Negli anni settanta, durante una visita a una multionazionale statunitense notai il gran numero di donne manager presenti in quell'impresa e chiesi al mio accompagnatore qual era la ratio e quali i risultati. L'amico mi fissò un incontro con il direttore del personale della multinazionale. L'icontro fu molto istruttivo per me; in sostanza, quell'alto dirigente mi informò che era stato condotto uno studio sulla presenza delle donne nei team dirigenziali. Le prove di quello studio avevano mostrato che la presenza del genere femminile: riduce il livello di conflittualità nel team, migliora la creatività complessiva, alza il livello di produttività. Da quel giorno le mie scelte in termini di selezione del personale cambiarono completamente e, con sorpresa degli altri direttori e qualche commento maligno, iniziai a inserire donne tra i miei collaboratori (parlo di ingegneri, chimici, fisici, matematici). Dopo una decina di anni la mia divisione aveva livelli di performance, in termini di fatturato, superiori a quelli di tutte le altre divisioni. Fu per quella mia scelta? Non sono in grado di affermarlo. Quello che è certo e che essa non mi creò nessun problema, nonostante alcune relazioni sentimentali tra colleghi, le maternità ecc, ecc.
A tutte piacerebbe arrivare solo per merito, eppure se quel tetto di cristallo non si sfonda diventa inevitabile un'azione che rompa lo status quo. Un'azione decisa è stata avviata a livello europeo, dopo la risoluzione del 2010 che esortava gli stati membri della Ue a «promuovere una presenza più equilibrata tra donne e uomini nei posti di responsabilità delle imprese». Tanto è vero che in Europa si sta andando in quella direzione: in Norvegia (2006), Spagna (2007) e Francia (2011) sono state introdotte le quote del 40% riservate al genere femminile. In Gran Bretagna il governo ha dato mandato a un consulente di studiare le soluzioni per colmare il gap e le quote sono un'ipotesi, così come in Germania se le aziende non incrementeranno volontariamente il numero di donne nei cda. Ma perché è tanto importante che le donne entrino nella stanza dei bottoni? È solo una questione di potere? Studi internazionali hanno dimostrato come la presenza di donne nei cda migliora le performance delle aziende. Ora uno studio di McKinsey-Cerved dimostra come sia vero anche in Italia. Le società italiane, quotate e non quotate, con almeno il 20% di donne nel top management hanno ottenuto nel triennio 2007-2009 una redditività superiore a quelle che hanno meno del 20% di presenza femminile: +9% a livello di redditività sul capitale (roe), +37% come redditività sugli investimenti (roi) e +18% della redditività delle attività aziendali (roa). Le performance sono addirittura migliori se l'amministratore delegato della società è donna: +33% del roe rispetto al totale del campione, +73% del roi e +31% del roa. Di converso, in alcuni siti economici è mostrato che, in Norvegia (il paese che ha adottato una politica molto aggressiva per l'introduzione delle quote rosa), nei quattro quartili del 2010 la borsa di Oslo ha registrato i peggiori andamenti del pianeta.
Forse il meccanismo delle quote rosa deve essere introdotto in modo che si privilegi sempre il merito, senza però cadere nella trappola di utilizzare la meritocrazia per non affrontare il problema.
In questi giorni si sta approvando, in Italia, una legge che prevede le quote rosa nei cda delle imprese quotate e nelle municipalizzate. Non è certamente una legge liberale, però, davanti all'ostracismo del "genere maschile" ad accettare il valore e le potenzialità del "genere femminile" anche un liberale si ribella e sostiene che a volte a mali estremi occorrono estremi rimedi. Come al solito il mondo della politica sta facendo un gran polverone attorno a questa legge. La mia impressione è che molte delle chiacchiere che ho sentito vengano da chi non ha mai messo piede in un'impresa e fanno riferimento a un principio presente nel dna di molti soggetti politici italiani quello del "non fare".
