Pensiamoci su …
Introduzione e tipi di cave
Esistono varie tipologie di cave e la seguente tabella di Legambiente, che di cave si occupa con particolare attenzione, ci può aiutare.
Le cave possono essere realizzate per estrarre i seguenti materiali:
Inerti 54%
Pietre ornamentali da taglio 31%
Torbe 8%
Calcari e argille per cemento 4%
Gessi, sabbie siliceee altri per usi industriali 3%
Fig. 1 Cava di marmo delle alpi Apuane
Spesso, anche il legislatore accomuna cave e torbiere, ma esse, nonostante l'accostamento operato dal primo legislatore costituzionale, non sono la stessa cosa. La cava è infatti qualsiasi scavo praticato nella roccia o nella terra per estrarne materiale utilizzabile nell'edilizia o in altri settori, mentre la torbiera è il giacimento di un solo materiale (la torba appunto). Dal punto di vista semantico, poi, la cava si distingue dalla miniera, che è il complesso costituito dal giacimento di minerali e dalle gallerie e dagli impianti necessari per estrarli. Ne deriva che la miniera è concetto più ampio rispetto alla cava e che la cava, a sua volta, è una nozione più generale rispetto alla torbiera.
Aspetti giuridici e altro
Nella sua versione originaria, l'art. 117 della Costituzione demandava la materia delle cave e delle torbiere alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regione. Con la modifica operata dall'art. 3 della legge costituzionale n. 3 del 2001 è scomparso qualsiasi espresso riferimento alle cave. Di conseguenza si ritiene che la materia delle cave rientri ora nella potestà legislativa esclusiva delle Regioni, che di tale potestà fanno ampio uso. Sul punto, tuttavia, la Corte Costituzionale ha posto in rilievo la lettera s) dell'art. 117, comma 2, Cost., la quale «configura la tutela dell'ambiente come una competenza statale non rigorosamente circoscritta e delimitata, ma connessa e intrecciata con altri interessi e competenze regionali concorrenti. Nell'ambito di dette competenze concorrenti, risulta legittima l'adozione di una disciplina regionale maggiormente rigorosa rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale». Ne deriva che, in materia di cave, le esigenze di carattere unitario di tutela dell’ambiente impediscono alle Regioni di apportare deroghe in peius alla normativa statale.
La disciplina fondamentale dell'attività estrattiva in generale e delle cave in particolare è contenuta nel R.D. 29 luglio 1927, n. 1443 che reca «norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno». L'art. 1 di detto Regio Decreto, nella versione novellata dall'art. 1, L. 7 novembre 1941, n. 1360, dispone infatti che «la ricerca e la coltivazione di sostanze minerali e delle energie del sottosuolo, industrialmente utilizzabili, sotto qualsiasi forma o conduzione fisica, sono regolate dalla presente legge». L'art. 2 precisa poi che «le lavorazioni indicate nell'art. 1 si distinguono in due categorie: miniere e cave». Alle cave è specificamente dedicato il titolo III del citato Regio decreto, rubricato genericamente «cave». Tale titolo consta di una sola disposizione (l'art. 45), che dispone così: «Le cave e le torbiere sono lasciate in disponibilità del proprietario del suolo. Quando il proprietario non intraprenda l’utilizzo della cava o torbiera o non dia ad essa sufficiente sviluppo, l'ingegnere capo del Distretto minerario può prefiggere un termine per l'inizio, la ripresa o la intensificazione dei lavori. Trascorso infruttuosamente il termine prefisso, l'ingegnere capo del Distretto minerario può dare la concessione della cava e della torbiera in conformità delle norme contenute nel titolo II del presente decreto, in quanto applicabili. Quando la concessione abbia per oggetto lo sfruttamento di torbiere interessanti la