Lodo a gran voce e rimprovero sottovoce.
Caterina II
L’articolo è il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 - Parte VI
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VIII
I passi della crisi 2008 - 2010 - ParteIX
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte X
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XI
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XII
Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il quarto trimestre del 2011, l’analisi delle performance economico-finanziarie degli stati sovrani e delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi. L’articolo viene aggiornato quotidianamente.
FIAT esce da Confindustria (3 ottobre 2011)
"Ti confermo che, come preannunciato nella lettera del 30 giugno scorso, Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto dal 1 gennaio 2012". È quanto scrive l'amministratore delegato, Sergio Marchionne, al presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. «Cara Emma - inizia la missiva di Marchionne - negli ultimi mesi, dopo anni di immobilismo, nel nostro Paese sono state prese due importanti decisioni con l`obiettivo di creare le condizioni per il rilancio del sistema economico. Mi riferisco all`accordo interconfederale del 28 giugno, di cui Confindustria è stata promotrice, ma soprattutto all`approvazione da parte del Parlamento dell`articolo 8 che prevede importanti strumenti di flessibilità oltre all`estensione della validità dell`accordo interconfederale ad intese raggiunte prima del 28 giugno». «La Fiat fin dal primo momento ha dichiarato a Governo, Confindustria e organizzazioni sindacali il pieno apprezzamento per i due provvedimenti che avrebbero risolto molti punti nodali nei rapporti sindacali garantendo le certezze necessarie per lo sviluppo economico del nostro paese. Questo nuovo quadro di riferimento, in un momento di particolare difficoltà dell`economia mondiale, avrebbe permesso a tutte le imprese italiane di affrontare la competizione internazionale in condizioni meno sfavorevoli rispetto a quelle dei concorrenti». « Ma, con la firma dell`accordo interconfederale del 21 settembre è iniziato un acceso dibattito che, con prese di posizione contraddittorie e addirittura con dichiarazioni di volontà di evitare l`applicazione degli accordi nella prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull`efficacia dell`articolo 8. Si rischia quindi di snaturare l`impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale». «Fiat, che è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi, non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato». Per queste ragioni, non sono politiche e che non hanno nessun collegamento con i nostri futuri piani di investimento, ti confermo che, come preannunciato nella lettera del 30 giugno scorso, Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto dal 1 gennaio 2012. Stiamo valutando la possibilità di collaborare, in forme da concordare, con alcune organizzazioni territoriali di Confindustria e in particolare con l`Unione industriale di Torino». L'ad del Lingotto informa Marcegaglia che «da parte nostra, utilizzeremo la libertà di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative. I rapporti con i nostri dipendenti e con le organizzazioni sindacali saranno gestiti senza toccare alcun diritto dei lavoratori, nel pieno rispetto dei reciproci ruoli, come previsto dalle intese già raggiunte per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco». L'uscita da Confindustria «è una decisione importante - conclude Marchionne - che abbiamo valutato con grande serietà e attenzione, alla quale non possiamo sottrarci perché non intendiamo rinunciare a essere protagonisti nello sviluppo industriale del nostro paese». In sostanza Marchionne teme che con gli accordi tra Confindustria e Sindacato si annacqui quanto previsto dal governo all'articolo 8 e quindi si riducano le possibilità di avere contrattazioni flessibili. Il gruppo torinese ha anche annunciato che produrrà a Mirafiori un suv a marchio jeep. L'installazione degli impianti produttivi inizierà nel 2012, il primo prodotto dalla seconda metà 2013. A Torino è anche stata confermata la produzione dell'Alfa Romeo Mito, incluse nuove versioni e aggiornamenti. Infine la Fiat produrrà all'inizio del 2013, nello stabilimento di Pratola Serra (Avellino), un nuovo motore benzina turbo a iniezione diretta per l'Alfa Romeo.
Il tonfo di Dexia (4 ottobtre 2011).
Dopo il tonfo del 10% di ieri, il titolo della banca franco-belga Dexia è in picchiata anche oggi alla Borsa di Bruxelles, all'indomani di un consiglio d'amministrazione straordinario che ha lasciato trapelare la possibilità di uno smantellamento della banca franco-belga, travolta dalla crisi. Alla Borsa di Bruxelles il titolo è sceso fino ad un minimo di 0,851 euro con un tonfo del 37%. I governi francese e belga, co-azionisti di Dexia, si sono impegnati pubblicamente a «fornire la loro garanzia ai finanziamenti» raccolti dal gruppo a rischio di smantellamento. «Nel quadro della ristrutturazione gli stati belga e francese, in collegamento con le banche centrali, prenderanno tutte le misure necessarie per assicurare la sicurezza dei depositanti e dei creditori» é scritto in un comunicato congiunto dei ministri delle Finanze dei due Paesi. Nel frattempo il Premier belga Yves Leterme ha convocato per stasera alle 20 una riunione d'urgenza ristretta del consiglio dei ministri a Bruxelles con il titolare delle Finanze Didier Reynders e responsabili di altri dicasteri per discutere la situazione del gruppo. Didiers ha assicurato che il governo ha intenzione di «fare di tutto per preservare la situazione» della parte belga della banca, «solida» grazie ai depositi dei risparmiatori del Belgio. Inoltre ha ribadito che «la banca è ancora molto forte»; che «da alcuni anni, c'è una garanzia per i clienti che copre sino a 100mila euro per conto»; che si attendono ora le «proposte concrete del vertice della Dexia»; che sarà trovata una soluzione in accordo con Parigi. Dopo una riunione fiume che si è protratta fino all'alba di oggi, il Consiglio di amministrazione di Dexia ha dato mandato al Ceo, Pierre Mariani di «preparare, di concerto con stati e autorità di controllo, le misure necessarie per risolvere i problemi strutturali che penalizzano l'operatività del gruppo e individuare nuove prospettive di sviluppo alle storiche attività in Francia e Belgio». Tra le ipotesi al vaglio, la creazione di una bad bank in cui far convergere i titoli tossicì (95 miliardi di asset a rischio) che dovrà avere comunque la garanzia dei governi. Nella bad bank potrebbero rientrare Dexia Credit Local, l'italiana Crediop e la spagnola Sabadell. Si parla anche di vendita della parte belga della banca. Nonchè di cessione separata della banca turca DenizBank, dell'asset management (due tra le attività più redditizie del gruppo) e delle attività canadesi. Va ricordato che ogni nuovo aiuto a Dexia dovrà avere il via libera della Commissione Antistrust europea. Il ministro delle Finanze belga che ha discusso ieri i problemi dell'istituto con il collega francese, Baroin, a margine della riunione dell'Eurogruppo in Lussemburgo, ha assicurato che vedrrà trovata una soluzione congiunta. Dexia aveva in portafoglio a fine giugno titoli di stato greci per 3,8 miliardi di euro e una esposizione creditizia verso Atene di 4,8 miliardi di euro a fronte di una capitalizzazione di mercato di 2,5 miliardi di euro. Al 30 giugno 2011 la banca aveva un portafoglio di titoli di stato di Grecia, Italia, Portogallo, Olanda e Irlanda per complessivi 21 miliardi di euro e un portafoglio obbligazionario complessivo di 95,3 miliardi di euro, in calo dai 111,7 miliardi al 30 giugno 2010. Grazie alla cessione di asset non strategici per 74 miliardi di euro realizzata tra fine 2008 e giugno 2011, il totale di Bilancio del gruppo è sceso, nel periodo, a 518 miliardi da 651 miliardi di euro.
Le ragioni di Marchionne (4 ottobre 2011).
L’adesione alla Confindustria nasce essenzialmente dalla condivisione di un contratto. A Roma si contratta ciò che verrà applicato nelle fabbriche. La Fiat ha rotto questo monopolio. D’altronde se ci può essere un pluralismo sindacale per i lavoratori, non si vede perché non possa esistere per le imprese. Se la Fiat riesce ad ottenere autonomamente dai sindacati un contratto più congeniale, è ovvio che lo sottoscriva. Sarà difficile pensare che nei prossimi mesi altre imprese metalmeccaniche (ad esempio i fornitori del Lingotto) accettino di applicare un contratto diverso da quello Fiat e per loro più oneroso. Questo è il vero colpo di scena. Si è aperta una breccia e la miopia degli attuali vertici confindustriali non l’ha chiusa per tempo. Hanno preferito un accordo con la Cgil piuttosto che uno con la Fiat. Hanno preferito la Camusso a Marchionne. Pur di attaccare il governo hanno voluto una regolamentazione più leggera del'articolo 8 e, secondo me, hanno segnato l'inizio della loro fine.
I sindacati sono riusciti a mantenere un ruolo importante nella politica italiana grazie alla mutazione di pelle che hanno fatto negli ultimi venti anni. Hanno cambiato base sociale, riempiendo le proprie liste di pensionati, che sono portatori di interessi specifici e molto forti. La Cgil è stata travolta dalle rivendicazioni della sua parte più ideologizzata: i metalmeccanici della Fiom. E ha mantenuto per questa via una sua identità. Indipendentemente da ogni giudizio di valore, si sono evoluti. La Confindustria è rimasta praticamente ferma, se non per l’aumento di influenza della componente di imprese pubbliche (che in realtà restano un’altra faccia del governo). Per farla breve il sistema Confindustria ha perso centralità. Al contrario i suoi vertici ne hanno guadagnata. Ma per se stessi e non per le imprese che rappresentano. Guidare Confindustria è diventato un obiettivo di scalata sociale e non già un servizio per il sistema delle imprese. Se così non fosse l’establishment confindustriale oggi si impegnerebbe a mantenere la compattezza della sua base sindacale, piuttosto che scrivere l'agenda della politica economica per il paese. L’obiettivo dei vertici di Confindustria, già da tempo non è più di tipo sindacale, ma politico.
Complice una classe politica alla ricerca di continue mediazioni si è insistito in una concertazione continua, con la presunzione di tenere tutti dentro. La morale è che si è trattato con Confindustria e sindacati, con l'illusione di parlare per questa via al Paese produttivo. Si è trattato con i dinosauri di una rappresentanza che non esiste più. La signora Marcegaglia dice che sono aumentati i propri associati, ma non dice che la gran parte delle nuove entrate deriva proprio dalla burocratizzare dela nostra società: si pensi alle procedure della Cassa integrazione (che ha avuto un boom in questi anni di crisi) e alla comodità di essere iscritti a una territoriale di Confindustria per accedervi. Marchionne ha avuto il grande merito di svelare il bluff. Per troppo tempo hanno pensato più agli affari romani che alle loro fabbriche.
Downgrading del sistema Italia (6 ottobre 2011)
Il giorno dopo aver declassato il debito sovrano dell'Italia (da Aa2 ad A2, outlook negativo) l'agenzia Moody's taglia il rating di Eni, Enel, Finmeccanica, Poste italiane e Terna. Non solo: il declassamento è stato esteso anche a due delle principali banche italiane, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Confermato invece il giudizio su Generali e Allianz Italy. Sono poi stati abbassati i rating di lungo termine di 30 enti locali italiani, con outlook negativo. Le province autonome di Trento e Bolzano, la Cassa del Trentino e la Lombardia scendono ad Aa3 dal precedente Aaa, con outlook negativo. Con questo, si legge in una nota dell'agenzia di valutazione del credito statunitense, si conclude la procedura di revisione per l'Italia iniziata il 21 giugno. «Il deterioramento dell'affidabilità creditizia - recita la nota di Moody's - e le misure di austerità imposte dal governo centrale andranno a impattare in varia misura sugli enti locali. In Italia - prosegue Moody's - il settore pubblico locale conta per circa il 30% della spesa complessiva dello Stato e deve contribuire allo sforzo che il paese deve fare per raggiungere gli obiettivi di consolidamento dei conti pubblici, attraverso i tagli e la stretta fiscale. A seguito della revisione che si è conclusa oggi - spiega Moody's - i rating degli enti locali italiani si possono suddividere in tre fasce: enti con rating superiori a quello nazionale; enti con rating uguale a quello nazionale ed enti con rating più basso di quello nazionale. Il declassamento di 3 punti deciso per l'Italia è stato riservato anche alle province autonome di Trento e di Bolzano, alla Cassa del Trentino e alla Regione Lombardia, che si trovano tutti al di sopra del rating nazionale. Bolzano e Trento sono state declassate ad Aa3 con outlook negativo, dal precedente rating di Aaa. Scendono ad A2, lo stesso rating nazionale, le regioni Basilicata, Liguria, Marche, Umbria, che venivano da Aa3; le regioni Toscana e Veneto, che avevano Aa2; le province di Firenze, Milano e Torino, che avevano in precedenza Aa3, così come le città di Milano e Venezia, mentre Siena scende sempre ad A2 da Aa2; sul rating nazionale di A2 si colloca anche Finlombarda che aveva in precedenza Aa2. Moody's ha poi abbassato di due punti i rating di un ulteriore gruppo di enti locali il cui livello di valutazione si colloca al di sotto di quello nazionale, una fascia in cui il quadro già deteriorato si è vieppiù appesantito con le decisioni del governo. Il gruppo comprende nove regioni una provincia e tre città: Abruzzo scende a Baa1 da A2; Calabria a Baa2 da A3; Campania a Baa2 da A3; Lazio a Baa2 da A2; Molise a Baa1 da A2; Piemonte, Puglia, Sardegna e Sicilia scendono tutte ad A3 dal precedente rating di A1, così come la provincia di Rieti; la città di Civitavecchia scende a Baa1 da A2; Firenze ad A3 da Aa3 e infine Napoli a Baa3 da Baa1.
Il rating di Moody’s parte da Aaa, la più alta qualità degli obblighi con piccolissimi grado di rischio, fino al Baa3, dove ci sono rischi moderati e garanzie che hanno bisogno di protezione e potrebbero essere affidabili.
Il piano salva banche (7 ottobre 2011).
La Commissione europea ha confermato che presenterà «nei prossimi giorni» una proposta per il coordinamento delle ricapitalizzazioni delle banche. «Metteremo presto le nostre idee sul tavolo in vista di una decisione degli stati membri», ha indicato il portavoce. Il coordinamento, ha aggiunto, è necessario a partire dal rispetto delle regole europee sugli aiuti di stato. Cruciale per capire quale saranno le misure da adottare sarà il vertice franco tedesco in programma domenica 9 ottobre. In giornata hanno fatto discutere le dichiarazioni di Steffen Seibert, portavoce della Merkel. Il cancelliere tedesco - dice il suo portavoce - non considera una priorità immediata quella di procedere a un rinforzo del capitale delle banche del Vecchio Continente, in primis quelle francesi (vedere caso Dexia e i ribassi nelle ultime settimane di Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole). Nessun dissidio ha precisato nel pomeriggio una fonte del ministero delle finanze francese alla Afp. La fonte ha ammesso che alcune banche transalpine hanno bisogno di ricevere finanziamenti e che gli stati europei devono coordinarsi per determinare tempi e modalità di una ricapitalizzazione. Le iniezioni di capitale da parte degli stati verso il sistema bancario - fanno sapere dal ministero - devono essere considerate come interventi di ultima istanza e che gli istituti devono, in primo luogo, ricercare le risorse al proprio interno e poi rivolgersi ai mercati. I due presidenti delle due più forti economie d'Europa si preparano a un incontro bilaterale (l'ottavo in 20 mesi), il 9 ottobre, (in un contesto in cui l'euro viaggia sui minimi da nove mesi sul dollaro) in cui dovranno trovare un accordo sulla gestione della crisi greca e sull'intervento del fondo salva-Stati nella ricapitalizzazione degli istituti di credito europei in difficoltà. Al vertice parteciperanno anche il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, e il suo omologo francese, Francois Baroin. L'impostazione tedesca vedrebbe l'utilizzo del fondo solo in ultima battuta mentre il presidente francese Sarkozy sarebbe orientato a un utilizzo immediato anche a favore degli istituti di credito in difficoltà.
Si aggrava lo stato di povertà delle famiglie con figli (7ottobre 2011).
«La condizione di povertà economica delle famiglie con figli si è aggravata». È la denuncia che arriva dal Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, evidenziando che «tra il 2007 e il 2010 il reddito equivalente, ovvero corretto per tenere conto della diversa composizione familiare, sarebbe diminuito in media dell'1,5 per cento». L'Italia cresce poco anche perché non punta sui giovani. È la tesi su cui insiste il prossimo governatore della Bce (da novembre) intervenuto in un convegno a Sarteano (Siena) a porte chiuse davanti a una platea bipartisan di parlamentari riuniti nell'intergruppo per la sussidiarietà: «La bassa crescita dell'Italia negli ultimi anni è anche riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte alle giovani generazioni di contribuire allo sviluppo». Draghi ha indicato che la crisi ha acuito il problema delle condizioni di vita dei giovani che in Italia possono contare ancora sull'aiuto della famiglia. Nel 2009, nota il governatore, il tasso di occupazione dei figli conviventi é tuttavia sceso di 2,9 punti a fronte di un calo di 0,7 punti tra i capifamiglia e i loro coniugi. «La struttura dell'occupazione e gli strumenti di sostegno esistenti tendono a favorire le persone meno giovani o già occupate». La caduta dell'occupazione, poi, «ha interessato in prevalenza i figli conviventi e i nuclei familiari plurireddito». La maggiore probabilità di accesso al primo impiego per «coorti di giovani sempre più istruite e di dimensioni più contenute rispetto a quelle del baby boom, nota Draghi, è stata però controbilanciata dal rallentamento della crescita economica e della produttività. Ciò ha peggiorato le prospettive retributive, reso più discontinue le condizioni di primo impiego e allungato i tempi di transizione verso forme di lavoro più stabili. Draghi propone quindi di assicurare «condizioni di partenza meno diseguali ai giovani che si affacciano alla vita adulta: può essere utile considerare strumenti redistributivi della ricchezza oltre che del reddito». Una dotazione di capitale all'inizio della vita adulta può aiutare ciascun individuo «ad avviare un attività economica, meglio di un sostegno corrente di reddito spalmato su più anni». La priorità assoluta della politica economica sono le riforme strutturali, indispensabili per uscire dalla stagnazione. «Uscire dalla stagnazione riavviando lo sviluppo con misure strutturali è oggi una priorità assoluta della politica economica nel nostro paese. Occorre rimuovere una serie di vincoli e restrizioni alla concorrenza e all'attività economica, definire un più favorevole contesto istituzionale per l'attività delle imprese, promuovere una maggiore accumulazione di capitale fisico e di capitale umano». Draghi ha indicato una serie di azioni concertate su cui lavorare per fronteggiare l'attuale crisi. Tra queste la riduzione della segmentazione del mercato del lavoro oggi diviso in settori protetti e non protetti per favorire i processi di riallocazione dei lavoratori tra imprese e settori e cogliere più prontamente le opportunità di crescita sui mercati globali. Riguardo al lavoro aggiunge che è necessario intervenire sulla «regolamentazione delle diverse tipologie contrattuali estendendo la copertura degli istituti assicurativi». Altra indicazione è quella della riforma dell'istruzione «per incrementare lo stock di capitale umano, oggi inferiore in quantità e qualità rispetto ai paesi con cui competiamo sui mercati».
L'allarme di Trichet (11 ottobre 2011).
«Il tempo è contato, è necessario che sulla ricapitalizzazione delle banche e sulla crisi del debito sovrano ci siano presto decisioni chiare, se queste verranno dal prossimo vertice Ue lo vedremo dopo». La politica deve fare in fretta, dice il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet in un'audizione al Parlamento europeo, perchè ulteriori ritardi potrebbero essere fatali all'Eurozona, divenuta «epicentro» della tempesta mondiale. Per il numero uno uscente dell'istituto centrale che dal primo novembre sarà guidato dal governatore Mario Draghi, il quadro economico «è peggiorato nelle ultime tre settimane e la crisi ha assunto dimensioni sistemiche». Nell'ultimo mese, ha detto Trichet, lo stress sul debito sovrano si è spostato dalle economie più piccole a quelle dei maggiori paesi dell'Unione europa. Segni di tensione sono evidenti in molti mercati dei bond governativi europei, mentre l'alta volatilità sui mercati azionari indica che le tensioni si sono allargare ai mercati dei capitali di tutto il mondo». La situazione, aggiunge, «è stata aggravata dal progressivo prosciugamento del mercato interbancario. La grande interconnessione del sistema finanziario dell'Unione europea nel suo complesso ha portato a un rapido accrescimento dell'impatto negativo sull'economia in Europa e altrove». «Potrebbe essere benefica la possibilità che l'Efsf presti soldi ai governi per ricapitalizzare le banche» ha sostenuto il presidente della Bce ribadendo più volte che «il sistema bancario europeo ha bisogno di essere ricapitalizzato». «Vorrei che il Fondo fosse più operativo, più flessibile ma dobbiamo accettare il fatto che il processo di decisioni sia a 17, rispetti il percorso democratico», ha osservato. Quanto alle banche, l'Autorità europea per il rischio sistemico (Esrb) sta lavorando per affrontare la vulnerabilità delle grandi banche europee nel finanziamento in dollari, ha spiegato annunciando che l'Autorità Ue pubblica martedì le sue prime raccomandazioni sui prestiti in valuta: quei prestiti non protetti dal rischio di cambio «comportano rischi significativi per il settore finanziario. Le decisioni prese da Francia, Belgio e Lussemburgo per il salvataggio della banca Dexia devono essere attuate immediatamente» ha detto ancora Trichet sottolineando come «le decisioni siano giuste, ma è molto, molto importante che nei due o tre Paesi in questione siano applicate rapidamente».
Monito di Draghi (12 ottobre 2011).
«Abbiamo perso troppo tempo e bisogna agire con rapidità per riportare il Paese al posto che merita in Europa. L'Italia deve salvarsi da sola, senza aiuti esterni: la salvezza e il rilancio possono venire solo dagli italiani. Ma la politica ha il compito insostituibile di trovare il modo di rompere il circolo vizioso di privilegi e coalizioni di interessi, prima che questo renda impossibili, per veti incrociati e cristallizzati, le misure necessarie per la crescita». Così Mario Draghi, presidente in pectore della Bce, incarico che assumerà dal primo novembre, a una delle ultime uscite pubbliche da governatore della Banca d'Italia. Draghi ha aperto a Palazzo Koch un convegno dal titolo «L'Italia e l'economia internazionale » alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. «È importante che tutti ci convinciamo che la salvezza e il rilancio dell'economia italiana possono venire solo dagli italiani», ha osservato Draghi. «Una nostra tentazione atavica, ricordata da Alessandro Manzoni, è di attendere che un esercito d'Oltralpe risolva i nostri problemi. Come in altri momenti della nostra storia, oggi non è così. E' importante che tutti i cittadini ne siano consapevoli. Sarebbe una tragica illusione pensare che interventi risolutori possano giungere da fuori. Spettano a noi». «Salvando noi stessi contribuiremo in modo decisivo alla salvezza dell'Europa. Nell'anno in cui celebriamo i 150 anni dell'Italia ricordiamo il Risorgimento dei nostri bisnonni nell'Ottocento e l'unità di intenti che nel dopoguerra ci consentì di assicurare il progresso del paese con la Costituzione repubblicana, con la promulgazione delle leggi volte a garantire i fondamentali diritti sociali e civili dei cittadini, con la sconfitta del terrorismo». «In quei momenti cruciali si manifestò la concordia di fondo del paese, al di là del necessario e duro confronto politico. Abbiamo oggi bisogno della stessa ispirazione, della stessa intelligenza. L'Italia deve rafforzare la sua posizione in Europa, restando fedele alla scelta europeista dei padri, le classi dirigenti postbelliche» ha detto ancora Draghi . «Restare oggi fedeli alla scelta dei nostri padri, rafforzare la nostra posizione in Europa, significa imprimere un forte impulso alla crescita, ridurre drasticamente il debito pubblico. L'Italia deve oggi saper ritrovare quella condivisione di valori comuni che, messi in sordina gli interessi di fazione, è essenziale per mobilitare le energie capaci di realizzare in anni non lontani, una rigogliosa crescita economica e di offrire credibili speranze alle nuove generazioni». Dragho ha citato tra gli altri l'economista Carlo Cipolla: «L'Italia prospera quando sa produrre cose che piacciono al mondo». «Senza giovani non si cresce», ha detto Draghi secondo cui solo rimuovendo le rigidità che impediscono lo sviluppo delle potenzialità delle giovani generazioni si potrà ricondurre l'economia italiana al rilancio: un dovere «non più eludibile che abbiamo nei confronti dei giovani, un quarto dei quali sono senza lavoro». Fuori dalla sede della Banca d'Italia manifestano contro la «dittatura finanziaria» i giovani indignati, molti dei quali con il volto coperato di maschere da draghi colorati. Perchè è tanto difficile realizzare interventi in grado di invertire il trend negativo degli ultimi anni?» si è domandato il banchiere tornando a chiedere le riforme urgenti. « Interventi necessari in ambiti essenziali: giustizia civile, sistema formativo, concorrenza soprattutto nel settore dei servizi e delle professioni, infrastrutture, spesa pubblica, mercato del lavoro e sistema di protezione sociale». In buona sostanza Draghi ha avvertito " L'Italia non creda che avendo come presidente della Bce un italiano possa avere un trattamento di preferenza".
Dal G20 monito all'Europa (17 ottobre 2011)
I Paesi "non euro" del G-20 lanciano un ultimatum ai partner dell'Eurozona: la crisi si è trascinata troppo a lungo senza essere adeguatamente affrontata, ora il tempo è scaduto perché i rischi di contagio sono evidenti e ci aspettiamo risposte concrete e definitive dal vertice di Bruxelles del 23 ottobre. Un ultimatum che, fatto del tutto inusuale per incontri di questo genere, viene esplicitato nel comunicato diffuso al termine del summit parigino tra i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali delle venti economie più importanti al mondo. Pur riconoscendo i passi avanti già compiuti, il documento abbandona il consueto linguaggio diplomatico per una impietosa chiarezza: «Ci aspettiamo dei nuovi lavori per massimizzare l'impatto dell'Efsf al fine di evitare il contagio e attendiamo i risultati del Consiglio europeo del 23 ottobre, che presenterà un piano globale per dare una risposta energica alle attuali sfide».
«Abbiamo ascoltato cose incoraggianti dai nostri colleghi europei - ha detto il segretario di Stato americano Tim Geithner. Il piano contiene gli elementi giusti e la sua credibilità è rafforzata dalla strategia adottata dai Governi francese e belga per limitare i potenziali danni collaterali che avrebbe potuto causare la caduta di Dexia. Sappiamo inoltre che quando Francia e Germania decidono insieme di passare all'azione grandi cose sono possibili». Possibili, appunto. Un'apertura di credito, l'ennesima, ma poco più. Mentre il presidente Usa Barack Obama ha telefonato ancora una volta alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, per sapere a che punto siamo. La realtà è che la pazienza dei Paesi extraeuropei è ridotta al minimo, per non dire che è proprio finita. Troppe parole e troppi pochi fatti. Reazioni troppo lente, e sempre in ritardo. Come ha fatto notare in maniera molto netta il ministro sudafricano Pravin Gordhan: «Gli europei stanno trascinando questa crisi da un anno». Mentre il ministro brasiliano Guido Mantega ha aggiunto: «Noi siamo solidali, ma le soluzioni della crisi sono nelle mani degli europei». Lo stesso ministro francese, e presidente di turno, François Baroin ha ammesso che il summit del 23 sarà «decisivo». Non a caso quando i riflettori si sono spenti sul G-20 i ministri dell'Eurozona si sono nuovamente riuniti, nel tardo pomeriggio di ieri, per continuare a lavorare tra loro. Per approfondire i temi sul tappeto, cercare di appianare le divergenze, capire com'è possibile superare gli ostacoli che ancora ci sono, nonostante le solenni dichiarazioni, lungo la strada che dovrebbe portare all'atteso effetto shock del 23.
La lista è di quelle da far tremare le vene ai polsi: ruolo e dotazione, in strumenti e risorse, del Fondo di stabilità; tempi, modalità e quantità del processo di ricapitalizzazione delle banche; aumento del default selettivo della Grecia - presumibilmente dal 21% al 50% - di cui dovranno farsi carico i creditori privati (banche e assicurazioni). Tutte cose sulle quali ci si aspetta una parola finale domenica prossima, ma su cui non esiste ancora unanimità di vedute all'interno dell'Eurozona. Così come il G-20 è diviso sull'opportunità di incrementare le risorse finanziarie del Fondo monetario internazionale per dargli la possibilità di intervenire qualora alcune grandi economie europee - Italia e Spagna - dovessero trovarsi in gravi difficoltà di finanziamento. Gli emergenti insistono per un aumento in cambio di maggior peso all'interno del Fondo. Germania e Stati Uniti - Geithner lo ha ribadito ieri - non sono d'accordo. Su questo punto il comunicato è generico, pur lasciando la porta socchiusa agli emergenti: «Ci siamo impegnati a vigilare affinché il Fondo abbia le risorse adeguate per assumere le proprie responsabilità sistemiche». Rinviando la spinosa questione al G-20 dei capi di Stato e di Governo che il 3 e 4 novembre a Cannes chiuderà l'anno di presidenza francese. Il comunicato chiama infine in causa la Cina (pur senza nominarla esplicitamente, come ha invece fatto Geithner), auspicando «tassi di cambio determinati dai mercati, con una loro accresciuta flessibilità che consenta di rispecchiare i fondamentali economici».
Ancora problemi per Dexia (18 ottobre 2011).
Meno 16,7% a 0,578 euro per Dexia mentre nuovi timori si sono creati su un possibile dissesto di uno dei suoi maggiori azionisti: la Holding Communal Sa belga. Si tratta di un veicolo (braccio finanziario) che rappresenta diversi enti locali del paese e che controlla circa un 14 per cento del capitale della banca.
Questa mattina Holding Communal, come si legge nel sito, ha convocato «alle ore 10 un cda per prendere atto, in mancanza di decisioni positive dei governi e in presenza di tutte le condizioni legali, dello stato di insolvenza». Secondo l'edizione online di «La Libre Belgique» il cda ha preso atto che non c'erano le condizioni per il fallimento ed ha convocato una assemblea straordinaria degli azionisti il prossimo 7 dicembre per decidere la messa in liquidazione volontaria della società, soluzione auspicata dal governo federale e dalle regioni. Le autorità coinvolte dovranno quindi fornire la liquidità necessaria per far fronte alle scadenze fino alla fine del 2011 e quantificata in un massimo di 194 milioni di euro. Dexia era già crollata in Borsa nelle scorse settimane, a causa dei timori sulla sua esposizione ai titoli di Stato a rischio nell'area euro. Sul gruppo franco olandese è stato già deciso uno spezzatino che verrà seguito da cessioni, con una nazionalizzazione delle attività in Belgio. Ma secondo un portale di finanza locale questo non metterebbe la holding al riparo da un fallimento. Oggi la Commissione europea ha dato via libera con riserva alla nazionalizzazione di Dexia Bank Belgium, precisando che l'operazione «è stata necessaria» per preservare la stabilità del sistema finanziario ma che al momento non è in grado di valutare se l'operazione - costata quattro miliardi di euro - sia in linea con le norme Ue sugli aiuti pubblici. La Commissione ha quindi annunciato l'avvio di un'approfondita indagine per verificare se il prezzo pagato contiene aiuti di Stato e se, in questo caso, possa essere ritenuto compatibile con le norme Ue sulla ristrutturazione bancaria. I belgi hanno sei mesi di tempo per presentare un nuovo piano di ristrutturazione. Dexia ha già beneficiato nel periodo 2008-2009 di sostanziali sostegni pubblici da parte di Francia, Belgio e Lussemburgo sotto forma di ricapitalizzazione e garanzie. Iniziative a cui Bruxelles ha dato via libera nel febbraio del 2010 alla luce di un piano di ristrutturazione che si sarebbe dovuto concludere entro la fine del 2014.
L'Italia, il lavoro e le donne (19 ottobre 2011).
«In Italia vi è una pressante esigenza di riattivare la crescita». E in questo le donne e i giovani sono fondamentali. A dirlo è il direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, nel suo intervento di apertura al convegno che si tiene a Palazzo Koch in occasione della presentazione del "World Development Report 2012" della Banca mondiale. «Alle riforme elettorali va associato un maggior coinvolgimento nella vita economica dei soggetti che oggi sono al margine. Sono risorse che il Paese non può permettersi di tenere sottoutilizzate», prosegue Saccomanni. «Oggi, più degli altri Paesi, il nostro ha bisogno di tutti i contributi possibili per assicurare una maggiore crescita futura. Governance migliori e meno rischi per banche e imprese se al vertice c'è una donna. Le donne ai vertici sono portatrici di governance migliori e di comportamenti meno rischiosi. I vantaggi che le banche e le imprese ne trarrebbero sono evidenti. Come imprenditrici talvolta hanno problemi di accesso al credito, anche se le loro imprese non hanno una performance diversa dalle altre e mostrano una qualità del credito migliore», osserva Saccomanni, che al suo fianco ha il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna. Ma l'Italia è anche un Paese fortemente arretrato in termini di divari di genere, visto che nelle classifiche internazionali sul "Global Gender Gap" si ferma al 74esimo posto. Tutti i Paesi europei sono migliori di noi in questo, e fra i Paesi industrializzati, a collocarsi in posizione peggiore è solo il Giappone. Le cose vanno leggermente meglio per quanto riguarda l'istruzione: l'Italia, infatti, si pone al 49esimo posto, ma con riferimento alla partecipazione economica scende al 97esimo posto su 134 paesi. I dati sul lavoro: nel 2010 il 46,1% di donne lavorano, contro il 67,7% degli uomini. Negativi i dati sul lavoro in generale: nel 2010 in Italia era occupato il 46,1% delle donne tra i 15 e 64 anni, contro il 67,7% degli uomini. Il divario si accentua al Sud, dove lavorano solo tre donne su dieci. Se si considerano poi le posizioni di vertice, nel settore privato le donne sono il 40% nella fascia di età tra i 15 e i 44 anni e le dirigenti il 24%, solo il 15% nella classe di età tra i 45 e i 64 anni su una quota di lavoratrici del 36 per cento. Una situazione lievemente migliore nel settore pubblico: le giovani dirigenti sono quasi il 45% e il 36% nella fascia di età più matura. «Questo - sottolinea ancora Saccomanni - nonostante si sia sostanzialmente chiuso il divario sul fronte dell'istruzione», dove si mostra che le donne «hanno superato i compagni per voto medio di laurea e per tempi di conseguimento del titolo». La strada da fare, purtroppo, è ancora lunga. Lo stesso caso di Bankitalia lo testimonia: Saccomanni spiega come, a fronte di una crescita della componente femminile del personale dal 27% di fine 1999 al 35% di oggi, è corrisposto un aumento della presenza nelle posizioni dirigenziali più lenta per quelle di vertice. La percentuale di donne nel primo grado della dirigenza (quello di condirettore) è salita dal 20% nel 2006 a poco più del 25% nel 2011. Quella nelle posizioni superiori dal 16% al 18% dello stesso periodo. In Bankitalia «anche se molto è stato fatto - ha osservato Saccomanni - sul fronte della flessibilità dell'orario e della disponibilità di strumenti di conciliazione come gli asili nido, siamo consapevoli che c'è ancora da lavorare su vari fronti, soprattutto nell'organizzazione del lavoro». Stesse mansioni, ma busta paga meno pesante tra il 10 e il 18 per cento. A tanto ammonta in Italia il gap retributivo tra uomini e donne a parità di qualifica e impiego e dovuto interamente a fenomeni di discriminazione. Una forbice che cresce se si lavora nei servizi alle imprese e in quelli finanziari (dove il gap salariale rispetto ai colleghi uomini arriva rispettivamente al 22,4% e al 26,1%). Mentre scende al 3,3% nel settore alberghiero e all'1,2% nei rapporti di lavoro temporaneo. I dati emergono da una ricerca sul "gender pay gap" curata da Emiliano Rustichelli (Isfol), presentata stamane al Cnel. «Non è più possibile sprecare una forza lavoro qualificata come quella femminile», ha commentato Giuseppe Casadio, presidente della Commissione politiche del Lavoro e dei sistemi produttivi del Cnel. Che ha aggiunto: «Bisogna favorire le politiche di conciliazione lavoro/famiglia». Dallo studio, condotto sul salario orario di 10mila lavoratori e lavoratrici dipendenti, emerge pure come il gap retributivo sia più elevato tra le donne meno scolarizzate (20%) e si mantiene oltre il 15% per chi possiede la licenza media. Ne soffrono sia le giovanissime (8,3% di penalizzazione rispetto ai coetanei) che le lavoratrici adulte (12,1%), mentre è più contenuto nella fascia d'età 30-39 anni (3,2%). La forbice retributiva è maggiore poi tra gli operai specializzati (20,6%) e gli impiegati (15,6%). Ma forte è anche la penalizzazione delle donne impiegate in professioni non qualificate, dove il gap salariale arriva al 17,5%.