L'idea che la legge sulle quote rosa nei consigli di amministrazione possa venire 'annacquata' sta sollevando una serie di polemiche. Il provvedimento è stato approvato alla Camera con un sì bipartisan in sede legislativa e ora è all'esame della commissione Finanze del Senato. Introduce l'obbligo che in ogni consiglio di amministrazione ci sia almeno un terzo di donne, pena la sua decadenza. Sulla proposta, nei giorni scorsi, Abi, Ania e Confindustria sono intervenute con una lettera al presidente della commissione Finanze, Mario Baldassarri, non dichiarandosi contrari, ma chiedendo gradualità nell'applicazione delle quote rosa. La richiesta è stata recepita in alcuni emendamenti ma la scelta non è stata vista di buon occhio da numerose donne. I senatori Pd, Marilena Adamo, Maria Fortuna Incostante e Stefano Ceccanti della commissione affari costituzionali sottolineano che la legge, uscita all'unanimità dalla Camera, «ha subito una battuta d'arresto al senato a causa delle forti resistenze di parte degli uomini del Pdl». Favorevole alle quote è Bianca Beccalli, sociologa, docente dell'Università di Milano, (firmataria di un appello per l'approvazione del ddl) «perché sono un rimedio alle discriminazioni passate, ma anche un meccanismo di promozione dell'eguaglianza e della parità e costituiscono un bene per la società e l'economia». Le quote, dice Beccalli «servono alle donne che hanno diritto di essere riconosciute e servono ai meccanismi nei quali le donne arrivano, perché impediscono uno spreco di talenti e di risorse». Se in politica possono esistere alcune criticità «perché c'è il problema del diritto del cittadino a scegliere chi vuole», in economia «non esiste alcuna obiezione di principio, se non quella di logiche corporative, di chi vuole difendere posizioni costituite». Una delle questioni poste da Abi, Ania e Confindustria riguarda il problema delle penali, con una richiesta di alleggerimenti rispetto a quanto previsto dal provvedimento approvato dalla Camera che stabilisce la decadenza del Cda nel caso di mancato rispetto della norma in questione. «Le quote sono importanti perché prevedono l'utilizzo del bastone e della carota, dove la carota è il vantaggio che le donne possono portare alla vita economica e il bastone è la sanzione, strumento per vincere le tendenze conservatrici, dato che il cambiamento ha un costo organizzativo», sottolinea la sociologa. «Tendenzialmente contraria al fatto che si debba ricorrere a una legge per assegnare ruoli di spicco alle donne nei cda di società quotate in Borsa o partecipate dello Stato» è Rita Borsellino, eurodeputata nel gruppo dei socialisti e democratici, membro della commissione libertà civili, giustizia e affari interni. Secondo Borsellino «questo ddl può essere condivisibile ma è abbastanza triste che sia questa la strada per far sì che le donne si facciano spazio nel mercato». L'eurodeputata, già in passato poco convinta delle quote rosa nelle liste elettorali, sottolinea che «il mondo della politica e dell'economia dovrebbe creare a prescindere le condizioni perché le donne possano occupare posti nei top management, in base alle loro capacità e ai loro meriti, senza che siano trattate come una riserva indiana». Ritanna Armeni, di converso, è colpita dal fatto che le richieste di ammorbire la legge arrivino «da Confindustria che è presieduta da una donna». Questo dimostra, sottolinea la giornalista e scrittrice «che le quote negli incarichi di potere sono importanti ma non risolutive. Mentre ciò che fa la differenza è la consapevolezza delle donne, che Emma Marcegaglia dimostra in questo caso di non avere». Ogni legge «che avvia norme di genere introduce grandi scomodità» - dice Armeni - perché «mette in discussione tradizioni consolidate, gruppi di potere» e impone di «affrontare momenti di disordine per arrivare a un nuovo ordine». Nel mondo «dell'impresa, dell'impresa familiare soprattutto, la presenza femminile, della figlia in particolare, è sempre molto importante. E se questa svolta non avviene spontaneamente nemmeno lì allora significa che il nostro paese ha davvero bisogno delle quote rosa». Del resto«anche il mondo bancario, penso a Corrado Passera, si era espresso favorevolmente».
Aggiornamento del 15 marzo 2011.