bonifica idraulica, sarà preventivamente inteso il competente Ufficio del genio civile. Contro i provvedimenti dell'ingegnere capo del Distretto minerario, che conceda la coltivazione della cava o torbiera, è ammesso ricorso gerarchico al Ministro per l'industria e per il commercio, che decide sentito il Consiglio superiore delle miniere. Al proprietario è corrisposto il valore degli impianti, dei lavori utilizzabili e del materiale estratto disponibile presso la cava o la torbiera. I diritti spettanti ai terzi sulla cava o sulla torbiera si risolvono sulle somme assegnate al proprietario a termini del comma precedente. Sono applicabili in ogni caso alle cave e alle torbiere le disposizioni degli artt. 29, 31 e 32». Per il settore delle cave rivestono specifica importanza anche gli artt. 46 e seguenti. L'art. 46 dispone infatti che «quando per effetto di vicinanza o per qualunque altra causa i lavori di una miniera, cava o torbiera cagionino danno ovvero producano un effetto utile ad altra miniera, cava o torbiera, si fa luogo a indennizzo o compenso fra gli interessati»; l'art. 47 precisa, al primo comma, che «per l'esecuzione, la manutenzione e l'uso di qualunque opera occorrente per l'utile coltivazione in comune di miniere, cave o torbiere, possono essere costituiti consorzi volontari od obbligatori», mentre il primo comma dell'art. 48 dispone che «ai consorzi obbligatori e facoltativi di miniere, cave o torbiere può essere accordata, con decreto del Ministro per l'economia nazionale la facoltà di riscuotere con i privilegi e nelle forme fiscali il contributo dei soci». Esistono una molteplicità di regolamentazioni al fine di costruire uno scenario giuresprudenziale in sintonia con le necessità odierne.
La direttiva comunitaria numero Dir.85/337/CEE ha migliorato molte questioni aperte adeguando le leggi italiane un po’ carenti sul problema delle cave a quello che si fa in Europa. Grazie alla Direttiva Europea, l’apertura di nuove cave è condizionata alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. La procedura prevista dal D.P.R. 12 Aprile 1996, di recepimento della Direttiva, prevede che le cave e le torbiere con più di 500.000 m3 di materiale estratto o un’area interessata superiore a 20 ettari siano sottoposte alla procedura di V.I.A., sotto il controllo delle Regioni. L’Italia si è adeguata, ma non completamente, perché ci sono ancora gravi lacune legislative; le iniziative a favore del superamento di queste lacune sono state poche ma qui ci scontriamo con un caos legislativo nel senso che le regioni non sempre sono libere di fare quello che vogliono, pur avendo ricevuto una delega nel 1997, e lo Stato a volte interviene in modo incongruo.
Aspetti idrogeologici
La realizzazione di tutte le opere di ingegneria civile, dalle più semplici alle più complesse, comporta l’utilizzo di materiale inerte e/o ornamentale proveniente da zone di escavazione che possono essere site in aree di pianura o in aree montuose. Pertanto, se da un lato è impensabile eliminare le attività estrattive, dall’altro si sente l’esigenza di studiare tutte le problematiche legate alla loro presenza sul territorio per cercare di raggiungere un giusto compromesso tra sviluppo socio-economico e salvaguardia ambientale, ovvero la cosiddetta “sostenibilità ambientale”. L’obiettivo è infatti quello di razionalizzare il numero delle cave e la quantità di materiale estratto, in funzione delle opere previste o, più in generale, della domanda, nonché quello di effettuare escavazioni che non comportino grossi sacrifici per l’ambiente. Per tale motivo è molto importante acquisire e migliorare la consapevolezza geologica sulle cave e porre l’attenzione sui vari aspetti legati all’attività estrattiva.
