Contribuente sempre più accerchiato da situazioni che fanno ricadere a suo carico l'onere probatorio. Basti pensare agli ultimi interventi legislativi (a esempio, la presunzione per le attivà detenute all'estero). Ma anche ad alcuni interventi della giurisprudenza (ordinanze della Cassazione n. 14313/10 e n. 22793 del 9 novembre scorso), secondo cui, addirittura, in presenza di una presunzione semplice, l'onere probatorio grava sul contribuente. Illustri studiosi ed esperti affermavano che l'esistenza nella materia fiscale di presunzioni legali relative, che invertono l'onere probatorio e lo addossano sul contribuente, si deve alla regola ordinaria in base alla quale l'onere della prova spetta all'amministrazione. In sostanza, le presunzioni legali rappresenterebbero una eccezione al principio secondo cui l'incombenza dell'onere della prova (sia per rettifiche basate su presunzioni semplici che di tipo analitico) ricade sugli uffici. Eppure, nel corso degli ultimi anni, il legislatore ha spesso tramutato quella che sarebbe un'eccezione in una regola. Senza contare, ulteriormente, quelli che risultano dei veri e propri «shock giurisprudenziali» da parte della Cassazione (ordinanza n. 14313/2010), secondo la quale, nonostante quanto affermato dalle sentenze n. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009 a Sezioni unite, l'onere probatorio in tema di studi di settore – che rientrano tra le presunzioni semplici – spetterebbe al contribuente. Ma non solo: anche l'ultima ordinanza n. 22793 del 9 novembre scorso contiene un passaggio in cui si afferma che per i parametri, basati su una presunzione semplice, l'onere probatorio spetterebbe al contribuente. Il che significherebbe eliminare in un colpo solo l'articolo 2729 del Codice civile. Gli interventi normativi più recenti, che hanno invertito l'onere probatorio sul contribuente, vanno dall'«esterovestizione» alla presunzione per chi detiene, in violazione degli obblighi sul monitoraggio, delle attività in paesi a fiscalità privilegiata. Le presunzioni legali fissano per legge il fatto noto per individuare il fatto ignorato. Tuttavia, non sempre una presunzione legale collega a un fatto noto un altro fatto (quello ignoto). Nel Codice civile esistono molte presunzioni che, anziché collegare a un fatto un altro fatto, fissano l'inferenza con un effetto. Basterebbe citare l'articolo 4 sulla commorienza o l'articolo 880 c.c. sulla comproprietà del muro (articoli del c.c.da 873 a 908). Questo tipo di presunzioni esiste anche nel diritto tributario: normalmente sono quelle che utilizzano la terminologia «si considerano». Basti pensare a tutte le presunzioni sulla residenza presenti nell'articolo 73 del Tuir. Un'altra situazione è quella delle «società di comodo». Se si presta attenzione, nell'articolo 30, comma 1, della legge 724/1994, c' è un elemento condizionante (il test di operatività) che determina l'effetto di considerare un soggetto operativo o meno. Così, se la società riesce a dare dimostrazione (al giudice) della propria operatività, potrà sfuggire alla seconda presunzione stabilita dalla norma, quella relativa al reddito minimo. Infatti, nella normativa delle società di comodo si è in presenza di presunzioni legali «a catena», per cui, una volta data dimostrazione del primo elemento presunto (l'effetto di essere un soggetto operativo), la seconda presunzione non può trovare applicazione. Oltre alle presunzioni legali, vi sono poi delle specifiche norme che addossano un certo onere al contribuente, al fine della deduzione analitica di un determinato componente negativo. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle operazioni intercorse con operatori black list (articolo 110, comma 10 e 11, del Tuir), per le quali la norma stabilisce che il contribuente, per dedurre la spesa, deve dare prova che le imprese estere svolgono un'attività commerciale effettiva ovvero che le operazioni rispondono a un effettivo interesse economico e che hanno avuto concreta esecuzione. Si tratta, però, di eccezioni, che rilevano solo con una norma espressa. In presenza di una rettifica analitica, ad esempio, se l'ufficio vuole disconoscere una spesa, dovrà motivare e provare perché quella spesa non è deducibile. Lo stesso principio deve valere quando si parla di inerenza della spesa nell'ambito del reddito d'impresa. Il reddito d'impresa va considerato nella sua unitarietà (la deduzione di una spesa o di un costo non è una concessione del legislatore), e non vi è nessuna norma che stabilisce che una spesa si può dedurre se il contribuente ne prova l'inerenza. Salvo le eccezioni, sempre più numerose.
IMPRESA OGGI
17 novembre2010
Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda a
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.