Italia capofila per l'imprenditorialità femminile (20 ottobre 2011).
Dopo la notizia negativa pubblicata ieri, ecco, viceversa, una buona nuova dal mondo delle lavoratrici. Le imprenditrici fanno guadagnare all'Italia il record europeo del maggior numero di aziende 'rosa'. A rilevarlo è l'Osservatorio sull'imprenditoria femminile curato dall'Ufficio studi di Confartigianato. Nel 2011 in Italia operano 1.531.200 imprenditrici e lavoratrici autonome. Al secondo posto la Germania con 1.383.500. Questa leadership italiana nell'Ue viene confermata anche dal peso che l'imprenditoria femminile ha sul totale delle donne occupate: in Italia è del 16,4%, di gran lunga superiore al 10,3% della media dell'area Euro. Confartigianato ha rilevato l'habitat migliore in Friuli Venezia Giulia che guida la classifica delle regioni con le condizioni ideali perché si sviluppino l'imprenditorialità e l'occupazione femminile. Seguono Emilia Romagna e Umbria. Nella zona nera della classifica regionale finiscono invece Campania, Sicilia e Puglia. Se fare impresa è sempre più un'occupazione femminile, le donne si fanno largo anche in settori all'avanguardia e tradizionalmente maschili. Le imprenditrici impegnate nell'high tech formano una 'pattuglia' di 12.261 'pioniere' che si sono avventurate in ambiti come la robotica, l'elettronica, la chimica farmaceutica, la produzione di software e di apparecchiature di alta precisione, le telecomunicazioni, la ricerca scientifica, la consulenza informatica. Le donne a capo di piccole imprese innovative sono il 22,5% del totale degli imprenditori specializzati nei settori high tech.
L'UE fa autocritica (21 ottobre 2011).
L'Unione europea fa critica e autocritica. La critica (anche se Bruxelles preferisce parlare di «forte incoraggiamento») è nei confronti del nostro Paese, sollecitato nuovamente a fare riforme strutturali. L'autocritica, per bocca del presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Junker, riguarda le modalità di gestione della crisi: «L'Unione Europea sta dando un'immagine disastrosa - ha detto Junker -. Non sta dando un esempio di leadership che funziona bene». Tornando all'Italia, il Paese ha bisogno di «ulteriori riforme strutturali oltre al consolidamento di bilancio per liberare il potenziale di crescita del Paese», la mancanza di crescita «è il suo tallone di Achille degli ultimi anni» ha avvertito Bruxelles, per bocca del portavoce del commissario agli Affari economici Olli Rehn. Il funzionario ha sottolineato anche l'importanza di una «tempistica concreta» per le nuove misure e che l'Italia deve «migliorare la qualità della sua spesa pubblica». L'Unione europea ha poi precisato che non si tratta di una forma di pressione su Roma ma di un «forte incoraggiamento». «Durante l'estate l'Italia ha approvato un pacchetto ambizioso, che va nella giusta direzione, ma deve essere seguito con urgenza da misure per la crescita», ha detto esattamente il portavoce. Gli obiettivi di bilancio che l'Italia si è data, «vanno definiti con misure robuste e una tabella di marcia corretta per ristabilire la credibilità del Paese sui mercati». «A Bruxelles è chiaro - ha proseguito - che serve un pacchetto complessivo di misure per rafforzare le debolezze strutturali dell'economia italiana che hanno radici profonde».
Ultimatum all'Italia dall'Ue. (24 ottobre 2011)
Sono Italia e Grecia ad aggravare la crisi dell'eurozona e spetta a questi due Paesi fare quello che va fatto, «fare i propri compiti» e assumersi le proprie responsabilità. L'Eurozona è pronta a tendere una mano all'Italia ma gli aiuti non arriveranno se l'Italia non sarà pronta ad assumersi le proprie responsabilità. È questo il messaggio scandito a chiare lettere dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, nel corso delle conferenza stampa nel palazzo Lipsius a Bruxelles, dove si svolgono gli incontri del Consiglio europeo dei 27 e poi quello più ristretto dei 17 sulla crisi dell'euro. I tempi sono stretti: Van Rompuy ha reso pubblica la richiesta fatta al Governo Berlusconi di attuare le riforme sulla crescita entro mercoledì, in tempo per il prossimo Consiglio europeo, per «rassicurare i mercati e l'Europa». «Abbiamo chiesto dettagli e scadenze precise sulle riforme del mercato lavoro, delle imprese pubbliche, della giustizia, sulle privatizzazioni e la lotta alla frode fiscale» ha spiegato Van Rompuy riferendo dell'incontro della mattina con il premier italiano Silvio Berlusconi. Questo il lavoro che «faremo insieme all'Italia». «A Roma chiediamo uno sforzo che sembra pronta a compiere. All'Italia abbiamo ricordato che è importante fare tutto il necessario per mostrare senso di responsabilità, prendendo provvedimenti sia sul fronte del debito che su quello della crescita». «Abbiamo chiesto all'Italia rassicurazionisul fatto che le coraggiose misure intraprese vengano attuate tempestivamente». Le stesse sollecitazioni sono state rese pubbliche anche nella conferenza Merkel-Sarkozy. Illustrando lo stato di avanzamento lavori sulla «crisi senza precedenti» che ha investito l'euro, il caso dell'Italia ha dominato il resoconto. Alla domanda diretta a Merkel e Sarkozy sull'incontro con Berlusconi, i due leader si sono guardati sorridendo. Poi Sarkozy ha detto che Germania e Francia hanno fiducia nel senso di responsabilità «di tutte le istituzioni italiane, sociali, politiche ed economiche». La Merkel ha voluto sottolineare che «Berlusconi è il nostro interlocutore, contiamo su di lui, abbiamo fiducia in lui», ricordando che l'Italia è un partner importante, una grande economia ma ha anche un elevato debito pubblico che deve essere ridotto in maniera credibile e sostanziosa. Ma è stato Sarkozy a fare il quadro completo della situazione: Irlanda, Portogallo e Spagna marciano nella giusta direzione, stanno uscendo dalla crisi e non sono in prima linea e ora il lavoro da fare per riconquistare la fiducia dei mercati nell'euro si concentra su Grecia e Italia che dovranno dimostrare un alto senso della disciplina e della responsabilità che ricade individualmente sugli Stati dell'eurozona. Il presidente francese, incalzato dai giornalisti che si sono concentrati su Italia e Berlusconi, ha sbottato: «Non è una questione di solidarietà, l'Europa è pronta a tendere una mano ma non a quei Paesi che non sono pronti ad assumersi le proprie responsabilità». I risolini che Sarkozy e in tono minore Merkel,si scambiavano parlando di Berlusconi sono, anche, la vendetta "infantile" per i comportamenti "infantili" di Berlusconi, (corna, cucù, cellulare, barzellette) del premier italiano in occasioni di incontri internazionali; l'Italia non ha mai goduto di grande prestigio a livello internazionale, Berlusconi ha contribuito a deprimerlo maggiormente. L'ccessiva ironia del marito di Carla Bruni va in parte giustificata per la mancata nomina di Lorenzo Bini Smaghi alla Banca d'Italia nomina che avrebbe aperto una posizione in Bce per un rappresentante francese. La situazione è, comunque, grave e richiede risposte eccezionali sia d’immagine che di sostanza. Berlusconi ha capito il momento? e saprà reagire nel modo giusto per salvaguardare la propria reputazione e, soprattutto, per difendere gli interessi dell’Italia? E la Lega si rende conto che la sua opposizione all'allungamento dell'età pensionabile è una battaglia di retroguardia? Giova notare che il governo tedesco si è dissociato da Sarkozy, “Francia e Germania considerano l’Italia un paese economicamente molto forte, un importante membro Ue e uno dei nostri partner più stretti”, ha affermato il portavoce del governo tedesco Seibert che poi ha aggiunto: “L’Italia è un paese dalle prestazioni economiche molto alte che ha, tuttavia, un alto debito”.
Marchionne all'Unione industriali di Torino (25 ottobre 2011).
Sergio Marchionne sale sul palco del dell’Unione Industriali di Torino e si toglie un po’ di sassolini. Va giù duro, l’amministratore delegato del Lingotto, di fronte alla platea del convegno «Make it in Italy» che vede schierati fra gli altri Marco Tronchetti Provera, Corrado Passera, Gian Felice Rocca, l’ex ambasciatore Usa Ronald Spogli. Attacca frontalmente la Fiom, risponde alla Consob che chiede dettagli sul piano industriale, respinge piccato le accuse di «antiitalianità», dice di vergognarsi per la brutta figura rimediata domenica dall’Italia al vertice dell’Unione Europea. Marchionne rivendica passo per passo il complesso lavoro realizzato per salvare la Fiat, prima, e per rilanciarla nella hit mondiale, ora, grazie all’alleanza con Chrysler. E annuncia che quest’anno, sommando Fiat e Fiat Industrial, verrà superato il risultato operativo record stabilito da Fiat nel 2008, il migliore nei suoi 109 anni di storia. Ma soprattutto, ancora una volta, ribadisce che intende, nel limite del possibile, continuare a mantenere i posti di lavoro in Italia «Continueremo a gestire la situazione di mercati depressi facendo ricorso agli ammortizzatori sociali. Non abbiamo ridotto la nostra forza lavoro nel momento peggiore della crisi, non intendiamo certo farlo ora che stiamo lavorando alla realizzazione delle condizioni per crescere in futuro». Invita il Paese al coraggio e alla lucidità perché «come spesso accade nella vita, sono i momenti più difficili che ti costringono a tirare fuori il meglio di te stesso» e poi, per parlare della tempesta finanziaria del 2008, il manager italo-canadese ricorre all’incipit di Anna Karenina: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Questo per ricordare che «ognuno dei concorrenti nella nostra industria, a livello internazionale, ha sofferto le pene dell’inferno a modo suo». Ma l’attualità chiama e Marchionne non ha nessuna intenzione di tirarsi indietro. Così spiega che «è impossibile» e gli pare «logico» dettagliare gli investimenti da qui al 2014, sito per sito e stabilimento per stabilimento così come richiesto dalla Consob. Rivendica la trasparenza della Fiat, ma precisa che questa è la prassi a livello internazionale. «Abbiamo definito chiaramente la gamma di prodotti per i tre siti di Pomigliano d’Arco, per Grugliasco e per Mirafiori. E il ciclo di investimenti è già iniziato con Pomigliano che produce pre-serie per un lancio commerciale previsto per la fine di quest’anno». Grugliasco sarà in queste condizioni nella seconda metà del 2012 e Mirafiori seguirà. Gli altri siti italiani continueranno le loro missioni produttive con Melfi concentrato sulla piattaforma small e Cassino sulla piattaforma compact. «La declinazione di quest’ultima verrà anche dettata dalla velocità di sviluppo del marchio Alfa Romeo nei mercati extra europei». Alla Sevel di Val di Sangro, la joint venture con Psa, infine, è confermata la piattaforma per la costruzione dei veicoli commerciali leggeri. Fabbrica Italia, sottolinea Marchionne, «altro non era che una dichiarazione di intenti, lanciata di nostra iniziativa e non dovuta, a dimostrazione dell’impegno di Fiat verso il Paese. Sfortunatamente continua a essere intenzionalmente mal compresa e mal interpretata». Da qui il duro attacco alla Fiom. «Noi non siamo il nemico dice - E non possiamo continuare a fare le guerre. Quando i lavoratori scelgono, quelle scelte devono essere finali. Chrysler quest’anno farà 2 miliardi di utile operativo e noi stiamo ancora discutendo con la Fiom se possiamo produrre motori a Mirafiori nel fine settimana. Ci dobbiamo solo vergognare». Per questo Marchionne definisce la posizione del sindacato della Cgil «preconcetta, anacronistica e politica» e respinge la «assurde accuse di anti-italianità, perché antiitaliano è chi abbandona il Paese, chi decide di non investire». A fine serata la Marcegaglia (che già aveva detto «io e Sergio non abbiamo mai litigato, il rapporto personale è ottimo come sempre») gli riconosce «la serietà del percorso fatto» e «il totale rispetto», sottolineando che fra Fiat e Confindustria «non c’è divisione politica».
La risposta all'UE (26 ottobre 2011).
Nella notte, due ore di vertice a Palazzo Grazioli hnno consentito al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di chiudere la partita con la Lega in vista del summit europeo di oggi. E, soprattutto, di inserire nella lettera che il premier presenterà ai 27 il capitolo della riforma previdenziale con l’indicazione dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. Un obiettivo che il Carroccio ha dovuto "digerire" perché, spiega chi ha partecipato al vertice, era uno dei punti centrali - da raggiungere gradualmente da qui al 2026 - inseriti nella manovra del 13 agosto e sottoscritto dalla Lega. Nelle quindici pagine della lettera figura pertanto anche l’equiparazione dell’età pensionabile delle donne nel settore privato a quelle del settore pubblico. Berlusconi illustrerà all’Unione Europea anche tutti gli sforzi compiuti fino ad oggi dall’Italia, a partire dalle manovre correttive già varate dal Governo fino a tutta una serie di interventi già calendarizzati. Questi vanno dalle grandi opere, alle infrastrutture fino ad un piano articolato di liberalizzazioni e di lotta all’evasione, oltre ad una spiegazione dettagliata della sostenibilità del sistema previdenziale. Su queste basi, è il convincimento del premier, il governo si attende un via libera di massima dell’Europa. L’intesa, tradotta nella lettera di quindici pagine, è stata inviata iera sera anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. I capi di Stato e di governo dell'Ue si rivedono questo pomeriggio a Bruxelles, a partire dalle 18, per un riunione che dovrebbe durare, secondo le previsioni, un'ora circa, dedicata alle soluzioni alla crisi finanziaria, e in particolare alla ricapitalizzazione delle banche. A partire dalle 19, dopo una dichiarazione (o forse un breve punto stampa) del presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy e del presidente della Commissione, José Manuel Barroso, comincerà il vertice dei 17 paesi dell'Eurozona, dedicato più specificamente al potenziamento del Fondo di salvataggio Efsf e alla partecipazione dei creditori privati al secondo programma per Atene, con la svalutazione dei bond greci (si negozia fra il 40 e il 60 per cento). L'Ecofin sarà probabilmente convocato dalla presidenza polacca nei giorni seguenti, per il lavoro 'tecnico' a completamento delle decisioni politiche del vertice e per adottare formalmente tutte le misure del pacchetto. Le riunioni di Bruxelles saranno precedute nel primo pomeriggio a Berlino, dal voto del Bundestag su una dichiarazione della cancelliera tedesca, Angela Merkel, e su una mozione bi-partisan su ciò che la Germania giudica accettabile e sui paletti da non superare nelle decisioni che saranno prese dai leader dell'Ue. In particolare, la mozione chiede che il potenziamento del Fondo Efsf sia fatto senza modificarne il quadro regolamentare (già riformato a luglio), che si proceda con la proposta Ue per la tassazione delle transazioni finanziarie e che sia preservata l'indipendenza della Bce.
Il redditometro (26 ottobre 2011).
Dalla barca al circolo, dal cavallo alla villa al mare, al maneggio. Ma anche asili, spese per colf, o pay tv. Con il redditometro il Fisco scandaglierà tutte le spese per verificare se le cifre di reddito che il contribuente indica nella dichiarazione corrispondano al tenore di vita. Sono circa cento le voci del redditometro, l'arma sulla quale l'amministrazione fiscale punta per combattere con più forza l'evasione. Il redditometro è stato presentato questa mattina dall'Agenzia delle Entrate alle categorie e alla stampa. Dopo la sperimentazione, sarà operativo da febbraio. «Con una procedura semplicissima - ha spiegato il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera - i contribuenti potranno verificare la coerenza tra il livello di spesa e il reddito dichiarato». Il redditometro partirà in via sperimentale. Interesserá tutti i contribuenti persone fisiche e sará applicato dall'anno d'imposta 2009. La potenziale platea è composta da 22 milioni di famiglie per complessivi 50 milioni di soggetti, che dal 2012 potranno verificare la propria posizione, utilizzando il sistema dell'Agenzia via internet. Il redditometro, afferma il direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, «è uno strumento che vogliamo mettere. Il redditometro si compone di sette categorie, che vanno dall'abitazione ai mezzi di trasporto, dai contributi previdenziali all'istruzione; all'interno delle quali vengono raccolte oltre 100 voci, come l'arredamento, le minicar, la pensione complementare e gli asili nido». Il redditometro sará inoltre definito in base alle caratteristiche del nucleo familiare e dell'area geografica che andranno a costituire 55 gruppi omogenei. Emtrando nel dettaglio: sono cinque le aree geografiche (nordest, nordovest, centro, sud, isole) prese a riferimento dalla funzione matematica studiata. Undici i tipi di nuclei familiari e le cento voci di spesa divise in sette categorie. «Cento voci - spiega l'Agenzia - rappresentative di tutti gli aspetti della vita quotidiana». C'è il divano, ma anche il cellulare, la casa di abitazione e il caravan, l'iscrizione alla palestra, ma anche all'università, per arrivare alle spese per veterinario. La capacità di spesa del contribuente è scandagliata a 360 gradi, dai gioielli fino alle donazioni in denaro a favore di Onlus.
«È innanzitutto uno strumento di compliance - sottolinea Befera - a disposizione dei contribuenti che potranno così capire la coerenza tra le loro spese e il reddito che hanno dichiarato». Con il redditometro «avremo la possibilità di non scocciare - ha aggiunto Luigi Magistro, direttore centrale accertamento delle Entrate - chi non merita di essere scocciato e non impiegheremo risorse inutilmente, quando c'è una grande massa imponibile da far emergere». Il software verrà sperimentato, con la collaborazione delle categorie, per un paio di mesi. L'obiettivo è che da febbraio i cittadini possano controllare la coerenza tra spese e reddito dichiarato, e soprattutto reddito che intendono dichiarare.
La lettera del governo italiano all'Ue (27 ottobre 2011).
Premessa
L'Italia ha sempre onorato i propri impegni europei e intende continuare a farlo. Quest'estate il Parlamento italiano ha approvato manovre di stabilizzazione finanziaria con un effetto correttivo sui saldi di bilancio al 2014 pari a 60 miliardi di euro. Sono state così create le condizioni per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, con un anno di anticipo rispetto a quanto richiesto dalle istituzioni europee. Dal 2012, grazie all'aumentato avanzo primario, il nostro debito scenderà. Tuttavia, siamo consapevoli della necessità di presentare un piano di riforme globale e coerente. La situazione italiana va letta tenendo in debita considerazione gli equilibri più generali che coinvolgono l'intera area europea. Mesi di tensioni sui mercati finanziari e di aggressioni speculative contro i debiti sovrani sono, infatti, il segnale inequivocabile di una debolezza degli assetti istituzionali dell'area euro. Per quel che riguarda l'Italia, consapevoli di avere un debito pubblico troppo alto e una crescita troppo contenuta, abbiamo seguito sin dall'inizio della crisi una politica attenta e rigorosa. Dal 2008 ad oggi il nostro debito pubblico è cresciuto, in rapporto al Pil, meno di quello di altri importanti paesi europei. Inoltre, la disciplina da noi adottata ha portato a un bilancio primario in attivo. Situazione non comune ad altri Paesi. Se problemi antichi, come quello del nostro debito pubblico, danno luogo oggi a ulteriori e gravi pericoli, ciò è soprattutto il segno che la causa va cercata non nella loro sola esistenza, ma nel nuovo contesto nel quale ci si è trovati a governarli.
I fondamentali dell'Economia
Il Governo italiano ha risanato i conti pubblici e conseguirà l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Il debito pubblico in rapporto al PIL è stato ricondotto su un sentiero di progressiva riduzione. Nel 2014 avremo un avanzo di bilancio (corretto per il ciclo) pari allo 0,5% del PIL, un avanzo primario pari al 5,7% del PIL e un debito pubblico al 112,6% del PIL. Per realizzare questo obiettivo sono state approvate durante l'estate in tempi record due importanti manovre di finanza pubblica che comporteranno una correzione del deficit tendenziale nel quadriennio 2011-2014 pari rispettivamente a 0,2%, 1,7%, 3,3% e 3,5% del PIL. Nel 2011 si prevede un avanzo primario consistente pari allo 0,9% del PIL. Nonostante l'aumento delle spese per il servizio del debito, questo consentirà la riduzione del rapporto debito/PIL già nel 2012. I dati relativi ai primi otto mesi dell'anno in corso sono coerenti con questi obiettivi. È doveroso segnalare che la nuova serie dei conti nazionali indica che nel 2010 il Pil italiano è cresciuto dell'1,5% e non dell'1,3% e, nei due anni della crisi, il Pil si è ridotto meno di quanto prima stimato (-1,2% invece di -1,3% nel 2008 e -5,1% invece di -5,2% nel 2009). Come conseguenza della revisione contabile operata da Eurostat il rapporto deficit/Pil, che è stato confermato a 4,6% per il 2010, è praticamente allineato a quello della Germania, rivisto dal 3,3% al 4,3%. Si noti, inoltre, che l'Eurostat ha rettificato al rialzo anche i rapporti deficit/Pil della Francia (dal 7% al 7,1%), della Spagna (dal 9,2% al 9,3%), della Grecia (dal 10,5% al 10,6%) e del Portogallo (dal 9,1% al 9,8%). In conclusione, nel 2010 l'Italia aveva, insieme alla Germania, il comportamento largamente più virtuoso in termini di indebitamento netto in rapporto al Pil.
Creare condizioni favorevoli alla crescita
Siamo ora impegnati nel creare le condizioni strutturali favorevoli alla crescita. Il Governo ritiene necessario intervenire sulla composizione del bilancio pubblico per renderla più favorevole alla crescita. Con questo obiettivo il Governo intende operare su quattro direttrici nei prossimi 8 mesi:
-Entro 2 mesi, la rimozione di vincoli e restrizioni alla concorrenza e all'attività economica, così da consentire, in particolare nei servizi, livelli produttivi maggiori e costi e prezzi inferiori;
-Entro 4 mesi, la definizione di un contesto istituzionale, amministrativo e regolatorio che favorisca il dinamismo delle imprese;
-Entro 6 mesi, l'adozione di misure che favoriscano l'accumulazione di capitale fisico e di capitale umano e ne accrescano l'efficacia;
-Entro 8 mesi, il completamento delle riforme del mercato del lavoro, per superarne il dualismo e favorire una maggiore partecipazione.
Nei prossimi 4 mesi è, ad ogni modo, prioritario aggredire con decisione il dualismo Nord-Sud che storicamente caratterizza e penalizza l'economia italiana. Tale divario si estrinseca in un livello del Pil del Centro-Nord Italia che eguaglia il livello delle migliori realtà europee, e quello del Mezzogiorno, che è collocato in fondo alla graduatoria europea. A riguardo, l'esecutivo è intenzionato a utilizzare pienamente i fondi strutturali, impegnandosi in una loro revisione globale, inclusi quelli per lo sviluppo delle infrastrutture, allo scopo di migliorarne l'utilizzo e ridefinirne le priorità in stretta collaborazione con la Commissione Europea. Tale revisione consentirà un'accelerazione, una riconsiderazione delle priorità dell'uso dei Fondi e una regia rafforzata, dove l'Italia è disposta a chiedere un sostegno tecnico alla commissione europea per la realizzazione di questo ambizioso obiettivo. Il programma straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno è definito in maniera evocativa "Eurosud" e nasce dalla convinzione che la crescita del Sud è la crescita dell'Italia intera. Il Governo, quindi, definirà ed attuerà la revisione strategica dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013. Tale revisione risponde alle Raccomandazioni del Consiglio del 12 luglio 2011 sul Programma Nazionale di Riforma dell'Italia. Esso si basa su una più forte concentrazione dei Programmi sugli investimenti maggiormente in grado di rilanciare la competitività e la crescita del Paese, segnatamente intervenendo sul potenziale non utilizzato nel Sud, e su un più stringente orientamento delle azioni ai risultati (istruzione, banda larga, ferrovie, nuova occupazione). Tale revisione potrà comportare una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari. Le risorse resesi disponibili a seguito di questa riduzione saranno programmate attraverso un percorso di concertazione tra il Ministro delegato alle politiche di coesione, il Commissario europeo competente e le regioni interessate basato su una cooperazione rafforzata con la Commissione europea attraverso un apposito gruppo di azione. Tale piano d'azione sarà definito entro il 15 novembre 2011. La creazione delle condizioni strutturali per la crescita dell'intero Paese passa inevitabilmente per la revisione delle politiche di:
a. promozione e valorizzazione del capitale umano;
b. efficientamento del mercato del lavoro;
c. apertura dei mercati in chiave concorrenziale;
d. sostegno all'imprenditorialità e all'innovazione;
e. semplificazione normativa e amministrativa;
f. modernizzazione della pubblica amministrazione;
g. efficientamento e snellimento dell'amministrazione della giustizia;
h. accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia;
i. riforma dell'architettura costituzionale dello Stato.
a. Promozione e valorizzazione del capitale umano
L'accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l'anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell'arco d'un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento.
Si amplieranno autonomia e competizione tra Università. Si accrescerà la quota di finanziamento legata alle valutazioni avviate dall'ANVUR e si accresceranno i margini di manovra nella fissazione delle rette di iscrizione, con l'obbligo di destinare una parte rilevante dei maggiori fondi a beneficio degli studenti meno abbienti. Si avvierà anche uno schema nazionale di prestiti d'onore. Da ultimo, tutti i provvedimenti attuativi della riforma universitaria saranno approvati entro il 31 dicembre 2011.
b. Efficientamento del mercato del lavoro
È prevista l'approvazione di misure addizionali concernenti il mercato del lavoro.
1. In particolare, il Governo si impegna ad approvare entro il 2011 interventi rivolti a favorire l'occupazione giovanile e femminile attraverso la promozione: a. di contratti di apprendistato contrastando le forme improprie di lavoro dei giovani; b. di rapporti di lavoro a tempo parziale e di contratti di inserimento delle donne nel mercato del lavoro; c. del credito di imposta in favore delle imprese che assumono nelle aree più svantaggiate.
2. Entro maggio 2012 l'esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro a. funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell'impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato; b. più stringenti condizioni nell'uso dei "contratti para-subordinati" dato che tali contratti sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato.
c. Apertura dei mercati in chiave concorrenziale
Entro il 1° marzo 2012 saranno rafforzati gli strumenti di intervento dell'Autorità per la Concorrenza per prevenire le incoerenze tra promozione della concorrenza e disposizioni di livello regionale o locale. Verrà generalizzata, la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali in accordo con gli enti territoriali. Le principali disposizioni contenute nella bozza di disegno di legge sulla concorrenza riguardano i settori della distribuzione dei carburanti e dell'assicurazione obbligatoria sui veicoli. Le misure relative al mercato assicurativo sono state definite all'interno di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, che è già stata approvata dalla camera dei deputati ed è attualmente all'esame del senato. Le misure concernenti i mercati della distribuzione carburanti sono state integralmente inserite nel Decreto Legge n.98/2011 e pertanto sono già in vigore. Si è preferito adottare uno strumento legislativo quale il decreto che garantisce l'immediata efficacia degli interventi. nel medesimo decreto legge sono state inserite anche altre disposizioni di apertura dei mercati e liberalizzazioni, tra cui si ricorda in particolare la liberalizzazione in via sperimentale degli orari dei negozi. Nel frattempo, fra i primi in Europa, l'Italia ha aperto alla concorrenza il mercato della distribuzione del gas: sono stati adottati e saranno a breve pubblicati nella gazzetta ufficiale i regolamenti che disciplinano le gare per l'affidamento della distribuzione del gas in ambiti territoriali più ampi dei comuni.
Già con il Decreto Legge n.138/2011 sono state adottate incisive misure finalizzate alla liberalizzazione delle attività d'impresa e degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali. In particolare già si prevede che le tariffe costituiscano soltanto un riferimento per la pattuizione del compenso spettante al professionista, derogabile su accordo fra le parti. Il provvedimento sullo sviluppo recherà altre misure per rafforzare l'apertura degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali. Sempre in materia di ordini professionali, nella manovra di agosto, in tema di accesso alle professioni regolamentate, è stato previsto che gli ordinamenti professionali debbano garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Inoltre, già in sede di conversione della manovra di luglio (DL n. 98/2011) è stato previsto che il Governo, sentita l'Alta Commissione per la Formulazione di Proposte in materia di Liberalizzazione dei Servizi, elaborerà proposte per la liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche da presentare alle categorie interessate. Dopo 8 mesi dalla conversione del decreto legge, tali servizi si intenderanno liberalizzati, salvo quanto espressamente regolato.
Verranno rafforzati i presidi a tutela della concorrenza nel campo dei servizi pubblici locali, con l'introduzione a livello nazionale di sistemi di garanzia per la qualità dei servizi nei comparti idrico, dei rifiuti, dei trasporti, locali e nazionali e delle farmacie comunali, seguendo rispettivamente questa sequenza temporale 3 mesi, 6 mesi, 9 mesi e 12 mesi. Per quanto riguarda la riforma dei servizi pubblici locali che il Governo italiano - riprendendo quanto già previsto dall'articolo 23 bis del DL 112/2008 - ha approvato nella manovra di agosto 2011 escludendo il settore idrico a seguito di un referendum popolare. Con le disposizioni che si intende varare si rafforza il processo di liberalizzazione e privatizzazione prevedendo che non è possibile attribuire diritti di esclusiva nelle ipotesi in cui l'ente locale affidante non proceda alla previa verifica della realizzabilità di un sistema di concorrenza nel mercato, ossia di un sistema completamente liberalizzato. Inoltre, viene previsto un ampliamento delle competenze dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché un sistema di benchmarking al fine di assicurare il progressivo miglioramento della qualità di gestione e di effettuare valutazioni comparative delle diverse gestioni.
d. Sostegno all'imprenditorialità e all'innovazione
Entro il 2011, al fine di favorire la crescita delle imprese il Governo prevede di utilizzare la leva fiscale per agevolare la capitalizzazione delle aziende, con meccanismi di deducibilità del rendimento del capitale di rischio. Verranno potenziati gli schemi a partecipazione pubblica di venture capital e private equity, preservando la concorrenza nei relativi comparti. Il Governo trasformerà le aree di crisi in aree di sviluppo, rendendo più semplice ed efficace la procedura per definire i programmi di rilancio, che potranno essere finanziati anche con risorse comunitarie. Forte impegno dell'esecutivo verso le PMI, destinando loro il 50% delle risorse non utilizzate ogni anno del Fondo Rotativo per il Sostegno alle imprese e per gli investimenti in ricerca. Questi interventi – insieme al Contratto di Sviluppo, già operativo – rientrano a pieno titolo nell'ambito del riordino generale degli incentivi contenuto nello Statuto delle Imprese, che diventerà legge nelle prossime settimane. Per garantire la liquidità delle imprese si prevede un sistema di certificazione di debiti delle Pubbliche Amministrazioni locali nei confronti delle imprese stesse a
La pubblica amministrazione è un volano fondamentale della crescita. Stiamo creando l fine di consentire lo sconto e successivo pagamento da parte delle banche, in conformità alle procedure di calcolo Eurostat e senza impatto addizionale sull'indebitamento della Pubblica Amministrazione.
e. Semplificazione normativa e amministrativa
Il Governo incentiva la costituzione di "zone a burocrazia zero" in tutto il territorio nazionale in via sperimentale per tutto il 2013, anche attraverso la creazione dell'U.L.G. – Ufficio Locale dei Governi quale autorità unica amministrativa che coinvolgerà i livelli locali di governo in passato esclusi. Il Governo mira a semplificare la costituzione del bilancio delle S.r.l., la digitalizzazione del deposito dell'atto di trasferimento delle quote delle società e lo snellimento in materia di vigilanza delle società di capitali e degli organi di controllo. I rapporti con la pubblica amministrazione diventeranno più snelli grazie alla completa sostituzione dei certificati con delle autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione resteranno valide solo nei rapporti tra privati. I controlli sulle imprese si ispireranno a criteri di semplicità e proporzionalità, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni che possano recare intralcio al normale esercizio delle attività imprenditoriali Da ultimo, per quanto riguarda la semplificazione amministrativa verrà completata nei prossimi 6 mesi la strategia di revisione della regolamentazione settoriale, elaborando proposte puntuali di semplificazione dei procedimenti e monitorandone gli effetti. Verrà rafforzata e accelerata l'attuazione del programma di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi di tipo informativo previsti da leggi statali (MOA). Inoltre, ove la disciplina sia di fonte regionale e locale, verranno rafforzati ed estesi gli incentivi previsti dalla manovra estiva per i procedimenti amministrativi relativi all'avvio e alla svolgimento dell'attività d'impresa. L'obiettivo è quello di migliorare il posizionamento dell'Italia nella graduatoria internazionale relativa al Doing Business, nei prossimi 3 anni.
f. Modernizzazione della pubblica amministrazione le condizioni perché la pubblica amministrazione sia pronta ad accompagnare la ripresa, svolgendo una funzione di servizio allo sviluppo e non di zavorra burocratica. Ecco perché la semplificazione, la trasparenza e la meritocrazia sono fondamentali. Un tassello rilevante è costituito dalla piena attuazione della Riforma Brunetta della pubblica amministrazione, in particolar modo dalle misure che rafforzano il ruolo della Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche (istituita nel dicembre del 2009) e le cui competenze saranno integrate con il disegno di legge in materia di anticorruzione, già approvato dal Senato, e attualmente all'esame della Camera dei Deputati. Esso rappresenta un passaggio importante per la completa implementazione della riforma della pubblica amministrazione in quanto individua una nuova governance per l'attività di prevenzione e contrasto della corruzione, affidando le funzioni alla Commissione e individuando con estrema puntualità le modalità di accrescimento del livello di trasparenza della pubblica amministrazione. Per rendere più efficiente, trasparente, flessibile e meno costosa la pubblica amministrazione tanto a livello centrale quanto a livello degli enti territoriali (oltre al vigente blocco del turnover del personale) renderemo effettivi con meccanismi cogenti/sanzionatori: a. la mobilità obbligatoria del personale; b. la messa a disposizione (Cassa Integrazione Guadagni) con conseguente riduzione salariale e del personale; c. il superamento delle dotazioni organiche.