Problematiche ambientali
Le più importanti problematiche ambientali legate all’attività estrattive sono: Atmosfera, Rumore, Suolo e sottosuolo, Acque superficiali, Acque sotterranee, Paesaggio, Traffico, Flora, fauna ed ecosistemi, Impatto socio-economico. Attualmente, la normativa vigente richiede che questi aspetti vengano approfonditi nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) o comunque affrontati nei Progetti d’Ambito. Al fine di valutare correttamente tali problematiche è necessario seguire una procedura di studio articolata nelle seguenti fasi:
1. Fase di conoscenza del territorio
2. Fase di analisi dei fenomeni
3. Fase di intervento
Suolo e sottosuolo
Per quanto riguarda il “Suolo e il Sottosuolo”, la conoscenza del territorio deve avvenire tramite gli studi: litologici, geomorfologici, idrografici, idrologici, idrogeologici. Tali studi forniscono le basi utili per analizzare nel dettaglio i seguenti fenomeni: modificazione della copertura vegetale del suolo; alterazione del reticolo idrografico di superficie; possibili inquinamenti delle acque superficiali/sotterranee; stabilità delle scarpate; formazione di fanghi (limi) come residuo di lavorazione. A partire dalle conoscenze del territorio e dall’analisi dei fenomeni è possibile scegliere gli interventi ovvero: l’ottimizzazione della coltivazione (ampliamento del giacimento, profondità di scavo, ecc.), la scelta dei monitoraggi e della loro ubicazione.
Acque sotterranee
Deformazioni indotte sulla superficie piezometrica della falda dall’apertura di una cava (la superficie piezometrica è data dall'insieme dei valori delle altezze piezometriche in tutti i punti). In generale, l’apertura di cave in falda determina sensibili deformazioni della superficie piezometrica della falda, che si manifestano in abbassamenti a monte della cava e in sollevamenti a valle della stessa.
Gli elementi essenziali che incidono sull’entità della depressione piezometrica sono:
- le dimensioni dello scavo: l’estensione e l’entità della deformazione piezometrica sono proporzionali al perimetro dello scavo; in particolare, la lunghezza dello scavo costituisce il parametro saliente nel determinare l’estensione e l’entità di tale fenomeno;
- l’orientamento rispetto alla direzione di flusso: maggiore è l’angolo formato fra la direzione di massimo allungamento della cava e la direzione di flusso e minore è l’effetto sulla piezometria;
- la forma dello scavo: quanto più lo scavo è frazionato in piccole cave, tanto minore è la depressione piezometrica; le cave devono essere però sufficientemente lontane le une dalle altre per evitare il sovrapporsi degli effetti;
- la struttura idrogeologica dell’area: se la struttura idrogeologica è tale da supplire all’incremento degli afflussi determinato dall’apertura della cava con un semplice allargamento del fronte di richiamo (cosa che avviene quando nella zona di influenza della cava vi è un corso d’acqua in grado di alimentare la falda interessata dalla depressione piezometrica) lo scavo non crea problemi. Quando, invece, lo scavo incide una falda con scarsa rialimentazione, ne può provocare l’estinzione. Ne consegue che l’attuabilità di uno scavo sotto falda deve essere di volta in volta valutata in relazione alla sua compatibilità ambientale. Infatti:
- gli abbassamenti a monte possono innescare, in presenza di materiali fini, fenomeni di consolidazione con possibili cedimenti in superficie;
- il richiamo d’acqua indotto dall’apertura del lago di cava può alterare il bilancio idrico della zona, portando a un impoverimento, se non all’estinzione, delle aree di risorgiva;
- gli innalzamenti piezometrici a valle possono creare problemi alle infrastrutture.
