoriche.

Gli amidi e la loro gelatinizzazione

L’avvincente e rivoluzionario studio di Stephanie Schnorr, che è stato pubblicato su Science Daily, è il risultato dell’osservazione della dieta quotidiana degli Hadza da cui arriva la conferma che sulle “tavole” preistoriche arrivavano ogni giorno tuberi e radici ricchi di fibre, per garantire l’energia per la sopravvivenza. Si trattava di tuberi che potevano essere consumati crudi o arrostiti. Ma c’è di più! Gli Hadza avevano scoperto, già in età preistorica, quale fosse il modo migliore per trasformare questi semplici e primari tuberi, in una pietanza gustosa e con la giusta consistenza. Con il tempo hanno anche compreso quale fosse il grado di cottura ideale per ottenerne i maggiori benefici nutritivi. Gli Hadza riuscirono, infatti, ad innescare il processo di “gelatinizzazione” degli amidi contenuti nei tuberi arrostiti, solo portando la temperatura alla giusta gradazione e raggiungendo il perfetto grado di cottura. Ogni cuoco sa che questo processo è fondamentale per le preparazioni di pane, pasta, riso e prodotti di pasticceria. È infatti in grado di garantire, la digeribilità degli alimenti che contengono amidi, attivando gli enzimi digestivi. Pensare che questa sia una scoperta risalente ai tempi delle cucine preistoriche, be’…fa un certo effetto!

Il tempo della cottura: quel “saper attendere” che porta gusto e benefico

Sempre il popolo degli Hadza ha avuto modo di ragionare sui tempi di cottura delle tante radici cotte e consumate nel corso della storia. Radici che, nonostante fossero cibi non tossici anche da crudi, preferivano gustare arrostite per un tempo pari a 20 minuti di cottura. Avevano infatti scoperto il tempo perfetto per ogni preparazione in cucina, e non solo per una questione di gusto. Compresero che valeva la pena attendere oltre il tempo in cui l’alimento fosse già pronto, per gustare al meglio un piatto, proprio come accade oggi.

Tutta la bontà delle zuppe

Altri studiosi si sono interrogati sulle modalità di cottura dei cibi nel corso del Paleolitico, e sui recipienti usati per conservare al meglio il sapore e la temperatura. Da questi studi emerge che le carni per lo più venivano cotte, arrostite e affumicate, all'interno di buchi nel terreno in cui venivano poste le braci. Sempre nello stesso periodo si iniziarono ad usare i primi contenitori termici e recipienti per contenere il cibo e in particolare…le zuppe! Sembra che semi e radici venissero bolliti per poi triturarli e trasformarli in saporite minestre che venivano gustate all'interno di contenitori creati con le cortecce degli alberi. Alcune tribù di cacciatori usavano anche delle “pentole” primitive, ricavate da sacche create con i resti degli animali cacciati. Nello stesso periodo comparvero anche i primi contenitori di ceramica. Intanto, le tecniche di cottura si affinarono e, già 14mila anni fa, erano molto simili a quelle che usiamo noi, ora.Poi finalmente nel Neolitico, dunque a circa 8mila anni prima di Cristo, nelle “cucine” dei nostri predecessori comparvero vere e proprie tecniche molto simili alle nostre abitudini attuali. Lo sapevi che le modalità di utilizzo del sale per conservare le carni e quella della vinificazione risalgono proprio a periodo?

Una questione di civiltà e cultura

Certo non è facile immaginare l’uomo immerso in un tempo primordiale ancora lontano dalle rassicurazioni della storia. Animali e piante over-size intorno a lui e tanti pericoli. Alcuni celebri film ci hanno aiutato a orientarci tra le ipotesi formulate, per creare i connotati di una mappa di paesaggio primitivo, nella nostra mente. Tra dubbi, ipotesi e ricostruzioni, una cosa è certa, il bisogno di procacciarsi il cibo ha accompagnato l’uomo nella sua origine, quello di cucinarlo, nella sua evoluzione.

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Eugenio Caruso - 17 ottobre 2024



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