Con questo articolo avviamo nella sezione AMBIENTE una nuova interessante finestra.
Pensiamoci su ...
L'inquinamento luminoso è un'alterazione dei livelli di luce naturalmente presenti nell'ambiente notturno. Questa alterazione, più o meno elevata a seconda delle località, provoca danni di diversa natura: ambientali, culturali ed economici. La definizione legislativa più utilizzata lo qualifica come "ogni irradiazione di luce diretta al di fuori delle aree a cui essa è funzionalmente dedicata, e, in particolare, verso la volta celeste".
Tra i danni ambientali si possono elencare: difficoltà o perdita di orientamento negli animali (uccelli migratori, tartarughe marine, falene notturne), alterazione del fotoperiodo in alcune piante, alterazione dei ritmi circadiani in piante, animali e uomo.
Fra le scienze più danneggiate dalla sparizione del cielo stellato vi è senza dubbio l'astronomia sia amatoriale che professionale; un cielo troppo luminoso infatti limita fortemente l'efficienza dei telescopi ottici che devono sempre più spesso essere posizionati lontano da questa forma di inquinamento.
Giova osservare che raramente si legge o si sente parlare di inquinamento luminoso se non quando esso è associato alla necessità del risparmio energetico, ebbene, pochi giorni fa, su La Stampa è comparso un articolo che citava uno studio internazionale proprio sull’inquinamento luminoso. Questo studio mostra come nei paesi anglosassoni questa forma di inquinamento è considerata con molta serietà. A esempio nell’area londinese è stato dimostrato che molti bambini - a causa di tale fenomeno - non sono in grado di percepire la luminosità naturalmente emessa dalla Via Lattea.
Alcuni angoli del pianeta avrebbero invece mantenuto intatto tale chiarore. Perché? Come si spiega questo fenomeno? Innanzitutto occorre dire che una spiegazione scientifica c'è. Laddove infatti la presenza dell'Uomo non é riuscita stabilmente a insediarsi non esiste inquinamento luminoso, nell'articolo si citano, a esempio, le seguenti località:
1. il parco gallese di Galloway.
2. l'Hocking Hills Park in Ohio (Usa).
3. il territorio dei Cangons Lands nello Utah, sempre negli Usa.
Chiaramente, grandi spazi implicano una presenza umana molto ridotta, ed enormi distese senza alcun inquinamento luminoso consentono una visibilità quasi ottimale del cielo stellato. Pertanto, si è formato un turismo animato dall'intenzione di godere di questo cielo: l'intero firmamento a disposizione solo per pochi "intimi". Si é andato formando un "turismo cult": novecentomila persone circa si recano ogni anno nelle foreste gallesi di Galloway per ammirare le stelle.
L'Italia ha un grande firmamento a disposizione; ma quanti hanno ancora la mente e il cuore per vedere tutto ciò? Tanti forse lo vorrebbero ma quelle luci artificiali nelle metropoli urbane impediscono questa visione. E allora ci si rechi a Galloway o in qualche vallata dell'entroterra nostrano per osservare le molte galassie che animano la volta stellata... piena di tanti segreti...E allora coraggio, spegniamo qualche luce e osserviamo qualche stella in più.
Giova osservare che, alla data attuale, la prevenzione dell'inquinamento luminoso non è regolamentata da una legge nazionale: benché essa sia stata più volte sottoposta al parlamento, non è mai giunta alla discussione in aula. Le singole regioni e la provincia autonoma di Trento hanno tuttavia promulgato testi normativi in materia, mentre la norma Uni 10819 disciplina la materia laddove non esista alcuna specifica più restrittiva. A seconda del regolamento tecnico richiamato i testi normativi possono essere classificati in:
- Disposizioni basate sulla norma Uni 10819: Valle d'Aosta, Basilicata, Piemonte.
- Disposizioni basate su specifiche più severe della norma Uni 10819: Toscana, Lazio, Campania, promulgate o modificate nelle forma definitiva tra il 1997 e il 2005.
- Disposizioni basate sul criterio "zero luce verso l'alto": fanno riferimento ai contenuti della Legge Regionale Lombardia 17/2000 e successive modifiche. Sono basate sul criterio per cui salvo poche e ben determinate eccezioni nessun corpo illuminante possa inviare luce al di sopra dell'orizzonte. Sono state promulgate da Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Marche, Abruzzo, Puglia, Sardegna, Liguria, Veneto e dalla provincia autonoma di Trento. Tutte le disposizioni successive al 2005 si basano su tali fondamenti. La regione Veneto ha adeguato la normativa nell'estate 2009 rendendola molto più efficace.