Un ulteriore aspetto da prendere in considerazione è quello connesso ai fenomeni di evaporazione; infatti, una rilevante estensione degli specchi d’acqua determinati dall’emergenza della falda nelle cave può comportare uno squilibrio fra infiltrazione ed evaporazione. Ciò si verifica soprattutto quando la permeabilità del fondo cava viene ad essere ridotta dalla deposizione di limo; in simili circostanze sicuramente l’evaporazione supera la quantità d’acqua infiltrata, determinando una perdita di acqua tale da incidere sul bilancio idrico locale. Per tenere sotto controllo le suddette problematiche diviene fondamentale la realizzazione di una opportuna rete di monitoraggio che comprenda dei punti di controllo per la ricostruzione della deformazione piezometrica indotta dagli scavi, a prescindere dagli altri fenomeni agenti sulla falda, con la realizzazione delle relative cartografie piezometriche, nonché dei punti di controllo in corrispondenza delle zone di risorgiva, al fine di verificare che le acque che le alimentano non vengano drenate dalla cava. Una valutazione quantitativa degli effetti prodotti dall’attività estrattiva sul bilancio della falda può essere condotta sia coi metodi tradizionali sia con un approccio modellistico, che consente di analizzare il sistema acquifero in campo tridimensionale, considerando l’effettiva complessità della struttura idrogeologica.
Alterazione del bilancio idrico
La presenza di una cava in falda, genera alterazioni nell’assetto idrogeologico, sia per quanto riguarda la piezometria che per quanto riguarda la rete idrografica superficiale. Tramite l’utilizzo di modelli numerici è, a esempio, possibile simulare vari scenari di realizzazione/espansione del polo estrattivo valutando ogni volta gli effetti sulla piezometria e sui fontanili o altri corsi d’acqua per ottimizzare lo sfruttamento nel rispetto dei vincoli idrogeologici.
La prima fase del lavoro consiste nell’implementazione del modello, ovvero:
- nella delimitazione del dominio di studio, nell’individuazione delle unità geologiche ed idrogeologiche di interesse, nella ricostruzione delle condizioni di deflusso idrico sotterraneo e nella valutazione dei termini di ricarica e deflusso delle falde;
- nella scelta della griglia di discretizzazione del dominio;
- nella definizione delle condizioni al contorno e di quelle iniziali, sulla base di studi precedenti e di una campagna piezometrica eseguita ad hoc.
Successivamente il modello deve essere tarato, rispetto alla piezometria rilevata in sito, per essere sicuri che i risultati siano attendibili. Quindi si può procedere alla simulazione del fenomeno.
Potenziali effetti delle cave sulla qualità delle acque sotterranee
La vulnerabilità delle acque sotterranee indica la facilità con cui esse possono essere interessate da fenomeni di inquinamento, causati da interventi antropici come ad esempio la presenza di una cava, mediante infiltrazione o percolazione di inquinanti.
I parametri principali che contribuiscono a definire il grado di vulnerabilità sono:
• la soggiacenza della falda,
• l’infiltrazione efficace
• le caratteristiche di autodepurazione del non saturo
• l’acclività della superficie topografica
• la tipologia di copertura.
Se la cava intercetta la superficie piezometrica, gli inquinanti possono raggiungere immediatamente la falda senza alcun effetto tampone, pertanto la cava diventa una fonte attiva di contaminazione. Se la falda acquifera non è intercettata dalla cava, la riduzione dello spessore di terreno aumenta la quantità di acqua che si può infiltrare nell’unità di tempo e, contemporaneamente, diminuisce l’effetto di depurazione. La cava può costituire quindi una via preferenziale di immissione dei contaminanti nel sottosuolo. Nel caso in cui esistano due falde separate da un livello impermeabile, la cava potrebbe costituire un elemento di impatto non solo nei confronti dell’acquifero interessato, ma anche di quello sottostante. Ciò è particolarmente vero nel momento in cui il livello interposto fra i due non sia in grado di garantire un perfetto confinamento. In tal caso, infatti, è possibile che vi sia un interscambio fra le acque dell’acquifero superficiale e quello sottostante la cui entità, a parità di altre condizioni è funzione del dislivello piezometrico esistente tra la falda freatica e quella confinata. L’azione alimentante della cava potrebbe dunque determinare, a valle di essa, un incremento del livello piezometrico della falda superficiale con due possibili effetti:
- se il carico della falda freatica è naturalmente più elevato di quello della falda confinata, si può incrementare il flusso, già esistente, dalla prima alla seconda falda
- se il carico della falda freatica è naturalmente inferiore a quello della falda confinata, si potrebbe invertire il flusso che, in assenza di condizionamenti, sarebbe diretto dall’acquifero profondo a quello più superficiale.