Contestualmente all'entrata in vigore della legge costituzionale recante l'abolizione e la razionalizzazione delle province è prevista l'approvazione di una normativa transitoria per il trasferimento del relativo personale nei ruoli delle regioni e dei comuni.
g. Efficientamento e snellimento dell'amministrazione della giustizia
Proseguendo sulla linea delle misure definite in estate, verranno rafforzati il contrasto della litigiosità e la prevenzione del contenzioso (anche attraverso la costituzione presso il Ministero della Giustizia di un gruppo tecnico che individui situazioni a forte incidenza di litigiosità e proponga specifici interventi di contrasto). Entro il 30 aprile 2012 verrà completato il progetto in corso presso il Ministero della Giustizia per la creazione di una banca dati centralizzata per le statistiche civili e per quelle fallimentari. Verranno rafforzati i meccanismi incentivanti per gli uffici virtuosi di cui alla Legge n. 111 del 2011. L'obiettivo è quello della riduzione della durata delle controversie civili di almeno il 20 per cento in 3 anni.
h. Accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia
Oltre alla realizzazione degli investimenti già concordati con le società concessionarie, il Governo solleciterà una maggiore partecipazione degli investitori privati, definendo entro il 31 dicembre 2011 standard contrattuali tipo che facilitino il ricorso al project financing, con una più chiara ed efficiente allocazione dei rischi tra le parti e accrescendo le certezze sulla redditività dell'opera e la prevenzione di comportamenti di tipo monopolistico nella determinazione dei pedaggi. Verrà rafforzata la qualità della programmazione finanziaria pubblica, definendo obiettivi pluriennali di spesa e concentrando le risorse su progetti considerati strategici. Il Governo è impegnato nella definizione nelle prossime 10 settimane di alcune opere immediatamente cantierabili, su proposta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che potranno beneficiare, a titolo di contributo al finanziamento, della defiscalizzazione (IRAP, IRES) a vantaggio dei concessionari dell'opera stessa. Inoltre sono previste una serie di semplificazioni e velocizzazioni nelle procedure di approvazione dei progetti da parte del CIPE e la suddivisione degli appalti in lotti funzionali per garantire alle PMI un accesso facilitato. Si prevede lo sblocco degli investimenti privati grazie alla semplificazione delle procedure relative ai contratti di programma dei maggiori aeroporti italiani. Infine, sono previste norme mirate all'ottimizzazione delle gestioni negli impianti portuali e di semplificazione in materia di trasporto eccezionale su gomma. Da ultimo, è in corso di predisposizione una garanzia "reale" dello Stato (attraverso propri beni immobili, e non solo di natura finanziaria) per i mutui prima casa di giovani coppie, prive di contratto di lavoro a tempo indeterminato. Questo garantirà un nuovo impulso al mercato immobiliare e alle nuove famiglie.
i. Riforma dell'architettura costituzionale dello Stato
Il Governo italiano è impegnato in un processo di complessiva riforma costituzionale. Essa riguarda tanto l'assetto costituzionale dei poteri, quanto la cornice normativa volta a promuovere le condizioni di sviluppo del mercato e una disciplina più rigorosa delle finanze pubbliche. Pur nella complessità del processo di revisione costituzionale l'Italia intende giungere all'approvazione della prima lettura di tali disegni di legge costituzionale entro i prossimi 6/12 mesi. In particolare, quanto alla riforma dello Stato, si tratta dei seguenti provvedimenti:
a.Disegno di legge (già approvato in prima lettura alla Camera) sulla modifica dell'elettorato attivo e passivo per l'elezione al Parlamento nazionale al fine di garantire una maggiore partecipazione giovanile alla vita politica.
b.Due disegni di legge (all'esame del Parlamento) di riforma complessiva dell'organizzazione dei vertici delle istituzioni politiche, con particolare riferimento alla riduzione significativa del numero dei parlamentari, all'abolizione delle province, alla riforma in senso federale dello Stato, alla maggiore efficienza dei meccanismi decisionali e al rafforzamento del ruolo dell'esecutivo e della maggioranza.
Sul secondo versante, relativo alla disciplina del mercato e al rigore della finanza pubblica, si prevede:
a.Un disegno di legge (la cui approvazione è in corso proprio in questi giorni presso la Camera dei deputati) di riforma degli articoli della costituzione relativi alla libertà di iniziativa economica e alla tutela della concorrenza, nonché alla riforma della pubblica amministrazione in funzione della valorizzazione dell'efficienza e del merito.
b.Un disegno di legge sull'introduzione del vincolo di pareggio di bilancio sul modello già seguito in altri ordinamenti europei.
A tal fine si deve ricordare che l'articolo 138 della Costituzione Italiana impone che le leggi costituzionali ad intervallo non minore di tre mesi. Quindi, anche con la massima celerità possibile, le riforme costituzionali richiedono dei tempi minimi imprescindibili. Le conseguenti leggi attuative saranno successivamente attuate senza indugio, non essendovi vincoli temporali nell'ambito della Costituzione.
Una finanza pubblica sostenibile
Le pensioni
Nella attuale legislatura la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali choc negativi. Grazie al meccanismo di aggancio dell'età pensionabile alla speranza di vita introdotto nel 2010 (art. 12 commi 12-bis e 12-ter, DL 78/2010, come modificato con art. 18 comma 4, DL 98/2011), il Governo italiano prevede che il requisito anagrafico per il pensionamento sarà pari ad almeno 67 anni per uomini e donne nel 2026. Sono già stati rivisti i requisiti necessari per l'accesso al pensionamento di anzianità. Tali requisiti aumenteranno gradualmente fino ad arrivare a regime a partire dal 2013. Questi requisiti sono in ogni caso agganciati in aumento all'evoluzione della speranza di vita.
La delega fiscale e assistenziale previdenziale
Il provvedimento di iniziativa governativa è già all'esame del Parlamento e sarà approvato, entro il 31 gennaio 2012, quindi con tempi compatibili all'emanazione dei provvedimenti delegati entro il 2012. Comunque, anche al fine di accrescere la fiducia degli investitori, nel rispetto del percorso di risanamento programmato, il Governo ha fornito, con la Legge 148 del 14 settembre 2011, le risorse che saranno reperite con l'esercizio della delega per la riforma dei sistemi fiscale e assistenziale sulla base degli attuali regimi di favore fiscale e delle sovrapposizioni fra agevolazioni e conseguenti inefficienze ad oggi individuate. Tali risorse ammontano ad almeno 4 miliardi di euro nell'anno 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2014. Contestualmente, per dare massima garanzia sul rispetto dei saldi è stata introdotta una clausola di salvaguardia. La clausola prevede che, in caso di ritardo nell'attuazione della delega oltre il 30 settembre 2012, le agevolazioni fiscali vigenti saranno ridotte del 5% per l'anno 2012 e del 20% a decorrere dal 2013. In alternativa, anche parziale, si è stabilita la possibilità di disporre con decreto del Presidente del consiglio, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l'accisa. In breve, qualora la delega non fosse esercitata entro il 30 settembre 2012 o le nuove disposizioni fiscali e assistenziali non siano in grado di garantire un sufficiente effetto positivo sul deficit (almeno 4 miliardi nel 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi a partire dal 2014), si avrà una riduzione automatica delle agevolazioni fiscali che garantirà comunque il raggiungimento degli obiettivi di risparmio. Viceversa, se la delega verrà esercitata entro il termine e le nuove disposizioni garantiranno effetti di risparmio almeno pari a quelli previsti, non si procederà dunque al taglio automatico delle agevolazioni.
Le dismissioni
Entro il 30 novembre 2011, il Governo definirà un piano di dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico che prevede almeno 5 miliardi di proventi all'anno nel prossimo triennio. Previo accordo con la Conferenza Stato-Regioni, gli enti territoriali dovranno definire con la massima urgenza un programma di privatizzazione delle aziende da essi controllate. I proventi verranno utilizzati per ridurre il debito o realizzare progetti di investimento locali.
La razionalizzazione della spesa pubblica
Il Governo ribadisce l'impegno a definire entro il 31 dicembre 2011 il programma per la riorganizzazione della spesa previsto dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148, in particolare per quanto riguarda: l'integrazione operativa delle agenzie fiscali; la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato e degli enti della previdenza pubblica in modo da creare sinergie e ottimizzare l'uso delle risorse; il coordinamento delle attività delle forze dell'ordine; la razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria nel suo complesso in modo da accelerare i tempi della giustizia civile; e la riorganizzazione della rete consolare e diplomatica. Il Governo attuerà i primi interventi dal 1° gennaio 2012 e darà conto dei progressi realizzati con cadenza trimestrale.
Debito pubblico
Entro il 31 dicembre 2011, il governo affiderà l'elaborazione di un piano organico per l'abbattimento del debito attraverso anche le dismissioni ad una commissione ristretta di personalità di prestigio, in collaborazione con gli enti territoriali e con le principali istituzioni economiche e finanziarie nazionali ed internazionali.
Il costo degli apparati istituzionali
Il Governo riconosce la necessità di rafforzare gli interventi volti a ridurre i costi degli apparati istituzionali. In particolare, verrà perseguita entro il 2012, una razionalizzazione e soppressione delle provincie e la riallocazione delle funzioni delle Province alle Regioni o ai Comuni, in modo da assicurare un significativo snellimento dei relativi apparati burocratici e degli organi rappresentativi. Verrà rafforzato il regime di incompatibilità fra le cariche elettive ai diversi livelli di governo.
Il pareggio di bilancio
Il disegno di legge di riforma della Costituzione in materia di pareggio di bilancio è già all'esame della Camera dei Deputati. L'obiettivo è quello di una sua definitiva approvazione entro la metà del 2012.
Con le modifiche introdotte con la Legge n.39/2011 alla "Legge di contabilità e finanza pubblica (L. 196/2009) è stata rivista la normativa relativa alle coperture finanziarie delle leggi a vantaggio del rafforzamento della relativa disciplina fiscale. In particolare, per la copertura degli oneri correnti della legge di stabilità è stata circoscritta la possibilità di utilizzare il miglioramento del risparmio pubblico, escludendo la possibilità di finanziare con tali risorse nuove o maggiori spese correnti.
Definire le ulteriori misure correttive eventualmente necessarie. Il Governo monitorerà costantemente l'andamento dei conti pubblici. Qualora il deterioramento del ciclo economico dovesse portare a un peggioramento nei saldi il Governo interverrà prontamente. L'utilizzo del Fondo per esigenze indifferibili sarà vincolato all'accertamento, nel giugno del 2012, di andamenti dei conti pubblici coerenti con l'obiettivo per l'indebitamento netto del prossimo anno.
Conclusioni
Siamo sicuri che, con l'impegno di tutti, scaturito dalla consapevolezza che ci troviamo a fronteggiare problemi che riguardano l'intera Unione e la tenuta stessa della moneta comune, dunque problemi non circoscrivibili a questa o quella debolezza o forza nazionali, consegneremo ai giovani un'Europa più forte e più coesa.
Accordo per superare la crisi dell'euro (27 ottobre 2011).
Dopo oltre 10 ore di negoziati i 17 paesi della zona euro hanno messo a punto nella notte un nuovo piano di salvataggio della zona euro che prevede tra le altre cose una riduzione del debito greco di circa 100 miliardi di euro e il potenziamento del fondo di stabilità europeo da 440 miliardi a 1000 miliardi di euro.
L'operazione prevede da un lato una ricapitalizzazione delle banche, e dall'altro una decurtazione del debito greco in mani private del 50%. A questo si aggiunge, come detto, un rafforzamento dell'EFSF, il fondo chiamato ad aiutare i paesi in difficoltà con il compito tra le altre cose di acquistare debito pubblico sul mercato. "Un accordo su un piano globale è stato trovato", ha detto questa notte alle 4 del mattino il presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy. Le trattative sono state aspre e hanno visto uno duro scontro tra Francia e Germania proprio sull'ammontare della decurtazione da applicare al debito greco in mano agli investitori privati. Si è trattato di rimettere mano all'accordo del 21 luglio, invecchiato nel frattempo a causa del rallentamento economico e dell'andamento dei mercati. La Germania voleva un haircut del 60%, ma la Francia e la Banca centrale europea sono riusciti a evitare una soluzione di questo tipo che sarebbe stata vista dagli investitori come un fallimento sovrano. In compenso, il rafforzamento dell'EFSF – da 440 a 1000 miliardi – è probabilmente deludente agli occhi dei mercati: si sperava in qualcosa di più radicale, di più credibile. Evidentemente, non è stata trovata la formula accettabile per tutti. La stessa Germania aveva posto limiti alle nuove garanzie che avrebbe potuto offrire in questo caso. Oltre ad assicurare emissioni obbligazionarie l'EFSF beneficerà di un veicolo speciale che dovrebbe attirare investimenti pubblici e privati da usare sul mercato dei debiti europei. Impossibile tuttavia per ora dare stime concrete sul possibile ammontare di questo strumento finanziario. La Francia ha intenzione di chiedere l'aiuto della Cina. In un comunicato a metà dei lavori del consiglio europeo a Bruxelles, i governi dell'Unione hanno ammesso che restaurare la fiducia sui mercato è una necessità ormai "urgente". In questo senso hanno deciso di chiedere agli istituti di credito di portare il loro Core Tier One al 9% entro il 30 giugno 2012. La cifra del 9% è elevata, vicina a quanto richiesto dalle regole di Basilea III che entreranno a regime nel 2019. "Vi è un ampio accordo per chiedere un criterio patrimoniale significativamente più elevato, del 9% (…), dopo avere tenuto conto di una valutazione di mercato delle esposizioni al debito sovrano", si legge nel comunicato pubblicato ieri sera. "Questa valutazione prudente – basata sui prezzi al 30 settembre – non avrà un'influenza sulle regole di contabilità finanziaria oggi in vigore", hanno precisato i governi nazionali. La scelta è chiara: rendere l'esercizio credibile. "E' una misura una tantum", ha rassicurato il ministro delle Finanze polacco Jacek Rostowski. Di solito, i calcoli dei coefficienti patrimoniali prevedono che gli investimenti in obbligazioni sovrane siano considerati sicuri. La decisione peserà soprattutto sulle banche spagnole, italiane, francesi e greche, più esposte ai paesi in crisi finanziaria. L'autorità bancaria europea ha stimato la ricapitalizzazione italiana a circa 15 miliardi di euro. L'Europa è riuscita dopo lunghi negoziati, iniziati in realtà venerdì, a trovare un'intesa su un pacchetto globale. A prima vista però il nuovo salvagente rischia di deludere chi si aspettava qualcosa di più innovativo. Non è un caso se il presidente francese Nicolas Sarkozy ha salutato con soddisfazione il nuovo impegno della Bce. Qualche ora prima del vertice di mercoledì sera, il prossimo presidente Mario Draghi ha annunciato che "l'Eurosistema è determinato, con le sue misure non convenzionali, a evitare che i malfunzionamenti sui mercati monetari e finanziari ostacolino la trasmissione monetaria". In altre parole gli acquisti di obbligazioni probabilmente proseguiranno.
Banche diverse, rischi diversi (29 ottobre 2011).
Sono più tossici i titoli che da anni tutti chiamano «tossici», oppure i titoli di Stato che per anni sono stati da tutti considerati a «rischio zero»? L'European banking authority (Eba), imponendo aumenti di capitale per 106 miliardi di euro solo agli istituti più esposti sui titoli di Stato di Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, ha dato la sua risposta: sono più pericolosi i bond governativi. Punto a capo. Sta di fatto che, così facendo, l'Eba ha penalizzato banche come quelle italiane o spagnole, ma ha salvato le francesi e le tedesche. Eppure, a ben guardare, in quei Paesi i problemi non mancano: gli istituti sono pieni di titoli tossici, hanno una leva finanziaria più elevata, hanno sempre fatto molto meno credito alle imprese. Il «Sole 24 Ore», numeri alla mano, è in grado di dimostrarlo. Per titoli «tossici» si intendono quelle obbligazioni a salsiccia, create impacchettando mutui subprime e titoli strutturati, che da anni non hanno più un mercato. Sono classificati a «livello 3» nei bilanci e pesano in Europa per 337 miliardi. Dove stanno? Soprattutto nelle grandi banche del Nord Europa. Solo il 4% è in Italia. Intesa Sanpaolo e UniCredit, infatti, hanno asset «tossici» in bilancio per soli 3,5 e 10,4 miliardi: si tratta, rispettivamente, dell'8% e del 18% del patrimonio di vigilanza. Percentuali tranquille. Ben diversi, invece, i numeri delle banche tedesche e francesi: Deutsche Bank a fine 2010 aveva 46,6 miliardi di euro di titoli «Livello 3», Commerzbank 5,9 miliardi, Bnp Paribas 32,7 miliardi. Rispetto al patrimonio di vigilanza, Deutsche Bank ha titoli «tossici» per un valore pari al 96%. Ben più del 18% di UniCredit. Discorso opposto per l'esposizione sui titoli di Stato: è ovvio che le banche dei Paesi in crisi siano piene di bond di casa. Le italiane hanno fatto incetta di BTp italiani (58 miliardi per Intesa e 48 per UniCredit), le spagnole di Bonos locali (53 miliardi il Bbva e 41 il Santander). E questo è il problema: imponendo il rafforzamento parimoniale solo a chi ha tanti titoli di Stato periferici, e non a chi è pieno di titoli «tossici», sono state le italiane e le spagnole ad essere penalizzate. È vero che i titoli di Stato sono rischiosi, ma perché non sono stati considerati tali i tossici? Stesso discorso per la leva finanziaria, cioè la quantità di attività rispetto al capitale. Ebbene: le banche italiane – calcola l'Abi – hanno la leva più bassa in Europa: gli attivi sono appena 14 volte più grandi del patrimonio netto. Le banche tedesche e francesi, invece, su questa voce hanno l'allarme rosso acceso da anni: la leva è mediamente di 35 in Germania e di 30 in Francia. Insomma: da loro le banche svolgono attività 35 volte maggiori del capitale che hanno, ricorrendo al debito. Per capire la sproporzione: è come se una persona, disponendo di 100mila euro, ottenesse un mega-mutuo per la casa da 3,5 milioni di euro. Impossibile vero? Eppure l'Eba non ne tiene conto. Le banche italiane e spagnole, per contro, sono tradizionalmente più vicine a imprese e famiglie: nel Belpaese (dati Abi) il credito tradizionale rappresenta il 62% degli attivi e in Spagna il 61,4%, contro il 31,7% di Germania e il 30,3% di Francia. Questo significa che in Italia e Spagna le banche hanno sempre fatto più attività bancaria e meno speculazione sui mercati. Questo, ovvio, le espone ai rischi congiunturali: non a caso in Italia i crediti deteriorati – calcolava Mediobanca a fine 2010 – sono molto maggiori che all'estero. Ma ora si rischia di aggravare la situazione. Se non riusciranno a realizzare gli aumenti di capitale, le banche italiane dovranno per forza ridurre gli attivi: cioè il credito a imprese e famiglie. Mediobanca securities stima un de-leverage (dimagrimento) tra il 17% e il 32% a seconda degli istituti. Questo, di conseguenza, rischia di peggiorare la congiuntura economica e – in estrema conseguenza – di far aumentare i crediti in sofferenza. Il rischio, insomma, è di un avvitamento della crisi bancaria ed economica nei Paesi già deboli. Da IlSole24Ore.com
La proposta di ricapitalizzazioni temporanee delle banche europee lanciata dall'Eba per far fronte alla crisi del debito sovrano non piace al presidente della Fondazione Cariplo, azionista di Intesa Sanpaolo, Giuseppe Guzzetti. «Sono arrabbiato perché salvaguardano gli interessi francesi e penalizzano gli italiani» afferma Guzzetti che è anche presidente dell'Acri, l'associazione che riunisce le fondazioni bancarie. L'Eba, autorità bancaria europea, ha chiesto agli istituti di credito di varare operazioni di rafforzamento patrimoniale per 14,77 miliardi di euro di cui la metà circa in capo alla sola UniCredit. Cifre molto minori sono state richieste alle banche francesi e tedesche. Le prime devono raccogliere quasi 9 miliardi sul mercato mentre le seconde appena cinque»». Secondo l'autorità bancaria europea sono quindi più solide le banche del nord Europa rispetto alle nostre. Ma come è possibile se le francesi e le tedesche sono più esposte in titoli greci? Che dire poi del caso Dexia? La banca, nonostante potesse vantare un invidiabile Core Tier One al 12% è finita sull'orlo del crack per l'eccessiva esposizione in titoli greci. Per rispondere a questa domanda bisogna capire quali sono i criteri utilizzati dall'Eba per stabilire se una banca è solida oppure no. Il Sole 24 Ore lo ha fatto dimostrando che questi - come ha ricordato lo stesso Guzzetti - penalizzano le banche italiane e premiano quelle francesi e tedesche. Nel calcolo degli attivi a rischio per esempio pesa assai di più il credito e i mutui a famiglie e imprese che non il trading finanziario. Con la crisi dei debiti sovrani poi, i titoli di stato italiani sono entrati tra quelli considerati rischiosi. E questo penalizza i nostri istituti di credito benché questi abbiano un'esposizione molto più limitata per esempio in asset ben più rischiosi, come i famigerati "titoli tossici", da cui è partita la crisi nel 2008. Lo stesso dicasi per la leva finanziaria (cioè il rapporto tra attività e capitale) che per le banche del nord Europa è decisamente più elevata. Nessun istituto di credito del nostro paese ha dovuto utilizzare il salvagente degli aiuti pubblici (se si escludono i Tremonti bond). Lo stesso non è accaduto nel resto d'Europa.
Disoccupazione, consumi e indici di fiducia (30 ottobre 2011).
Il tasso di disoccupazione a settembre si attesta all'8,3%, in aumento di 0,3 punti percentuali sia rispetto ad agosto che a settembre 2010: è il valore più alto da novembre 2010. Lo comunica l'Istat, aggiungendo che «il tasso di disoccupazione giovanile sale al 29,3%», record da gennaio 2004 (inizio delle serie storiche), con un aumento congiunturale di 1,3 punti percentuali, e più alto del tasso Ocse. Cala al 56,9% il tasso di occupazione, (-0,2 punti percentuali su agosto e -0,1 punti percentuali. su settembre 2010).
Due italiani su tre hanno dato un taglio al guardaroba, uno su due alle spese per il tempo libero fuori casa, dalla cena al ristorante al cinema o al fast food. C'è poi la ricerca di nuove occasioni per fare economia (si pensi alle lunghe code a Roma per l'apertura di un punto vendita Trony che offriva prodotti con forti sconti) il più possibile sui prodotti alimentari, con un carrello della spesa che si fa sempre più leggero e riempito di marche low cost. Queste le vie del risparmio più battute dalle famiglie italiane nel terzo trimestre di quest'anno. Per arrivare a fine mese si scelgono le offerte più convenienti di luce e gas, mentre sono già state tagliate, in un caso su tre, le ricariche dei telefonini. Nel nostro Paese, poi, una famiglia su quattro non si è potuta permettere le vacanze annuali, una su tre utilizza meno l'auto, mentre tra i fumatori uno su sette ha già scelto di acquistare meno sigarette. Con lo stesso rapporto è cambiata la scelta nell'acquisto degli alcolici: o si rinuncia del tutto o si scelgono le marche più economiche. Queste le vie del risparmio percorse dagli italiani secondo il «Global online consumer confidence index», termometro che misura la fiducia delle persone. Quella italiana si è fermata ad appena 52 punti, il minimo storico contro gli 88 del primo trimestre del 2005 quando ha preso il via questo panel della Nielsen. Se il presente è difficile, confermato dalla crescita zero delle vendite al dettaglio nel mese di agosto registrata dall'Istat, il domani a breve termine viene immaginato ancora più incerto: un italiano su cinque è preoccupato per la sicurezza del proprio posto di lavoro e per l'andamento del ciclo economico. «I principali fattori che determinano l'ulteriore arretramento dell'indice di fiducia in Italia sono l'andamento dell'economia e la sicurezza del posto di lavoro - commenta Roberto Pedretti, amministratore delegato di Nielsen Italia -. Va sottolineato come la "stabilità politica", in calo rispetto a un anno fa, allarma solo il 5% degli italiani, più preoccupati invece di non riuscire a onorare i propri debiti». Nell'ultimo trimestre è aumentato il numero dei soggetti che dichiara di avere intrapreso contromosse all'insegna del risparmio anche nell'intrattenimento in casa e che si sono messi alla ricerca di opportunità più convenienti per quanto riguarda mutui, assicurazioni e prestiti. A fine mese il 40% riesce a centrare l'obiettivo risparmio accantonando qualche euro, ma un quinto ha la capacità di risparmio azzerata. E tutte queste forme di economia continueranno anche nel prossimo anno. Tra i 56 Paesi in cui Nielsen misura il trend della fiducia i consumatori più preoccupati si trovano in Nordamerica e in Europa. Oltre la metà del totale dichiara di essere entrato in un ciclo recessivo e per quasi i due terzi oggi non è il momento migliore per acquistare i beni necessari o desiderati. Un sentiment che per i prossimi dodici mesi è orientato al pessimismo: il 60% di chi vive in queste due aree ritiene che la recessione continuerà anche nel 2012. Un pessimismo che regna sovrano nell'Eurozona, dove in diversi Paesi c'è stato un calo della fiducia a due cifre. Come in Francia, dove l'indice Nielsen è scivolato di ben 13 punti. «Con 56 punti la Francia si colloca sullo stesso livello della Spagna e si avvicina ai livelli di Italia (52 punti) e Grecia (51)», sottolinea Pedretti. Dall'indice emerge un'Europa spaccata in due. Sono qui otto dei dieci Paesi più pessimisti del mondo, ma anche otto dell'Est Europa tra i più ottimisti. Nel complesso in 12 nazioni c'è stata una flessione dell'indice di fiducia contro i 14 in aumento tra cui Lettonia, Turchia e Lituania. Nel mondo la fiducia, secondo Nielsen, è in flessione per il settimo trimestre consecutivo in più della metà dei 56 Paesi rilevati e non vengono nemmeno risparmiate Cina e Germania: entrambe perdono un punto. Sono due le aree dove brilla la fiducia dei consumatori: quella del Sudamerica, a 97 punti, ex aequo con l'Asia-Pacifico, mentre continuano a essere in affanno il Nordamerica e l'Europa a 79 e 74 punti. Gli Usa registrano il punteggio di 77 punti, il più basso di sempre, mentre il Canada nell'ultimo trimestre ha perso cinque punti. L'America Latina corre grazie all'effetto Brasile, forte di un +16 che porta il Paese, a toccare il massimo del continente. Infine, il Sudafrica perde l'effetto «Mondiali di calcio» e vede scendere di otto punti il livello di fiducia, ai minimi del continente.
Un piano del FMI (31 ottobre 2011)
Parla Barak Obama, ed esce allo scoperto il Fondo monetario internazionale, e i leader dell'Unione Europea scrivono a quelli del G20 per avere il loro aiuto: mentre la crisi del debito si fa sempre più pesante, alla vigilia della riapertura dei mercati, i contendenti in gioco tentano di organizzare il contrattacco. L'Fmi ha annunciato di aver dato il via a una «revisione» degli «strumenti finanziari a sua disposizione» per aiutare i Paesi più colpiti: in sostanza, si prepara ad agire, forse dopo l'aumento delle sue risorse che potrebbe essere deciso al vertice del G20, il 3 e 4 novembre a Cannes. Ma quella revisione è iniziata un anno fa, lascia capire ancora Washington, e non è la «rete di salvataggio» pensata esclusivamente per l'Italia e la Spagna di cui si è parlato negli ultimi giorni: perché «il rafforzamento degli strumenti punta a gestire i bisogni dei Paesi membri», ma gli stessi strumenti «non sono mirati a particolari Stati». L'obiettivo è invece quello di «rafforzare la capacità del Fondo di mitigare il contagio fornendo liquidità ai Paesi che hanno politiche e fondamentali forti e che sono colpiti da stress sui mercati finanziari». In questo campo, aggiunge il Fondo, «fare progressi è un aspetto importante dell'agenda del G20». Lo sguardo di tutti è rivolto all'incontro dei leader delle principali economie del pianeta, giovedì e venerdì prossimi. Dove, dice Obama incontrando a Washington la comunità italoamericana, gli Usa andranno «per lavorare con l'Italia per prendere una serie di decisioni molto importanti per l'economia globale. Abbiamo del lavoro da fare». E al G20, cioè a Paesi emergenti come la Cina, la Russia o l'India, si rivolgono anche i leader della Ue per chiedere che tutti mostrino «spirito di responsabilità»: «Noi in Europa faremo la nostra parte — scrivono infatti in una lettera Herman van Rompuy, presidente stabile della Ue, e José Manuel Barroso, capo della Commissione europea — ma questa da sola non può assicurare la ripresa globale e una crescita riequilibrata», perciò adesso «tutti i Paesi devono agire». La parola «aiuto» non compare esplicitamente nel messaggio indirizzato ai protagonisti di Cannes, ma è dovunque fra le righe. Al vertice Ue del 26 ottobre, scrivono ancora Barroso e van Rompuy, sono state annunciate precise misure: «Le applicheremo in fretta e con rigore, fiduciosi che ciò contribuirà a una rapida soluzione della crisi». Ma c'è anche «una continua necessità di azione comune da parte di tutti i partner del G20, in spirito di comune responsabilità e con un identico obiettivo». Non è un appello generico. Dietro, ci sono negoziati già in corso. La Cina è chiamata a investire i suoi — promessi, per ora — 50-100 miliardi di dollari in qualche articolazione del Fondo europei salva Stati, e così l'India e tutti gli altri. Cambiati scenari, situazioni e personaggi, un pezzetto di storia sembra in qualche modo ripetersi. Era il 5 giugno 1947, e dai gradini della Memorial Church di Harvard negli Usa parlava il generale George Marshall, segretario di Stato americano: «Non ho bisogno di dirvi, signori, che la situazione del mondo è molto seria. Ciò deve essere chiaro a ogni persona intelligente»: due mesi dopo, l'Europa devastata dalla guerra mondiale gli chiedeva 22 miliardi di dollari di allora (ridotti poi a 17 dalla Casa Bianca), e nasceva appunto il piano Marshall. Esclusi ovviamente un «piano Hu Jintao» o Putin, comune ad allora resta l'incertezza generale della situazione. E l'allarme trova la conferma di Jean-Claude Trichet, presidente uscente della Banca centrale europea: «La crisi non è finita. Vedremo la debolezza delle economie americana e giapponese, ma anche le debolezze dell'Europa». Fra le altre richieste che i leader Ue porteranno al G20, anche quelle di «rafforzare e riequilibrare la crescita globale nel medio termine», e di assicurare un potenziamento dell'Fmi con «sufficienti risorse»: ma forse, come suggerisce il comunicato di ieri, quest'ultima richiesta sta già per essere esaudita.
Nota del mondo delle imprese al governo (2 novembre 2011)
Nota congiunta di Abi, Alleanza delle cooperative, Ania, Confindustria, Rete Imprese Italia.
"""La situazione sui mercati finanziari sta precipitando e il nostro Paese è al centro delle turbolenze internazionali. L'attuale condizione è insostenibile per l'Italia e per gli italiani. Non possiamo continuare ad assistere alla corsa degli spread e al crollo dei valori azionari. Non possiamo correre il rischio di perdere in poche settimane ciò che abbiamo costruito in decenni di lavoro. Non si possono più negare i rischi, non si può più dire che non c'è fretta, non si possono più privilegiare considerazioni di modesto cabotaggio politico rispetto all'esigenza primaria di salvare l'Italia. Il tempo è scaduto. I danni sono già ingenti. Dobbiamo arrestare l'emorragia. Dobbiamo evitare che la sfiducia dei mercati e della comunità internazionale ci travolga. Chiediamo al Governo di agire immediatamente, mettendo in atto i provvedimenti che ci sono stati chiesti ad agosto dalla Bcee nei giorni scorsi nel comunicato finale del Consiglio Europeo. Il G-20 del 3 e 4 novembre di Cannes deve essere l'occasione per presentare alla comunità internazionale i risultati concreti dell'azione di Governo. Se ciò non avverrà, il Governo si assumerà una responsabilità storica nei confronti degli italiani e di tutta la comunità internazionale. Rivolgiamo un appello forte al Presidente del Consiglio. Verifichi se ci sono le condizioni affinché questo Governo e questa maggioranza possano assumere immediatamente le misure che sono necessarie per ripristinare la fiducia nell'Italia da parte dei mercati, dell'Unione Europea e della comunità internazionale. Ne tragga altrimenti le conseguenze e lo faccia rapidamente, nell'interesse dell'Italia."""
G20: le condizioni poste all'Italia (4 novembre 2011).
Prima i rumors, poi la conferma di Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea: «L'Italia ha deciso di sua iniziativa di chiedere al Fondo monetario internazionale di monitorare i suoi impegni di riforme fiscali ed economiche». Barroso ha aggiunto che la decisione dell'Italia è «un passo importante per Bruxelles. Nelle prossime settimane - ha precisato - monitoreremo la situazione dell'Italia e la sua capacità di rispettare gli impegni. È importante per tutti i paesi membri dell'Ue». E ci sarà un suo diretto coinvolgimento personale: «La prossima settimana - dice- sarò a Roma con rappresentanti del Fondo Monetario per una missione che ha appunto lo scopo di monitorare l'andamento delle misure in Italia». In conclusione di giornata arriva anche la «certificazione» del comunicato finale del G20, che esprime «supporto alle misure presentate dall'Italia nel summit Euro» e dà il benvenuto «alla decisione italiana di invitare l'Fmi a portare avanti una verifica pubblica dell'attuazione delle sue politiche su basi trimestrali». I dubbi sul versante italiano nell'accettare questa sorta di tutela da parte del Fmi erano numerosi. Ma la situazione ha messo Berlusconi di fronte a una «offerta» non rifiutabile. La precisazione ufficiale di Barroso suona diversa: è stata l'Italia a «chiedere volontariamente» il controllo del Fondo Monetario. I tempi del controllo periodico sono stati indicati dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy: «L'Italia ha invitato l'Fmi a verificare ogni trimestre, in collegamento con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, l'attuazione delle misure. Ma, soprattutto, ha dato la missione alla Ue di verificare le misure in modo dettagliato e di vigilare sull'attuazione di queste misure. Tutto questo è estremamente importante per la credibilità delle misure annunciate». «Rendo omaggio allo sforzo dell'Italia che ha preso le misure necessarie per riportare la fiducia e rafforzare il credito. L'Italia, che è un paese essenziale della zona euro, uno dei paesi principali, ha lodevolmente preso la decisione di fare appello alla Commissione Ue e al Fmi per certificare i risultati che avrà raggiunto su base trimestrale; i risultati saranno poi naturalmente pubblicati»: ha detto invece il presidente francese, Nicolas Sarkozy, al termine del G20 di Cannes. Sarkozy si è poi anche soffermato sul tema dei paradisi fiscali. I paesi che saranno considerati paradisi fiscali verranno messi al bando dalla comunità internazionale ha spiegato il presidente francese che ha invitato inoltre Svizzera e Liechtenstein a fare dei passi avanti nella trasparenza per evitare di essere inclusi nella lista nera. Sul caso Italia sono intervenuti anche gli Stati Uniti. «L'Italia deve dimostrare che gli impegni presi sono forti» sottolineano fonti di alto livello dell'amministrazione Obama, confermando come Roma abbia deciso di «invitare l'Fmi a monitorare i suoi impegni per rimettere la situazione del Paese su un piano sostenibile», sottoponendosi a «valutazione indipendente». Le affermazioni di Barroso e Van Rompuy erano state anticipate in mattinata da informazioni raccolte dalla Reuters da fonti Ue secondo le quali l'Italia aveva aderito alla richiesta di un monitoraggio Fmi sull'attuazione degli interventi. La posizione ufficiale va oltre, dando al governo Berlusconi l'iniziativa della richiesta di controlli. In ogni caso che questa osservazione esterna sia da subito molto stretta lo fanno capire altre fonti Ue che fanno riferimento alla lettera della scorsa settimana presentata ai vertici comunitari. «Una lettera, in sé, non calma i mercati» osservano oggi fonti europee sottolineando che può riuscirci «solo il seguito che si dà agli impegni presi». Intanto in Italia nel Pdl un gruppetto di scontenti delusi per non essere stati premiati, con un piccolo sottosegretariato o qualche comoda poltrona si stacca dal partito per entrare nell'Udc. Da sempre nel momento in cui occorre stringere i ranghi la viltà di piccoli uomini viene allo scoperto. Sarebbero stati giustificati se avessero preso quella decisione il famoso 14 dicembre 2010, quando la situazione economica era abbastanza tranquilla e Berlusconi al minimo dei consensi, ma ora è solo un atto di disprezzo nei riguardi del Paese e, guardacaso,c'è di mezzo lo zampino di Casini.