Nell'ottobre 2006 l'associazione dei produttori di apparecchi illuminotecnici (ASSIL) ha sottoscritto con l'International Dark Sky Association e l'Unione Astrofili Italiani un protocollo di intesa finalizzato a migliorare l'efficienza dell'illuminazione, definendo i criteri cui devono sottostare gli impianti di illuminazione e i singoli punti luce a seconda del luogo di installazione (centri storici, territorio ordinario, zone sensibili all'inquinamento luminoso). Tale protocollo d’intesa è il primo importante accordo firmato, sia dai produttori, che dagli astrofili. Tuttavia, è da sottolineare come tale accordo sia stato rifiutato in blocco da CieloBuio - Coordinamento per la protezione del cielo notturno (l'associazione che ha promosso la LR17/2000 Lombardia), che lo ritiene del tutto inadeguato nel contesto della lotta all'inquinamento luminoso.
CieloBuio-Coordinamento per la protezione del cielo notturno è una associazione senza fini di lucro che opera in Italia per la tutela del cielo e dell'ambiente notturno promuovendo la cultura di un’illuminazione eco-compatibile e sensibilizzando l'opinione pubblica sul fenomeno dell'inquinamento luminoso.
Nata in Lombardia nel 1997, CieloBuio ha raccolto adesioni da parte di astronomi, astrofili, ambientalisti, professionisti dell'illuminazione o semplici cittadini di tutta Italia.
Nella sua lotta contro l'inquinamento luminoso, CieloBuio ha come riferimento e modello da sostenere e promuovere la legge della regione Lombardia n. 17/2000, in tutte le sue forme ed estensioni. Tale legge si basa sul criterio dello "zero inquinamento", in base al quale, salvo poche e ben determinate eccezioni (a esempio aeroporti), nessun corpo illuminante può inviare luce al di sopra del piano dell'orizzonte.
Negli ultimi anni CieloBuio ha giocato un ruolo cruciale nell'approvazione di altre leggi regionali pensate sul modello lombardo, tra le quali si citano quelle in vigore nelle regioni Emilia-Romagna (LR 19/03), Marche (LR 10/02), Abruzzo (LR 12/05), Puglia (LR 15/05), Umbria (LR 20/05), Friuli-Venezia Giulia (LR 15/07) e Veneto (LR 17/09). Inoltre, la legge approvata in Lombardia ha ispirato la stesura delle leggi in vigore nella Repubblica Ceca (la prima nazione al mondo ad aver approvato una legge contro l'inquinamento luminoso che si applica sull'intero territorio nazionale) e in Slovenia.
Corrado Caruso
24 novembre 2009
AGGIORNAMENTI SU SVARIATI TEMI AMBIENTALI.
Aperta la conferenza di Copenahgen sul Clima (7 dicembre 2009)
Si è aperta a Copenaghen la conferenza sotto egida Onu sul cambiamento climatico: da oggi e per 12 giorni i rappresentanti di 192 paesi si riuniscono alla ricerca di una strategia globale per fermare il riscaldamento del pianeta. Alla kermesse che si tiene al Bella Center della capitale danese è atteso oltre un centinaio di capi di Stato, un evento senza precedenti da tempi del Summit della Terra di Rio de Janeiro nel 1992. La 15esima Conferenza dei partecipanti alla Convenzione Onu sul cambiamento climatico ha l'obiettivo dichiarato di dare un seguito al Protocollo di Kyoto, il primo trattato giuridicamente vincolante sul clima in scadenza a fine 2012. L'obiettivo largamente condiviso del summit è limitare la crescita della temperatura del mondo a due gradi centigradi, attraverso una drastica riduzione della emissioni di gas a effetto serra. Ma la ripartizione degli sforzi da compiere è tutt'altro che decisa. La conferenza di Copenaghen sul clima è "depositaria delle speranze dell'umanità", perchè il "cambiamento climatico non conosce frontiere, non discrimina, riguarda tutti", ha detto il premier danese Lars Loekke Rasmussen accogliendo 1.200 delegati da tutto il pianeta e aprendo i lavori del summit. "Sono dolorosamente cosciente del fatto che voi avete diverse prospettive sul quadro generale sul contenuto dell'accordo" sul cambiamento climatico che la conferenza persegue, ha sottolineato Rasmussen, confermando la partecipazione di 110 capi di stato e di governo da oggi alla fine del summit, prevista per il 18 dicembre. Il premier danese si è appellato alla necessità di raggiungere un accordo "giusto, equo, accettabile per tutti", ma allo stesso tempo "efficace e operativo". Intanto, dopo lunghi indugi e un ultimo cambio di programma la scorsa settimana, il presidente Usa Barack Obama sarà a Copenaghen il 18 dicembre (e non il 9, come da agenda sino alla settimana scorsa), mettendosi nella scomoda posizione di 'potenziale leader' dei tagli agli emissioni. Ma al summit contro il surriscaldamento Obama arriverà debole sul fronte interno e con il dossier dei cambiamenti climatici insidiato dal 'Climategate', una fuga di notizie che discredita il centro climatico inglese e le ricerche sulle cause umane del surriscaldamento. Proprio su questo 'incidente' rischia di incagliarsi il dibattito al Senato americano, che sta discutendo un progetto di legge per la riduzione delle emissioni a effetto serra e, chiaramente, indugia. Un atteggiamento che riporta alla mente l'esperienza del Protocollo di Kyoto, stilata con il contributo Usa e poi bocciata dal Senato. Se gli scettici hanno segnato con il Climategate un importante punto alla vigilia dei lavori di Copenaghen, la posizione da cui parte il summit è che per restare sotto quota due gradi le emissioni globali di gas serra, dovute in larghissima parte alle combustione di carburanti fossili, vanno senz'altro dimezzate entro il 2050. I conti però non tornano. Gli impegni annunciati fino ad oggi dai paesi industrializzati per il 2020 implicano un calo tra il 12 e il 16% delle loro emissioni rispetto ai livelli del 1990, ben lontano dalla forchetta 25-40% individuata dagli esperti come buona base di partenza per raggiungere gli obiettivi al 2050. Le ultime settimane hanno portato buone notizie, con l'impegno preciso, anche se modesto, degli Usa, che sono tornati alla lotta al cambiamento climatico dopo otto anni di inattività sotto l'amministrazione Bush, e della Cina, a cui si è aggiunta l'India. Ma, mentre le emissioni di Co2 non sono mai state così elevate (nel 2008 hanno toccato il nuovo record), il negoziato si presenta difficile, aspro. La Cina e l'India esprimono la loro frustrazione e additano le "responsabilità storiche" dei paesi industrializzati nel riscaldamento globale. I paesi poveri, i più esposti ai danni di un cambiamento di cui non sono responsabili, chiedono a gran voce aiuti per l'adattamento. Al di là dell'aritmetica dell'inquinamento globale, la scommessa è quella di varare, attraverso il trasferimento di tecnologie e di fondi, un nuovo modello di sviluppo per i paesi del Sud del mondo, meno assetato di combustibili fossili di quanto sia stato quello dei paesi industrializzati negli ultimi decenni.
Il capo del gruppo di scienziati dell'Onu che si occupano dei problemi climatici ha difeso oggi le scoperte che attribuiscono all'uomo la responsabilità del surriscaldamento del pianeta, dopo che alcuni critici hanno fatto riferimento a una serie di mail di un'università inglese nelle quali si mettono in dubbio queste scoperte. La consistenza delle prove è un evidente supporto al lavoro della comunità scientifica. E questo discorso vale anche per quelle prove oggetto dello scambio di mail, ha detto Rajendra Pachauri, nel giorno d'apertura del summit di Copenaghen sul clima. Pachauri è il capo del Panel Intergovernativo sul cambiamento climatico, ente che ha attribuito, nel 2007, almeno il 90% della responsabilità del surriscaldamento globale all'uomo. Alcuni critici hanno fatto riferimento a una serie di mail dell'Università di East Anglia in Gran Bretagna, dove si sostiene che gli scienziati abbiano manipolato le prove. Pachauri ha affermato che le scoperte sono assolutamente valide, anche alla luce del severo meccanismo di controllo.
Come Impresa Oggi ha più volte sottolineato non esiste tra scienziati e specialisti la certezza che il riscaldamento del pianeta sia opera dell'uomo. A volte la buona fede dei catastrofisti è stata messa in discussione con la motivazione che questo atteggiamento consentae di spillare danaro ai governi per le ricerche . I contro catastrofisti sono accusati di fare il gioco delle multinazionali del petrolio. Si spera che la conferenza faccia un po' di luce.
