Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

Come creare valore per l'impresa


Per quale ragione un imprenditore dovrebbe privilegiare il bilancio contabile, che riflette il passato e non interessarsi di un bilancio che contenga una valutazione, positiva o negativa, degli indicatori immisurabili? È più importante avere una conferma dei buoni risultati dell'impresa oggi, o essere certi di averne nei prossimi anni?

4. Valore sociale dell'impresa

Afferma il noto economista statunitense Michael Novak «La tradizione umanistica, in generale, si contrappone al pensiero economico moderno, in parte per un rifiuto aprioristico di un'analisi approfondita, in parte per l'ereditata ostilità degli umanisti verso l'ordine moderno, specie nella sua concezione capitalistica. Esteticamente, almeno, gli umanisti hanno a lungo rifiutato la "volgarità" di un'economia volta a innalzare i livelli di vita della gente comune. Essi guardano con disprezzo i bicchieri e i tovaglioli di carta di McDonald's, dalla distanza che nasce dalla più ricca esperienza del lino, dell'argento e del cristallo».
Novak sostiene che la maggior parte degli economisti liberisti loda il capitalismo per la sua capacità di potenziamento dell'individuo e delle sue libertà, ma trascura «la sua struttura sociale, la sua più rimarchevole invenzione, l'impresa, come utile strumento di giustizia sociale. La creazione di valore è una delle grandi responsabilità sociali per la cui realizzazione le democrazie guardano al mondo dell'impresa e in particolare ai nuovi protagonisti dell'economia. Il tasso di crescita delle piccole e medie imprese, abitualmente, è un ottimo indice dello stato di salute di una società, della sua salute non solo economica ma anche morale, della sua fiducia e dello spirito di generosità nei confronti degli altri». Egli osserva, inoltre, in America Latina ci sono più di cento milioni di disoccupati; da una parte ci sono, quindi, persone che cercano lavoro, dall'altro c'è un immane lavoro da svolgere. Chi farà in modo che le due esigenze si incontrino? Potranno essere solo centinaia di migliaia di imprenditori locali o stranieri; la speranza dei popoli del mondo sta nello spirito d'impresa di alcune persone.
Sempre Novak ha elaborato un modello di società che tenta di armonizzare le tre grandi sfere dell'agire umano, la politica, l'economia e l'etica, pervenendo ad un ideale di capitalismo democratico.
Secondo Novak, « … la politica, selezionando la propria classe dirigente, con la prova del consenso popolare, consente alla società di autogovernarsi nel rispetto dei diritti umani. L'economia, attraverso un sistema fondato sull'iniziativa privata, ha il compito di soddisfare le necessità materiali degli esseri umani, salvaguardando la loro creatività e la loro libertà. L'etica e la cultura sono in grado di nutrire i sistemi economico e politico di linfa vitale».
Il pensiero del cattolico Novak non si discosta da quello del protestante Max Weber quando afferma «Guadagnare denaro nell'ambito del moderno ordinamento economico è, quando è fatto legalmente, il risultato e l'espressione di una virtù e di una competenza derivanti da una chiamata. … quest'idea peculiare, a noi oggi così familiare, ma, in realtà così poco ovvia, secondo la quale ciascuno di noi è obbligato a rispondere a una chiamata, è l'aspetto più caratteristico dell'etica sociale della cultura capitalistica …».

5. La fortuna imprenditoriale

Sembrerebbe fuori luogo o poco professionale parlare di fortuna laddove si stanno analizzando gli elementi base per affrontare l'argomento della creazione di valore; eppure, molto spesso, parlando con gli imprenditori, viene fuori questa parolina magica.
Fortuna, è il nome della dea dell'Olimpo romano governante il destino degli uomini, spesso raffigurata bendata a indicare imparzialità. Quindi, sinonimo anche di sorte, generalmente benigna, sinonimo di caso favorevole, che si avvera senza seguire alcuna legge e per questo imprevedibile.
Di contro, l'impresa è l'istituzione che, attraverso svariate tecniche di gestione, cerca di programmare e pianificare il suo futuro. E, tuttavia, proprio l'impresa, nella sua attività quotidiana, è costantemente soggetta agli influssi della fortuna, generando essa stessa scenari imprevedibili, frutto del grande gioco del caso.
Una sintomatica testimonianza di questo discorso è stata resa da Piero Ottone nel suo libro Preghiera o bordello.
È interessante, infatti, il racconto di Ottone su come Repubblica divenne un'impresa economica di grande successo, partendo da una sfida di un gruppo di giornalisti coraggiosi. Scrive l'autore «Dopo una prima fiammata di curiosità, l'esordio fu faticoso. Gli errori di partenza si scontavano; e poi, deve sempre passare un po' di tempo prima che il pubblico si abitui a una nuova testata. … Ma i fattori negativi, a uno a uno, furono corretti, come se una mano invisibile, dopo avere cospirato contro la nuova iniziativa, fosse intervenuta per aiutarla, e il miracolo, a poco a poco, cominciò a delinearsi; il miracolo del successo, cioè quella magica coincidenza di circostanze favorevoli, dopo tanti auspici negativi». Dunque, in questo caso sarebbe stata una mano invisibile a muovere i fili della fortuna, determinando il successo, come evento definito miracoloso, in quanto incerto e, perciò, certamente, non programmabile».