Il commento di Oscar Giannino. """Mi sono astenuto dal seguire sul blog giorno per giorno l’andamento “obbligato” della perdita di credibilità italiana, l’ho fatto ogni giorno su radio24. Alla componente di credibilità soggettiva – che riguarda personalmente Berlusconi in maniera crescente da due anni a questa parte, ed è irreversibile a mio giudizio da tempo – si è aggiunta in sede internazionale e in maniera conclamata da luglio quella oggettiva, che riguarda la politica economica del governo. E’ una perdita di credibilità che investe Berlusconi e Tremonti insieme, anzi a ben guardare dovrebbe riguardare più il secondo del primo. Perché è il ministro dell’Economia da solo regista e motore immobile come della positiva astensione da deficit eccessivi, così del negativo mancato taglio a spesa e tasse, della mancata riforma fiscale, e della mancata cessione di quote rilevanti dell’attivo patrimoniale pubblico per abbattere quote consistenti di debito. Con l’avanzo primario – virtuoso – che possiamo vantare da questo 2011 a costo dello strangolamento fiscale del Paese, comunque la riduzione del debito pubblico sarà troppo lenta, e a propria volta minacciata da una probabile decrescita del Pil che alla fine non potrà che rispecchiarsi in minor entrate ordinarie, per quanto dura e repressiva sia l’amministrazione tributaria nel perseguire l’evasione e innalzare l’ammontare del riscosso sull’effettivamente accertato. Non ho aggiornato i giudizi sulla caduta di credibilità perché il suo esito mi appare scontato. Ma che si arrivasse addirittura a un G20 all’indomani del quale il governo italiano non sa, non dice e invece disdice intorno a un punto così delicato come il monitoraggio sull’Italia da parte del Fondo Monetario Internazionale, questa come figuraccia mondiale vale milioni di risatine di monsieur Sarkò. E’ una figura da Paese che ha perso ogni standship, da Paese operetta. Il lungo tramonto pubblico di Berlusconi lascia senza parole perché non avviene su scelte sbagliate – quelle hanno riguardato la sua vita e la confusione demenziale tra privato e istutuzionale - bensì sull’assenza di scelte, sulla furbesca confusione di parole, sull’autosuggestione che sfocia in narcosi. E’ tanto suonato il vecchio campione del ring, che Tremonti saltellandogli intorno ed evitando ogni incrocio di guantoni ed emissione di voce in pubblico sta riuscendo nella notevole impresa di uscirne incolpevole: non solo come se le politiche economiche considerate deficitarie dai mercati non fossero le sue, ma come una vera e propria quinta colonna interna al governo della comprensibile e responsabile strategia del Quirinale di evitare sia un Gotterdammerung ancor più sanguinoso per il Paese, sia una campagna elettorale al buio con spread lanciati verso quota, chissà, 700. Il monitoraggio da parte del Fmi ci è stato – attestano fonti ufficiose ma autorevoli dal G20 – calorosamente “consigliato” da parte non solo di Germania e Francia, che allontanano così l’amaro calice di aiuti ulteriori da parte dell’Efsf che non ne avrebbe dotazione, comporterebbe tempi lunghi, reazioni scomposte e dileggianti da parte dell’ opinione pubblica tedesca e francese e soprattutto impegnerebbe finanzia aggiuntiva da parte di quei Paesi. Soprattutto per la Francia alle prese con un delicatissimo problema di iperesposizioni bancarie, meglio che sia sin dall’inizio Washington a fare da badante all’Italia. Ci è stato imposto perché al G20 si è capito chiaramente che nessuno dei Paesi emergenti intende al momento contribuire con propri capitali alla leva dell’Efsf, attraverso il SPV previsto a tale scopo per giungere fino a 1 trilione di euro. Nemmeno la Cina, non l’India, non il Brasile. La Russia – la Russia! – come la Cina si è riservata di capirci prima qualcosa di più, in ordine a regole e condizioni dello SPV. Visto che l’Efsf stesso la scorsa settimana ha dovuto rinviare l’emissione di un proprio bond sui mercati vista l’aria pesante che tirava all’indomani dell’annuncio del referendum greco, è l’intera credibilità del barocco edificio dei salvataggi a Stati e banche europee europee a risultare incomprensibile al resto del mondo. La scarsa credibilità europea ha deciso di non rischiare oltremodo sobbarcandosi alla totale mancanza di credibilità italiana, questa è l’amara verità. Mai, in ogni caso, mai nella storia italiana precedente è avvenuto che il monitoraggio da parte del Fmi avvenisse con questo meccanismo di annuncio da parte altrui, visto che sono stati Barroso, van Rompuy e Sarkozy ad annunciarlo, mentre palazzo Chigi emetteva note tra l’imbarazzo e la smentita. L’Italia ha – purtroppo – una lunga tradizione di aiuti d’emergenza, chiesti sia al Fondo con Guido Carli nel 1974 e Stammati nel 1976-77, sia direttamente alla Germania come avvenne ancora nel 1993, offrendo quasi sempre a garanzia riserve auree. Ma in nessun caso i governi dell’epoca scesero così in basso sulla scala della credibilità da far annunciare ad altri il regime speciale di scrutinio sulla nostra affidabilità che ufficialmente siamo noi stessi a chiedere, anche se ci viene appunto imposto. Evidentemente, a palazzo Chigi e al ministero dell’Economia credono che nel resto del mondo valga la stessa regola che vale per alcune testate d’informazione italiane “amiche”, far sparire le cose perché non siano mai avvenute e non risultino. Ma il resto del mondo vede, stravede e provvede. Provvede a declassare sempre più l’attendibilità dell’Italia. Infine, ciò che risulta ancor più amaramente digeribile è che a tutto ciò si arrivi per mancanza assoluta di decisioni rilevanti. Berlusconi si è arreso da tempo a non forzare né con la Lega sulle pensioni di anzianità, né su Tremonti per la delega fiscale e le privatizzazioni immobiliari come mobiliari. Va a fondo in un sempre più confuso balbettio di centinaia di micromisure mai attuate negli anni e che oggi si accumulano in un grande libro dei desideri incompiuti. Restando prive di decreti attuativi – per le due sole manovre estive ne occorrono oltre 130 – e – quel che è più grave – ignorando ed eludendo abbattimento rapido del debito pubblico e incentivi a effetto rapido sulla crescita, cioè quelli fiscali visto che tutti gli altri, dalle liberalizzazioni alla flessibilità del mercato del lavoro, sarebbero benedetti ma hanno effetti di medio-lungo. Incentivi alla crescita quali l’abbattimento del cuneo fiscale – chiesto anche non casualmente al Portogallo “monitorato” – che dal solo azzeramento in due anni delle pensioni di anzianità avrebbero potuto ricevere decine di miliardi di euro di copertura. L’unico vero effetto di questa giostra di micromisure è che alla fine, nell’assenza dei decreti attuativi, è l’Economia a restare titolare ancor più unica e indiscussa dei rubinetti pubblici e dunque dell’unico strumento messo all’opera in questi anni a fianco del giro di vite fiscale, cioè al centralizzazione assoluta dei mandati di pagamento e degli stanziamenti di cassa al di là di quanto previsto dalla competenza. Ma l’effetto vero, che rischia di essere di lungo periodo, è l’azzeramento di credibilità per chi sostiene idee liberali e di mercato. Azzeramento di credibilità non culturale, ovviamente, perché la credibilità culturale quella non ce la può levare nessuna vicenda politica. Ma l’azzeramento di credibilità nella politica italiana per idee antitassaiole e mercatiste è invece un rischio fortissimo. Più volte ho scritto e molte volte detto per radio, negli ultimi due anni, che per i liberali occorre una drastica modifica bottom up dell’attuale offerta politica. Dal basso, non dall’alto. Se qualche residuo liberale si fosse staccato per tempo in parlamento dall’obbedienza berlusconiana, potrebbe essere utile. Ma è dal basso, che occorrerà tirarsi su le maniche, faticare, e darsi da fare perché libera persona e libero mercato possano rappresentare un’alternativa a redistribuzuione massiccia di Stato, ad ancora più tasse, a uno Stato ancor più famelico, giustificato come effetto necessario della colpa di 17 anni di mancate promesse del Cavaliere e dei suoi seguaci, prima ancora che della favola – iperpopolare in Italia tra media e accademici, ma anche sia a destra sia a sinistra – della crisi mondiale figlia del neoliberismo. Rispondete,per favore. Dobbiamo limitarci a fare cultura e approfondimento di idee, sui nostri blog, scrivendo e parlando alla radio e in tv, oltre che con papers e libri come fa ottimamente da anni l’Istituto Bruno Leoni, in costante guadagno di visibilità e impatto con le sue elaborazioni, proposte e studi, grazie allo straordinario impegno di amici fuoriclasse come Alberto Mingardi, Carlo Lottieri, Carlo Stagnaro e tanti altri? Oppure dobbiamo sporcarci le mani, provare a riempire teatri, e vincere la ritrosia profonda a un impegno diretto in quell’arena assai poco allettante che è la politica, mentre al populismo berlusconiano esecrato se ne propongono oggi successori di altri e diversi idealtipi, chi catodico e chi impiombato su carta, chi ex confindustriale e chi ex pm, chi ex comunista e chi neocomunitarista? Dite la vostra. Non sono le idee a mancare. Qualche tempo fa, Alberto Mingardi ve ne chiese di aggiuntive, e ci avete risposto. Ma in una lunga fase politica italiana che si chiude, c’è una decisione da prendere. Non sulle idee, ma sull’iniziativa da assumere. Perché ad aver totalmente fallito è l’offerta concreta messa in piedi sul versante liberale da un Mr Consenso per sè e i suoi affari incapace di diventare mai Mr Governo per gli altri. Mica è un caso, che a risultare meno coinvolto e più contento sia chi, in fondo e al di là delle apparenze, liberale non è stato mai, come il ministro dell’Economia. E a me, di dover star zitto per chissà quanto per colpa loro, non sembra una gran bella assicurazione a una serena vecchiaia. """
Mortalità delle imprese (7 novembre 2011)
Da una parte nuove iniziative, dall'altra realtà costrette a gettare la spugna. È la «selezione naturale» della crisi. Il problema a Brescia non è tanto l'aumento del numero dei fallimenti registrato nei primi 8 mesi del 2011, ma la loro qualità. Aziende conosciute, economicamente pesanti e importanti dal punto di vista del mantenimento dei livelli occupazionali che finiscono con i bilanci in rosso. Per la precisione già 219 a fine agosto di quest'anno (erano 205 ad agosto 2010, praticamente una al giorno), a cui si aggiungono 15 società ammesse al concordato preventivo (17 lo scorso anno). È la cancelleria della sezione commerciale del Tribunale di Brescia a tenere il conto dell'inarrestabile caduta delle imprese della provincia, 221 i fallimenti registrati nel 2009, 266 nel 2010. E l'andamento dei primi otto mesi dell'anno in corso (+7% su agosto 2010) fa intendere che si potrebbe addirittura sfiorare il record negativo di 283 raggiunto nel 2005. «A preoccupare - spiega Stefano Rosa, presidente della sezione commerciale – non è il numero, ma la consistenza. Livelli come questi sono già stati toccati negli anni Ottanta. Il problema oggi è che stiamo parlando di aziende importanti, sia dal punto di vista economico che occupazionale». A trainare il record negativo il settore edile, ma anche la GDO e il caseario, dove su tutti spicca il fallimento della Medeghini, depositato in tribunale lo scorso marzo. «Siamo di fronte a dati drammatici, sia per la produttività del territorio che per la tenuta dell'occupazione – sottolinea Francesco Saottini, responsabile dell'Ufficio vertenze della Cisl bresciana –. A fallire non sono più i piccoli negozietti, sono interi gruppi, con diversi stabilimenti produttivi. La Medeghini di Mazzano ne è un esempio». Una situazione, per Saottini, solo in parte spiegabile con la caduta dei mercati: «ci troviamo di fronte allo scoppio di una bolla, soprattutto nell'edilizia». Oltre alle aziende che chiudono c'è poi il fatto che l'ondata di fallimenti ha portato con sé un aumento dei beni, mobili e immobili, da mettere all'asta. «I curatori fallimentari sono sovraccarichi di lavoro, non si vende – confida il giudice Rosa –, e sono preoccupanti anche le prospettive nel soddisfacimento dei creditori».
Nei primi nove mesi del 2011 in Italia si sono registrati 8.566 fallimenti, con un aumento dell'8,7% rispetto al periodo gennaio-settembre 2010, quando erano state 7.879 imprese ad aver portato i libri in tribunale, e del 35,5% rispetto allo stesso periodo 2009, quando i casi registrati erano stati 6.323. Un quarto dei fallimenti in Italia (1.872) riguarda imprese della Lombardia, seguono Lazio e Veneto rispettivamente con 848 e 812 casi. Più distanti Campania (762), Emilia Romagna (697), Piemonte (635), Toscana (632) e Sicilia (455). I settori più in difficoltá sono quelli dell'edilizia e del commercio dove si concentrano maggiormente i fallimenti nei primi 9 mesi dell'anno in corso. Le più colpite sono le imprese edili (1003), seguite da quelle che operano nel commercio all'ingrosso di beni durevoli (668), dagli installatori (653), dai servizi commerciali (534), dal commercio all'ingrosso di beni non durevoli (496). Un numero elevato di fallimenti riguarda anche il settore immobiliare (355), l'industria manufatti in metalli (347), i trasporti e i servizi merci su gomma (339), i ristoranti e i bar (323). I dati emergono da uno studio della Cribis DandB che conferma il trend dello stato di sofferenza in cui versano le imprese.
Altro monito da Confindustria (8 novembre 2011)
«L'Italia ha problemi seri. Con uno spread (tra Btp e Bund tedeschi) di 500 punti base non possiamo andare avanti a lungo». A lanciare l'allarme è la presidente di Confindustria che dall'inaugurazione del Salone del motociclo sollecita le istituzioni a «trovare velocemente una soluzione» perché altrimenti «rischiamo di giocarci tutto quello che abbiamo costruito nei decenni passati in termini di benessere, di posti di lavoro e di occupazione». Di certo, è il monito della presidente degli industriali, «il Paese non può stare fermo e rimanere in uno stallo». «Lo diciamo con chiarezza - ha proseguito Marcegaglia - uno spread così significa una restrizione del credito enorme, che è già in corso, significa una molto scarsa credibilità sui mercati, significa una situazione per i conti pubblici non sostenibile. I numeri dicono che con questo spread sono 8,7 miliardi di euro in più di costo della spesa pubblica all'anno, quindi il paese non può stare in queste condizioni, bisogna velocemente trovare una soluzione». Più che la permanenza di Silvio Berlusconi a capo del governo, la priorità è mettere mano a quelle riforme strutturali necessarie per riagganciare la crescita economica. A sottolinearlo è Marcegaglia, che, dall'Eicma a Milano, spiega: «Comunque vadano le cose, che ci sia ancora un governo Berlusconi o no, quello che conta anche per chi si oppone a Silvio Berlusconi è fare le riforme. Non è che si risolvono i problemi semplicemente perché non c'é più il governo Berlusconi. I problemi - insiste la Marcegaglia - si risolvono facendo le riforme e tutto quello che abbiamo promesso all'Europa». Quindi un appello lanciato a tutte le forze politiche: «Tutta la classe politica si metta nella condizione di fare le riforme altrimenti il paese non avrà risolto nulla».
Spread alle stelle (9 novembre 2011)
Nuovo record assoluto, per il differenziale tra Btp e Bund che schizza a 511 punti portando il rendimento dei titoli di Stato italiani a cinque anni al 7%. All' indomani dell'annuncio delle prossime dimissioni di Silvio Berlusconi, i mercati registrano più le rinnovate preoccupazioni dalla Ue sulla situazione economica italiana che la prospettiva di elezioni. Il cancelliere Angela Merkel ha insistito sul fatto che Roma «deve accrescere i suoi sforzi per attuare le misure di austerità». Il road show mediatico del premier, impegnato in tv e radio sin dalle prime ore della giornata, sembra offrire l'idea che il premier stia ancora prendendo tempo. Piazza Affari dopo un'apertura in rialzo dell'1,45% arretra del 2% Il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha definito «drammatica» la situazione italiana, ricordando la missione italiana della Ue in questi giorni che prevede per la prima volta l'applicazione delle regole rafforzate per la sorveglianza economica e di bilancio dei paesi dell'Eurozona. «Vogliamo aiutare l'Italia con la nostra sorveglianza: la nostra missione di monitoraggio, da domani (mercoledì, ndr) , incontrerà ministri e alti funzionari». A favorire le vendite dei nostri titoli di stato ci si mette questa volta Lch Clearnet, che gestisce la stanza di compensazione per le transazioni internazionali di bond e pronti contro termine. La società indipendente londinese, seconda per importanza al mondo, ha infatti aumentato i margini di garanzia sui Btp. La quota di deposito addizionale che chiederà per i clienti che trattano tutti i titoli italiani e i prodotti indicizzati salirà all'11,65% (in rialzi rispetto al 6,65% che aveva annunciato in una nota dello scorso 7 ottobre). L'"extra deposit" è una percentuale del valore del titolo che la clearing house chiede alle controparti per garantirsi in caso di perdite. Più è rischioso un titolo, maggiori sono i margini. Questa decisione fa aumentare i costi di detenere titoli di stato italiani causando un'ulteriore pressione di vendita su tali titoli. Ma potrebbe anche disincentivare le posizioni più speculative (come le vendite allo scoperto). Normalmente i margini di garanzia vengono alzati cinque giorni dopo che lo spread ha superato i 450 punti base. L'aumento dei margini aveva interessato anche i titoli di Grecia, Portogallo e Irlanda.
«Così non possiamo andare avanti, il Paese è nel baratro». La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ribadisce il suo allarme all'indomani della notizia delle prossime dimissioni del premier Silvio Berlusconi dopo l'approvazione del ddl stabilità. Per invertire la rotta «bisogna fare le riforme» che gli industriali chiedono da tempo, ha detto Marcegaglia chiudendo la nona Giornata dell'Innovazione e della Ricerca di Confindustria, organizzata a Roma. «In questo momento, in queste ore, l'Italia sta vivendo un momento drammatico. Nonostante alcune decisioni prese ieri dal Governo e dal presidente del Consiglio in queste ore l'Italia vive una situazione veramente drammatica - ribadisce - con lo spread tra Btp e bund a 570 punti e le borse che stanno perdendo più del 4%», ha aggiunto Marcegaglia, che ha ricordato anche come nelle prossime ore si terrà il Comitato di presidenza di Confindustria. Pertanto, «dobbiamo agire immediatamente e ripristinare la capacità del Paese di essere credibile agli occhi dell'Europa e dei mercati internazionali. Non ci meritiamo di finire come la Grecia. Non possiamo più nascondere la verità, se non si mette fine a questa situazione l'Italia non avrà più accesso ai mercati finanziari». Sono anni che Confindustria «sottolinea la necessità di fare riforme», ha poi detto Marcegaglia. «Abbiamo fatto proposte e fatto continui appelli. A settembre abbiamo anche proposto un nostro progetto insieme ad altre categorie di imprese che chiedeva una grande discontinuità. Purtroppo nulla è stato fatto e sicuramente così non possiamo andare avanti». Queta affermazione della Marcegaglia nel pieno della crisi è quantomeno improvvida. Affermare che il Paese è nel baratro vuol dire dare fiato a coloro che puntano contro l'Italia. Ovviamente tutto serve per dare l'ultina spallata al governo di centro destra.
Dall'estero sostegni morali all'Italia (10 novembre 2011).
Mentre la Marcegaglia spara a zero contro gli interessi del Paese. Altri si comportano in modo più responsabile. «L'Italia non è la Grecia, è un Paese grande, e un Paese ricco. Atene ha un problema di solvenza, l'Italia ha più che altro un problema di liquidità». Barack Obama non ha dubbi. Al termine di una delle giornate più difficili per i conti italiani, con il crollo della Borsa e l'esplosione dello spread, il presidente americano, parlando con l'Ansa e altri media usa, dalla Casa Bianca lancia un messaggio di speranza. Osserva che il nostro Paese «può far fronte al proprio debito». «Tutto ciò - aggiunge - a patto che i mercati non abbiano una crisi di fiducia sulla vostra volontà politica e la capacità di non perdere il controllo del sistema». «Io farei una distinzione tra un paese come la Grecia e l'Italia. Il primo ha realmente un problema di solvenza, ha un grosso debito, e deve intraprendere decisioni molto dure, e a lunga scadenza, se vuole rimanere in Europa. E ciò vale anche se esce dall'Europa, se intende veramente riuscire a risolvere questo problema. L'Italia, invece - chiarisce Obama - ha più un problema di liquidità, è un Paese grande e ricco, è la terza economia europea, l'ottava al mondo, dove ci sono molte persone ricche. Un paese che può far fronte al proprio debito, a patto che i mercati non abbiano una crisi di fiducia sulla volontà politica e la capacità di non perdere il controllo del sistema». Non si tratta del primo endorsement a favore del nostro Paese, e contro chi da mesi continua a paragonare il nostro paese alla Grecia. Ieri anche Bill Clinton, presentando il suo libro a New York, si è soffermato sulla tempesta che sta attraversando il nostro Paese: «L’Italia ha una struttura economica solida, non paragonabile a quella dei paesi più deboli come la Grecia. Però avete un debito enorme, che vi ha trascinati giù. E’ indispensabile ridurlo». nche il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, aveva lanciato tre giorni fa un messaggio chiaro: «L'Italia non è in una situazione paragonabile a quella della Grecia. I dati sull'economia reale dell'Italia non giustificano il nervosismo dei mercati». Messaggio ribadito anche dal presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker: «L’Italia non è la Grecia e non ha bisogno di governi di unità nazionale per garantire la piena attuazione delle misure anticrisi. Non abbiamo chiesto l’unità politica nazionale in Italia perché il Paese non è sotto programma». Domenica era stato il turno di Arrigo Sadun, direttore esecutivo per l'Italia del Fondo Monetario Internazionale, che ha dichiarato: «L'Italia non è la Grecia. Quando usciremo dalla crisi non torneremo ai livelli precedenti, e questo vale per qualunque degli indicatori economici. Sarà un periodo relativamente lungo di diversi anni e il livello di produzione non sarà quello degli anni passati», ma «l'Italia non è la Grecia, la situazione fiscale nel nostro paese appare migliore di quella di tante altre nazioni».
DDL sviluppo (11/11/11).
Il presidente del Senato, Renato Schifani ha annunciato la nomina Mario Monti a senatore a vita. Nomina salutata dagli applausi dei senatori. «A nome mio e dell'Aula rivolgo il più cordiale e caloroso saluto di benvenuto al professor Mario Monti: benvenuto di cuore», ha detto. Monti nella sua prima giornata a palazzo Madama sarà impegnato nella votazione sulla legge di stabilità. Il primo abbraccio è stato quello di Emma Bonino, poi si sono avvicinati, tra gli altri, Pancho Pardi (Idv), Gianpiero D'Alia (Udc) e Luigi Zanda (Pd). Poi il saluto del capogruppo Pdl, Maurizio Gasparri. Dopo il «benvenuto» di Schifani, Monti è salito al Quirinale dove si sta svolgendo la tradizionale cerimonia per celebrare la giornata della ricerca sul cancro. Intanto il Consiglio dei ministri è convocato nella Sala del Governo di Palazzo Madama al termine delle votazioni sulla Legge di stabilità per l'approvazione della Nota di variazione al disegno di legge sul Bilancio. Il Consiglio tornerà a riunirsi domani, sabato 12 novembre, a Palazzo Chigi intorno alle 18, comunque dopo il voto finale della Camera sulla legge di stabilità. Appena arrivato al Senato Monti è stato ricevuto dal segretario generale, Elisabetta Serafin, che lo ha poi accompagnato allo studio del presidente Renato Schifani. L'ex commissario europeo é arrivato ieri a Roma da Berlino, reduce da un convegno internazionale, dove ha dichiarato che c'é un grande lavoro da fare per l'Italia e che le richieste dell'Europa nei nostri confronti sono giuste. Monti è stato intanto ricevuto ieri sera al Quirinale, dove ha avuto un colloquio durato circa due ore con il presidente Giorgio Napolitano. L'incontro é servito a Monti per esprimere al capo dello Stato il proprio ringraziamento per la nomina a senatore a vita e secondo le indiscrezioni per discutere gli impegni e la composizione del nuovo esecutivo che toccherà all'economista provare a formare. Secondo la tabella di marcia che vuole seguire Napolitano, le consultazioni inizieranno domenica dopo le dimissioni formali di Silvio Berlusconi che arriveranno domani sera dopo l'approvazione da parte della Camera della legge di stabilità. L'incarico verrebbe dato a Monti già domenica in modo che lunedì possa esserci il giuramento al Quirinale del nuovo governo. La corsa contro il tempo serve a rassicurare i mercati sull'adempimento degli impegni assunti dall'Italia in sede europea. Oggi riflettori puntati sull'aula del Senato per l'approvazione della legge di stabilità che contiene anche il maxiemendamento presentato dal governo. Dovrebbe ripetersi con una piccola variazione quanto é accaduto nella commissione Bilancio di Palazzo Madama, dove Pdl e Lega hanno votato a favore, il Pd si é astenuto e Idv ha votato contro mentre il Terzo polo non ha partecipato al voto. La novità é che Pd e Terzo polo hanno annunciato insieme che non parteciperanno al voto finale in modo da «accelerare l'iter della legge e aprire una nuova fase».
Le novità del ddl stabilità (12 novembre 2011).
Le novità nel ddl di stabilità che oggi ha avuto il via libera definitivo della Camera. Sono le nuove misure applicative della lettera della Bce. Le forti turbolenze del mercati hanno spinto la politica a imprimere un colpo d'acceleratore nell'approvazione del ddl di stabilità. Privatizzazioni, pensioni, dismissioni di immobili e terreni agricoli e costituzione di una società veicolo dove immettere i beni. Fondo di ricerca, semplificazioni normative, detassazione delle imprese costruttrici i temi principali. Nel testo anche incentivi fiscali e contributivi, incentivi all'inserimento delle donne nel lavoro e interventi per velocizzare la giustizia civile. Ecco, in sintesi, le novità introdotte nel provvedimento. Stop ai contributi per i primi tre anni di contratto di apprendistato. Al fine di promuovere l'occupazione giovanile, per i contratti di apprendistato stipulati successivamente alla medesima data, l'aliquota complessivamente dovuta dai datori di lavoro che occupano alle dipendenze un numero di addetti pari o inferiore a nove non è dovuta per i periodi contributivi maturati nei primi tre anni di contratto, restando fermo il livello di aliquota del 10 per cento per i periodi contributivi maturati negli anni di contratto successivi al terzo. Raddoppia il finanziamento, passando a 200 milioni, a carico del ministero del Lavoro per rilanciare l'apprendistato riformulato questa estate. Almeno il 50% della somma dovrà incentivare i contratti di mestiere. Il maxiemendamento non contiene modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in materia di licenziamenti e all'articolo 8 della manovra. Lo ha chiarito una nota dell'Economia dopo un ricorrersi di voci sul maxiemendamento «Il ministro Giulio Tremonti, nell'illustrare il maxi-emendamento alla Commissione Bilancio del Senato, non ha mai parlato, né accennato ad una eventuale modifica né dell'art. 8 né dell'art. 18, che sarebbe stata inserita nel testo del decreto presentato al Senato. Il ministro Tremonti ha detto l'esatto contrario. In Commissione ha sostenuto che non saranno apportate modifiche ai due articoli in questione», ha spiegato il sottosegretario all'Economia Antonio Gentile Defiscalizzazione in arrivo per realizzare nuove autostrade: la norma è contenuta nel maxiemendamento del Governo presentate in Commissione Bilancio al Senato ed è limitata alle infrastrutture autostradali. Mentre nelle prime ipotesi la "Tremonti-infrastrutture" era estesa alle opere pubbliche. Si agirà su Irap e Iva.
Le dimissioni di Berlusconi. Incarico a Mario Monti. (12 novembre 2011).
Silvio Berlusconi si è dimesso. Lo ha comunicato il segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra. Il governo resta in carica per il disbrigo degli affari urgenti. All'incontro con Napolitano ha partecipato anche Gianni Letta, che il Pdl aveva proposto come vicepremier in un futuro governo Monti. Ma di fronte all'ostracismo di Pd e Idv, contrari alla sua nomina, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nonché uomo di assoluta fiducia di Berlusconi, ha annunciato «un passo indietro. Non voglio costituire un problema - ha spiegato Letta - né un ostacolo e neanche un pretesto per alcuni». Le consultazioni del Capo dello Stato si svolgeranno nella giornata di domenica a partire dalle ore 9 e fino alle 18. Il futuro governo guidato dal neosenatore a vita Mario Monti quindi si avvicina: c'è infatti accordo tra Silvio Berlusconi e l'ex rettore della Bocconi per dare l'appoggio del Pdl ad un governo a componente tecnica, anche se il Pdl avrebbe posto alcune condizioni. La macchina che porterà alla formazione del nuovo governo si è messa in moto dopo che la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva con 379 voti a favore 26 no e 2 astenuti il ddl stabilità. Legge che è stata già promulgata dal presidente della Repubblica. Le dichiarazioni di voto sono state l'ultimo atto della stagione politica berlusconiana, almeno per quanto riguarda questa legislatura. Da segnalare quella di Franceschini per il quale: «Quanto tempo si è perduto. Quanto sarebbe stato diverso se il 14 dicembre dell'anno scorso quel voto fosse andato diversamente, non avremmo sprecato un anno. E di quelli che hanno causato quella situazione ci sono nomi e cognomi agli atti parlamentari, e non li dimenticheremo». «I mercati sono riusciti dove non è riuscita la sinistra italiana, a far cadere Berlusconi, grazie ad un complesso di interessi economici e finanziari che oggi gioca una partita decisiva sulla tenuta dei governi e sulla tenuta democratico» ha replicato subito dopo Cicchitto. La crisi di governo sta quindi per arrivare al suo sbocco finale: incarico al neosenatore a vita Mario Monti. Il premier ha scelto, dopo aver presieduto, come da prassi, l'ultimo consiglio dei Ministri, di partecipare, prima di salire al Colle, ad un vertice del Pdl che ha chiarito la posizione del partito nei confronti del possibile incarico a Monti. Nel corso del consiglio dei Ministri Berlusconi «ha ringraziato sentitamente i colleghi di governo per il proficuo e intenso lavoro compiuto e ha rivolto un ringraziamento particolare al sottosegretario Gianni Letta». Berlusconi poi nel corso del vertice del Pdl ha spiegato che «la sinistra non vuole che Gianni Letta faccia parte del nuovo governo». Alla fine la decisione presa dal Pdl è stata quella di un sì a Monti ma su un programma ricalcato sulla lettera inviata alla Bce. «Siamo in grado di staccare la spina quando vogliamo» avrebbe detto Berlusconi ai componenti dell'Ufficio di Presidenza del Pdl a proposito dell'appoggio del partito a un governo tecnico. Tra le altre richieste del Pdl ci sarebbe anche quella che Monti non si ricandidi a premier alle prossime elezioni. Emergono anche le prime indiscrezioni sul colloquio avvenuto in precedenza tra Berlusconi e Monti. Secondo un retroscena dell'agenzia Adnkronos il premier avrebbe ribadito all'ex commissario Ue la necessità della presenza di un garante per la maggioranza nel nuovo esecutivo. In particolare il presidente del Consiglio avrebbe posto sul tavolo anche il tema della giustizia chiedendo garanzie in proposito. Ma Monti sarebbe stato contrario. Il senatore a vita avrebbe invece avvertito il premier che tutti i ministri e vice o sottosegretari dovranno essere tecnici e solo a lui spetterà decidere al di là delle alchimie della politica. A quanto si apprende il Cavaliere l'avrebbe invece spuntata sul fatto che il nuovo governo non dovrebbe legiferare sulla riforma elettorale nè sul tetto delle telecomunicazioni. Berlusconi avrebbe inoltre chiesto un programma dettagliato con un timing ben preciso dell'azione di governo. A fare da contraltare alla giornata del premier uscente c'è stata quella del (probabile) prossimo presidente del Consiglio. Cominciata con l'incontro con il neo presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Anche il segretario del Pd Pierluigi Bersani insieme al suo vice Enrico Letta hanno avuto un incontro informale con il neosenatore sempre a Palazzo Giustinani. Poi c'è stato l'incontro a Palazzo Chigi fra Monti e il premier Silvio Berlusconi, durato oltre 2 ore, presenti anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e il segretario del partito Angelino Alfano. Qui, come detto, Monti avrebbe ottenuto il via libera da parte del premier al nuovo governo. Poi Monti ha incontrato anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. Dopo l'incontro con Monti Berlusconi ha visto i ministri della Lega, Maroni e Calderoli, nella Sala del Governo di Montecitorio. Fonti ministeriali riferiscono che il premier, al termine dell'incontro con il presidente della Bocconi, avrebbe chiesto al Carroccio di valutare insieme cosa fare, in modo che l'alleanza venga preservata. Il premier, durante i suoi ragionamenti nella sala del governo di Montecitorio, ha chiesto al partito di via Bellerio di considerare l'eventualità di appoggiare l'esecutivo guidato dall'economista. Una richiesta che non avrebbe sortito alcun effetto dato che successivamente il leader della Lega Umberto Bossi ha dichiarato che: «Con Monti la Lega sarà all'opposizione. Come si fa a sostenere un governo che farà portare via tutto, che privatizzerà le municipalizzate?». La Lega rompe l'alleanza con Berlusconi? chiede un giornalista al Senatur«Vedremo». Così Umberto Bossi ha risposto ai giornalisti, facendo intendere che la Lega sosterrà solo un governo di centrodestra. Un'altra questione aperta per il Cavaliere riguarda l'area ex An del Pdl che avrebbe invitato il presidente del Consiglio a dare un appoggio a Monti ma limitato e solo per un certo arco temporale. Nella serata Napolitano affida a Mario Monti l'incarico di formare un nuovo governo; Monti accetta con riserva, dovendo compilare l'elenco dei ministri. Monti debutta davanti ai giornalisti con la sobrietà e la sintesi che lo hanno contraddistinto in altre occasioni pubbliche. «Intendo adempiere a questo compito con grande senso di responsabilità e di servizio verso il nostro Paese» dice, chiamando l'Italia a «vincere la sfida del riscatto in un momento di particolare difficoltà, in un quadro europeo e mondiale turbati». Non nasconde che la situazione presenta «aspetti di emergenza» ma si dice fiducioso sulla possibilità di superarla «con uno sforzo comune». Risanamento e crescita sono le priorità da coniugare, spiega, in un quadro di «equità sociale». Le parole di Monti si accendono di orgoglio quando sottolinea che l'Italia deve tornare a essere un elemento di forza e non di debolezza della Ue e deve porsi l'obiettivo di dare «un futuro concreto di dignità e speranza ai nostri figli».