L’effetto complessivo sulla falda profonda risulterebbe ovviamente peggiorato nel momento in cui il piano di scavo della cava si spingesse fino ad intaccare il livello semipermeabile o impermeabile, caso, questo abbastanza frequente. Da quanto fin qui emerso, si può comprendere l’importanza dello studio dei potenziali impatti delle cave nei confronti delle risorse idriche sotterranee. Impatti che possono essere più o meno indirettamente imputati all’aumento del grado di vulnerabilità degli acquiferi legati alla presenza di cave nonché ai possibili effetti da esse addotte in seguito alle modificazioni delle condizioni di flusso della falda.
Un’opportuna conoscenza del territorio in cui è inserita, o è in progetto l’opera, diventa quindi un punto di partenza essenziale sia per la necessità di valutare il grado di vulnerabilità intrinseca dell’area che per comprendere quali potrebbero essere le potenziali fonti di inquinamento primario che potrebbero interagire con la cava medesima (industrie, fiumi contaminati, area ad alta intensità di traffico, aree rurali). Non da ultimo, meriterà attenzione l’individuazione dei potenziali bersagli sensibili che potrebbero subire effetti negativi per la presenza di cave che, o per dispersione diretta o per la modificazione del campo di moto della falda contaminata, potrebbero incidere significativamente sulla loro esposizione. Diventa importante analizzare i possibili scenari di rischio, ovvero ipotizzare, in funzione dell’assetto geologico e idrogeologico del territorio, la propagazione dell’eventuale inquinante e studiare le deformazioni piezometriche generate da una cava. Tali deformazioni sono strettamente connesse all’assetto geologico del territorio. Se la permeabilità dei terreni non ha una distribuzione omogenea e la falda è inclinata, l’afflusso sarà prevalentemente laterale con un conseguente abbassamento dissimmetrico dei livelli di falda, più pronunciato ai lati dello scavo. La presenza di livelli poco permeabili a valle della cava determina un tratto a bassa cadente piezometrica a monte dell’area meno trasmissiva. L’acquifero a valle di essa non risulta interessato da alcuna depressione piezometrica . La conoscenza dell’assetto geologico e idrogeologico del territorio consente il corretto posizionamento dei monitoraggi, che non solo sono utili per tener sotto controllo eventuali fenomeni di inquinamento generati all’interno della cava, ma di individuare possibili fonti inquinanti provenienti da zone esterne all’area della cava stessa. L’analisi dei vari casi reali ha infatti evidenziato che la mancata conoscenza di alcuni elementi fondamentali del sottosuolo può comportare errori di interpretazione dei processi d’inquinamento e quindi di posizionamento delle reti di monitoraggio e dimensionamento delle opere di bonifica/salvaguardia. .
Da quello che ho descritto in questo paragrafo si può comprendere l’importanza che riveste lo studio idrogeologico, prima della realizzazione di una cava, per gli effetti che essa può avere sul sistema delle falde e dei fontanili.