Un celebre economista statunitense, Frank H. Knight in un suo libro dal titolo Risk Incertainty and Profit, aveva individuato nell'incertezza una delle peculiarità nel cui ambito si muove l'impresa. «Quello in cui viviamo è un mondo di mutamenti ed un mondo di incertezze», e ancora, «L'impresa rappresenta la più alta forma di incertezza, che non è suscettibile né di misurazione né di eliminazione». In questo quadro Knight richiama anche, esplicitamente, il fattore fortuna come elemento dominante.  «Se si considera il mondo quale esso è, un mondo dove tutti i disegni e tutti gli atti umani sono caratterizzati dall'incertezza, dobbiamo prevedere un altro elemento, la fortuna». L'imprenditore, con la sua attività costantemente rivolta a generare innovazione concorre ad accrescere l'incertezza nello scenario economico, come aveva teorizzato Schumpeter. Secondo l'economista austriaco, infatti, «Chiamiamo impresa l'introduzione di nuove combinazioni nello scenario economico, e chiamiamo imprenditori quei soggetti economici la cui funzione consiste nell'introdurle, al fine di creare valore».

Lo nstudioso austriaco precisa poi il ruolo che l'innovazione assume nel sistema economico in relazione alle esigenze determinate, o no, dai bisogni dei consumatori. « … le innovazioni nel sistema economico non avvengono di regola in maniera tale che prima sorgono spontaneamente nei consumatori nuovi bisogni e poi, sotto la loro pressione l'apparato produttivo riceve un nuovo orientamento. Noi non neghiamo il verificarsi di questo nesso. Però è il produttore che, di regola, inizia il cambiamento economico e i consumatori, se necessario, sono da lui educati; essi sono, come pure erano, considerati come persone che vogliono cose nuove, o cose che differiscono per qualche aspetto da quelle che sono abituati ad usare».

L'incertezza, dunque, domina a monte lo scenario che caratterizzerà l'azione imprenditoriale, e se la fortuna sarà propizia quell'azione si connoterà con il successo. Ma quella stessa azione imprenditoriale genererà situazioni le cui manifestazioni concorreranno a determinare uno scenario fortunato qualora la mano invisibile del caso avrà voluto operare con benigna propensione. Quella mano invisibile che Adam Smith aveva evocato per spiegare la formazione del benessere nazionale come evento generato, casualmente, dall'azione inconscia dei singoli produttori.

In sostanza, l'imprenditore decide di intraprendere la produzione sotto la spinta di un ragionamento egoistico, cogliendo le opportunità che la fortuna gli sottopone. Così, lui stesso diventa dispensatore di fortuna e di valore, concorrendo a promuovere il bene pubblico mediante il perseguimento del suo tornaconto personale sollecitato da eventi, il più delle volte, imprevedibili, casuali, fortunati.

È interessante, anche dal punto di vista storico, rileggersi le frasi con le quali Smith introduce il concetto della "mano invisibile". «Ogni individuo si sforza, nella misura del possibile, di impiegare il suo capitale a sostegno dell'attività produttiva nazionale, e di dirigere quindi tale attività in modo che il suo prodotto possa avere il massimo valore, ogni individuo opera necessariamente per rendere il reddito della società il massimo possibile. In effetti egli non intende, in genere, perseguire l'interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo. Quando preferisce il sostegno dell'attività produttiva del suo paese, invece di quella straniera, egli mira solo alla propria sicurezza e, quando dirige tale attività in modo che il suo prodotto sia il migliore, egli mira solo al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quanto intende effettivamente perseguirlo».

Nell'imprevedibilità degli scenari, fortuna, caso o sorte sovente decidono le azioni imprenditoriali con una connotazione diversa rispetto a quanto accade per volontà del destino, cioè, per fatalità.

Norberto Bobbio, in una significativa pagina del suo De Senectute sostiene «Non so se la mia fine sarà dovuta al caso, imprevedibile e imponderabile, oppure al destino, e quindi a un evento previsto e ponderato, sin dall'inizio dei miei giorni, da un potere a me sconosciuto. Non so né voglio sapere. Il caso spiega troppo poco, la necessità spiega troppo». E ancora, «L'unica cosa che credo di avere capito, ma non ci voleva molto, è che la storia, per tante ragioni che gli storici conoscono benissimo, ma di cui non sempre tengono conto, è imprevedibile». Gli avvenimenti che dànno origine alla storia, dunque, si manifestano negando il concetto di legge che, nella sua essenza, è un elemento di predicibilità, e soltanto ex post, quando si saranno consolidati proprio nella storia, potranno essere spiegati attraverso i principi della causalità (2) . Il destino è «potere supremo, occulto, che indipendentemente dalla volontà umana regola il succedersi di ogni evento».

Nel concetto di destino è insito un senso di ineluttabilità alla quale gli individui non possono sottrarsi; la fortuna o il caso, invece, sono in grado di generare eventi accidentali e imprevedibili ai quali l'individuo può o non può assoggettarsi, rendendo così più o meno realizzabili le opportunità connesse a quegli stessi eventi. Fortuna, caso o sorte, che si manifestano senza una legge, possono essere indotti dall'inevitabilità del destino, ma, gli effetti della loro azione rientrano nella realtà, non come eventualità di accadimenti probabili, ma come certezza di ciò che di fatto è già stato determinato.

L'impresa, dunque, soggetta a fortuna sempre imprevedibile e i cui effetti diventano legge quando si trasformano in gestione, in attività produttive e in valore, genera a sua volta eventi che nelle loro manifestazioni potranno determinare altro valore e altra fortuna, nello scenario in cui si collocano, diventando necessariamente fatti coordinati ex post dal principio della causalità.

Per approfondire le caratteristiche che dovrebbero distinguere l'impresa moderna si rimanda al seguente successo editoriale: L'impresa in un mercato che cambia.

Eugenio Caruso

LOGO

(2) Il principio di causalità, nella sua forma più generale, afferma l'esistenza di una connessione tra due "cose", in virtù della quale la seconda è univocamente prevedibile a partire dalla prima.


http://www.tecnichenuove.com


www.impresaoggi.com