BORSE: effetto Monti (14 novembre 2011).
Dopo il +5% messo a segno tra giovedì e venerdì, continua il rialzo del listino milanese in scia all'incarico governativo a Mario Monti. Il Ftse Mib guadagna l'1,5% e guida le altre Borse europee (che dopo un'apertura con un rialzo vicino a un punto percentuale arretrano verso la parità). In questo contesto lo spread BTp-Bund è in leggero calo a 450 punti base con un rendimento per i titoli di Stato decennali al 6,4%. C'è attesa per l'asta di BTp a 5 anni, in programma questa mattina. «Il mercato «ha apprezzato quanto l'Italia ha fatto per stabilizzare le turbolenze finanziarie», spiega un broker di una primaria compagnia nipponica. E questo sia in relazione alla designazione di «Mario Monti per la formazione del nuovo esecutivo, sia per l'approvazione in tempi rapidi delle misure concordate con l'Ue». Tuttavia, aggiunge, «non è necessariamente detto che l'euro si risolleverà», essendoci ancora «criticità», a partire dal rischio recessione innescata dalla crisi del debito. L'euro si conferma in ripresa sul dollaro proseguendo l'andamento innescato venerdì dalla formazione del nuovo governo greco e dai rapidi sviluppi della situazione italiana. Il Nikkei ha chiuso con un rialzo dell'1,05%. dopo il rally di Wall Street di venerdì con la schiarita su Italia e Grecia. Sempre sulla seduta odierna, i listini sembrano aver beneficiato poco del dato sul Pil di luglio-settembre che ha visto il Giappone uscire dalla recessione inasprita dagli effetti del devastante sisma/tsunami dell'11 marzo. L'economia nipponica nel terzo trimestre dell'anno ha segnato un'espansione dell'1,5% in termini reali sui tre mesi precedenti e del 6% su base annualizzata, in sostanziale linea con le attese degli analisti. I dati hanno confermato il recupero pur con fattori negativi quali il superyen, la frenata dell'economia globale che penalizza l'export nipponico e le alluvioni in Thailandia, cuore produttivo della Corporate Japan. I consumi, che valgono il 60% del Pil, salgono dell'1%, con gli investimenti societari a +1,1% e quelli pubblici a -2,8%. Gli indici hanno però girato in deciso ribasso verso metà seduta per peggiorare con l'apertura di Wall Street (gli indici Dow Jones, Nasdaq ed SandP500 avviano le contrattazioni in leggero calo). A Piazza Affari intanto, Ftse Mib e Ftse It All Share cedono oltre il due per cento. Lo spread BTp-Bund, dopo essere scivolato sotto quota 450, torna ad impennarsi per toccare quota 500 punti. Livelli alti anche se lontani dal picco a 575 punti raggiunto la settimana scorsa prima della nomina a senatore a vita di Mario Monti. Mentre l'asta odierna di BTp è andata a buon fine (assegnati i 3 miliardi offerti) ma a caro prezzo: i rendimenti sono balzati al 6,29% (top da giugno 1997) in linea con quelli del mercato secondario. L'effetto dimissioni di Berlusconi si ègià esaurito? Sul movimento degli spread incide in buona parte il crescente interesse del mercato verso il Bund che porta il rendimento del 10 anni tedesco a segnare un calo di 8 punti base all'1,81%. Lo spread tra i rendimenti dei tassi decennali della Spagna e quelli della Germania ha toccato un nuovo massimo a 422 punti, a conferma delle forti tensioni che rimangono sul mercato del debito europeo. I rendimenti dei Bonos a 10 anni é di conseguenza salito oltre il 6%. A paragone lo spread dei Btp di analoga durata é ora di 483 punti con un rendimento decennale al 6,63%. Tensione anche sui titoli francesi. Lo spread tra i bond francesi e quelli tedeschi tocca quota 165 punti. Il differenziale, che attualmente si attesta a 164 punti ha aperto a 145 punti. La sensazione è che i mercati dopo aver premiato la svolta politica italiana (e greca con l'innesto di Papastademos) torna adesso a concentrarsi sui problemi dell'Eurozona. Con i dubbi sulla tenuta della tripla A per Francia e Austria. Preoccupano i dati reali sull'andamento dell'economia, non incoraggianti secondo l'Ocse. L'organizzazione ha oggi pubblicato il superindice di settembre evidenziando un brusco calo in Germania (-1,3%) e Italia (-1%). Sui mercati pesano anche le dichiarazioni di Jens Weidmann, congliere della Bce e banchiere centrale tedesco, che ha ribadito la contrarietà della Germania all'utilizzo della politica monetaria della Bce per rispondere ai problemi di solvenza dei Paesi delle banche.
Le amare battute di Sallusti (14 novembre 2011).
Mi sono molto divertito nel leggere queste battute del duirettore de Il Giornale. C
"""Con le dimissioni di Berlusconi, il clima del Paese deve cambiare per legge. Ecco un primo elenco di regole che da oggi saranno adottate da giornali e sinistra.
- Se la Borsa sale sarà per merito di Monti, se cala è per colpa della Grecia.
- Se tuo figlio prenderà 9 nel compito in classe è perché con Monti è cambiato il clima culturale del Paese. Se beccherà un 4 la colpa è della riforma Gelmini che ha ucciso la scuola.
- Se c’è il sole è perché anche l’ecosistema approva il governo Monti. Se piove è colpa della dissennata politica ambientale dell’ex ministro Prestigiacomo.
- Se tua moglie ti sorride è perché Monti le ha fatto ritrovare la gioia di vivere. Se tiene il solito muso è solo perché il governo Monti non è ancora insediato.
- Se il tuo fruttivendolo da oggi alza il prezzo dei pomodori è un buon segno, vuole dire che è certo del fatto che con il governo Monti siamo diventati tutti più ricchi.
- Se la tua banca ti ritira il fido è perché il governo dei banchieri ha dato indicazioni a tutte le sue filiali di proteggere la tua famiglia dalle tentazioni spendaccione di tua moglie. Devi essere grato al professor Monti.
- Se chiude una fabbrica Santoro non deve più preoccuparsi. Fino a ieri i disoccupati avevano i paladini nei Bocchino, da oggi nei Bocconi.
In Europa non c'è crescita (15 novembre 2011).
Nel terzo trimestre il Pil nell'Eurozona e nella Ue è aumentato dello 0,2% rispetto al secondo trimestre quando era salito sempre dello 0,2% in entrambe le aree. E' la stima flash di Eurostat. Rispetto al terzo trimestre 2010 il pil è aumentato dell'1,4% nelle due zone dopo +1,6% nell'Eurozona e +1,7% nella Ue nel trimestre precedente. A preoccupare è il dato che arriva da Atene. L'economia della Grecia sprofonda infatti sempre più nel baratro: nel terzo trimestre il Pil del paese ha subito una contrazione del 5,2 per cento, nel confronto con lo stesso periodo di un anno prima, secondo la stima preliminare diffusa dall'agenzia di statistica ellenica. Le maggior parte delle istituzioni internazionali si attendono che in Grecia la recessione economica prosegua anche nel 2012. L'Ocse ha diffuso oggi i dati relativi alla disoccupazione, che tra i Paesi dell'area è rimasta a settembre all'8,2%, come ad agosto. Il tasso è attorno all'8,2% da gennaio. Scarsi i movimenti nei vari Paesi aderenti all'Organizzazione, con le eccezioni della Spagna, dove la disoccupazione è salita dello 0,4 punti percentuali al 22,6%, e dell'Italia dove è aumentata di 0,3 all'8,3%. Più elevato il dato relativo all'area euro: il tasso di senza lavoro è infatti salito al 10,2%, il livello più elevato dal giugno 2010. La contrazione maggiore della disoccupazione è appannaggio dell'Ungheria (-0,4 al 9,9%). I dati disponibili per ottobre mostrano un lieve calo negli Usa (-0,1 al 9%) e un aumento in Canada (+0,2 al 7.3%). Intanto peggiora ulteriormente, piombando ai minimi da oltre tre anni, il clima di fiducia degli investitori in Germania, prima economia dell'area euro. A novembre l'indice elaborato dal centro studi Zew ha accusato un calo per il nono mese consecutivo, 6,9 punti in meno con cui è finito a quota meno 55,2 punti. Si è così ulteriormente allontanato dalla media storica, pari a più 25 punti ed è finito al valore più basso dall'ottobre del 2008, rileva lo stesso Zew con un comunicato. Secondo l'indagine le tensioni sui debiti pubblici in Italia e Grecia hanno ulteriormente accentuato l'incertezza sulle prospettive economiche dell'area euro, mentre si indebolisce il commercio internazionale. La situazione economica della Germania è rimasta «in territorio positivo» a novembre, secondo gli esperti consultati dallo Zew, ma continua a sua volta a risentire del clima generale.
Il governo Monti (16 novembre 2011).
Nasce ufficialmente il governo Monti. Solo tecnici, nessun politico. Sedici ministeri (contro i 23 del governo Berlusconi). Tre donne ai ministeri dell'Interno, Giustizia e Lavoro. Antonio Catricalà sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Mario Monti sarà presidente del Consiglio con delega all'Economia. Ministri senza portafoglio: Enzo Moavero Milanesi (Delega agli Afferi europei) Piero Gnudi (Turismo e Sport) , Fabrizio Barca (Coesione Territoriale) Piero Giarda (Rapporti con il Parlamento) e Andrea Riccardi (Cooperazione internazionale e integrazione). Ministri con portafoglio. Agli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata, all' Interno Anna Maria Cancellieri, alla Giustizia Paola Severino, alla Difesa ammiraglio Gianpaolo di Paola, allo Sviluppo economico, Infrastrutture e Trasporti Corrado Passera, all'Agricoltura Mario Catania, all'Ambiente Corrado Clini, al Lavoro e politiche sociali Elsa Fornero, alla Salute Renato Balduzzi, all'Università e Istruzione Francesco Profumo, alla Cultura Lorenzo Ornaghi. Dunque non ci sono politici nel governo Monti. «La non presenza di personalità politiche nel governo, agevolerà anziché ostacolare il radicamento, perchè toglierà un motivo di imbarazzo» ha detto il premier Mario Monti, spiegando che «la blindatura di un governo dipende dalla sua capacità di agire incisivamente e di spiegare ai cittadini e al Parlamento la portata della sua azione. Questa è la blindatura che cercherò con i miei ministri». D'altronde «le forze politiche, che spero stiano uscendo da una fase di dialettica molto, molto vivace, hanno manifestato una chiara preferenza a sostenere questo governo senza farne parte. D'altra parte la stessa nascita di un governo innovativo riflette la grande convinzione delle forze politiche che si tratti di un momento straordinario». «Abbiamo operato in tempi brevi e con serietà e attenzione alla qualità delle scelte» ha sottolineato Monti. «Ci sentiamo sicuri di ciò che abbiamo fatto ed abbiamo ottenuto molti segnali di incoraggiamento dai nostri partner europei e dal mondo internazionale - ha proseguito -. Confido che questo si tradurrà, pur in una fase complicata, in un rasserenamento di quelle difficoltà dei mercati che riguardano il nostro Paese». Nella conferenza stampa al Quirinale, dopo aver accettato l'incarico di premier, Mario Monti ha rivolto un «cordiale saluto a Berlusconi con rispetto e attenzione per l'opera compiuta». Il nuovo premier ha inoltre rivolto un «sentito ringraziamento a Napolitano per l'onore che mi ha fatto chiamandomi a questo incarico e per il suo sostegno». Un «grazie» Monti lo ha rivolto anche alle «forze politiche e sociali per la collaborazione nel corso delle consultazioni» a Palazzo Giustiniani.
«Ho affidato a una sola persona (Corrado Passera, ndr) il ministero dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti - ha chiarito il neo premier - . Questo corrisponde alla logica che desidero sottolineare: quella di mettere al centro le iniziative coordinate per la crescita economica». A chi gli chiede se il suo esecutivo farà la riforma delle pensioni risponde: «Avremo occasione di presentare il programma in Parlamento e quella sarà l'occasione più appropriata per prendere la prima visione sulle linee programmatiche del governo. L'auspicio è che la formazione del nuovo esecutivo possa riuscire a stemperare la pressione dei mercati. Il nuovo esecutivo giurerà oggi alle 17. Per l'articolo 92 della Costituzione i ministri sono nominati con decreto dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio. Tra giovedì e venerdì i due rami del Parlamento saranno chiamati ad esprimersi sulla fiducia al nuovo governo: prima il voto al Senato, poi alla Camera. Monti ha incassato la disponibilità di parti sociali e imprese per un programma di rigore che rilanci la crescita. Da Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl c'è un sostanziale via libera a un'azione di governo che tenti l'uscita dalla crisi. Il neo premier Mario Monti aveva promesso al capo dello Stato Giorgio Napolitano discontinuità. E discontinuità è stata: la nomina di Fabrizio Barca a ministro alla Coesione territoriale. Un dicastero in chiave anti leghista con a capo un vecchio collaboratore di Carlo Azeglio Ciampi con il solito, annoso compito di rilanciare il Mezzogiorno. Una mossa che sembra andare contro l'impostazione federalista data dal governo Berlusconi. Che sia una vendetta per il rifiuto della Lega a concedere la fiducia a scatola chiusa? Io conosco molto bene il mondo accademico e so per certo che la vendetta è un piatto che all'interno degli atenei si degusta con piacere. Governo di supertecnici chiosano i giornali; ma sappiamo bene che in molte sedi di partito (Pd, Udc, Fli), curie, e confraternite questa sera si brinderà con champagne; e poi i grandi tecnocrati hanno sempre un cuore e uno sponsor politico, e spesso essi sono più faziosi degli stessi politici. Ma a noi può anche non interessare importante è che raddrizzino la barca senza metterci troppo le mani in tasca. I mercati, all'annuncio della formazione del governo Monti, hanno reagito con freddezza; in leggero risalita la borsa stabili verso l'alto gli spread.
Prime difficoltà per Monti (21 novembre 2011).
Il governo Monti affronta per la prima volta la prova dei mercati nella pienezza delle sue funzioni. E la partenza è subito in salita. Parte male Piazza Affari. L'indice Ftse Mib comincia in calo dell'1,23%, sulla scia dell'andamento negativo delle piazze asiatiche. Poi peggiora ulteriormente nel corso della mattinata, secondo una tendenza che interessa anche le altre Borse europee. Piazza Affari però guida i ribassi con l'indice principale che cede il 4,80%. È un bollettino di guerra per i titoli del Ftse Mib. Finmeccanica, travolta dallo scandalo dell'inchiesta giudiziaria, accusa una flessione del 6%. Vanno giù le banche: Ubi accusa un calo del 4,3%. Sono travolte dalle vendite anche le Fiat (-4,6) e le Lottomatica (-4,4%). Vanno male anche le Telecom (-4,6%) e le Saipem (-4,88%). Cerca di arginare la performance negativa solamente Bpm (-0,3%), dopo che venerdì si è chiuso l'aumento di capitale da 800 milioni di euro. Male anche le altre principali Borse europee: Parigi registra un ribasso del 2,61%, Francoforte del 2,73% e Londra dell'1,96%. Apertura negativa anche per Wall Street, con l'indice Dow Jones che perde lo 0,76% a 11.706,02 punti, lo SandP che lascia l'1,14% a 1.201,8 punti e il Nasdaq che mostra un calo dell'1,44% a 2.535,23 punti. Sul fronte dei titoli di Stato torna ad allargarsi la forbice tra gli spread dei titoli italiani e quelli spagnoli rispetto ai bund tedeschi. Il differenziale Btp-Bund oscilla intorno i 480 punti, dai 466 di venerdì. In deciso rialzo anche il differenziale Francia-Germania a 161 punti da 150, segnato in apertura, e quello della Spagna che balza a 462 da 443. Ma sull'economia francese, potrebbe presto abbattersi anche una tegola (tutt'altro) che imprevista. L'aumento dei tassi dei titoli di stato francesi insieme alla prospettiva di crescita che si deteriora potrebbe portare infatti a un abbassamento del rating della Francia al momento AAA, il migliore possibile. È quanto sottolinea l'agenzia di rating Moodys . Una delle misure che, secondo numerosi analisti, potrebbe tagliare le gambe alla speculazione sarebbe quella di creare dei titoli di Stato europei, i cosiddetti eurobond (proposti da Trmonti nel 2008). Una misura quest'ultima però da sempre osteggiata dalla Germania. Berlino ha ribadito infatti il suo no agli eurobond, che, secondo il portavoce del governo tedesco Steffen Siebert «non risolverebbero il problema alla radice». Al gruppo dei Paesi europei a rischio dopo Grecia, Portogallo, Irlanda Spagna e Italia si aggiunge anche l'Ungheria che ha chiesto ufficialmente aiuto alla Commissione europea e al Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma i vari Bersani, Fini, Casini, Marcegaglia e media compiacenti, non avevano assicurato che caduto Berlusconi come per magia la borsa si sarebbe ripresa e gli spread calati? Intanto tra i tanti provvedimenti urgenti, ricordati quotidianamente dal giornale di Confindustria con lo slogan "Fate presto" qual è la prima iniziativa: il decreto Roma capitale, intervento che serve a tappare i buchi di bilancio della regione Lazio.
Fiat disdetta tutti gli accordi a livello nazionale (21 novembre 2011).
Fiat ha annunciato ai sindacati la disdetta, dal primo gennaio 2012, di tutti gli «accordi sindacali e delle prassi collettive in atto» in tutti gli stabilimenti italiani, rendendosi disponibile a «promuovere incontri finalizzati a realizzare accordi uguali e migliorativi» rispetto a quelli in vigore fin qui. L'annuncio formalizza l' estensione del cosiddetto modello Pomigliano del contratto aziendale del Lingotto (già adottato anche a Mirafiori) al resto dei lavoratori italiani dell'auto. La disdetta dei contratti trova ragione nella contemporanea uscita di Fiat dai sindacati imprenditoriali, Confindustria e Federmeccanica. In una lettera scritta ai sindacati l'azienda rassicura sulla disponibilità a valutare «le conseguenze del recesso» e «alla eventuale predisposizione di nuove intese collettive». «Entro il 31 dicembre - ha commenta Roberto Di Maulo, segretario generale del sindacato autonomo Fismic - bisogna realizzare il contratto auto. Era già un impegno, ora è urgente e pressante». «Estendere l'accordo di Pomigliano a tutti i 72.000 lavoratori del gruppo Fiat non vuol dire solo estendere un brutto accordo - ha detto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, concludendo a Torino l'assemblea regionale dei metalmeccanici Cgil - ma porta a modificare la natura stessa della organizzazione sindacale: si passa infatti a una fase di sindacato aziendale e corporativo». Con le esclusioni di Fiom-Cgil e Ugl, le altre grandi sigle sindacali avevanon già anticipato lo scorso ottobre il via libera al contratto unico aziendale per la Fiat. Al termine di una riunione del 25 ottobre con l'amministratore delegato Sergio Marchionne, Cisl, Uil, Fim, Uilm e Fismic, avevano firmato una nota congiunta «sulla necessità di avviare un confronto negoziale finalizzato a realizzare un unico contratto nazionale per tutti i lavoratori del gruppo Fiat». All'incontro avevano preso parte i leader della Cisl e Uil Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Marchionne, da parte sua, aveva «ribadito l' impegno a proseguire gli investimenti negli stabilimenti italiani, confermando la piena validità del progetto industriale Fabbrica Italia».
Pugno duro della Cgil (22 novembre 2011).
Le tute blu della Cgil sono pronte anche allo sciopero generale della categoria contro la decisione del gruppo del Lingotto di disdire gli accordi sindacali. Posizione che non trova il benestare di tutti i sindacati. "La disdetta degli accordi da parte della Fiat è una decisione coerente con la scelta di dar vita a un nuovo contratto che rilanci l'industria dell`auto nel nostro Paese", ha invece commentato il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. Martedì prossimo, in occasione del comitato centrale, la Fiom deciedrà come muoversi. "Intanto - ha spiegato il leader Maurizio Landini, si parte subito con due ore di sciopero per assemblee in tutti gli stabilimenti del gruppo". "Un anno e mezzo fa a Pomigliano Marchionne per la prima volta imponeva il suo diktat. Allora in tanti dissero che quella era un’eccezione. Oggi quell’eccezione è diventata la distruzione del contratto nazionale e la negazione delle più elementari libertà per i lavoratori", ha dichiarato Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom, spiegando che "quello della Fiat è un sostanziale fascismo perché non solo si vogliono imporre condizioni di supersfruttamento ai lavoratori, ma si vuole anche impedire ad essi la libera azione sindacale e persino il libero voto per le proprie rappresentanze". "Nemmeno negli anni Cinquanta la Fiat si sognò di abolire le elezioni delle Commissioni interne - ha continuato Cremaschi - oggi Marchionne stabilisce un sistema extracostituzionale ed extralegale che cancella per i lavoratori Fiat le libertà costituzionali". Molto duro anche Landini che ha avvertito: "Se questo nuovo governo ha qualcosa da dire di diverso dal precedente, lo faccia ora. Il tempo delle ipocrisie mi sembra concluso". Landini non ha escluso lo sciopero generale. "Quella della Fiat è una decisione inaccettabile che contrasteremo con i mezzi utili ed efficaci", ha aggiunto il responsabile del settore auto Giorgio Airaudo. Intanto, ha fatto sapere Landini, "la prima risposta che daremo è quella di proclamare assemblee in sciopero in tutti gli stabilimenti" del Lingotto. Uno sciopero di due ore che saranno utilizzate per svolgere assemblee con i lavoratori. Landini vorrebbe distribuire in tutti i luoghi di lavoro il testo dell’accordo di Pomigliano. La Fiom assicura di non avere "intenzione di accettare in alcun modo quello che sta accadendo". "E' uno strappo democratico - ha concluso Landini - la cancellazione del contratto nazionale di lavoro apre una nuova fase di modifica radicale del sistema delle relazioni e del ruolo del sindacato, che a quel punto diventa corporativo e aziendale".
Monti a Bruxelles (22 novembre 2011).
"L'Italia ha davanti sfide enormi ma superabili anche se resta in una situazione difficile". Al termine dell'incontro con il premier italiano Mario Monti 1, il presidente della Ue Barroso lancia messaggi di ottimismo verso il nostro Paese che non deve fare "uno sprint" ma piuttosto "una maratona" sul percorso verso la riconquista della fiducia sui mercati. Un'Italia sulla quale sono fissati "gli occhi dell'Europa e del mondo". Quella stessa Italia che "e' determinata a superare e a vincere la sfida della crisi". Sotto la guida di Monti che, continua Barroso, "ha tutta la mia fiducia e l'autorità per guidare l'Italia". "Sono sicuro - dice Barroso rivolto a Monti - che lei e il suo governo riuscirete a farcela e potete contare sul sostegno della commissione". Dal suo canto Monti torna a indicare l'Europa come stella polare dell'esecutivo che guida: "L'Europa è al centro dell'azione di riforma in Italia, contribuiremo allo sviluppo armonioso dell'Unione europea". Per Monti persino i vincoli Ue sono stati e saranno utili. "Benvenuto al monitoraggio Ue - dice - ci aiuterà a essere migliori". E allora avanti con le riforme, continua il presidente del Consiglio, con "le misure strutturali" verso le quali, adesso "c'è ampio consenso che cercherò di mantenere. Rispetto al governo precedente andremo più a fondo nelle riforme istituzionali". Monti si rende conto che "andare a fondo", in tempi di crisi, non è una frase felice. E ci ironizza lui stesso sopra: "...a fondo nel senso buono, incisivamente". Poi, rivolto a Barroso, che sorride accanto a lui, il capo del governo italiano rimarca: "Il presidente conosce così bene l'italiano che può cogliere anche queste sfumature". "Non ho trattato la questione del pareggio di bilancio nel 2013 con il presidente Barroso, se non in termini generali" dice Monti che delle questioni di politica economica parlerà con il commissario Olli Rehn a Roma venerdì. In serata, la precisazione della portavoce del premier: "Non ho mai messo in discussione gli obiettivi della finanza pubblica concordati con l'Unione Europea, incluso il pareggio di bilancio nel 2013". Da Roma, intanto, il ministro per i rapporti con il Parlamento Piero Giarda annuncia che da domani la Camera affronterà il tema del pareggio di bilancio in Costituzione. La modifica alla Carta dovrà passare la prossima settimana al Senato. Infine, il tema caldo degli eurobond. "Non so ne discuteremo nella trilaterale con Merkel e Sarkozy, ma continuo ad essere dell'idea che non vi debbano essere tabù", ha detto. Il tema d'altronde fu proposto proprio da Monti sia pure in un ambito diverso, cioè in uno studio sul mercato unico. E su questo il neopremier italiano ha incassato il via libera del presidente del Consiglio europeo, van Rompuy: "Sul lungo termine - ha detto - è necessario guardare agli eurobond". Il vicepresidente della Commissione Ue Rehn si è detto "fiducioso" sulla capacità dell'Italia "di superare l'attuale perdita di fiducia dei mercati". "L'attuale situazione in Italia - ha osservato - rappresenta un'opportunità per un cambiamento positivo. Sono fiducioso che con le politiche giuste l'Italia può superare l'attuale perdita di fiducia dei mercati", e avverte: "Il monitoraggio della Ue continuerà". "Come il primo ministro Mario Monti ha sottolineato nei suoi discorsi in Parlamento - ha detto il vicepresidente nel suo discorso in Germania - il governo è di fronte a sfide difficili. L'Italia ha bisogno di consolidamento fiscale e di adottare misure ardite per rilanciare la crescita nel medio ma anche nel breve termine. La velocità del cambiamento politico e l'ampio sostegno ottenuto dal governo nel parlamento sono la dimostrazione della consapevolezza della necessità di un cambio di marcia nelle politiche". Rehn ha preannunciato, per la riunione dell'Eurogruppo di martedì prossimo, la presentazione di un primo rapporto sull'attuazione della lettera di intenti inviata a fine ottobre da Silvio Berlusconi, sulla base del mandato ricevuto lo scorso 26 ottobre dai leader dell'Eurozona. "Alcune delle misure sono state adottate - ha constatato Rehn - e il nuovo premier ha già indicato l'intenzione di andare oltre su alcune importanti questioni". Intanto il direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, ha spiegato che l'opinione diffusa che il rendimento dei titoli di stato al 7% rappresenti un punto di non ritorno "non è corretta", dato che l'Italia ha sopportato in passato tassi anche più alti. Saccomani ha spiegato, inoltre, che le banche europee stanno affrontando problemi di finanziamento e uno dei modi per risolverli potrebbe essere quello di ampliare il collaterale che la Bce accetta per garantire liquidità. Infine, per quanto riguarda il deteriorarsi del rapporto debito/Pil, Saccomani ha spiegato che non è il risultato di una politica di sperpero della spesa, ma la conseguenza della recessione economica. Nonostante, però, la situazione sia difficile, Italia e Spagna non hanno bisogno di aiuti da altri Paesi: lo ha detto il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e membro del consiglio direttivo della Bce a Berlino: ''Confido nel fatto che per entrambi i Paesi non siano necessari aiuti finanziari esterni - ha aggiunto -, ma che al contrario possano farcela da soli'', sottolineando che ''ci sono motivi che costringono a mantenere l'indipendenza della Bce proprio in situazioni di crisi. La Bce non ha il compito - anzi questo è addirittura proibito - di finanziare i bilanci statali''. Gli Eurobond possono aiutare ad alleviare gli effetti della crisi, ma la loro introduzione deve andare in parallelo con una sorveglianza rafforzata e un coordinamento più stretto delle politiche monetarie, ha sottolineato Rehn. ''Una profonda riforma della governance per una maggiore integrazione è una precondizione necessaria per ogni tentativo di introdurre gli 'stability bond''', ha detto Rehn.
Barroso: una governance per l'Europa (23 novembre 2011).
La Commissione ha presentato un pacchetto molto sostanzioso di proposte sul fronte del potenziamento della sorveglianza dei bilanci dei Paesi membri dell'euro zona più il libro verde sulla fattibilità degli "stability bonds". Il pacchetto include l'analisi annuale della crescita che individua le sfide per il 2012 proprio sul versante dello sviluppo e della crescita. Questo è anche il primo appuntamento del nuovo semestre europeo 2012, parte integrante della strategia Europa 2020. Sempre per metà settimana è prevista la presentazione del rapporto sui risultati degli stress test delle centrali nucleari nell'Ue, effettuati sulla scia dell'incidente con l'impianto di Fukushima, nel Giappone. Senza una governance economica più forte" nell'Unione valutaria "sarà impossibile sostenere l'euro". Lo ha affermato il presidente della Commissione europea, Jose Manuel Barroso il quale lancia un drastico monito ai paesi dell'area euro: "senza una governance economica più forte" nell'Unione valutaria "sarà impossibile sostenere l'euro", ha affermato Jose Manuel Barroso, nella conferenza stampa di presentazione di una nuova serie di proposte dell'esecutivo Ue che riguardano anche proprio questo rafforzamento delle regole comuni sulla disciplina di bilancio. Alla domanda se ritenga che la Commissione europea abbia la legittimità necessaria per imporre una maggiore sorveglianza sui bilanci nazionali, Barroso ha replicato: «Noi pensiamo di poterlo fare. Se non è la Commissione, chi può farlo?». «Se vogliamo mantenere la moneta unica - ha insistito il numero uno dell'esecutivo di Bruxelles - gli Stati che la condividono devono accettare che ci sono istituzioni indipendenti, con un potere da loro delegato». «Non vedo un'altra istituzione in grado di rispondere alle questioni della governance - ha sottolineato ancora Barroso - L'alternativa potrebbe essere quella di creare una nuova istituzione, che in principio sarebbe più vulnerabil alle pressioni, o di lasciare queste questioni al libero arbitrio degli Stati». Un'opzione che il presidente della Commissione respinge: «Sappiamo che la sorveglianza non la possiamo lasciare solo ai Paesi membri, altrimenti c'è il riflesso dei negoziati, la logica del 'do ut des', l'abbiamo visto nel passato» con i negoziati per ammorbidire i vincoli del Patto di stabilitá. «È per la credibilitá della zona euro che ci vogliono istituzioni forti che abbiano poteri delegati dagli Stati», ha concluso.
Governo: manovra da 15 miliardi (23 novembre 2011).
Il pareggio di bilancio si farà, come previsto, nel 2013. Tanto che per centrare l'obiettivo, d'accordo con la Commissione e il Consiglio europeo, il governo guidato si appresta a varare tra pochi giorni una nuova manovra correttiva dei conti pubblici, sul prossimo biennio, di 15 miliardi di euro. Della dimensione e del timing della manovra, la «quater» di questo terribile 2011, il presidente del Consiglio Mario Monti, ha discusso a lungo, ieri, con il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, e del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy. Quella a Bruxelles era una visita di cortesia istituzionale, da nuovo presidente del Consiglio, anche se Monti c'è arrivato preparato da ministro dell'Economia. Accompagnato non a caso dal direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, e da una parte dello staff che fu di Giulio Tremonti. Gli ispettori della Commissione Ue sono stati a Roma tutta la settimana scorsa e, dopo la lettera di impegni del governo Berlusconi, la richiesta di chiarimenti e le risposte di Tremonti, sono quasi pronti a fare il loro rapporto sullo stato della finanza pubblica italiana. Torneranno a Roma venerdì, insieme al commissario agli Affari monetari, Olli Rehn, per avere direttamente da Monti, oltre che dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, gli ultimi chiarimenti. Anche se non è del tutto definito, il monitoraggio della Commissione offre già una prospettiva certa. Con una crescita dell'economia inferiore al previsto (Bruxelles sostiene che nel 2011 e nel 2012 l'Italia crescerà meno di quanto previsto, lo 0,5% quest'anno invece dello 0,7%, e appena lo 0,1% nel 2012 rispetto allo 0,6%) e una spesa per gli interessi sul debito più elevata, per colpa degli spread, al pareggio promesso nel 2013 da Silvio Berlusconi mancano almeno 15 miliardi: 7 da fare nel 2012, altrettanti nel 2013. Cui si dovranno aggiungere 4 miliardi l'anno prossimo e altri 16 nel 2013, già conteggiati per il pareggio ma sostanzialmente indefiniti, perché rinviati a una delega per la riforma del fisco e dell'assistenza. Dopo la visita a Roma, la Commissione presenterà il suo rapporto di monitoraggio sull'Italia ai ministri delle Finanze della zona euro, con la richiesta di misure aggiuntive, nella riunione dell'Eurogruppo del 29 novembre. In quella sede Mario Monti spiegherà ai suoi colleghi come il governo italiano intende provvedere alle nuove esigenze che si prospettano. E il presidente del Consiglio italiano vuole arrivare alla riunione dei capi di Stato e di governo dell'Unione Europea dell'8 e 9 dicembre a Bruxelles con il compito già fatto. Con la manovra correttiva e le prime misure per la crescita già approvate dal Consiglio dei ministri e presentate al Parlamento, al quale sarà chiesto di dare via libera al pacchetto entro fine anno, così che possa essere operativo dal primo gennaio del 2012. L'intenzione del premier è quella di presentare un pacchetto equilibrato. Con le misure per chiudere il buco dei conti pubblici, con la revisione dell'imposizione fiscale sugli immobili, la reintroduzione dell'Ici sulle prime case e la rivalutazione delle rendite catastali, se non con qualche altra forma di tassazione patrimoniale, e le dismissioni. E poi gli interventi, primi tra tutti le liberalizzazioni e la riforma degli ordini professionali, per la crescita dell'economia. Un punto su cui Monti ha insistito molto ieri a Bruxelles e insisterà molto domani con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Il problema in Europa c'è, Monti lo avverte. Ma sa benissimo che non è l'Italia a poter chiedere oggi sconti sul risanamento.
Incontro Merkel, Sarkozy, Monti (24 novembre 2011).