Al Gore alla Conferenza di Copenhagen (16 dicembre 2009).
È stato accolto come una rock star dal pubblico di Copenaghen dove è arrivato lunedì per convincere i leader a trovare un accordo sul clima e lanciare l’ennesimo allarme sul riscaldamento globale. Al Gore, paladino degli ecologisti americani, ha messo in guardia i delegati alla conferenza organizzata dalle Nazioni Unite che il cambiamento è già in atto e che la calotta polare artica potrebbe scomparire, nel periodo estivo, già tra 5 o 7 anni. Il premio Nobel ha mostrato i dati di due nuove ricerche alla presenza dei ministri degli Esteri di Norvegia e Danimarca. Il «profondo nord» è secondo Gore una delle aree più a rischio del pianeta, dove le temperature sono salite al doppio della velocità rispetto alla media. «C’è il 75% di possibilità che entro 5 o 7 anni l’intera calotta polare artica scompaia durante l’estate», ha detto l’ex vicepresidente americano, che nei giorni scorsi è stato in contatto diretto con le basi scientifiche del Polo Nord per ricevere gli ultimi dati aggiornati. Gore avrebbe dovuto tenere una conferenza nella capitale danese alla fine della settimana ma ha cancellato l’evento perché si sarebbe sovrapposto con le riunioni dei ministri che tra giovedì e venerdì dovranno tirare le fila delle due settimane di riunioni. L'intervista rilasciata a Current TV. «Il massimo che possiamo ottenere politicamente è comunque meno del minimo necessario». Pessimista, dunque? «No. Negli Stati Uniti c'è un detto: prima di correre impara a camminare». Nei giorni del vertice di Copenaghen sul clima, Al Gore ha comunque predicato la politica dei piccoli passi. «Non conosco un percorso alternativo» spiega l'ex vicepresidente degli Stati Uniti. In un'intervista alla "sua" Current Tv", il protagonista di "An Inconvenient Truth" - Oscar come miglior documentario nel 2007 - rilancia la campagna ambientalista. E con il libro "La scelta" cerca di fornire nuove risposte contro il global warming. «Il mondo sta cercando di mettere a punto un trattato» per ridurre i livelli di inquinamento, spiega Al Gore. «Finora non ci siamo riusciti - aggiunge il Premio Nobel 2007 - La ragione è che gli Stati Uniti, la maggiore economia mondiale e uno dei due Paesi che inquina di più, non ha ancora voluto approvare una legge. Ma adesso ci siamo vicini». E cosa ci si può aspettare dal vertice di Copenaghen? «Probabilmente produrrà soltanto un accordo politico, che però potrebbe essere molto significativo, perché parteciperanno molti capi di Stato, e anche perché molti Paesi stanno iniziando ad accettare disposizioni vincolanti nelle loro legislazioni nazionali». Al Gore cita alcuni esempi: i «primi cambiamenti» fatti da Cina e India, «i progressi coraggiosi del Messico», i passi avanti del Brasile «nel ridurre la deforestazione». Come siamo messi in Europa? «La Svezia è il Paese che al mondo sta facendo di più per il problema energetico. Ma tutti i Paesi scandinavi si stanno comportando bene. Anche la Gran Bretagna è tra i Paesi virtuosi». E l'Italia? «Io parlerei dell'Italia e degli Stati Uniti assieme. Entrambi i nostri Paesi sono stati così dipendenti da petrolio e carbone che siamo stati lenti ad adattarci alla nuova situazione. I Paesi scandinavi fanno bene un sacco di cose, forse perché le loro società si sono sviluppate in una regione così fredda, hanno un'etica diversa del lavoro. Ora però dobbiamo fare tutti bene come loro, perché il futuro della civiltà mondiale dipende da uno sforzo globale per ridurre drasticamente l'inquinamento che porta al riscaldamento globale, nello sviluppo di fonti rinnovabili di energia, nell'agricoltura sostenibile e nella riduzione della deforestazione». Quali sono i rischi, altrimenti? «È una situazione senza precedenti, diversa da qualsiasi altra nella storia dell'umanità. La gente spesso confonde una cosa che non è mai successa con qualcosa d'improbabile. Ma le eccezioni possono ucciderci, e questa è l'eccezione maggiore». Al Gore non può sottrarsi alle domande sul "Climagate", lo scandalo delle e-mail di alcuni scienziati che avrebbero manipolato i dati sul surriscaldamento del pianeta. «Si trattava di comunicazioni private tra amici che discutevano del loro lavoro - taglia corto Al Gore - ma non ho visto nulla che possa mettere in discussione in alcun modo il consenso scientifico sulla questione». Tanto che, proprio arrivando a Copenaghen, il paladino degli ecologisti americani - che ha però annullato la prevista conferenza nella capitale danese alla fine della settimana - ha mostrato i dati di due nuove ricerche: secondo gli studi, il "profondo nord" è una delle aree più a rischio del pianeta, visto che le temperature sono salite al doppio della velocità rispetto alla media. «C'è il 75% di possibilità - sostiene Al Gore - che entro 5 o 7 anni l'intera calotta polare artica scompaia durante l'estate».