La riqualificazione, tre esempi
Cave del lago di Como. La sponda orientale del Lario tra Como e Bellagio è scoscesa, rocciosa, aspra, frastagliata dalle insenature. Gli affioramenti rocciosi sono molto frequenti ed evidenti: placche e speroni calcarei di pietra di Moltrasio emergono dalla vegetazione e la presenza delle cave, numerose e di notevoli dimensioni, si mimetizzano tra questi . Si contano nel tratto della riva che va da Faggeto Lario a Nesso numerose cave a lago storiche che, pur essendo paesaggi antropici, risultato dell’opera di escavazione e lavorazione dei blocchi di pietra, vengono percepite in continuità con il paesaggio naturale al punto che diventa difficile distinguere il fronte di cava dalla riva opposta. La riqualificazione e il riuso del paesaggio delle cave a lago sulla sponda orientale del Lario, consentirà di innescare un processo di riappropriazione culturale di un elemento del lago di Como e ricavare spazi a contatto con l’acqua da destinare all’uso pubblico. La cava può tornare a essere una risorsa per l’economia locale, quindi si introducono nuove funzioni di pubblico interesse a sostegno delle potenzialità turistiche dei Comuni di questa riva del lago. La cava, paesaggio violentemente antropico, è inoltre un ecosistema naturale ‘di ritorno’: l’abbandono dell’attività estrattiva ha permesso lo sviluppo indisturbato della vegetazione pioniera e della fauna ad essa legata. La Cava di Careno, a esempio, si trova nel Comune di Nesso, a sud dell’abitato di Careno, in un’insenatura naturale della costa. Il suo fronte è una parete a strapiombo che si innalza dalla superficie del lago fino alla quota del tracciato della strada Como-Bellagio, con un dislivello complessivo di circa 80 m. Fondo cava e parete terrazzo lapideo di circa 30 m di profondità aperto dall’escavazione appena al di sopra del livello medio del lago, irregolarmente coperto di detriti e scorie prodotte dall’attività di escavazione e prima lavorazione che rendono la superficie molto irregolare, franosa e poco praticabile. Il margine verso l’acqua è costituito da blocchi squadrati accostati per consentire l’approdo dei barconi per il trasporto della pietra, è attualmente invaso dalla vegetazione spontanea e viene utilizzato stagionalmente per la balneazione. Le aree ai fianchi della parete, non interessate da scavo, presentano una fitta vegetazione dai margini naturalmente irregolari e una buona varietà di specie tipiche della macchia mista di latifoglie decidue che riveste le aree meno antropizzate della sponda orientale. Nella parte basale della cava, sul deposito detritico dell’attività estrattiva, è presente una vegetazione monospecifica di carpino nero (Ostrya carpinifolia), unica specie in grado di attecchire e sopravvivere in condizioni del substrato proibitive. Il sottobosco è costituito da agrifoglio (Ilex aquifolium), pungitopo (Ruscus aculeatus) e soprattutto alloro (Laurus nobilis). Per la cava esiste un progetto che prevede la realizzazione di strutture al servizio delle attività turistiche e sportive: realizzazione di un piccolo porto turistico con spazio per il rimessaggio; pontile di accesso all’acqua per la balneazione; bar-ristorante, spazi coperti destinati alle attività sportive; attrezzatura della parete di roccia a palestra per l’arrampicata; piccolo spazio esterno destinato all’esposizione permanente di poster informativi sull’attività estrattiva storica; realizzazione di percorsi nel fondo cava legati al sentiero d’accesso; collocazione di elementi di arredo essenziali, di servizio alle attività ricreative (sedute, piattaforme per la sosta e il pic-nic, cestini portarifiuti).
Il Parco delle cave. A partire dagli anni '20 l'estrazione di ghiaia e sabbia, in un territorio di vaste aree agricole, provoca la nascita di quattro cave: Cabassi, Casati, Ongari-Cerutti, Aurora. Negli anni '60, alla cessazione delle attività estrattive e di molte attività agricole segue un lento abbandono della zona. Il piano regolatore del 1976 destina l'area a parco, ma per vent'anni lo sviluppo del parco prosegue molto lentamente ed in maniera poco coordinata, e l'area si trasforma in una zona degradata, sede di discariche abusive e luogo di ritrovo di tossicodipendenti. Nel 1997 il Comune di Milano affida la gestione del parco all'associazione Italia Nostra, a seguito del successo della gestione del Boscoincittà. Nel 2002, al termine di ingenti lavori di riqualificazione, una grande festa promossa dalle associazioni del Comitato di salvaguardia presenta il parco alla città e lo promuove come parco cittadino, parte della cintura verde che il Comune intende realizzare nella periferia ovest di Milano. Italia Nostra imprime al parco una gestione di tipo naturalistico, basata sull'ecosistema del bosco, con un intervento umano soft, il minimo necessario per rendere fruibile l'area. Molti alberi morti o caduti non vengono rimossi, perché forniscono nicchie ecologiche per il rinnovamento dell'ecosistema.