Angela Merkel e Nicolas Sarkozy che assicurano sostegno all'Italia. Mario Monti che, da parte sua, garantisce che il nostro Paese «farà i compiti a casa». Con questo spirito, i leader di Germania, Francia e Italia concludono l'atteso vertice a tre di Strasburgo. Che però lascia insoddisfatti molti commentatori, incluso pare almeno uno dei tre leader, vale a dire il presidente Sarkozy che, secondo alcune indiscrezioni rese pubbliche dal quotidiano francese Le Monde, sarebbe stato alla fine «molto irritato». C'è la «nostra volontà, quella mia e quella della Merkel, di sostenere e aiutare l'Italia di Mario Monti» dice tuttavia Sarkozy nella conferenza stampa al termine dell'incontro. «Il premier Monti ci ha invitato a Roma a breve per proseguire la discussione e ci andremo con grande piacere» aggiunge il presidente francese. Che annuncia anche una «collaborazione più stretta» sia con la Germania che con l'Italia. Poi tocca alla Merkel: «Auguro a Monti un pieno successo perché ha un grande lavoro davanti». Quindi la cancelliera definisce «molto impressionante» vedere le misure anche «strutturali» che il governo italiano è intenzionato ad adottare. Quello che stupisce è che le misure di cui parla la Merkel in Italia nessuno le conosce ancora.. «L'Italia centrerà il pareggio di bilancio nel 2013 e presenterà un rilevante avanzo primario l'anno successivo» assicura Monti. Ma deve «fare sforzi particolari a causa dell'elevato stock di debito» precisa. Il tutto inoltre dovrà avvenire «in modo sostenibile, quindi attraverso una crescita economica che garantisca la tenuta dei conti - chiarisce ancora Monti -. Non è in discussione l'obiettivo del pareggio di bilancio del 2013 ma è in discussione cosa fare se si entra in una fase recessiva peggiore del previsto. È un tema noto a ciascuno, tutti devono fare il compito a casa, noi lo faremo, dando anche la soluzione ai problemi comuni». «Le prime economie dell'Europa sono determinate a fare di tutto per sostenere e garantire la solidità dell'euro» dice Sarkzoy. E Monti conferma: «Abbiamo espresso tutti e tre insieme che la priorità principale è una buona salute dell'eurozona e la salda tenuta dell'euro». Il premier italiano si dice anche favorevole a sanzioni per chi non rispetta il patto di stabilità, evocando il 2003 quando a infrangere le regole furono le stesse Francia e Germania, che non furono sanzionate (frecciatina ai due partner). Per bocca di Sarkozy, i tre Paesi esprimono inoltre «fiducia nella Banca centrale europea e nei suoi leader» e affermano che «rispetto all'indipendenza di questa fondamentale istituzione, dobbiamo evitare di farle richieste positive o negative». Francia e Germania «nei prossimi giorni faranno delle proposte concrete per la modifica dei trattati Ue» con gli obiettivi di «migliorare la governance dell'Eurozona» e di una «maggiore integrazione delle politiche economiche» annuncia ancora Sarkozy. E aggiunge: «Informeremo il governo Monti delle nostre proposte nei dettagli, e speriamo che l'Italia voglia associarsi a queste proposte». I tre leader si esprimono infine, ma con posizioni diverse, sul tema degli eurobond. «Non sono necessari» ribadisce la cancelliera Merkel, specificando che la priorità attuale «non è essere a favore o contro» ma «la crescita». «Dobbiamo andare verso una unione fiscale se vogliamo dare stabilità radicale all'Eurozona. In questo contesto gli stability bond potrebbero dare un contributo significativo - la posizione espressa invece da Monti -. Tutto è possibile dentro una solida unione fiscale, molte altre cose rischiano di diventare pericolose al di fuori di un'unione fiscale». Chiude però Sarkozy: è «pericoloso parlare di eurobond senza parlare, insieme, di governance e di sanzioni: è un pacchetto complessivo che presenteremo insieme». Insomma per i commentatori più attenti il vertice è stato un fiasco completo tanto che Arnaud Leparmentier, giornalista di Le Monde che segue l'Eliseo scrive che Sarkozy «è particolarmente irritato dopo il fallimento del summit con Monti e Merkel» spiegando che i tre «hanno deciso di non parlare della Bce» perchè «in disaccordo totale sul suo ruolo» per salvare l'euro. Sarkozy, spiega ancora il giornalista di Le Monde, vuole che la Bce «voli in soccorso degli Stati in fallimento. Monti non vuole, ma difende l'idea di avere gli eurobond per ripartire il rischio finanziario in Europa. Merkel non vuole cedere sulla Bce nè accettare gli eurobond, accusati di azzerare le pressioni dei mercati sui Paesi meno virtuosi».
Sempre negativa la fiducia dei mercati (25 novembre 2011)
Anche oggi le borse europee girano in negativo. Parigi, Francoforte e Londra cedono circa un punto percentuale. Più marcati i ribassi di Piazza Affari con gli indici che cedono circa un punto e mezzo percentuale. All'indomani dell'ennesima fumata nera su eurobond e ruolo Bce al vertice tra Monti, Sarkozy e Merkel l'euro è debole. La moneta unica scende sotto la soglia di 1,33 dollari attestandosi a 1,3263 dollari. Resta ai massimi la pressione sui debiti sovrani. Soprattutto sui titoli a breve scadenza. Il rendimento del Btp a due anni vola al 7,5%, segnando un nuovo record storico dalla nascita dell'euro nel 1999. Si impenna anche il differenziale di rendimento tra Italia e Germania sulla scadenza decennale ha toccato un massimo di 503 punti base dalla chiusura di ieri. Oltre il 7% il rendimento che, al momento, si aggira intorno al 7,16 per cento. I mercati aspettano con apprensione gli esiti del'asta che il Tesoro ha in programma. Bisogna collocare BoT semestrali per 8 miliardi di euro e CTz a due anni per due miliardi. Il rendimento atteso per i BoT semestrali è intorno al 5,75 per cento mentre per i CTz si attende un tassp del 7,4 per cento. Petrolio in rialzo sui mercati asiatici tra le spinte contrastanti dei timori sulla crisi europea e il consistente calo delle riserve Usa di greggio. Giova osservare un inizio di pressione anche sui bund. La pressione sui titoli tedeschi arriva anche dal Giappone dove i dati diffusi dal ministero delle finanze segnalano forti acquisti di Gilt (GB) e vendite di Bund. Una tendenza emersa già nei giorni scorsi e già prima dell'asta fallimentare da 3,6 miliardi di euro della Germania. Il dato ufficiale nipponico è un ulteriore segnale di come il Bund stia perdendo velocemente lo status di porto sicuro, cedendo il passo oltre che ai Gilt, agli Us Treasurys e ai bond svedesi.
Ipotesi sulla riforma delle pensioni (28 novembre 2011).
Tra gli interventi più probabili in materia di stabilizzazione della spesa previdenziale, l'introduzione del «metodo contributivo pro rata» è quello che ha destato il maggior interesse e anche i timori di coloro che sono prossimi alla pensione. La riforma Dini aveva introdotto il contributivo per i neo assunti dal gennaio 1996 e per quelli che a tale data vantavano meno di 18 anni di anzianità contributiva; ma per tutti quelli che avevano più di 18 anni di contributi al dicembre 1995 i sindacati avevano imposto di mantenere il vecchio metodo retributivo basato sulle ultime retribuzioni. In pratica la riforma aveva colpito i più giovani lasciando immuni i lavoratori con maggiore anzianità. Ora il contributivo verrà applicato anche a questi lavoratori, non ovviamente sull'intera pensione come qualcuno temeva, ma solo per il periodo residuale della vita lavorativa; infatti la pensione verrà calcolata con il vecchio metodo retributivo fino al 31 dicembre di quest'anno e con il nuovo contributivo (concetto del pro rata) a partire dal primo gennaio 2012. Il provvedimento riguarderà le platee di lavoratori, tra gli 1,5 e i 2 milioni, che andranno in pensione da qui al 2016 con un massimo di 40 anni di contribuzione e 65 anni d'età; oltre tale data la maggior parte dei retributivi puri saranno già in quiescenza. Dal punto di vista della «cassa» il provvedimento non porta grandi risparmi, anche se nella situazione data tutto è utile, ma è importante, e bene ha fatto a proporlo il neo ministro Elsa Fornero, perché lancia un messaggio di equità tra le generazioni e seppure tardivamente e non certo per colpa del nuovo governo, spalma i sacrifici pensionistici su tutti i lavoratori, giovani e anziani; cosa che non era riuscita alla Dini ma che era stata applicata nel 1997 dalla Svezia che aveva introdotto la riforma mutuandola proprio, una volta tanto, dalla nostra.
La riduzione delle prestazioni è modesta per i lavoratori dipendenti (non oltre il 2% con la revisione dei coefficienti) e leggermente più elevata per i lavoratori autonomi, per il fatto che versano il 20% di contribuzione contro il 33% dei dipendenti. Ma attenzione, il provvedimento non è solo equitativo per i giovani ma lo è pure per coloro che sono a fine carriera, a causa della attuale crisi occupazionale. Infatti con il metodo retributivo la pensione viene calcolata sulla base degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti e 15 per gli autonomi; in pratica si poteva versare (stresso il concetto per farmi capire) 1 euro per 25 anni e poi 1.000 € negli ultimi 10 o 15 e si sarebbe ottenuta una pensione pari al 70 o 80% di mille. E' il metodo che ha prodotto la maggior parte del debito previdenziale. I redditi quindi crescevano o venivano fatti crescere soprattutto negli ultimi anni per avere, a vita, una pensione più alta; ma la crisi oggi colpisce proprio quelli a fine carriera, ne riduce i salari e redditi e quindi penalizza la pensione. Con il contributivo si salvano gli ultimi anni retributivi maturati fino al 31 dicembre 2011 mentre tutto ciò che accadrà dopo il gennaio 2012 non influirà sul grosso della pensione ma solo sulla piccola parte calcolata con il contributivo. Anche la proposta della Fornero sulla revisione delle finestre mobili è veramente apprezzabile; infatti se lo Stato desidera la fiducia dei cittadini deve assolutamente evitare provvedimenti che vengono giudicati in gergo «una fregatura». Tra queste la più eclatante è la regola che impone 12 o 18 mesi di lavoro in più a chi ha maturata i 40 anni di servizio; in pratica si obbligano i lavoratori dipendenti a pagare contributi sociali pari al 33% o, se autonomi, il 20% del loro reddito senza avere un euro di pensione in più. La stessa idea delle finestre mobili aumenta fittiziamente l'età di pensionamento; nella vicina Svizzera quando uno matura i requisiti per la pensione fa domanda e dopo massimo tre mesi va in quiescenza; da noi in modo bizantino deve restare 12 mesi o più e il termine dovrebbe aumentare nei prossimi anni. Meglio agire in modo più trasparente aumentando le età di pensionamento a 63/64 anni per tutti, uomini e donne, e prevedere uscite di anzianità flessibili tra queste età e i 68/70 anni; ovviamente più si lavora e maggiore sarà la pensione. Tratto da Corriere .it
Situazione attuale.
Dal 1.7.2009
È stato introdotto il cosiddetto "sistema delle quote" in base al quale il diritto alla pensione si perfeziona al raggiungimento di una quota data dalla somma tra l'età anagrafica minima richiesta e almeno 35 anni di anzianità contributiva. Giova ricordare che hanno diritto alla pensione anche i lavoratori che, indipendentemente dall'età, maturano almeno 40 anni di contribuzione.
Ritornando al sistema delle quote i lavoratori dipendenti che richiedono la pensione devono essere in possesso di un requisito anagrafico pari ad almeno:
•59 anni di età e raggiungere quota 95, nel periodo dall’ 1.7.2009 al 31.12.2010;
•60 anni di età e raggiungere quota 96, nel periodo dall’ 1.1.2011 al 31.12.2012;
•61 anni di età e raggiungere quota 97, a partire dall’ 1.1.2013.
I lavoratori autonomi che richiedono la pensione devono essere in possesso di un requisito anagrafico pari ad almeno:
•60 anni di età e raggiungere quota 96, nel periodo dall’ 1.7.2009 al 31.12.2010;
•61 anni di età e raggiungere quota 97, nel periodo dall’ 1.1.2011 al 31.12.2012;
•62 anni di età e raggiungere quota 98, a partire dall’ 1.1.2013.
Il requisito minimo contributivo di 35 anni per il raggiungimento della quota deve essere perfezionato escludendo la contribuzione figurativa per disoccupazione ordinaria e malattia.
Requisiti maturati dopo 31.12.2010
I lavoratori che, a partire dal 1.1.2011, perfezionano i requisiti anagrafici previsti, fermo restando il requisito di anzianità contributiva non inferiore a 35 anni (cosiddetto sistema delle "quote") ovvero che, indipendentemente dall'età, maturano almeno 40 anni di contribuzione possono accedere alla pensione di anzianità con un "differimento" di:
•12 mesi dalla data di maturazione dei citati requisiti se la pensione viene liquidata a carico del Fondo Lavoratori Dipendenti e dei fondi pensioni sostitutivi ed integrativi dell’Assicurazione Generale Obbligatoria;
•18 mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti se la prestazione viene viene liquidata in una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (coltivatori diretti, coloni e mezzadri, artigiani e commercianti).
La decorrenza della pensione è fissata dal primo giorno del mese successivo allo scadere dei mesi di differimento previsti.
La previgente disciplina in materia di accesso alla pensione di anzianità (cosiddetto sistema "delle finestre") continua a trovare applicazione;
•per i lavoratori che, in relazione a quanto previsto dal contratto collettivo, hanno comunicato all'azienda di volersi dimettere e che, quindi, erano in "preavviso" alla data del 30 giugno 2010 a condizione che perfezionino i requisiti anagrafici e contributivi richiesti entro la data di cessione del rapporto di lavoro.
•lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa per raggiungimento del limite di età.
Le disposizioni in materia di decorrenza della pensione di anzianità continuano ad applicarsi, inoltre, nel limite massimo di 10.000 unità, ai lavoratori:
•collocati in mobilità "ordinaria" (articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modificazioni ed integrazioni) sulla base di accordi sindacali stipulati prima del 30 aprile 2010 a condizione che perfezionino i requisiti anagrafici e contributivi richiesti per il pensionamento nel periodo di fruizione della relativa indennità;
•collocati in mobilità "lunga" (articolo 7, commi 6 e 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modificazioni ed integrazioni) sulla base di accordi sindacali stipulati entro il 30 aprile 2010;
•titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà dei settori del credito e delle aziende private erogatrici di servizi di pubblica utilità.
Quanto spetta.
L’importo della pensione viene determinato con il sistema di calcolo:
•retributivo, se il lavoratore può far valere almeno 18 anni di contributi al 31.12.1995;
•misto(una quota calcolata con il sistema retributivo e una quota con il sistema contributivo) se il lavoratore alla data del 31.12.1995 non può far valere 18 anni di contributi.
Si può andare in pensione a prescindere dall'età se si possiede un’anzianità contributiva di almeno 40 anni. In tale ipotesi, se il requisito minimo dei 35 anni di contribuzione effettiva è stato raggiunto, si utilizza anche la contribuzione figurativa per disoccupazione e malattia.
E' ora il momento di convincere l'Europa (29 novembre 2011) .
Completata la squadra di governo con la nomina dei sottosegretari è ora il momento per convincere i mercati e la Bce: un confronto formale su nuovi eventuali interventi, a Francoforte, non partirà prima di aver preso visione delle misure del governo. Poi tutto il processo potrà finalmente accelerare. Il primo passaggio è già all'Eurogruppo dei ministri finanziari europei di oggi, un debutto come ministro dell'Economia nel quale Mario Monti presenterà le misure a cui lavora il governo. Queste arriveranno lunedì prossimo e, visto da Francoforte, non si tratta di un passaggio solo formale. Il capitale di credibilità di Monti è intatto nelle capitali d'Europa, ma quello del Paese e del Parlamento che lo sostiene non più. La Bce vuole veder chiaro nelle misure - numeri, scadenze, meccanismi - prima di discutere formalmente qualunque nuova iniziativa a favore dell'Italia. Non che il presidente Mario Draghi dubiti di Monti, ma molti nel Consiglio della banca si sono già sentiti traditi dall'Italia dopo i primi interventi dell'Eurotower in agosto. Ora non hanno più voglia di prendere rischi. Dunque solo dopo il Consiglio dei ministri di lunedì prossimo tutto potrà accelerare. Se la Bce riterrà che le misure italiane possono rassicurare i mercati sulla capacità del Paese di crescere, discuterà nuovi interventi. Alcuni nel Consiglio direttivo di Francoforte pensano ad acquisti illimitati di titoli di Stato italiani (e spagnoli), solo una volta superato un certo livello degli spread. Per ora però sembra più probabile che l'Eurotower si orienti su acquisti incisivi sì, ma solo fino alla soglia dei 20 miliardi alla settimana. Su questo, si considera ancora escluso che un annuncio possa arrivare già nel prossimo vertice della Bce dell'8 dicembre. Per allora la banca centrale si concentrerà nel montare una enorme camera a ossigeno per le banche europee. L'infrastruttura si fonderà su due pilastri: un'asta illimitata di liquidità a tre anni, più la scelta di accettare in garanzia per i prestiti agli istituti anche titoli di scarsa qualità. Così l'Eurotower intende sostituirsi al mercato paralizzato da una glaciazione forse peggiore che ai tempi del crac di Lehman. La liquidità illimitata a tre anni, punta infatti a permettere alle banche di rimborsare i debiti in scadenza e intanto di continuare a concedere crediti alle famiglie o alle imprese anche sulle scadenze medio-lunghe. Oggi la sfiducia è tale che molte banche trovano fondi sul mercato solo a scadenza di un giorno, non oltre. Ma hanno esposizione sulle imprese o sui mutui a venti o a trent'anni: possono recuperare i loro soldi solo in un futuro distante, ma devono rimborsare i debiti ogni giorno. «È come guidare in autostrada con un joystick al posto del volante», osserva un banchiere. Il rischio di un incidente è elevatissimo.
Sarebbe un disastro a catena: solo nel primo trimestre del 2012 il settore del credito in Europa ha bisogno di fondi per 280 miliardi di euro per evitare un'insolvenza, poi di 800 miliardi su tutto l'anno. Di qui anche l'idea della Bce di accettare dalle banche titoli di dubbia qualità in garanzia per i suoi prestiti. Per molte banche, può rivelarsi una pozione salva-vita. Soprattutto gli istituti di media o piccola taglia hanno infatti già esaurito la carta «solida» da portare in Eurotower in cambio di fondi freschi e, senza questa svolta, non potrebbero più alimentarsi alla banca centrale. Per l'istituto di Draghi è un rischio, ma non c'è scelta. A quel punto la mappa di dicembre prevede il vertice europeo del 9. Monti allora spiegherà le misure dell'Italia e, sperabilmente, convincerà. Angela Merkel - sostenuta da Nicolas Sarkozy perché il leader francese non ha altra scelta - cercherà di far passare le proprie: la Germania punta al massimo dei vincoli nella sorveglianza di bilancio dei Paesi dell'euro. Contro il potere di veto europeo sulle decisioni di bilancio nazionali si è già alzato un fuoco di sbarramento e per ora Merkel è arretrata. Ma altre proposte di pari impatto certo seguiranno: dal vincolo di pareggio in costituzione alle sanzioni rafforzate. A quel punto tutto sarebbe pronto, nella settimana che inizia il 12 dicembre, perché la Bce incrementi la sua azione di sostegno ai titoli di Stato. Non è certo troppo presto: l'Italia deve rifinanziare circa 150 miliardi nel primo trimestre del 2012, l'area-euro in totale circa 400. Il mercato è oggi quasi del tutto chiuso, eppure le banche e gli Stati d'Europa hanno bisogno di circa 700 miliardi nei prossimi tre mesi e mezzo solo per non collassare. Non è una battaglia disperata, ma è da combattere e chiudere in fretta. Presto il mercato capirà che la crescita italiana l'anno prossimo può toccare un meno 3%. A quel punto sarà chiaro che il buco di bilancio che separa dal pareggio nel 2013 sarà più largo. E il debito rischia di non scendere (o di salire) in rapporto a un'economia che arretra. Una definitiva perdita di fiducia degli investitori diventerebbe tutt'altro che impossibile. Per questo la mappa dei prossimi dieci o venti giorni è quella vitale per mettersi in salvo: in caso contrario, ciò che verrà dopo sarà solo un lungo cammino incatenati alle guide dell'Fmi.
Aumenta il tasso di disoccupazione (30 novembre 2011).
Il tasso di disoccupazione a ottobre si attesta all'8,5%, in aumento di 0,1 punti rispetto all'anno precedente. Lo rende noto l'Istat, precisando che si tratta del livello più alto dal maggio del 2010. Il numero dei disoccupati, pari a 2.134 mila, aumenta del 2,5% rispetto a settembre (53 mila unità). Su base annua si registra una crescita dell'1,8% (37 mila unità). L'allargamento dell'area della disoccupazione riguarda esclusivamente gli uomini. Migliora leggermente il dato sulla disoccupazione giovanile (-0,1%) rispetto al mese precedente. Il dato italiano è in linea con quello dell'Eurozona, dove il tasso di disoccupazione a ottobre è salito al 10,3%, segnando un aumento dello 0,1% rispetto a settembre. Il dato è il più alto mai registrato dalla nascita dell'area euro, riguarda 126 mila unità che portano a 16,3 milioni il numero totale dei disoccupati, ed è in linea con le attese degli analisti. Anche nella Ue a 27 si è registrato lo stesso aumento, che ha portato il tasso di disoccupazione al 9,8% dal 9,7% di settembre.
In controtendenza il dato della Germania, dove i senza lavoro sono scesi al 6,9%, al minimo dal 1990. Secondo l'Istat, a ottobre 2011 gli occupati sono 22.913 mila, un livello sostanzialmente invariato rispetto a settembre. Il risultato è sintesi di un calo della componente maschile (-0,5%) e di una crescita di quella femminile (+0,8%). Nel confronto con l'anno precedente l'occupazione aumenta dello 0,2% (53 mila unità). Il tasso di occupazione è pari al 56,9%, stabile nel confronto congiunturale (dovuta alla particolare fase ciclica attraversata dall'economia). e in aumento in termini tendenziali di 0,1 punti percentuali. Anche su base annua la crescita dell'occupazione interessa esclusivamente la componente femminile (+1,2%), mentre l'occupazione maschile diminuisce dello 0,4%, continua l'Istat. Il tasso di occupazione maschile, pari al 67,3%, diminuisce di 0,3 punti percentuali sia rispetto a settembre sia su base annua. Quello femminile, pari al 46,5%, registra un aumento di 0,4 punti percentuali sia in termini congiunturali sia tendenziali. La disoccupazione maschile cresce del 6,5% rispetto al mese precedente e del 4,5% nei dodici mesi; il numero di donne disoccupate diminuisce rispetto a settembre (-1,9%) e su base annua (-1,3%). Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 29,2%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto a settembre - prosegue l'Istat - Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuiscono dello 0,4% (-60 mila unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività si posiziona al 37,8%, con una flessione di 0,1 punti percentuali sia in termini congiunturali sia su base annua.
UE: Ok al piano Monti (30 novembre 2011).
Manovra di contenimento del deficit per assicurare l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013, con un primo intervento correttivo in programma lunedì prossimo, cui seguirà con ogni probabilità una nuova correzione nel corso del 2012. Strategia antideficit che sarà accompagnata da misure per sostenere lo sviluppo. In sostanza, un pacchetto complessivo la cui realizzazione concreta sarà affidata a più strumenti legislativi: decreti e disegni di legge. La road map che il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha illustrato ieri sera all'Eurogruppo nella sua veste di ministro a interim dell'Economia, conferma gli impegni già assunti in sede europea. Le misure - assicura il premier - saranno varate nei tempi previsti, e l'obiettivo è che il decreto correttivo venga approvato in via definitiva dal Parlamento prima della pausa natalizia. Quanto alle conclusioni del rapporto Rehn, per Monti non costituiscono motivo di particolare preoccupazione. In sostanza, si tratta di suggerimenti che non contengono particolari sorprese e verranno comunque presi in «debita considerazione». Al suo arrivo al palazzo del Consiglio, Monti ha incontrato il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Junker. L'apertura di credito al premier italiano è pienamente confermata, nella fondata aspettativa che le misure del Governo, illustrate ieri sera nelle grandi linee dal presidente del Consiglio, siano in linea con gli impegni sottoscritti. Un colloquio di venti minuti che è servito a fare il punto su tutte le ipotesi sul tappeto per far fronte alla crisi dell'Eurozona. Una sorta di istruttoria preliminare, e per quel che riguarda l'Italia l'illustrazione delle linee portanti del doppio intervento che il Governo si accinge a mettere in campo. Nessuna indicazione sull'entità della manovra all'approvazione del Consiglio dei ministri del 5 dicembre. Si parte in ogni caso dagli 11 miliardi necessari per far fronte agli effetti del peggioramento del ciclo per toccare quota 20 miliardi nel totale dell'aggiustamento. Quanto alla possibilità che si possa aprire una discussione in sede europea su possibili "sconti" per effetto dell'ulteriore peggioramento del ciclo (l'Ocse colloca già il nostro paese in recessione), fonti del governo italiano spiegano che le sollecitazioni in tal senso di Monti (a Bruxelles e a Strasburgo la scorsa settimana) vanno inquadrate in un contesto di medio termine. «La questione - si fa osservare - deve riguardare l'insieme dell'Eurozona, e non è immediatamente in agenda».
Argomenti al centro anche del successivo colloquio con il ministro dell'Economia francese, François Baroin. Si parte dalla piena sintonia sulla necessità di rafforzare «la cooperazione» a livello delle tre economie europee più importanti, per concludere che non per questo si possa parlare di un direttorio a tre franco-italo-tedesco. L'ambizione, di cui Monti ha discusso brevemente anche con il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Shaueble, è che si possa «allargare al più presto il consenso» a livello degli altri Stati membri. Discussione a tutto campo sull'Italia, di cui Monti ha brevemente parlato anche con il presidente della Bce, Mario Draghi. L'Italia è al centro delle preoccupazioni europee, ma la sensazione che occorra al più presto spegnere l'incendio va ormai ben al di la del solo caso italiano. Sia a Juncker che a Baroin, Monti ha anticipato i contenuti dell'illustrazione sulla situazione italiana «e dei programmi che intende attuare», oggetto della sua esposizione successiva all'Eurogruppo. Fonti della delegazione italiana sottolineano anche l'aspetto, per così dire, "diplomatico", di cortesia, dei bilaterali, trattandosi pur sempre della prima riunione cui prende parte Monti nella sua doppia veste di premier e di ministro dell'Economia, accompagnato dal vice ministro Vittorio Grilli.
BCE: fare in fretta (1 dicembre 2011)
«L'Eurozona ha bisogno di dare segnali immediati nel breve termine per recuperare la fiducia dei mercati». Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, presentando all'Europarlamento il rapporto annuale 2010 della Banca centrale europea. Secondo Draghi le tensioni sui mercati «si sono ancora intensificate con ricadute molto avverse su fiducia e finanza» e cio ha anche portato un aumento dei «rischi al ribasso per la crescita economica». Secondo il presidente della Bce, i governi dei paesi dell'area euro «devono recuperare la credibilità sui mercati» sia singolarmente sia a livello collettivo. I recenti cambiamenti negli Esecutivi dei paesi della zona euro più colpiti dalla crisi - ha precisato Draghi - «non hanno ancora prodotto molti risultati» per far fronte alla fragilità dei mercati. Draghi ha comunque aggiunto di essere «ottimista» sul ritorno della fiducia e ha anche detto che «non va escluso un cambiamento» dei trattati Ue: «Bisogna lasciarsi aperte tutte le possibilità sul come procedere al riassetto dell'area euro per rispondere alla crisi sui debiti pubblici. Non andrebbero escluse modifiche di lunga portata ai trattati europei, ma sono ipotizzabili anche processi più rapidi». Il presidente della Bce ha detto che serve una «nuova unica compatta struttura di bilancio europea». Oltre a una Bce indipendente, spiega Draghi, «una struttura unica europea potrebbe custodire l'essenza delle regole di bilancio e degli impegni di governo presi finora. Si tratta di un elemento molto importante per recuperare credibilità». L'Eurozona ha insomma bisogno «di un nuovo patto di bilancio» che la porti verso l'unione fiscale. Tale nuovo patto di bilancio, ha aggiunto, «sarebbe il segnale più importante» che i governi possono dare per dimostrare di «essersi avviati verso un complessivo approfondimento dell'integrazione economica». Rispondendo alle domande degli europarlamentari, Draghi ha detto che la Bce è «l'ultimo baluardo dell'euro» e ha sottolineato che la ricostruzione della credibilità nei confronti della valuta unica «si fonda su tre pilastri». Il primo é «ridisegnare le regole fiscali dell'unione»; il secondo é la creazione di meccanismi finanziari (il presidente della Bce ha citato l'esempio del fondo salva stati e la «necessità di creare fiducia nel fondo europeo per la stabilità finanziaria»); il terzo pilastro sono «le risposte nazionali»: a questo proposito «i paesi più in difficoltà si stanno rimettendo in marcia ma in questa fase ciò che più conta sono i risultati». Draghi ha anche ricordato che la Bce «ha perseguito e persegue il mantenimento della stabilità dei prezzi nel medio termine» sia attraverso la politica dei tassi di interesse sia attraverso l'esecuzione di misure non convenzionali nel corso della crisi. Le misure non standard sono state «importanti, ma tali interventi possono essere solo limitati». Il programma della Bce per l'acquisto di bond di paesi della zona euro in difficoltà sarà, insomma, «limitato» nel tempo. Il numero uno dell'Eurotower non ha invece fornito alcuna nuova indicazione sulle scelte prossime di politica monetaria limitandosi a indicare che la Bce «è consapevole delle difficoltà continue delle banche a causa dello stress dei bond sovrani, della ristrettezza dei mercati di finanziamento e della scarsità dei collaterali eleggibili in alcuni segmenti finanziari». Inoltre Draghi si é riferito ai problemi di gestione dei bilanci bancari, alle "sfide" dovute all'aumento dei livelli del capitale e ai «rischi ciclici relativi al rallentamento dell'economia».
Passera: "Rischio recessione"(1 dicembre 2011).
«Siamo in un momento molto difficile, stiamo sicuramente rischiando di rientrare in recessione». L'allarme è arrivato dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, intervenendo alla tappa romana degli Stati generali di Confcommercio. «Questo è quello che ci sta succedendo - ha proseguito il ministro - e dobbiamo fare di tutto per recuperare il più velocemente il segno positivo». Mentre ieri, in un incontro tra il ministro Passera, imprese, banche, assicurazioni e cooperative, era emersa l'ipotesi di pagare la montagna di debiti arretrati della pubblica amministrazione nei confronti delle piccole e medie imprese - circa 90 miliardi - con titoli di Stato. «Li ho solo ascoltati: sono nella fase di ascolto», ha replicato oggi il titolare dello Sviluppo economico. Dal palco di Confcommercio, Passera ha sottolineato come il Governo sia al lavoro «per affrontare l'emergenza numero uno che è quella del disagio occupazionale». Si tratta, ha detto il ministro, della «priorità assoluta» del Paese. Il disagio, ha spiegato, è infatti «molto più alto di quanto mostrino le statistiche» e coinvolge «una quota rilevantissima della società italiana». Pur non entrando nello specifico delle azioni che il Governo sta studiando per affrontare la crisi, Passera ha anticipato qualcosa in termini di metodo che «metterà insieme provvedimenti che sappiano suddividere sacrifici e benefici», per ricreare «quel carburante che oggi ci manca e che si chiama fiducia, ed é presente nelle vostre imprese». Alla sua prima uscita pubblica agli Stati generali di Confcommercio ha tenuto a sottolineare pure come sia stato impossibile dire di no all'incarico di ministro e si è detto contento di averlo fatto. «Questa è una prima uscita e mi fa particolarmente piacere che sia qua - ha detto Passera ricevendo più volte un caloroso applauso dalla platea - è una prima uscita non solo di nuovo mestiere ma di responsabilità di vita. Dieci giorni fa mi è sembrato impossibile dire no al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio designato con lo spirito che ci stavano mettendo. Mi chiedevano di lasciare tutto e fare questo nuovo mestiere. Ho detto sì e sono contento di averlo fatto».
Bank of England: il clima economico è minaccioso (1 dicembre 2011).
Mervyn King non lascia spazio all'ottimismo: il governatore della Banca d'Inghilterra ha avvertito oggi che, anche se l'intervento concertato di sei banche centrali sembra avere temporaneamente placato i mercati, «i Governi devono ancora affrontare le cause scatenanti» della crisi e alla fine «non possono essere le autorità nazionali a risolvere questi problemi più vasti». Il clima economico attuale è «eccezionalmente minaccioso», ha detto presentando le opinioni della Financial Policy Committee che presiede. In questo quadro, il consiglio del governatore alle banche britanniche è molto chiaro: devono prepararsi al più presto all'eventualità di un crollo dell'eurozona e già nei prossimi mesi devono aumentare le riserve di capitale per rafforzare i baluardi contro l'indebolimento dell'economia e gli effetti della crisi. Le banche devono anche rassegnarsi a tagliare dividendi e bonus per potenziare le riserve e devono prendere in considerazione l'ipotesi di nuove emissioni azionarie. Il nuovo regime di austerità e tagli non deve però impedire alle banche di erogare crediti alle imprese, ha avvertito King, perché è essenziale che diano il loro contributo al rilancio dell'economia reale. King ha sottolineato che le banche britanniche sono tra le più forti al mondo come riserve di capitale, dato che i loro Tier 1 quest'anno sono al di sopra del 12%, a un livello più alto quindi di prima della crisi finanziaria del 2008. Inviando un chiaro segnale che la trasparenza conta piú della fiducia, il governatore ha però detto che tutte le banche saranno tenute a rendere noti i loro livelli di indebitamento a partire dall'inizio del 2013, due anni prima della scadenza imposta dalle regole di Basilea III. «La mancanza di trasparenza ha aumentato i dubbi sulla solidità delle banche», ha detto King, facendo l'esempio del fallimento della banca belga Dexia in ottobre, crollata nonostante avesse buone riserve di capitale. Il governatore è presidente della Financial Policy Committee, che attualmente ha un ruolo consultivo ma a partire dal 2013 diventerà il ‘guardiano' dei mercati finanziari sostituendo la screditata Financial Services Authority.
Dollari a basso costo per le banche europee (1 dicembre 2011).
Le sei più importanti banche centrali, guidate dalla Bce e dalla Federal Reserve, hanno lanciato ieri un'azione congiunta per fornire liquidità in dollari a basso costo alle banche europee, che stanno incontrando enormi difficoltà ad approvvigionarsi in valuta. La decisione è un indice della crescente preoccupazione delle banche centrali per il malfunzionamento dei mercati e per i problemi del sistema bancario europeo, ma è anche un segnale ai mercati che sono pronte ad agire insieme. Le misure non possono peraltro risolvere i problemi di fondo della crisi del debito sovrano in Europa. «Lo scopo di queste azioni è di allentare le tensioni sui mercati finanziari e quindi mitigare gli effetti di queste tensioni sull'offerta di credito alle famiglie e alle imprese e sostenere così l'attività economica». In altre parole, cercare di attenuare una stretta creditizia già in atto. Le misure principali sono due: 1) la riduzione di 50 punti base del costo degli swap in dollari fra la Fed e le altre banche centrali (il nuovo tasso sarà pari al tasso Ois overnight più 50 punti base) a partire da lunedì prossimo. Gli swap, che erano stati creati allo scoppio della crisi finanziaria globale, vengono prorogati fino al febbraio 2013. La Bce ridurrà anche il margine iniziale delle sue operazioni in dollari a 3 mesi dal 20 al 12%. 2) Vengono creati swap bilaterali nelle altre valute delle banche centrali coinvolte. Al momento, dice il comunicato, ci sono necessità solo di offrire liquidità in dollari, ma, secondo fonti monetarie, le banche europee stanno incontrando difficoltà a reperire liquidità in valuta estera in genere. Abbassandone il costo, le banche centrali contano che le banche utilizzino maggiormente la liquidità in dollari messa a disposizione, che ha avuto periodi in cui non è stata sfruttata, anche se l'uso è aumentato di recente. L'altro fattore che disincentiva le banche è il timore di mostrare la propria debolezza, anche se i nomi degli istituti fruitori non vengono resi pubblici. La chiusura dei mercati di raccolta, soprattutto in dollari, per le banche europee è dovuta alla riluttanza delle banche americane a prestare alle controparti europee dopo lo scoppio della crisi del debito sovrano nell'eurozona e alla riduzione dell'esposizione verso le banche europee da parte dei fondi del mercato monetario Usa, altra fonte tradizionale di liquidità per gli istituti del Vecchio continente. Vengono meno quindi alle banche europee le risorse per far fronte al proprio attivo in dollari, che in qualche caso è molto consistente. L'intervento delle banche centrali dovrebbe ovviare a questo problema. Più in generale, le banche stanno incontrando problemi di raccolta sottolineati anche dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Il mercato interbancario è quasi congelato (lo spread Euribor/Ois ha toccato ieri 99 punti base, il livello più alto dal marzo 2009, un'indicazione della riluttanza delle banche a prestare le une alle altre), i depositi di diverse grandi imprese hanno abbandonato il sistema bancario per rivolgersi, tra l'altro, alla Bce, l'emissione di bond è diventata estremamente problematica, tanto che i Governi dovrebbero dare attuazione alle garanzie per le obbligazioni bancarie decise alla riunione dell'Ecofin di ottobre. Per questo, i mercati prevedono che entro la prossima riunione di consiglio, l'8 dicembre, la Bce annunci finanziamenti più lunghi al sistema bancario (2 o anche 3 anni contro un massimo attuale di 13 mesi) e l'ampliamento del collaterale consegnabile (con la possibile estensione a strumenti in valuta). L'altra misura attesa dalla prossima riunione della Bce è un taglio dei tassi d'interesse di almeno 25 punti base. Il balzo della disoccupazione nell'eurozona a livelli record (16,6 milioni di persone) conferma che l'economia è in recessione e si prevede che l'inflazione, ferma al 3% a novembre per il terzo mese consecutivo, stia comunque per iniziare a scendere verso il 2%, come indicato dalla Bce.