Raggiunto l'accordo sul clima (19 dicembre 2009).
Alla fine anche i Paesi in via di sviluppo hanno ceduto e «hanno preso nota» poco dopo le 10,30 di sabato 19 dicembre dell'Accordo di Copenaghen, la cui intesa (senza valore vincolante) era stata raggiunta venerdì sera dal presidente americano Barack Obama e sottoscritta dal premier cinese Wen Jiabao, dal primo ministro indiano Manmohan Singh e dal presidente sudafricano Jacob Zuma. Nella dichiarazione finale saranno elencate le nazioni a favore dell'Accordo e quelle contrarie. «L'accordo è stato siglato, si tratta di una prima tappa essenziale. La tempestica non è chiara, ma faremo di tutto perché l'accordo diventi legalmente vincolante entro il 2010», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. L’accordo, un documento di appena tre pagine, fissa come obiettivo il limite di riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Prevede anche aiuti di 30 miliardi di dollari su tre anni (rispetto ai 10 inizialmente previsti) per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020. Il fatto di «prendere nota» dell’accordo «dà uno statuto giuridico sufficiente per rendere l’accordo operativo senza avere bisogno dell’approvazione delle parti», ha spiegato Alden Mayer, un esperto e direttore della Union of concerned scientists. Il Terzo mondo ha ceduto anche perché, senza un accordo all'unanimità come previsto in casi simili dalle Nazioni Unite (e questo, come hanno fatto notare in molti, tra i quali il presidente francese Nicolas Sarzoky, è un grande limite perché è oggettivamente arduo mettere d'accordo gli interessi di 193 nazioni diverse), non avrebbero potuto essere attivati nemmeno i fondi compensativi. Durante la notte si era registrata la ferma opposizione del piccolo arcipelago nel Pacifico di Tuvalu (il primo Paese che ha già avuto «rifugiati climatici») e poi da una raffica di interventi contrari di nazioni latinoamericane: Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Costarica. Poco dopo le 3 di notte è arrivato il no di Jan Fry, il rappresentante di Tuvalu che già nei giorni scorsi si era distinto per aver descritto in lacrime la minaccia climatica che pesa sul suo Paese. «Avete messo trenta denari sul tavolo per farci tradire il nostro popolo, ma il nostro popolo non è in vendita», ha detto Fry. Sono seguite decine di interventi, con molte critiche per i metodi seguiti dalla presidenza danese e dal gruppo dei leader di 25-30 nazioni che ha cercato di far uscire il negoziato dalla situazione di stallo. Molto virulento, e poi molto criticato, è stato l’intervento del rappresentante del Sudan e del G77, che ha paragonato il tentativo di imporre l’accordo all’Olocausto, dicendo che condannerebbe il popolo dell’Africa all’incenerimento. L’intesa fra Usa, Cina, India e Sudafrica, dopo un lungo momento d’incertezza a tarda sera era stata sottoscritta a malincuore anche dall’Ue, che non aveva partecipato all’incontro quadrilaterale promosso da Obama. L'Ue aveva valutato criticamente il testo scaturitone. Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, durante una conferenza stampa convocata alle 2 di notte con il presidente di turno dell’Ue e primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, ha sostanzialmente spiegato come a quel punto sembrasse essere ormai l’unico accordo possibile, pur riconoscendo che restava al di sotto delle attese e delle ambizioni di Bruxelles. La presidenza dalla conferenza del premier danese Lars Loekke Rasmussen, nonostante le critiche iniziali, è stata poi difesa da molti altri interventi. Si discute ancora se retrocedere la proposta di accordo a un documento informativo, o se approvarlo mettendo una nota a piè di pagina con la menzione dei Paesi contrari.