Fig. 2 Il Parco delle cave (Milano)
Oasi di Cave Gaggio. Trattasi di una zona umida di origine artificiale derivata da cave di argilla abbandonate. Le ferite inferte dalle macchine scavatrici al paesaggio, grazie alla particolare idrografia dell'area, hanno dato vita ad alcuni corpi idrici caratterizzati da acque dolci. Questi stagni hanno assistito nel tempo alla graduale colonizzazione da parte delle vegetazione tipica delle zone umide di pianura, che conferisce al sito le tipiche connotazioni del peculiare ambiente di "cava senile". L' area protetta, di circa 13 ettari, è stata istituita nel 1985, in concomitanza a un intervento di bonifica che ha visto la distruzione di una zona umida ben più ampia. Negli anni '90 le attività di scavo a sud dell'Oasi hanno portato alla formazione di un nuovo e interessante nucleo di cave senili; attualmente l'area protetta gestita dalla L.I.P.U. e le nuove cave formano una zona umida di circa 65 ettari, che insieme alla disgiunte cave del Praello, danno vita al sito "Cave di Gaggio", inserito nella Rete Natura 2000 e quindi protetto dalla legislazione italiana ed europea.
Considerazioni conclusive
Riporto parte di un’interessante rapporto di Legambiente. I numeri fotografati dal rapporto sono impressionanti, le cave attive in Italia sono 5.725, un numero molto elevato, e si possono stimare in più di diecimila quelle abbandonate se si considerano anche le 9 Regioni in cui non sono disponibili i dati. Ancora più sorprendente è che la normativa nazionale di riferimento sia ancora oggi il Regio Decreto del 1927. Un testo che esprime chiaramente un’idea dell’attività estrattiva come settore industriale da sviluppare e in cui sfruttare le risorse del suolo e sottosuolo al di fuori di qualsiasi considerazione territoriale, ambientale o paesaggistica. A dettare le regole per l’attività estrattiva dovrebbero essere oggi le Regioni a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel lontano 1977. A evidenziare la necessità di un attenzione nazionale al tema è il fatto che tra le Regioni italiane troviamo situazioni di grave arretratezza e rilevanti problemi anche se talune regioni affermano che esiste un problema legislativo nazionale.
Migliore è la situazione al centro-nord, dove il quadro delle regole è per lo più completo, i piani cava (o piani regionali) sono periodicamente aggiornati per rispondere alle richieste della lobby dei cavatori. In generale la situazione è preoccupante in Veneto, Friuli, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Sicilia, Sardegna, Basilicata regioni che non hanno un piano cave. In Calabria addirittura non esiste una Legge né un Piano, in Regione non conoscono nemmeno il numero di cave aperte nel territorio. L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché in pratica si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi rilascia l’autorizzazione.
In conclusione, qualcosa si può fare. Vediamo che alcuni “piani cava” hanno funzionato e alcune aree del paese sono state riproposte alla loro bellezza e originarietà. Segnale che la sensibilità ambientale è cresciuta. Non c’è niente che va “demonizzato”, ma tutto va riqualificato e protetto. Alcune regioni, sono più avanzate ed altre meno; ma davvero ci può essere una rincorsa a fin di bene? alcuni segnali fanno ben sperare. D'altra parte sono sotto gli occhi di tutti alcune cave che deturpano paesaggi splendidi, occorre pertanto che la cultura ecologista permei il mondo della politica, dei media e delle singole persone.
Corrado Caruso
30 agosto 2010
17-07-2007
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