Sarkozy e la crisi (1 dicembre 2011).
«Serve una maggiore disciplina su tutti i paesi dell'Eurozona devono seguire la regola d'oro del pareggio di bilancio». Il presidente francese Nicolas Sarkozy, nel discorso sulla crisi dell'Eurozona a Tolone, ribatte il tasto della riforma dei trattati europei. «Noi e la Germania saremo fianco a fianco per una loro riforma». Sull'Eurotower il presidente Sarkozy non si sbilancia più di tanto. «La Bce è indipendente e se lo sarà prenderà le decisioni giuste» dice il presidente francese. «L'Europa rischia di essere spazzata via dalla crisi se non riuscirà a riprendersi». L'attuale situazione «è estrema». Il presidente francese ha annunciato che lunedì riceverà a Parigi la cancelliera Angela Merkel e che insieme faranno «delle proposte franco-tedesche per garantire l'avvenire dell'Europa». Sarkozy ha detto che, nell'ambito dell'Eurozona, è necessario che si prendano «senza indugi decisioni a maggioranza qualificata». «L'ingrazione europea passerà attraverso (decisioni) intergovernative perché l'Europa deve fare delle scelte strategiche, delle scelte politiche», ha aggiunto il capo dello Stato. È iniziato un nuovo ciclo economico di riduzione del debito che dovrà coinvolgere tutte le economie sviluppate. «Questo nuovo ciclo - ha detto - è differente dal precedente. Il prossimo ciclo sarà un ciclo di riduzione del debito che sarà accompagnato da un aggiustamento nel quale dovranno essere prese in esame tutte le politiche economiche dei paesi sviluppati».
«Sono convinto che per mantenere la fiducia ed evitare la paura, bisogna dire la veritá ai francesi» e cioè che «la crisi è seria, che è destinata a durare, e toccherá la crescita, la disoccupazione e il potere d'acquisto» ha detto Sarkozy. Nel suo discorso a Tolone ha sottolineato come «i nostri sforzi per aumentare la produttivitá sono stati notevoli» eppure «per i francesi è sempre più difficile proiettarsi nel futuro». «Per uscire dalla crisi bisogna lavorare di più, non di meno», ha continuato il capo dell'Eliseo, criticando esplicitamente uno dei cavalli di battaglia dei governi socialisti francesi degli anni '90. «Oggi si può dire che la pensione a 60 anni e la legge sulle 35 ore settimanale sono stati degli errori gravi» ha detto.
Le accuse di Sarkozy sono anche contro le politiche liberiste che «hanno messo l'economia al servizio quasi esclusivo della speculazione e dell'ossessione del breve termine». Sarkozy ha parlato di «un ciclo di riduzione del debito che sará differente da quelli che lo hanno preceduto e sará accompagnato da un aggiustamento delle politiche economiche dei paesi sviluppati». Ma, ha aggiunto, «la crisi ha spinto ad accelerare il ritmo delle riforme, non a fermarle o a rallentarle». Ricordando gli interventi compiuti dallo scoppio della crisi Sarkozy ha comunque sottolineato che «non sono gli azionisti delle banche a essere stati protetti, ma lo sono stati i risparmi dei francesi e i loro posti di lavoro. Non una sola banca ha chiuso i battenti, non un centesimo di depositi è andato perduto». «Dobbiamo continuare a investire, perchè la chiave del nostro futuro è nella produttività e nella competitività. La Francia ha qualità eccezionali per affrontare tutte le concorrenze e tutte le sfide». La tv francese iTele, all'inizio della trasmissione in diretta del discorso del presidente da Tolone, ha detto che un vertice franco-tedesco si svolgerà lunedì prossimo a Parigi. Per il capo dell'Eliseo, a cinque mesi dalle presidenziali del 2012, l'obiettivo è riconciliare la Francia del «sì e la Francia del no», spingendo per un'Europa integrata, anche se basata sul metodo intergovernativo. Domani, anche la cancelliera tedesca Angela Merkel si esprimerà dal Bundestag su crisi ed Europa. Viste le attuali difficoltà del tandem franco-tedesco a parlare con una voce sola, secondo molti osservatori, è probabile che dai due discorsi emergerà la distanza che separa attualmente Parigi e Berlino. «Ci sarà un contributo francese e un contributo tedesco, poi ci sarà una posizione comune al summit dell'8 e 9 dicembre. Non prima», ha riconosciuto ieri a Bruxelles, il ministro francese delle Finanze, François Baroin, lasciando intendere che l'accordo franco-tedesco non è ancora a portata di mano.
Merkel e la crisi (2 dicembre 2011).
«Non ci limitiamo a parlare di Unione fiscale, ma cominciamo a crearla», ottimista Angela Merkel davanti al Bundestag, la Camera bassa tedesca. Però «bisogna cambiare i trattati» e per ora il presidente francese Nicolas Sarkozy e il cancelliere sono concordi soprattutto su un punto: l'Europa rischia di essere spazzata via (Sarkozy ieri a Tolone), siamo seduti su una polveriera (Merkel, nel risvolto più pessimista del suo discorso, oggi al Bundestag). Per conoscere le ricette franco-tedesche per uscire dalla crisi bisognerà comunque aspettare almeno fino a lunedì prossimo, quando i due leader s'incontreranno per preparare il summit europeo dell'8 e del 9 dicembre. «Dobbiamo apprendere delle lezioni da questa crisi - dice Merkel - sarà necessario monitorare di più le regole e sanzionare chi non le rispetta». Infatti ieri Sarkozy ha aperto all'idea, cara ai tedeschi, che esista qualche forma di sanzione automatica nei confronti dei paesi membri che non rispettano una rigorosa politica di bilancio, ma il presidente francese non ha lasciato intendere molto di più. Oggi comunque ha raccolto i complimenti di Merkel: «Ha fatto un discorso molto importante, lunedì ci incontreremo per parlare ancora». Questa mattina al Bundestag la cancelliera tedesca ha risposto con un discorso altrettanto generico nel merito, ma che inizia a rassicurare i mercati nel metodo: sembra appunto che la prossima settimana, almeno nelle intenzioni dei leader europei, sarà quella decisiva per le sorti dell'euro. Oggi intanto arriva a Parigi il primo ministro britannico David Cameron, i negoziati quindi sembrano serrati. Merkel ha ribadito che la Banca centrale europea ha natura e funzioni differenti rispetto agli altri analoghi istituti, ma ha anche aggiunto - e la sottolineatura è di rilievo, visto che è fatta in tedesco - che «il lavoro della Bce è assicurare la stabilità finanziaria ed è ciò che sta facendo in questo momento». Non solo, dunque, controllo dell'inflazione, tema fondamentale per la Germania, ma anche qualcosa di più, di molto di più: la garanzia della stabilità finanziaria. Non siamo ancora allo «stampiamo moneta» (della Federal reserve), ma a trattati ancora invariati è notevole che sia un cancelliere tedesco a dire di fronte al Bundestag che la Bce deve essere libera di muoversi «in ogni direzione», in piena autonomia e indipendenza rispetto ai governi nazionali. Sugli Eurobond, però, ancora nessun apertura: «Non sono un contributo alla soluzione della crisi». Per il superamento del problema dei debiti sovrani, poi, in alcuni casi ci vorranno anni. Certo, è soprattutto la politica che deve riconquistare la fiducia e la credibilità perse. E su questo, di nuovo, tornano le assonanze con quanto pensa e dice Sarkozy (oltre al presidente della Bce, Mario Draghi, ieri al Parlamento europeo). Perché «il futuro dell'euro è collegato a quello dell'Unione europea» e la moneta unica - spiega Merkel ai parlamentari tedeschi - è più forte «del marco». Di fronte al Bundestag Merkel ha anche voluto riconoscere che «l'Italia sta affrontando cambiamenti molto importanti, è una forza economica che si sta prendendo le responsabilità». «L'Italia ha davanti a sé un'enorme sfida - ha detto Merkel - è responsabile per il proprio futuro e per il futuro dell'Europa».
Monti e la manovra (5 dicembre 2011).
«Noi abbiamo fatto ieri la nostra parte», ha detto il premier Mario Monti nel corso di una conferenza stampa nella sede romana della Stampa estera, a proposito del modo in cui l'italia si presenterà nei prossimi giorni alle discussioni a livello europeo. «Abbiamo la stretta necessità di salvare l'Italia», ha detto. Il Paese «deve al più presto risolvere alcuni gravi problemi che la rendono in certi momenti partner poco credibile se non addirittura fonte di infezione» nell'ambito dell'eurozona. Ha ricordato come «consolidamento dei conti pubblici, sviluppo e crescita, equità sociale» sono le tre linee guida del decreto anti-crisi «al vaglio del capo dello stato per il riconoscimento dei requisiti di necessitá e urgenza». Ha detto di confidare sul sostegno del Parlamento, ricordando che l'esecutivo è sostenuto da forze politiche che «fino all'altro ieri non si parlavano e si combattevano». Quella iniziata, ha sottolineato Monti, «è una settimana cruciale» nella quale «ci deve essere un concorso di volontà e decisione da parte italiana» per rimuovere quella parte di problemi dell'Eurozona di cui potrebbe essere fonte. «Nella gestione dei rapporti con il governo italiano, possono esserci stati alti e bassi», ma Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno avuto «per l'Italia sempre grande considerazione e rispetto». Ha sottolineato, parlando dell'impegno del governo per rafforzare l'Eurozona e deii rapporti con il resto dell'Unione fuori dalla moneta unica, come il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sia «un grande europeista e ispiratore di molti in materia di visione del processo di integrazione europeo. Subito tagli alla politica. Crescita di due punti percentuali l'Iva del 10% e del 21%, ma dal secondo semestre 2012. Mentre da gennaio 2012 arriva un super-prelievo su auto di lusso, aerei ed elicotteri privati. Saranno sottoposte a tassazione anche le imbarcazioni. Aumentano nuovamente le accise sulla benzina. Per le pensioni poi arriva una vera e propria stretta. Mentre il blocco della rivalutazione rispetto all'inflazione per le pensioni di importo superiore al minimo (467 euro) varrà per il 2012 e il 2013. Nessun intervento invece è stato preso in tema di mercato del lavoro e ammortizzatori. Se ne parlerà nelle prossime settimane, ha detto in conferenza stampa al termine del Cdm, il premier Mario Monti. Che ha aggiunto: la posizione dell'Italia è ora «più favorevole alla tassazione sulle transazioni finanziarie».
La manovra approvata ieri dal governo si è resa necessaria per «trasformare in atti concreti» alcuni interventi delle precedenti manovre e per tenere conto del «peggioramernto della congiuntura». Monti ha confermato il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013, «abbiamo preso tutte le misure per andare in quella direzione con certezza di intervento». Il decreto, inoltren segna «l'inizio di riforme struttuali lungamente discusse e mai attuate ad esempio quella del sistema pensionistico». Riforme per la crescita, perché «da 10-15 anni l'Italia cresce la metà della zona euro. Vanno in questa direzione le misure sul costo del lavoro per ridurre il cuneo fiscale, quelle per favorire la concorrenza con l'aumento dei poteri delle Autorità di settore".
Senza la manovra l'Italia crolla
La manovra può aggravare la recessione? «Capisco la preoccupazione», ha detto Monti, ma «dobbiamo pensare a che cosa può essere l'Italia in mancanza di questo pacchetto», aggiunge però il Professore. «La nostra manovra è molto diverso da altre di quest'anno», dice ancora Mario Monti. «Senza questo pacchetto l'Italia crolla, va in una situazione simile a quello della Grecia, paese per il quale abbiamo grande simpatia ma che non vogliamo imitare», conclude il premier. Le misure contenute dalla manovra «se faranno scendere i tassi di interesse e gli spread, questo creerá più sollievo di quanto i singoli provvedimenti potrebbero avere di effetto recessivo».
Abbonamento Rai: le imprese e le società hanno l'obbligo di indicare, nella dichiarazione dei redditi, il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione «ai fini dell'applicazione della tariffa di abbonamento radiotelevisivo speciale, nonchè gli altri elementi che saranno eventualmente indicati nel provvedimento di approvazione del modello per la dichiarazione dei redditi, ai fini della verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale».
Authority: scure della manovra sulle autorità indipendenti. Dalla Consob all'Antitrust è previsto infatti un calo del numero dei componenti, da 50 a 28, compresi i dipendenti.
Auto di lusso, aerei, elicotteri, arriva il super prelievo: in arrivo un super-prelievo su auto di lusso, aerei ed elicotteri e saranno sottoposte a tassazione anche le imbarcazioni.
Benzina, nuovo aumento: scatta un nuovo aumento delle accise sulla benzina da gennaio 2012. L'incremento delle accise produrrà un gettito di oltre un miliardo di euro.
Casa, arriva l'Imu: arriva nel 2012 l'imposta municipale e riguarda anche «l'abitazione principale e le pertinenze della stessa». Lo prevede la bozza della manovra: l'aliquota ordinaria è dello 0,76%, mentre per l'abitazione principale è ridotta allo 0,4%.
Contante, scende il limite: viene fissata a mille euro la soglia sopra la quale non si potranno effettuare i pagamenti in contanti. La norma serve a favorire la tracciabilità dei pagamenti per la lotta all'evasione e sarà accompagnata anche dall'introduzione di un regime tributario premiale per chi invia tutti i propri dati all'agenzia delle Entrate attraverso canali telematici. Le imprese che rispetteranno queste regole, aprendo di fatto alla trasparenza i propri conti, potranno applicare gli attuali «regimi speciali» e godrebbero anche di qualche agevolazione negli accertamenti attraverso gli studi di settore.
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La risposta dei mercati (6 dicembre 2011)
I mercati promuovono la manovra "salva Italia" varata dal governo italiano. Spread e rendimenti sui titoli italiani sono in deciso calo e Piazza Affari guida i rialzi in Europa. In questo clima di notizie positive si aggiungono le dichiarazioni del presidente della Francia, Nicolas Sarkozy, che ha annunciato il raggiungimento di un «accordo completo» tra Francia e Germania in vista del vertice Ue di venerdì.
Gli indici Ftse Mib e Ftse It All Share guadagnano oltre il 3% a metà seduta grazie allo sprint dei titoli bancari. Il miglior titolo è Banca Mps che guadagna oltre il 12 per cento. Balzo anche per Finmeccanica, penalizzata nelle scorse settimane dai conti e dalle inchieste giudiziarie che hanno portato al cambio ai vertici. Brillanti anche Banco Popolare, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Segnano rialzi sostenuti anche se minori le piazze di Parigi, Francoforte, Londra e Madrid. Segno più anche per Wall Street con gli indici che, nei primi scambi, segnano rialzi vicino al punto percentuale. Spread in caduta libera
In caduta libera anche il differenziale di rendimento tra il BTp a 10 anni con il corrispondente Bund tedesco. Il differenziale scende sotto quota 380 punti, a 379 punti, minimo di giornata. In calo il rendimento sulla scadenza decennale che scende sotto la soglia del 6 per cento.
Attesa per l'Eurogruppo
Oltre che alle misure di austerity del governo italiano, i mercati attendono sviluppi dalle misure che verranno adottate all'Eurogruppo in programma giovedì e venerdì di questa settimana. Oggi ci sarà un bilaterale tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy con al centro la sopravvivenza della moneta unica. La scorsa settimana i due hanno annunciato l'intenzione di voler modificare i trattati dell'Unione europea. L'obiettivo della Germania è quello di realizzare un'unione fiscale aumentando i poteri di supervisione (e sanzione) della Ue in materia di bilanci pubblici. In cambio la cancelliera si è detta disposta ad accettare un ruolo più attivo da parte della Bce, come chiesto pressantemente dalla Francia.
I nuovi trattati (9 dicembre 2011)
In un primo momento, il tentativo fallito di mettere d'accordo tutti e ventisette i componenti dell'Unione europea su una riforma dei Trattati, sembrava aver creato tre gruppi di Paesi: i ventitré disponibili al "sì" nei confronti del pacchetto di misure rigoriste che dovrebbero confluire in un accordo intergovernativo (i diciassette Paesi aderenti all'Eurozona più sei "volenterosi", e cioè Danimarca, Bulgaria, Romania, Lettonia, Polonia e Lituania); i due Stati in stand-by, in attesa di consultare i rispettivi Parlamenti nazionali (Svezia e Repubblica Ceca); i due rocciosi partigiani del "no" (Regno Unito e Ungheria). Poi Budapest ha corretto questa mappa e si è affrettata a sganciarsi da Londra, lasciando in perfetta solitudine il premier britannico David Cameron, ben deciso a non cedere e a far prevalere il rampante euroscetticismo isolano di cui sono intrisi il Regno Unito e, soprattuttto, il suo Partito conservatore. L'Ungheria si è affrettata a precisare che la sua posizione prudente e attendista non la deve far collocare a fianco dell'Inghilterra, ma più precisamente nel gruppo composto da Repubblica Ceca e Svezia. Infatti il premier magiaro Viktor Orbán sostiene di non poter prendere in proprio decisioni che possano condurre a una rifilatura della sovranità nazionale senza aver prima sottoposto i termini dell'eventuale accordo europeo al Parlamento ungherese. Al di là della formalità, il repentino ammorbidimento della posizione magiara sembra rispecchiare un momento di indecisione del primo ministro. Orbán, pur avendo coltivato in tutta la sua vita politica il profilo dell'"uomo forte", ha probabilmente avuto qualche dubbio nel collocare con fermezza il suo Paese – che ha soltanto dieci milioni di abitanti, ha un'economia piccola (la diciottesima per grandezza nel contesto dell'Ue) e ha recentemente chiesto assistenza finanziaria al Fondo monetario internazionale – in una posizione ultraminoritaria condivisa soltanto da Londra. Infatti il ricorso al parere del Parlamento nazionale annunciato dall'Ungheria, al di là dell'aspetto puramente formale, non può essere particolarmente vincolante per Orbán, il cui partito conservatore Fidesz ha più di due terzi dei seggi. In ogni caso il ministro ungherese per gli Affari europei, Enikö Györi, questa mattina, dopo aver detto che sulla posizione del suo Paese si era verificato un completo misunderstanding, ha ulteriormente zuccherato l'atteggiamento di Budapest nei confronti del pacchetto su cui si sono accordati i ventitré. «Siamo favorevoli a regole più rigide che facciano cessare le turbolenze sui mercati che colpiscono anche la nostra economia», ha detto Györi, e ha aggiunto: «Noi abbiamo l'obbligo di aderire all'euro, vogliamo aderire, ma purtroppo le nostre condizioni economiche al momento non ce lo consentono» .I retroscena del nuovo patto Europeo Certamente quello raggiunto è comunque un compromesso di massima che troverà piena attuazione nel corso dei prossimi mesi, ma è sicuramente un risultato importante per Francia e Germani che alla fine sono riuscite a trascinarsi quasi tutti gli altri Stati. Infatti, dopo l’evidente impasse iniziale e i duri scontri all’interno del Consiglio, si era deciso di proseguire ugualmente con un patto interno tra i 17 Paesi dell’Eurozona più chiunque altro avesse voluto aderire. Dunque il gruppo primario del nuovo patto è stato costituito da 23 Nazioni a cui dopo diverse ore di trattative si è aggiunta anche l’Ungheria e l’assenso condizionato di Svezia e Repubblica Ceca, che non avevano il mandato parlamentare per poter prendere immediatamente una decisione.
Moody's ha confermato che rivedrà i rating dei Paesi dell'Eurozona e dell'Unione europea nel primo trimestre 2012. Secondo l'importante agenzia di rating, infatti, il vertice dell'8 e del 9 dicembre si è concluso senza «misure decisive». .Invece - sostiene Moody's - sono necessarie proprio misure urgenti e decisive, ma «l'assenza di misure per stabilizzare i mercati nel breve termine significa, per la zona euro e l'Ue più in generale, restare soggetti a nuovi shock e che la coesione della zona euro rimane sotto una minaccia costante».
FIAT: accordo unico (14 dicembre 2011).
Una riga di penna su vecchie voci, come quella sorta di quattordicesima di 480 euro, presente nella maggioranza degli stabilimenti e spalmata sulla paga base, e antichi usi, come la contrattazione degli straordinari oltre le 40 ore. Molte novità, in parte ereditate dal modello Pomigliano come il tema degli straordinari, in parte dal modello Mirafiori, come il tema delle pause e dell'assenteismo. E qualche atto straordinario in una fase difficile per l'auto. Come quel premio una tantum per tutti di 600 euro. O l'aumento dello 0,5% del contributo previdenziale. Il nuovo contratto degli 86.200 lavoratori del gruppo Fiat abbraccia «una sfida», dice l'amministratore delegato Sergio Marchionne. E cioè «il coraggio di cambiare le cose», con «una mentalità innovativa che è l'unica in grado di costruire una base solida per il futuro, per crescere e progredire». Allontanandosi «dai modelli del passato, gli stessi che hanno portato i nostri stabilimenti italiani ad allontanarsi negli anni dagli standard del resto del mondo». Per Marchionne si centra l'obiettivo di creare «un percorso che premi i lavoratori per il successo dell'azienda e garantisca, allo stesso tempo, a Fiat e Fiat Industrial di diventare più competitive». È un accordo separato. Porta infatti la sigla di tutte le organizzazioni, Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Associazione Capi e Quadri Fiat, tranne quella della Fiom che non essendo firmataria, dal primo gennaio non potrá più avere rappresentanza nei singoli stabilimenti. Le rsu verranno infatti sostituite dalla rsa, elette secondo il metodo proporzionale, dalle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto l'intesa. Maurizio Landini, segretario nazionale dei meccanici della Cgil, dice che «il Governo non può stare a guardare» e considera l'accordo come «un peggioramento delle condizioni di lavoro, un'estensione, di fatto, dell'accordo di Pomigliano, un attacco ai diritti, alle libertà e alla democrazia». Il segretario della Cgil Susanna Camusso, esprime la sua critica al testo soprattutto perché «impone e propone la modifica dell'art. 19 dello Statuto dei lavoratori». Dura la reazione della Cisl. Il leader Raffaele Bonanni risponde: «Non ci possono essere norme à la carte. Il problema è essere un sindacato che fa accordi e che rispetta la libertà della maggioranza». Il contratto entrerà in vigore dal primo gennaio e durerà un anno: la scadenza coincide quindi con la quella del contratto dei metalmeccanici. Per i firmatari non può considerarsi l'estensione del modello Pomigliano perché «si tratta di un'intesa ampia che non riguarda solo il settore auto ma anche Fiat industrial. Quindi mette insieme diverse specialità produttive e diversi modelli di organizzazione del lavoro», interpreta il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Al di là del risultato economico e normativo, i rappresentanti dei lavoratori hanno sottolineato di aver respinto «il tentativo di procedere anche con un regolamento proprio, che la Fiat aveva fatto attraverso le disdette», spiega Bruno Vitali (Fim). Dal punto di vista economico l'accordo prevede un premio straordinario di 600 euro per tutti i dipendenti Fiat, compresi quelli in cassa integrazione, da erogarsi nel 2013. L'aumento della paga base mensile con le nuove regole arriverà al 5,2%, mentre la maggiorazione straodinari al sabato passa dal 50 al 60%. Infine in applicazione del modello Wcm, World class manifacturing, negli stabilimenti dove si raggiunge il livello silver ai lavoratori viene riconosciuto un premio di 200 euro in più, che sale a 500 quando lo stabilimento raggiunge il livello gold. Dal punto di vista normativo a caratterizzare questo contratto è la stretta dell'azienda sull'assenteismo. L'obiettivo del tetto massimo del 3,5% di ore perdute sarà raggiunto anche con sanzioni severe. Se a fine anno non sarà centrato, l'azienda potrà sanzionare coloro che non si sono presentati al lavoro per più di tre volte a ridosso delle festività e delle domeniche, fino a tre giorni, coprendo in altre parole l'intera 'carenza', il periodo di malattia a carico dell'azienda. È stato aumentato dello 0,5% il contributo aziendale ai fondi pensione integrativi di operai, impiegati e quadri, mentre è stato aggiunto un sesto scatto di anzianità quadriennale ai cinque biennali già previsti. «Abbiamo aggiunto uno scatto di anzianità che premia tutti i dipendenti, non come avviene in Chrysler: significa che in Italia non c'è differenza tra anziani e giovani», interpreta il segretario generale della Fismic Roberto di Maulo. Le ore di straordinario senza trattativa saranno 120, le pause vengono ridotte da 40 a 30 minuti. A regime in tutti i siti ci saranno 18 turni, 3 al giorno per 6 giorni a settimana. Infine la clausola di responsabilità prevede sanzioni per i sindacati firmatari che non rispettino l'accordo. Adesso la parola passa ai lavoratori. Tra dicembre e febbraio testo al vaglio dei lavoratori. Prima di Natale sarà sottoposto all'approvazione delle Rsu.
Confindustria: trend negarivi (15 dicembre 2011).
Sull'eurozona cade «l'inverno della recessione» che «in Italia è iniziata prima e risulterà più marcata» rileva il centro studi di Confindustria. Che prevede un crollo del Pil di 2 punti percentuali tra la scorsa estate e la prossima primavera. Le stime per il 2012 sono state tagliate dal +0,2% al -1,6%, per il 2011 dal +0,7% al +0,5%. «L'esito più probabile» della crisi è una ripresa «dalla tarda primavera 2012»: il centro studi di Confindustria crede nel «lieto fine» ma avverte che saremo a un bivio «senza mezze misure» con dissolvimento dell'euro, fallimento di imprese e banche, milioni di posti lavoro persi, crisi del debito anche nei Paesi virtuosi. Confindustria giudica «molto probabile che si attenui il reintegro delle persone in Cig, aumentino i licenziamenti, il tasso di disoccupazione salga più velocemente e raggiunga il 9% a fine 2012». Con altre 219 mila persone occupate in meno il biennio 2012-2013 si chiuderà con un calo di 800 mila da avvio crisi a inizio 2008. La pressione fiscale "raggiungerà livelli record: 45,5% del Pil tra due anni, inclusi i tagli alle agevolazioni fiscali che dovranno scattare a partire dall'ultima parte del 2012. La pressione effettiva, che esclude il sommerso dal denominatore, supera abbondantemente il 54%". La manovra - per il CsC - è «un primo passo nella direzione della crescita». Ne servono su «mercato del lavoro,ammortizzatori sociali, infrastrutture, costi della politica,semplificazioni amministrative,giustizia civile, istruzione e formazione, ricerca e innovazione,lotta a evasione accompagnata da abbattimento delle aliquote».
BCE: un piano per rafforzare le banche (15 dicembre 2011)
Ne ha parlato il presidente della Bce, Mario Draghi, a Berlino sostenendo che al momento c'è «una pressione molto forte sulle banche per mancanza di capitali e fondi». Il piano passa per l'aumento di capitale, la vendita degli asset e la riduzione dei prestiti. Draghi invita le autorità competenti ad evitare che il previsto rafforzamento dei requisiti di capitale del settore bancario porti a un credit crunch. «Le banche dell'area euro - ha detto Draghi da Berlino - sono recentemente sotto pressione sia riguardo alla loro base di capitale sia per quanto riguarda la loro capacità di finanziamento». E aggiunge: «Il piano per rafforzare la loro base di capitale è un tentativo di rafforzare la loro permanenza sui mercati finanziari, ma non è un processo semplice». A suo avviso gli azionisti non sono sempre ricettivi riguardo all'aumento del livello di capitale, ma ritiene le altre opzioni peggiori per l'economia. «Vendere attività è meno preferibile e ridurre il credito all'economia è ancora peggio. Le autorità pubbliche - spiega Draghi - devono attenuare l'impatto sull'economia reale e le banche devono considerare una riduzione dei dividendi e compensazioni ad hoc per rafforzare i cuscinetti». Gli acquisti di titoli da parte della Bce non sono «eterni o infiniti», ha poi ribadito il presidente della Bce che ha inoltre definito le agenzie di rating solo «un input addizionale tra altri» e per questo motivo bisogna evitare di agire subito dopo una loro reazione. La strada da intraprendere per uscire dalla crisi - ha aggiunto - è quella di riforme strutturali «procrastinate per troppo tempo dai Paesi europei». L'intensificazione delle tensioni dei mercati sta frenando l'attività economica dell'area euro, ha ribadito il presidente della Banca centrale europea. Le prospettive economiche dell'Unione valutaria restano soggette a «elevata incertezza», ha aggiunto, secondo quanto riporta un trascritto dell'intervento pubblicato dalla Bce, e a rischi che puntano verso il rallentamento. In questo quadro le dinamiche di costi e salari dovrebbero mantenersi moderate. «Non penso che il quantitative easing porti a performance stellari dell'economia e non vedo indicazioni che questa politica stia producendo grandi risultati per le economie degli Stati Uniti o dell'Inghilterra». ha detto Draghi che ha colto l'occasione per ribadire nuovamente come gli attuali trattati dell'Unione Europea vietino il finanziamento monetario dei debiti sovrani. «I governi - ha aggiunto - devono annunciare immediatamente passi chiari nel cammino verso il consolidamento fiscale». Se tutti gli stati consolideranno i loro bilanci, ha concluso, allora «la contrazione sarà di breve durata». Bollettino mensile. La Banca centrale europea nel suo bollettino mensile ribadisce i giudizi positivi sugli accordi di rafforzamento della disciplina di bilancio stretti all'ultimo vertice europeo, dell'8 e 9 dicembre: "rappresentano un passo importante". Ma al tempo stesso, pur ribadendo valutazioni simili anche sul quadro normativo rafforzato in cui sono andate ad incanalarsi, il "six pact", l'istituzione monetaria ripete quanto va dicendo da mesi. In buona sostanza che non basta: perché questa architettura "non consente di compiere il 'salto di qualità' necessario". Nello specifico, spiega la Bce nel riquadro di analisi sulla finanza pubblica inserito nel suo ultimo bollettino mensile "il nuovo quadro di riferimento lascia ancora un ampio margine discrezionale per quanto concerne la conduzione e il rispetto della sorveglianza sulle finanze pubbliche". Ad ogni modo il nuovo meccanismo rafforzato, entrato in vigore a metà dicembre "deve essere pienamente applicato a tutti i paesi dell`area dell`euro per i quali il Consiglio Ecofin eventualmente decida di proseguire nelle procedure per correggere i disavanzi eccessivi", avverte al Bce. Il superamento della crisi dei debiti nell'area euro "dipende in misura determinante dall`adozione di risposte di politica economica adeguate e credibili, che comprendano misure intese a promuovere il risanamento economico e una crescita sostenibile - conclude la Bce -. Ciò richiede adeguati quadri di bilancio nazionali, forti incentivi ad assicurare politiche di bilancio solide nonché una sorveglianza e un meccanismo esecutivo efficaci a livello dell`UE e dell`area dell`euro". «Essenziale che le autorità nazionali di vigilanza assicurino che i piani di ricapitalizzazione delle banche siano attuati senza produrre un'evoluzione sfavorevole per il finanziamento dell'attività economica nell'area dell'euro». È quanto, ancora, sottolinea la Bce nel suo bollettino mensile. «La solidità dei bilanci bancari sarà un fattore chiave per contenere la spirale negativa che si potrebbe innescare a seguito delle tensioni nei mercati finanziari, agevolando un'adeguata offerta di credito all'economia nel corso del tempo - si legge ancora nel bollettino - L'accordo raggiunto il 26 ottobre dal Consiglio europeo di rafforzare la posizione patrimoniale delle banche incrementando al 9% il requisito del patrimonio di base (Tier 1) entro la fine di giugno 2012 dovrebbe migliorare la capacità di tenuta del settore bancario dell'area dell'euro nel medio periodo».
Il parere di Oscar Giannino sulle tasse di Monti (17 dicembre 2011).
