No alla discrezionalità, no alla confusione. La politica economica deve avere obiettivi chiari e inseguire regole precise, quelle che oggi invitano a fare attenzione all'inflazione e ai debiti pubblici. John Taylor, economista alla Stanford University, non smette mai di ripeterlo. Anche adesso che l'intervento pubblico cerca di liberarsi dei vincoli, Taylor non ha paura di navigare controcorrente e continua a esporre le sue idee: la crisi è stata provocata da errori di politica monetaria, e la Fed rischia di sbagliare di nuovo. Taylor è un economista molto diverso dagli altri. Non ama molto l'intervento pubblico, ma parla di regole. E le crea, per giunta. Poco prima di tenere il Discorso Bruno Leoni 2011, si è più volte tornati a parlare della sua Taylor rule, che egli difende dalle mille, opportunistiche imitazioni. L'ha inventata per dare una guida a una politica monetaria che fosse indipendente ma controllabile, accountable. Gli è stata anche utile per valutare gli sbagli di Alan Greenspan. «Questa crisi, così dura, è stata l'effetto di scelte e d'interventi pubblici», ha spiegato ripercorrendo le tesi espresse nel suo libro Fuori Strada: è sua infatti la dimostrazione formale dell'effetto perverso che hanno generato i tassi d'interesse troppo bassi tra il 2003 e il 2005; ed è quindi a lui che si deve l'irreversibile caduta dell'immagine del suo amico Alan Greenspan. Taylor minimizza, cerca di difendere il "primo" Greenspan, ma non è pentito: «Io credo che le mie idee siano state poi confermate», spiega. Oggi la situazione è però diversa. L'inflazione è più bassa, la disoccupazione è più alta, e i tassi a quota zero - per quanto la cosa possa sorprendere - gli sembrano appropriati: «Non critico la politica monetaria di oggi» dice Taylor che avverte: l'errore è in agguato. «Penso che ci sia un rischio d'inflazione: la politica monetaria della Fed è molto espansiva-aggiunge - e il quantitative easing ha reso i tassi ancora più bassi per un tempo più lungo e questo crea preoccupazione. Abbiamo già visto alcuni segnali di rialzo dei prezzi, per esempio nelle commodities. Penso allora che le banche centrali dovrebbero fare una correzione, al più presto, prima che i rischi aumentino. Attualmente i tassi a zero sono vicini al livello che io stesso suggerirei, ma se dovesse prendere slancio la ripresa bisognerebbe alzarli e non penso che questo strozzerebbe la crescita. Anzi. È quindi l'ora di uscire dalle politiche anticrisi. Taylor chiede allora di «smontare, in modo ordinato, senza allarmare i mercati, il quantitative easing», che sta ottenendo risultati contrari al voluto: i rendimenti a lunga scadenza stanno salendo, invece di calare. «Non sta aiutando l'economia Usa», dice. Senza contare che questa è politica fiscale, non monetaria e occorre separare i due ambiti. Taylor è piuttosto preoccupato anche per il debito federale, ma non pessimista. L'ex sottosegretario al Tesoro di George W. Bush trova motivi di speranza nella vittoria dei repubblicani alle elezioni di midterm di novembre. «Ora c'è l'opportunità, negli Stati Uniti, di fare alcune riforme, fermare gli interventi statali, evitare altri stimoli fiscali e tentare di ridurre il debito, tornando a una sana politica monetaria e fiscale. E non penso che sarà una cosa negativa per l'economia». Anche la politica fiscale, aggiunge, funziona poco: «Il governo federale ha trasferito grandi quantità di moneta agli stati per le infrastrutture, ma non è stato fatto nulla». Non molto diverse sono le sue idee su Eurolandia. Anche la Bce, tra il 2003 e il 2005 aveva tassi troppo bassi, racconta, soprattutto per Irlanda, Grecia e Spagna: un livello medio più alto avrebbe ridotto alcuni degli eccessi che stiamo oggi pagando. Adesso, aggiunge, «le scelte della Bce sono corrette. Ho qualche preoccupazione però per il suo coinvolgimento nell'acquisto dei titoli di stato di alcuni paesi, che la distrae dai suoi compiti di politica monetaria». Taylor individua infatti molte somiglianze tra Stati Uniti ed Eurolandia: la creazione di debito e l'esplosione dei deficit, «che sono un problema». La soluzione allora è analoga. «Il consolidamento dei debiti e l'avvio di una sana politica fiscale sono la cosa più importante: i timori che di tanto in tanto sono sollevati, secondo i quali che l'austerità potrebbe essere dannosa per l'economia non trovano prove nei dati che ho esaminato. La preoccupazione è naturale, ma io credo che gli investimenti più in grado di creare posti di lavoro siano nel privato». Il problema di fondo, per Taylor, resta ovunque la confusioni di ruoli e di obiettivi. Il triplo mandato della Fed, che deve assicurare la stabilità dei prezzi, la massima occupazione e un basso livello di tassi d'interesse nel lungo periodo è una delle cause dei mali presenti. «In questo modo la politica monetaria tende a spostarsi da un obiettivo all'altro a seconda della situazione». Le politiche non-convenzionali nascono dall'interpretazione di questo triplo mandato, «ma il modo migliore di ottenere il massimo dell'occupazione è garantire la stabilità dei prezzi», spiega Taylor riproponendo uno dei capisaldi della moderna teoria economica. «Il pericolo nasce da questo cambiamento di obiettivi: la politica monetaria diventa troppo discrezionale e, in più, renderà la situazione dell'occupazione peggiore, in futuro». È già accaduto. «Guardate cosa abbiamo ora: crisi, recessione e disoccupazione», aggiunge Taylor che ripete: la causa è la strategia della Fed del 2003-2005, ché inseguiva la massima occupazione. A rendere unico l'approccio di Taylor è l'insistenza sull'assenza o la cattiva qualità delle regole, non sulla loro presenza come proponeva la retorica del neoliberalismo. «Nel 2000 il congresso ha abrogato la norma che imponeva alla Fed di rendere esplicito il suo obiettivo per la crescita della quantità di moneta. Penso che sia importante che si ripristini questo obbligo. Rendendolo più moderno, naturalmente». Allo stesso modo non è convinto della riforma Dodd-Franck, perché è insieme troppo e troppo poco. «Penso, che non affronti molti problemi, come il finanziamento dell'acquisto di case, il tema delle istituzioni troppo grandi per fallire. Soprattutto aggiunge - ha creato incertezza nell'applicazione, ha fatto pensare che occorreranno molte più regole».
IMPRESA OGGI
14 febbraio 2011