Piccole, ma aggressive, ricche di anticorpi contro le cicliche crisi economiche. Nel pieno del terremoto finanziario che sta squassando l’economia mondiale come non si vedeva dal periodo della grande depressione, nonostante le montagne russe del prezzo del greggio e le fiammate delle materie prime, le piccole e medie imprese italiane non perdono la fiducia ma investono in capitale umano e innovazione.
Lo rileva il rapporto dell’Osservatorio economico e territoriale di Fondazione Fiera di Milano, un benchmark in “presa diretta” dal palcoscenico fieristico che analizza l’andamento del tessuto produttivo, a partire da un’analisi sulle imprese espositrici e visitatrici (circa 9.000 imprese, per il 70% del campione si tratta di micro e piccole realtà), e che mostra come la vitalità delle piccole e medie imprese brilli anche in questo periodo recessivo
Nei tre principali settori presi in considerazione, (arredamento, moda e meccanica), simboli del Made in Italy nel mondo, non mancano spie d’allarme, alcune frenate per colpa della cattiva congiuntura. Ma nell’insieme le “piattaforme del territorio”, come lo studio definisce le nuove piccole e medie, imprese a rete, legata da una logica metadistrettuale e sovra regionale, continuano a viaggiare nel segno dello sviluppo. O perlomeno non cadono ai primi venti di crisi.
Il report ruota attorno a due indicatori, espressi attraverso un valore variabile tra -1 e +1: il primo è la self confidence, quella fiducia raccontata attraverso i parametri: occupazione, ordinativi, prezzi, fatturato e quote di ricavi realizzati con l’export; l’altro segue le tracce dell’innovazione, ovvero gli investimenti in R&S, numero di addetti specializzati, uffici di ricerca, brevetti, cooperazione con altre imprese o istituzioni.
In quanto a fiducia le Pmi della meccanica non si possono lamentare. Il loro indice rimane stabile, a quota 0,32. Stesso valore per le imprese della moda, mentre il comparto dell’arredamento segna una battuta d’arresto, pur restando in territorio positivo, con uno scivolone a 0,26 contro lo 0,45 del 2007.
Questi dati si coniugano con la ricerca appena pubblicata da Excelsior 2008, il sistema informativo dell’Unioncamere e del Ministero del Tesoro, secondo cui i nuovi posti di lavoro, nelle piccole e medie imprese, sono aumentati dell'1,5% (mentre le grandi imprese arretrano dello 0,2%) A metà anno, infatti, le piccole imprese avevano già assunto i 100mila nuovi dipendenti preventivati a inizio 2008 e con buone prospettive di miglioramento nel secondo semestre.
«L’economia reale, la spina dorsale del nostro Paese, che è composta di piccole e medie imprese, tiene. E regge bene anche in momenti difficili come quello che stiamo affrontando, - spiega Luigi Roth presidente di Fondazione Fiera Milano. - Certo c’è preoccupazione per l’andamento delle borse internazionali e le inevitabili ripercussioni sui mercati. Molte piccole temono una stretta nel credito o perlomeno un rincaro sulle linee dei finanziamenti. Ma appare chiaro che c’è una parte sana dell’economia che non sbanda e tira dritto anche in momenti difficili come questi». Ciò che emerge dall’osservatorio è l’immagine di un capitalismo territorializzato e cosmopolita, al tempo stesso legato al campanile domestico ma aperto sui mercati internazionali. «Un impasto complesso e articolato di una pluralità si soggetti semplici: la famiglia, l’impresa familiare e la piccola impresa, che può crescere a media impresa fino a diventare una multinazionale tascabile».
Sul fronte dell’innovazione, le piccole e medie imprese non brillano ancora quanto potrebbero. Nei comparti dell’arredamento e della moda, osserva l’osservatorio, si registra una flessione rispettivamente a 0,43 (contro lo 0,51 dell’anno precedente) e 0,33 (rispetto allo 0,43 del 2007). Corre invece la meccanica, «a conferma - spiega Roth - che in Italia il manifatturiero è più vivace che mai, anche se qualcuno lo dava per morto solo pochi anni fa, e che infatti sale per investimenti in innovazione da 0,39 a 0,44 di quest’anno». Quello che non dice la media ponderata dell’inchiesta di Fiera Milano, lo suggerisce però uno studio della School of Managemt del Politecnico di Milano che ha classificato le piccole e medie imprese italiane a seconda delle strategie Ict adottate. In Italia solo il 16% delle Pmi ha attivato infrastrutture Ict all’avanguardia.
Il presidente di Fiera Milano invita però ad andare oltre le voci di bilancio e alle percentuali di fatturato destinate alla R&S allo scopo di quantificare e definire l’innovazione delle piccole e medie imprese.
«L’export è la vera chiave di lettura per capire il grado di innovazione reale delle nostre imprese. E le esportazioni crescono superando quelle dei nostri vicini europei. Questo succede perché l’innovazione di prodotto e di processo spesso risulta come valore intangibile, inespresso dai semplici numeri dei bilanci. Ma che poi fa la differenza sui mercati esteri».
7 ottobre 2008
Impresa Oggi
Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda a
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.