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L'errore di Fini

Ai frequentatori di questo portale è ben noto che molto raramente mi occupo delle vicende politiche del paese, se non quando esse hanno attinenza con gli interessi delle imprese. D'altra parte a voler seguire i balletti, le ammissioni, le ritrattazioni, i trasformismi della politica si finisce quasi sempre per ritrovarsi al punto di partenza. Ritengo sia importante illustrare i provvedimenti più importanti emessi dai governi e analizzarne i risultati. Mi sia consentita un'eccezione.
Oggi, durante l’intervista stampa tenuta da Fini all’Hotel Minerva, in risposta al voto dell’ufficio di presidenza del Pdl, mi ha molto colpito una frase; secondo Fini, Berlusconi nei comportamenti politici  «dimostra una logica aziendale modello amministratore delegato di un consiglio di amministrazione che non ha nulla a che vedere con le istituzioni democratiche». Queste parole, secondo me, mettono in dubbio ciò che deve sottendere la capacità di governo; oggi un politico che abbia la presunzione di governare un paese, contrariamente a quello che pensa Fini, deve avere una profonda cultura imprenditoriale che non ha nulla a che fare con la burocrazia farraginosa e bizantina della pubblica amministrazione, ambiente nel quale Fini e i finiani hanno da sempre il loro bacino elettorale. Fini, credo, non ha mai messo piede in un consiglio di amministrazione e raramente in un’impresa perché quelli sono i luoghi dove si esercita la democrazia in corpore vili non a parole. Fini si è chiesto come mai, oggi, le idee più innovative sulle relazioni industriali e sulle politiche di sviluppo vengano da Sergio Marchionne e da Emma Marcegaglia e non da Italo Bocchino o da Fabio Granata?
Fini dovrebbe sapere che l’impresa moderna, oggi, sopravvive se soddisfa queste "democratiche" condizioni.

  • Valorizza prodotti e processi di natura immateriale
  • Privilegia, come risorsa principale, il capitale intellettuale
  • Sostiene, in ogni fase operativa, l'imprenditorialità delle persone
  • Basa i processi aziendali sull’innovazione
  • Punta, nei rapporti interpersonali, sul coinvolgimento dei dipendenti, sulla forza della motivazione e sul modello gestionale del libro aperto
  • Utilizza l'automazione per lavori manuali, pesanti, routinari o rischiosi
  • Sostituisce al taylorismo, che tende a ingessare l'azienda, la lean production, che prevede il continuo miglioramento delle mansioni affidate agli operatori, il processo di delega delle responsabilità anche ai livelli inferiori, la job rotation e l'apprendimento continuo
  • Adotta processi di lavorazione a basso impatto ambientale e a basso consumo energetico
  • Possiede un leader che decide e si prende le sue responsabilità.

Cosa c’è di così democratico e avanzato nelle famose istituzioni democratiche di cui parla Fini? Io, personalmente, mi sento più sicuro se penso d'essere governato da chi ha frequentato i consigli di amministrazione delle imprese piuttosto che da una persona le cui frequentazioni sono le “istituzioni democratiche”, le stesse che hanno prodotto la partitocrazia, il consociativismo, le stragi di stato, i servizi deviati, tangentopoli, calciopoli e così via. Che cosa c’è di così democratico nella frase pronunciata da Fini neo segretario dell’Msi, nel dicembre 1987 «Non mi pare ci sia ragione di scandalo nel tentativo di attualizzare i valori permanenti del fascismo. Io rifiuto ciò che del fascismo sa di muffa: saluti romani, camicie nere, ma non mi fa paura la parola fascismo». Che cosa c'era di democratico nella gestione "monarchica" da parte di Fini, dell'Msi, prima , e di An, dopo?.Che cosa c’è di democratico in una sinistra che inneggia alla ribellione di Fini per puro odio nei confronti di Berlusconi? Che cosa c'è di democratico nel volere mettersi a capo di una coalizione "meridionalista" che vuole la preservazione dello stato di assistenzialismo e di privilegi del Sud? Mi sia concesso esprimere un parere "Dalla scomparsa di Tatarella Fini non ha mai centrato un suo obiettivo politico".
Vorrei sottolineare che a margine della conferenza stampa una giornalista ha intervistato un finiano, il quale nell’euforia della grande impresa appena compiuta, ha sostenuto compiaciuto: «Fini è la migliore risorsa di cui l’Italia disponga»; consentitemi di ricordare la frase di Virgilio Facilis descensus Averni. Le parole di Fini hanno trovato una scia di "imitatori"; non c'è programma televisivo nel quale qualche "finiano" non asserisca che la propria appartenenza al Pdl era insopportabile perchè più che un partito si trattava di un'impresa e quant'erano, invece, utili e democratiche le sane e sanguigne discussioni che si facevano nell'Msi". Ritengo, comunque, che per Fini, sia arrivato il momento di fare chiarezza sul la vicenda che riguarda l'appartamento di Montecarlo e di tenere a bada i talebani della sua coalizione, il cui unico obiettivo è sfasciare tutto perchè vedono con terrore le leggi sul federalismo fiscale che stanno procedendo nonostante tutto.

Revisione dell'8 settembre 2010.

A margine dell'incontro di Mirabello si potrebbero fare molte considerazione ma ne riporto una molto significativa, scritta da Peppino Caldarola su Il riformista "Infine c’è quel terribile anatema di Fini verso i suoi critici. La parola “infame” è impronunciabile per un politico liberale. “Infame” evoca tutto ciò che nella prima parte del suo discorso Fini aveva citato come violenza ai propri danni. “Infame” è chi rompe un accordo, non sta al gioco, tradisce il patto iniziale. Non a caso viene usato nel gergo malavitoso e nelle organizzazioni eversive. Non può essere questo il linguaggio del presidente della Camera. Dare dell’infame a un giornalista, in questo caso almeno a due, i direttori di Libero e Giornale, dovrebbe scandalizzare perché colpisce la libertà di critica e di espressione. Il presidente della Camera non può appellare così i giornalisti che gli sono ostili. È l’abc della democrazia. Nessun esacerbato stato d’animo giustifica questa sgradevole caduta di stile. In democrazia i giornali che avversano la tua linea politica ti fanno le pulci. Ho molte critiche da fare sul modo in cui la campagna stampa si è sviluppata. Tuttavia anche quello è giornalismo. L’organo di stampa che ti inchioda a una verità che crede di aver scoperto svolge il suo ruolo. Lo puoi smentire ma non puoi insultarlo né chiedere all’editore la testa del direttore. Questo valga per tutti, a destra come a sinistra.".
Eugenio Caruso
30 luglio 2010

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