L'aula del Senato ha dato il via libera con 203 voti a favore, 14 voti contrari e 33 astenuti al ddl sulle quote rosa nei cda delle società quotate e a partecipazione pubblica. Il provvedimento, approvato in sede redigente, (in aula solo le dichiarazioni di voto e l'ok finale), tornerà in terza lettura alla Camera che lo aveva approvato in prima lettura il 2 dicembre 2010. Un iter tormentato quello delle quote rosa, pieno di stop, come quello dell'8 marzo che doveva simbolicamente chiudere l'esame del provvedimento in commissione Finanze, stoppato dal governo che aveva espresso parere negativo sull'entrata a regime dal 2015. Tutto si è sbloccato dopo l'approvazione dell'emendamento della relatrice Maria Ida Germontani, frutto del lavoro bipartisan di tutta la commissione. Anche se l'argomento può sembrare limitato alla sfera economica e finanziaria «siamo di fronte – ha sottolineato la senatrice Maria Ida Germontani - a una riforma "epocale" che giunge, per le donne italiane a ridosso delle celebrazioni del 150* anniversario dell'unità d'Italia valorizzando il contributo delle cittadine italiane dal Risorgimento nazionale alla Resistenza». In aula è sepreggiato anche il dissenso. La Lega Nord ha votato sì, anche se per il senatore del Carroccio, Roberto Mura, «si crea un privilegio femminile per legge», oltre al fatto che «le donne non hanno bisogno di privilegi, ma di diritti e responsabilità». Qui i primi segni di approvazione da parte di alcuni senatori della maggioranza. «Se fossi una donna mi sentirei umiliata per essere stata nominata in base a una legge», ha concluso Mura tra gli applausi di molti senatori. Undici i senatori che si sono iscritti a parlare in dissenso alla legge sulle quote rosa nei cda, fra cui la senatrice di Coesione nazionale, Adriana Poli Bortone e la radicale del Pd, Emma Bonino. Che ha annunciato che i radicali eletti nel Pd non avrebbero partecipato al voto sul ddl. Per Piero Fassino (Pd) l'approvazione della legge «scrive una bella pagina parlamentare e dà un impulso forte alla modernizzazione del Paese». Per la senatrice Giuliana Carlino (Idv) «raggiungere una parità effettiva tra uomini e donne sia nelle istituzioni che nella società é nell'interesse della "salute" della nostra democrazia, perché non é pensabile che la parte più numerosa dei cittadini italiani non sia adeguatamente presente in tutte le sedi in cui vengono prese decisioni per il funzionamento del nostro paese». Rispetto al testo approvato dalla Camera l'entrata in vigore delle norme slitta a dodici mesi (e non sei) dall'approvazione della legge, con una percentuale di un quinto di donne nel primo mandato compreso tra il 2012 e il 2015. Quote rosa che andranno a regime con una percentuale di presenze femminili nei board delle società pari a un terzo nel secondo mandato tra il 2015 e il 2018. Le quote, però, sono una norma transitoria, valida solo per tre mandati dei cda e dei collegi sindacali. Il testo del ddl «è equilibrato e ragionevole con significative e importanti novità rispetto al testo della Camera», ha commentato il sottosegretario all'Economia, Sonia Viale, che ha seguito i lavori del provvedimento per conto del governo. Sulla gradualità dell'applicazione delle quote, Viale ha detto che è «necessaria e opportuna». In caso di inadempienza ci sarà una diffida della Consob a reintegrare il cda o i collegi entro quattro mesi. Nuova diffida a reintegrare entro tre mesi in caso di ulteriori inadempienze. A questo punto per chi non si adegua è prevista la decadenza del consiglio d'amministrazione o degli organi di controllo. E si pagano forti sanzioni pecuniarie: da 100mila a un milione di euro per i cda e da 20mila a 200mila per i collegi sindacali. L'autorità di vigilanza per le società quotate sarà la Consob, mentre per quelle pubbliche un ordine del giorno di Cinzia Bonfrisco (Pdl), accolto dal governo, impegna l'esecutivo a individuare la Civit come autorità di vigilanza sulle controllate pubbliche non quotate. Un regolamento del governo deciderà sulle società pubbliche. Un odg di Mario Ferrara (Pdl) impegna il governo ad adottare misure fiscali per compensare l'aggravio degli oneri a carico delle società per le assemblee straordinarie per adottare le modifiche statutarie legate alle quote rosa, mentre un odg della relatrice prevede un codice di autoregolamentazione del ministro per le Pari opportunità per le società che vorranno anticipare i tempi di applicazione delle quote rosa.
Eugenio Caruso
18 febbraio 2011
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