L’aliquota maggiorata sugli immobili detenuti all’estero, evidentemnte in spregio all’autarchia restaurata mentre dormivo, l’aumento ulteriore della tassa sui conti correnti: le trovata da supermarket dell’eterna abilità statale a mettere le mani nelle tasche più facili mi rendono sempre più difficile comprendere il governo di emergenza. Nessuna visione di riordino sistemico del prelievo fiscale, per levare peso dai redditi in nome della crescita. Nessuna proposta su ciò da cui occorreva partire, la delega fiscale su deduzioni e detrazioni, per dire chiaro dove tagliare risorse e dove concentrarle. Nessuna dismissione pubblica, né di mattone né di altro. In più, esteso peggioramento delle norme in violazione della libertà del contribuente. E per fortuna a Montecitorio i relatori Pd e Pdl della manovra hanno pensato bene di riscrivere la norma secondo la quale bastava sbagliare a dare una risposta alla Guardia di Finanza o all’Agenzia delle Entrate per commettere automaticamente un reato penale. Se il Parlamento terrà duro resterà reato solo il produrre documenti falsi, non incorrere in mere risposte sbagliate, come il governo si era originariamente vantato indicando nell’imbarbarimento della norma una delle grandi svolte per rendere finalmente più efficace la lotta all’evasione fiscale. Uso il termine imbarbarimento non perché mi scappi la penna. Non m’interessano polemiche politiche. Qui si tratta di difesa della libertà e di filosofia del diritto, non di aride norme tributarie. Come è questione di libertà e difesa del diritto, la ragione che mi ha visto tra i pochi levare la voce sin dalla prima lettura della manovra apprendendo che si disponeva il dovere per banche e intermediari finanziari di comunicare all’amministrazione tributaria non solo i saldi dei conti bancari, di deposito e titoli, ma il dettaglio di qualunque operazione superiore ai 1500 euro, cosa che sommata alla tracciabilità piena oltre i mille euro rende l’amministrazione tributaria finalmente edotta di qualunque nostro atto e decisione. Siamo stati in pochi a reagire, insieme a Piero Ostellino che più volte è tornato sulla questione. In pochi a reagire al luogocomunismo che ormai su tali questioni impera sovrano, battendo le mani al rimedio delle manette agli evasori e all’orwelliana spoliazione di ogni ambito di libertà personale all’occhiuta onnipresenza e onniscienza dello Stato. Su questa norma, le modifiche parlamentari non sono andate oltre l’indicazione che l’attuazione della nuova norma dovrà essere predisposta sentendo l’Abi – visto che alle banche costerà, dunque costerà a noi clienti la perdita della nostra libertà, per doppio paradosso. E il Garante della Privacy, che a questo punto diventa unico eroe al quale chiedere istituzionalmente di alzare lo scudo liberale a tutela della libertà di noi cittadini. Povero il Paese però che chiede al solo professor Pizzetti, mio ex maestro di diritto costituzionale a Torino, di combattere per la libertà Orazio sol contro l’Etruria tutta. C’è una terza norma, nel decreto, ispirata allo stesso presupposto di queste due. E’ l’introduzione di un regime di favore fiscale nei confronti di autonomi e microimprese che scelgano non la contabilità semplificata – il forfait del 20% per microimprese è stato praticamente già abolito o quasi da Tremonti, con la giustificazione che tropi vi avevano fatto ricorso e che lo Stato ci rimetteva troppo – bensì in tutto e per tutto l’affidamento allo Stato. Girate direttamente all’amministrazione tributaria fatture emesse e fatture da pagare su cui scalare l’Iva, ed ecco che lo Stato da oggi si trasformerà nel vostro commercialista e vi farà la sconto. Quando l’ho illustrata in radio, non è mancato chi ha osservato “conveniente, finalmente potrò abolire il costo del commercialista”. Al che ho dovuto amaramente osservare che lo Stato è temibilmente abile, nel sedurre con le sue trappole il cittadino. Prima accumula una legislazione tributaria incomprensibile, farraginosa, e continuamente mutevole per mezzo di norme d’attuazione ballerine e circolari a getto continuo. Dopo di che, avendo lo Stato con la sua opacità impedito al contribuente di assolvere da solo al proprio dovere tributario se non al prezzo di incorrere in violazioni gravi dovute a incomprensioni e dunque a successive sanzioni spoliatrici, ecco che lo Stato se ne inventa un’altra e ti promette un favore se lo eleggi tuo commercialista e amico del cuore. La fregatura c’è tutta, ovviamente. Rinunci non al commercialista, ma al fatto di poter opporre qualunque controdeduzione allo Stato che, tue fatture alla mano, ti calcola esso unilateralmente cifra d’affari, imponibile e imposta. Lo Stato non potrà mai stare dalla tua parte, a quello ci devi pensare tu. Lo Stato affamato ed esoso mira solo al tuo portafoglio. Personalmente, ho grande stima e ammirazione di Attilio Befera e della sua squadra, l’uomo e l’apparato che con grande dedizione e lucidità hanno cambiato dalle fondamenta i connotati organizzativi e strumentali dell’amministrazione tributaria e della gestione della riscossione pubblica, non più appaltata concessionari esterni. Ho pochi dubbi che le tre norme in questione derivino, come sempre o quasi sotto destra e sinistra da parecchi anni a questa parte, esattamente dal vertice dell’Agenzia delle Entrate, e dalla sua collaborazione ed esperienza con Procure e Guardia di Finanza. Befera ha difeso a spada tratta in interviste la nuova svolta antievasione, e in questo gli do volentieri e pienamente ancora una volta atto che fa per intero il suo mestiere. A maggior ragione gliene va dato atto quando dei delinquenti imbecilli si fanno venire in mente di mandare pacchi bomba ad Equitalia, con il validissimo direttore generale Marco Cuccagna che ci rimette un pezzo di mano e per questo merita ogni solidarietà, encomio e riconoscenza civile. Aggiungo naturalmente che apprendere che migliaia di vetture potenti sono intestate a contribuenti sotto i 20 mila euro l’anno di reddito, e idem dicasi per elicotteri ed aerei, non può che far prudere le mani (anche se su questo io ragiono coerente ai miei princìpi, e invece di liste di proscrizione pubbliche spaccaPaese credo che all’amministrazione spetti accertare caso per caso in silenzio, e con tenacia unita al rispetto). Non è ai vertici amministrativi della lotta antievasione che va mossa l’obiezione. E’ ai politici che presentano le norme. Ieri politici di centrodestra, prima di centrosinistra, oggi professori e tecnici. Tutt’e tre le categorie hanno evidentemente abdicato all’elementare difesa liberale del cittadino contribuente insegnataci da secoli di lotta dell’individuo contro le pretese eccessive dello Stato. Non c’è più, la sensibilità di Luigi Einaudi. La si addita e scambia pubblicamente per riprovevole e stomachevole fiancheggiamento dei nefandi evasori. E invece no, non è così. La testa del primo re a cadere per una Rivoluzione contro la sua pretesa di tassare a discrezione fu quella di Carlo I. La Grande Rivoluzione liberale britannica del 1688 pose le basi delle moderne costituzioni, e nacque sulla difesa contro le tasse esose. La Rivoluzione americana vide le Tredici Colonie americane spezzare gloriosamente nel fango le pretese tributarie della Corona Britannica. Capisco che questi precedenti dicano magari poco alla sinistra, convinta dell’organicismo etico statuale e della prevalenza sempre e comunque dello Stato sulla persona, e sulla sua libertà. Ma che siano stati sedicenti liberali, ad avere negli anni recenti alle nostre spalle introdotto nel nostro ordinamento la possibilità che lo Stato entri nei miei conti bancari e congeli subito la sua pretesa unilaterale nei miei confronti, mentre per osare entrare in contenzioso nei suoi confronti a me si chiede di pagare subito un terzo della pretesa tributaria e relativi interessi e aggi, che tale rivoltante ribaltamento di ogni elementare tutela del diritto del cittadino nei confronti del rapace fisco pubblico si debba ai governi Berlusconi, personalmente mi è sempre risultato peggio che incomprensibile. Semplicemente una dichiarazione d’ignoranza. Da sempre premessa e suggello della schiavitù. E tale resta, anche se tutti o quasi le battono le mani. Tratto da Chicago blog. A queste osservazioni di Giannino vorrei aggiungere che il ministro dell'Istruzione ha annunciato un maxi concorso nella scuola pubblica per 300mila persone entro il 2012. Il piacere per i 300mila nuovi insegnanti svanisce in fretta se pensiamo che al Senato è in discussione una manovra che ci regala per i prossimi tre anni, al netto della stangata sull’Iva, 44,1 miliardi di nuove tasse a fronte di soli 18,2 miliardi di tagli, tanto più che solo qualche mese fa la tanto contestata ex ministra Maria Stella Gelmini ha fatto i salti mortali per imbarcare nei nostri istituti scolastici, con l’accordo dei sindacati (tranne, ovviamente, la Cgil) 66mila lavoratori (di cui 30mila insegnanti) prendendoli dalle liste dei precari e senza incidere sui saldi dei conti pubblici. Il problema è che in Italia, malgrado una diminuzione del 5% quest’anno con le assunzioni della Gelmini, lo stock di precari che si è accumulato nei decenni con scelte dissennate del legislatore ammonta ancora a circa 240mila unità (il 12,9% degli insegnanti). E che, come dicono anche i sindacati, riaprire i concorsi senza effettuare un monitoraggio dettagliato dei posti disponibili rischia solo di aumentare ancora di più la schiera degli abilitati senza cattedra. Resta, poi, da verificare l’esigenza di nuovo personale. È vero che su alcune specializzazioni le graduatorie di precari sono praticamente esaurite ed è vero anche che l’Italia è uno dei Paesi che spende meno complessivamente per la scuola, ma il quadro disegnato dal confronto internazionale ci dimostra che i problemi sono altri. Sfogliando l’ultimo rapporto Ocse del settembre scorso (su dati 2008-2009) si scopre, infatti, che in Italia c’è un insegnante ogni 10,7 alunni nella primaria contro una media internazionale di 16, uno ogni 11 nelle secondarie (media Ocse 13,5) e una media generale di 21,5 contro 23. Anche sulla spesa, quella complessiva in rapporto al pil è del 4,8% rispetto alla media Ocse del 5,9% e alla media Ue del 5,5%. Il rapporto si ribalta, però, nella spesa per studente, dove in Italia in media è di 9.149 dollari l’anno per tutto l’arco scolastico rispetto agli 8.831 dell’Ocse e gli 8.702 dell’Europa.
L'articolo 18 (20 dicembre 2011).
«Non ci sono cose che sono terreni inesplorati». Così il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, prima di entrare in commissione al Senato, alla domanda se una riforma del lavoro può essere fatta senza toccare l'articolo 18. Il ministro ha spiegato che «nella mia intervista non era proprio citato l'articolo 18. Le mie parole erano un invito al dialogo. Poi se uno ci legge quello che non era detto, questa non è responsabilità mia».
L'articolo 18 vieta i licenziamenti in mancanza di giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il ministro del Welfare ha detto ai giornalisti che «non c'è nessun appuntamento prima di gennaio» con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro. A margine dei lavori nelle commissioni del Senato sulla manovra, Fornero ha spiegato che il governo «sta studiando la materia». La riforma del mercato del lavoro è necessaria per le famiglie e le nuove generazioni, ha detto il ministro. Riuscirete a fare qualcosa? «Dipende se ce lo lasciano fare come tempi e disponibilità. Da parte mia c'é piena disponibilità ma non ci devono essere preclusioni di nessun tipo». Si tratta, aggiunge, di «questioni che riguardano la società italiana, il mondo del lavoro, le giovani generazioni. Non si vuole precarizzare nessuno più di quanto già lo sia. In linea di massima è vero che bisognerebbe riuscire ad aumentare i salari perché sono bassi, non è una cosa che ci sfugge. Conosciamo questo divario nella distribuzione dei redditi che si è creato negli ultimi anni, ma direi negli ultimi 15-20 anni». Dunque, «sono tutti temi che riguardano le famiglie, le persone, rispetto ai quali la mia sensibilità é totale». Dopodiché «le cose bisogna cambiarle». «Più che i salari, che può darsi siano un pò più bassi (del resto d'Europa, ndr), il problema è il costo del lavoro che è molto più alto». Così il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, ha commentato le dichiarazioni del ministro del lavoro Elsa Fornero sulla necessità di aumentare i salari. Secondo Bombassei, quindi, «bisogna conciliare maggiori salari e minor costo del lavoro». Il parere della politica. Pierluigi Bersani si schiera a netta difesa dell'articolo 18. E' "roba da matti" toccarlo, dice il segretario del Pd, quando il problema è entrare nel mondo del lavoro, non uscirne. Il governo, aggiunge, "lo capirà, lo dovrà capire, altrimenti...". Allarme, quello del leader democratico, che secondo il ministro del Welfare Elsa Fornero è però fuori luogo. "Non ho in mente ora nulla in particolare che riguardi l'articolo 18", spiega a Porta a Porta. E sull'intervista di qualche giorno fa che ha scatrenato le durissime reazioni prima dei sindacati e poi dello stesso Bersani, la Fornero dice: "Sono stata ingenua", ma i "giornalisti sono bravissimi a tendere delle trappole. Oltre che all'esecutivo, il monito di Bersani sembra rivolto però anche al suo partito visto che è anche dall'interno del Pd che continuano a levarsi voci a favore di un intervento sull'articolo 18. Oltre al solito Pietro Ichino, che anche oggi ha ribadito che "non si tratta di togliere diritti a chi un lavoro già ce l'ha, ma di garantire a chi è fuori dal mercato del lavoro, da qui in avanti, un diritto del lavoro capace di coniugare la massima flessibilità per le imprese, con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale"; a sostegno della riforma è intervenuto oggi pure Sergio Chiamparino. "E' ovvio che quando c'è un simbolo politico di mezzo - dice - è sempre difficile avviare una trattativa. A questo punto è meglio concordare di lasciare l'articolo 18 fuori dal tavolo e discutere degli altri provvedimenti su crescita e lavoro. Alla fine ci si renderà conto che l'articolo 18 è meno rilevante di quello che appare". "Però il sindacato - prosegue - non può far finta di vedere chi è senza tutele. Dai lavoratori delle aziende sotto i 15 dipendenti, a chi perde il lavoro in età avanzata, ai precari". Le parole del segretario democratico sono in sintonia invece con quelle dei sindacati, che dopo le scintille dei giorni scorsi con il ministro del Welfare Elsa Fornero, sono tornati oggi a far sentire la loro voce attraverso il leader della Cisl Raffaele Bonanni. "Mi trovo a disagio con situazioni reimportate dal bipolarismo distruttivo - afferma - La Cisl vuole un patto sociale e un cambio di passo, in modo che le questioni, da lavoro a fisco, siano dentro un equilibrio che mandi avanti la società in modo condiviso". "Questo - insiste - credo sia il compito di un governo tecnico, diversamente ripiombiamo nel bipolarismo distruttivo. Noi della Cisl abbiamo visto con molto favore la discontinuità di un governo tecnico per finirla con le polemiche del bipolarismo distruttivo e convergere tutti su soluzioni anche rigorose, ma ben ponderate, condivise ed eque". Apprezzamenti per le parole di Bersani arrivano poi da Idv e Sel. "Finalmente si alza una voce chiara dal Pd: speriamo sia la linea definitiva. La modifica dell'articolo 18 creerebbe un inutile e dannoso conflitto tra lavoratori e impresa quando è invece necessario approntare misure condivise per la crescita", sostiene il responsabile Lavoro e welfare dell'Italia dei Valori, Maurizio Zipponi. Nichi Vendola sottolinea invece che "credo sia assolutamente fondamentale definire le soglie invalicabili dal punto di vista della civiltà democratica di questo Paese" e "l'idea che un governo tecnico possa squassare i pezzi pregiati delle conquiste che il movimento operaio ha realizzato nel corso di una storia lunga un secolo, è politicamente irricevibile. E quindi sono molto contento - conclude Vendola - che Bersani abbia posto i paletti ad una discussione, che al contrario di quello che pensa il ministro Fornero, ha bisogno di molti paletti, molti paletti". Sull'argomento destinato a tenere banco nel dibattito politico dei prossimi giorni, dopo il capo dello Stato Giorgio Napolitano, interviene oggi anche il presidente del Senato Renato Schifani. "Voglio sperare - afferma - che sull'articolo 18, si possa intervenire con un ddl organico, garantendo, naturalmente, un canale privilegiato ma senza ricorrere alla decretazione d'urgenza, proprio per evitare uno scontro sociale che non vuole il Parlamento, né certamente vuole il governo". "Siamo pronti - assicura Schifani - ad assumerci le nostre responsabilità perché, mai come ora, il Paese ha bisogno di coesione politica e sociale". Quindi è necessario un rapporto organico, sereno, costruttivo e responsabile tra istituzioni, governo e parti sociali che devono dare una mano al Paese in questo momento" conclude il presidente del Senato. La possibile modifica dell'articolo 18 non sarebbe stata trattata invece nel corso del pranzo tra il presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi. "Con Mario Monti non abbiamo parlato di articolo 18, ma dei provvedimenti che sarebbe utile assumere per rilancare l'economia e tra questi c'è in assoluto il tema del lavoro, poi vedremo nei particolari ma il tema del lavoro è un capitolo importante su cui questo governo dovrà esercitarsi", ha spiegato l'ex premier al termine di un incontro con gli eurodeputati del Pdl.
BCE: liquidità alle banche (21 dicembre 2011).
La Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro nel suo primo rifinanziamento a scadenza super prolungata, 3 anni, a favore delle banche commerciali che operano nell'area euro. Si tratta della prima di queste nuove operazioni di durata insualmente prolungata, decise a inizio dicembre dall'istituzione di Francoforte su liquidità supplementari a condizioni agevolate a favore degli istituti di credito. L'ammontare comunicato ha oltrepassato le attese medie, che fino a ieri sera si aggiravano tra 250 e 300 miliardi di euro anche se i margini erano molto ampi tra gli analisti. Soprattutto queste manovre della Bce hanno riportato fiducia sui mercati in quanto si è creata l'attesa che almeno in parte le banche possano utilizzare questi fondi a bassi costi - i tassi sono prefissati all'1 per cento - per acquistare titoli di Stato dei paesi dell'area euro, lucrando sul differenziale dei rendimenti. La Bce ha puntualizzato di aver ricevuto richieste di rifinanziamenti da 523 banche. Successivamente alla pubblicazione dei dati le Borse hanno registrato accelerazioni sui precedenti rialzi, mentre l'euro è schizzato a 1,3172 dollari. Intanto, da un avviso pubblico di Borsa Italiana emerge che quattordici banche italiane, compresi i big Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno quotato 40,44 miliardi di bond con garanzia statale. La notizia è strettamente legata all'asta dell'Eurotower perché questi titoli possono essere utilizzati come collaterali (cioè come garanzia per ottenere i fondi). I documenti di Borsa Italiana mostra come l'ammontare più alto sia quello di Intesa Sanpaolo, con 12 miliardi, seguita dal Monte dei Paschi (10 miliardi) e Unicredit (7,5).
Pil italiano in calo (21 dicembre 2011).
Il Pil è sceso dello 0,2% congiunturale, nel terzo trimestre 2011, ed è salito dello 0,2% tendenziale (cioè rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso). La crescita acquisita 2011 - comunica Istat - è dello 0,5%, cioè il risultato che si otterrebbe se nel quarto trimestre la variazione congiunturale fosse nulla. Il calo congiunturale, in linea con le aspettative degli analisti, è il primo dal quarto trimestre 2009, quando il Pil accusò una flessione dello 0,1%. Le componenti del Pil, espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2005, corretto per gli effetti di calendario (il terzo trimestre 2011 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto al trimestre precedente e una in meno del terzo trimestre 2010) e destagionalizzato, risultano per lo più in diminuzione: l'import segna -1,1% congiunturale e -0,9% tendenziale; all'interno dei consumi, la spesa delle famiglie residenti -0,2% congiunturale e +0,1% annuo, quella della P.A. e Istituzioni sociali private -0,6% in entrambi in confronti; gli investimenti fissi lordi -0,8% e -2% (mezzi di trasporto -4,9% e -9,6%, costruzioni -1,2% e -3,2%). Le esportazioni sono invece salite dell'1,6%. I contributi all'andamento del Pil: -0,4 punti percentuali dalla domanda nazionale (consumi -0,2, come gli investimenti); domanda estera +0,8 punti, variazione scorte -0,5. Andamenti congiunturali negativi si rilevano per il valore aggiunto dell'agricoltura (-0,9%) e dell'industria (-0,1%) e delle altre attività dei servizi (-0,3%). Il valore aggiunto del settore del credito, assicurazioni, attività immobiliari e servizi professionali è cresciuto dello 0,2%, mentre il valore aggiunto degli altri settori è rimasto stazionario. In termini tendenziali, il valore aggiunto dell'industria in senso stretto è cresciuto dell'1,3%, quello dei servizi dello 0,2%. Quelli dell'agricoltura e delle costruzioni sono diminuiti, rispettivamente, dello 0,1% e dell'1,7%. L'Istat, inoltre, ha rivisto al ribasso i dati sul prodotto interno lordo nei primi due trimestri del 2011. La crescita tendenziale, cioè rispetto al trimestre corrispondente del 2010, del primo trimestre di quest'anno è stata rivista da +1% a +0,8%, mentre quella del secondo trimestre passa da +0,8% a +0,7%. Restano invece invariati i dati sulla crescita congiunturale, cioè rispetto al trimestre precedente: +0,1% nel primo trimestre 2011 e +0,3% nel secondo trimestre. «Pil al ribasso e Natale 'freddo': due segnali allarmanti per una nuova fase recessiva nel 2012». E' il commento della Confesercenti ai dati Istat sul Pil nel terzo trimestre. «Un export ancora vivace non basterà certo a tenere a galla l'economia italiana - sottolinea - occorre ora ristabilire un clima di fiducia nella crescita e rianimare i consumi troppo penalizzati dalle scelte dell'ultimo periodo, con una valanga di tasse ma soprattutto con poco coraggio nel tagliare la spesa». L'anno prossimo la previsione di Confesercenti-Ref parla di un Pil a -0,4%. «Un dato - aggiunge - che, se non ci dovesse essere una vera inversione di marcia, rischia di diventare ottimistico».
Le retribuzioni al netto dell'inflazione in calo (23 dicembre 2011).
Le retribuzioni contrattuali orarie a novembre restano ferme su ottobre mentre aumentano dell'1,5% su base annua. Lo rileva l'Istat, aggiungendo che la crescita tendenziale è la più bassa dall'ottobre del 2010, ovvero da oltre un anno, quando si registrò lo stesso dato che risulta il minimo da marzo 1999. A novembre su base annua, la forbice tra l'aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,5%) e il livello d'inflazione (+3,3%), su base annua, ha toccato una differenza pari a 1,8 punti percentuali. Si tratta del divario più alto almeno dal 1997, che aggiorna il precedente "record" registrato a ottobre. È quanto risulta dal confronto dei dati Istat. Nella media del periodo gennaio-novembre 2011 l'indice è cresciuto dell'1,8% rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente. Alla fine di novembre, sottolinea l'Istituto di statistica, i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica corrispondono al 68,6% degli occupati dipendenti e al 63,1% del monte retributivo osservato. Sempre a novembre le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento tendenziale dell'1,9% nel settore privato e una variazione nulla per la pubblica amministrazione. I settori che a novembre presentano gli incrementi mensili maggiori sono: gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e attività dei vigili del fuoco (per entrambi +3,1%). Tutti i comparti della pubblica amministrazione, a eccezione dei vigili del fuoco, registrano, invece, variazioni nulle. Tra i contratti monitorati dall'indagine è stato ratificato l'accordo per i dipendenti degli studi professionali. Alla fine di novembre la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 31,4% nel totale dell'economia e del 10,7% nel settore privato. L'attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media, di 23,9 mesi,in deciso aumento rispetto allo stesso mese dello scorso anno (13,4). Nell'insieme dei settori privati si arriva a 26,6 mesi di attesa. Crolla la fiducia dei consumatori. Crolla a dicembre la fiducia dei consumatori italiani. L'indicatore Istat del clima di fiducia è sceso a dicembre al minimo storico di 91,6 da 96,1 di novembre, toccando il livello più basso dal gennaio 1996, anno in cui è iniziata la serie storica destagionalizzata. Il peggioramento è diffuso a tutte le componenti ed è particolarmente marcato per il clima economico generale, con il relativo indice che passa a 77,2 da 83,1. L'indicatore relativo alla situazione personale scende a 97,3 da 101,6. Anche le previsioni a breve termine registrano un marcato calo a 82,9 da 88,9. In flessione l'indice sulla situazione corrente, che passa a 98,4 da 102,2. Giù anche i saldi relativi alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -72 a -85) e sulla convenienza all'acquisto di beni durevoli (da -87 a -99). Peggiorano, inoltre, le aspettative di disoccupazione (il saldo passa da 80 a 86) e quelle generali sull'economia italiana (da -46 a -55). Aumenta (da 57 a 65) il saldo dei giudizi sull'evoluzione recente dei prezzi al consumo e cresce(da 12 a 58) quello sull'evoluzione nei prossimi dodici mesi. A livello territoriale, il peggioramento della fiducia è diffuso in tutte le ripartizioni ed è particolarmente marcato nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno.
Via libera al decreto Salva Italia (23 dicembre 2011).
Via libera del Parlamento al decreto del governo Monti per blindare il pareggio di bilancio nel 2013. La manovra vale da sola 34,9 miliardi di euro tra il 2012 e il 2014, ma si aggiunge agli altri interventi varati dal governo Berlusconi, portando l'entità della correzione dei conti a cifre davvero astronomiche. Sono 76 miliardi di euro nel 2013 e ben 81,2 miliardi nel 2014, una dimensione doppia rispetto a quella della maxi manovra da 90 mila miliardi di lire varata dal governo Amato nel 1992. Delle risorse raccolte dal decreto salva Italia, 21,4 vanno alla riduzione del deficit pubblico, 13,4 al rifinanziamento di spese indifferibili (come le missioni di pace all'estero) e al rilancio della crescita economica. Le maggiori entrate assicurano circa l'85% della manovra e, tra queste, spiccano quelle che si abbatteranno sui patrimoni immobiliari e finanziari (14,1 miliardi, pari al 55% delle maggiori entrate). Dal lato delle spese l'intervento più consistente è quello sul fronte previdenziale, da cui arriveranno, dopo le modifiche apportate alla Camera, 6 miliardi di euro nel 2014. Comuni, Province e Regioni a statuto speciale dovranno contribuire alla manovra rinunciando a 2,8 miliardi di trasferimenti dallo Stato. La manovra sistema i conti pubblici, ma avrà anche un effetto negativo sull'economia, con il governo che stima per il 2012 un calo del Pil dello 0,4% (ma Confindustria dice l'1,6%), e sull'inflazione, che secondo la Corte dei Conti potrebbe aumentare di un punto.
Le pensioni. Il traguardo della pensione si allontana sempre più. Per tutti. Uomini, donne, e pure chi ha cominciato a lavorare da giovane e contava di lasciare dopo 40 anni. La soglia anagrafica della vecchiaia, dal 2012 passa da 65 a 66 anni per gli uomini e da 60 a 62 per le donne. Chi vorrà anticipare il pensionamento ora deve raggiungere 42 anni e un mese (41 anni e un mese le donne). Per il resto, sì al contributivo pro-rata per tutti e blocco dell'adeguamento all'inflazione, a eccezione dei trattamenti più modesti. Queste, in estrema sintesi, le misure più significative del pacchetto previdenziale. L'equiparazione dell'età pensionabile delle donne con quella degli uomini era già stata decisa dal precedente governo. La riforma Fornero ha accelerato il cammino. Da gennaio l'età delle donne del settore privato (quelle del settore pubblico dall'anno prossimo vanno in pensione a 65 anni) sale a 62 anni e sarà ulteriormente elevata a 63 anni e 6 mesi nel 2014, a 65 anni nel 2016 e a 66 a partire dal 2018. La salita dell'età c'è anche per gli uomini, i quali a partire dal 2012 potranno ottenere la vecchiaia solo dopo aver compiuto 66 anni. A partire dal 2012 per ottenere la pensione prima della vecchiaia occorrono 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, requisisti parametrati alle speranze di vita a partire dal 2013. Tali requisiti sono comunque aumentati di un ulteriore mese per il 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dal 2014. Questo significa che nel 2013, anno in cui si cominceranno a innalzare tutti i parametri anagrafici sulla base delle cosiddette speranze di vita, il minimo di contributi richiesto per l'anzianità sarà di 42 anni e 5 mesi. Ma non è finita qui. Al fine di disincentivare il pensionamento anticipato rispetto a quello di vecchiaia, è stata introdotta una misura di riduzione. Qualora, infatti, si chieda la pensione di anzianità prima dei 62 anni di età, l'assegno verrà corrisposto, per la quota retributiva, con una riduzione dell'1% per ogni anno di anticipo (sale al 2% dal terzo anno in su). Dall'anno prossimo anche a coloro che avevano 18 anni di contributi al 31 dicembre del 1995, verrà applicato il meno vantaggioso criterio contributivo. Il passaggio al contributivo per tutti è pro-rata, riguarda cioè la sola contribuzione versata dal 2012. Una novità tutto sommato poco dolorosa, che incide in maniera modesta sul calcolo della pensione finale. Per alcuni, il contributivo può rappresentare addirittura un miglioramento. Chi resta a lavorare più a lungo, anche oltre i 40 anni, infatti, ha la soddisfazione di vedersi incrementare la rendita; in quanto 40 anni, lo ricordiamo, è il tetto massimo dell'anzianità utilizzata per il calcolo retributivo. Secondo le stime, la riduzione dell'assegno finale dovrebbe aggirarsi intorno a un punto percentuale per ogni anno di contributivo. In linea di massima si può dire che tanto più è vicina la pensione e tanto più alto è lo stipendio, meno si perderà. Tra le correzioni apportate al testo originario, vi è anche l'innalzamento dell'asticella del blocco dell'indicizzazione da 936 a 1.405 euro (da due a tre volte il minimo). L'anno prossimo dunque gli assegni fino a 1.405 euro beneficeranno dell'aumento legato all'inflazione (2,6% in più). Le pensioni più alte rimarranno al palo.
La casa. La conversione in legge del decreto «salva Italia» non ha riservato sorprese positive ai proprietari di casa, che quindi a partire dal prossimo giugno dovranno pagare l'Ici nella sua forma riveduta e corretta. Al cambio di nome, l'imposta si chiamerà Imu, acronimo di imposta municipale, si affiancano novità ben più sostanziali, la più importante delle quali è che si verserà il tributo anche per la prima casa, verrà quindi annullato il beneficio deciso come suo primo atto dal governo Berlusconi subito dopo la vittoria alle elezioni del 2008. Base di calcolo è ancora la rendita catastale dell'immobile, rilevabile dal rogito; il valore va aumentato del 5% e poi moltiplicato per 160; nella vecchia Ici il coefficiente di moltiplicazione era invece 100: significa che il tributo parte da una base imponibile del 60% più elevata. Il calcolo del valore avviene in questo modo per tutti gli immobili residenziali, l'aliquota applicata dal Comune però potrà cambiare a seconda dell'uso che si fa dell'appartamento. Se si tratta dell'abitazione principale del contribuente (è tale la casa in cui il proprietario ha la residenza fiscale) il Comune potrà applicare un'aliquota che va da un minimo dello 0,2% a un massimo dello 0,6%. Sulla somma così computata verranno però dedotti 200 euro. Per ogni figlio convivente di età inferiore ai 26 anni si detrarranno altri 50 euro. La somma delle detrazioni non può superare i 600 euro. In tutti gli altri casi il Comune potrà decidere un'aliquota da un minimo dello 0,46% a un massimo dell'1,06%, senza ulteriori detrazioni. Solo nel'ipotesi in cui la casa fosse locata il Comune potrà decidere di abbassare l'aliquota fino allo 0,4%. Va però detto che l'Imu assorbe anche l'Irpef fondiaria e quindi i proprietari di casa avranno un vantaggio non indifferente, che nei Comuni più generosi potrebbe portare addirittura a risparmiare rispetto alla vecchia normativa. Chi di sicuro invece non risparmierà è il proprietario che dà l'appartamento in uso a un parente stipulando un contratto di comodato: con la vecchia normativa in questo caso il Comune poteva assimilare l'immobile all'abitazione principale, ora non è più possibile. Per quanto riguarda i box, le norme distinguono se si tratta di pertinenze dell'abitazione o no. Quando il posto auto è legato a un'abitazione principale, ne segue il medesimo trattamento; se invece si tratta di 1) secondo box; 2) box legato a un'abitazione non principale; 3) box non pertinenziale le regole sono quelle della seconda casa. Stesso discorso per tutti gli immobili non residenziali: le aliquote vanno dallo 0,46% all'1,06%; l'aliquota può (è una facoltà, non un obbligo) andare allo 0,4% se l'immobile è affittato o detenuto da una società soggetto a Ires (l'imposta sul reddito delle società). Rispetto alle abitazioni però cambia il sistema di calcolo: per gli uffici si parte dalla rendita catastale originaria aumentata del 5% e si moltiplica per 80 (in precedenza era 50); per i negozi invece il coefficiente moltiplicatore è 55, invece che il 34 applicato fino a quest'anno.
Il fisco. Nel decreto salva Italia, di tasse, ce n'è per tutti i gusti. Un diluvio di nuovi balzelli su patrimoni, auto di lusso, barche, aerei, elicotteri, capitali scudati, conti correnti bancari, polizze assicurative, ma anche sulla benzina, sul tabacco, sui rifiuti, sui servizi comunali. Le entrate fiscali, del resto, fanno la parte del leone nella manovra del governo Monti: dei 34,9 miliardi che vengono recuperati dal decreto, l'85% è rappresentato proprio dalle maggiori entrate, pari a 26,1 miliardi. Casa a parte, che assorbe quasi metà di questa somma (11 miliardi sulla casa), solo dall'aumento dell'accisa sui carburanti, peraltro già scattata, sono destinati ad arrivare quasi cinque miliardi di euro l'anno (per l'esattezza 4,8 miliardi a regime). L'altra voce pesante, che impatterà su gran parte dei contribuenti, è quella relativa alle addizionali regionali sull'Irpef che sono state aumentate anch'esse a partire già dal 2011 (2 miliardi il gettito atteso). L'aliquota di base dell'addizionale Irpef regionale viene infatti innalzata dallo 0,9 all'1,23%, allo scopo di finanziare la crescita della spesa sanitaria. Ovviamente, a fronte delle maggiori risorse, le Regioni si vedranno tagliare dallo Stato fondi per un pari importo. Con il decreto sono state poi rimodulate le imposte di bollo sul risparmio. La tassa sugli estratti conti bancari annuali (pari a 34,2 euro) viene azzerata per i titolari dei conti correnti con giacenze medie inferiori ai 5 mila euro l'anno, ma viene aumentata a 100 euro per le società. E soprattutto scatta un'imposta di bollo proporzionale al patrimonio sugli altri strumenti finanziari. Le comunicazioni alla clientela relative a tutti i prodotti e strumenti finanziari, anche non soggetti a obbligo di deposito, a esclusione dei fondi pensione e dei fondi sanitari, sono infatti assoggettate a una imposta pari all'1 per mille per il 2012 e all'1,5 dal 2013. All'imposta sono soggetti anche buoni postali fruttiferi, a eccezione di quelli di valore di rimborso non superiore a 5 mila euro. Sulle attività finanziarie emerse grazie allo scudo fiscale si applicherà un'imposta speciale annua dello 0,4% annuo, che tuttavia nel 2012 e nel 2013 avrà un'aliquota maggiorata (pari all'1 e all'1,35%). E d'ora in poi saranno tassate anche le attività finanziarie e gli immobili detenuti all'estero e dichiarati. Nel pacchetto ci sono le tasse sul lusso (auto potenti, barche e aerei), ma anche la conferma dei bonus del 36% sulle ristrutturazioni edilizie e del 55% sulle riqualificazioni energetiche (dal 2013 scenderà anch'esso al 36%). Il vero rischio, però, è l'aumento dell'Iva dal prossimo settembre: 2 punti in più se, prima, non verranno trovati 16 miliardi per il 2012 con la riforma del Fisco e dell'assistenza.
La crescita. Alla crescita è stato destinato meno di un terzo del valore complessivo del decreto salva Italia. A fronte dei 34,9 miliardi di valore della manovra lorda per il triennio 2012-2014, le risorse riservate a voci come gli incentivi per lo sviluppo e la riduzione dell'Irap, ammontano a 13,4 miliardi nel 2014. Ma quello approvato ieri, come ha precisato in aula Mario Monti, è un provvedimento «di estrema urgenza», in un contesto di «estrema criticità», che rappresenta però solo la prima fase. L'esecutivo già si prepara ai prossimi interventi che guarderanno, ha detto il premier, «allo sviluppo e alla crescita». Dal 2012 le imprese potranno dedurre da Ires e Irpef la quota di Irap che grava sulle spese «per il personale dipendente e assimilato». Inoltre, per ogni lavoratrice e lavoratore sotto i 35 anni assunto a tempo indeterminato, la parte di costo del lavoro deducibile ogni anno dall'Irap sale da 4.600 euro a 10.600. Con un'attenzione particolare per il Sud: per le imprese che operano nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna) la deducibilità salirà dagli attuali 9.200 euro a 15.200. Le due misure valgono circa 3 miliardi l'anno. Per favorire la patrimonializzazione delle imprese, la manovra consente di dedurre dal reddito imponibile il rendimento del capitale investito dagli azionisti, la cosiddetta Ace (Allowance for corporate equity). Il beneficio ammonta a 950,5 milioni nel 2012, 1,45 miliardi nel 2013 e 2,93 miliardi nel 2014. Per far fronte alla crisi di liquidità, gli istituti di credito potranno chiedere la garanzia dello Stato sulle passività. Il ministero dell'Economia potrà garantire i finanziamenti erogati discrezionalmente da Bankitalia alle banche italiane. Inoltre, la possibilità di trasformare in crediti di imposta le attività per imposte anticipate o Deferred tax asset (Dta) viene estesa alle perdite su crediti. Sempre per quanto riguarda gli interventi relativi al mondo del credito, arriva un tetto massimo dello 0,5% sulla remunerazione che spetta a banche e intermediari in caso di conti in «rosso». È stata anche stabilita la nullità delle clausole che prevedono oneri diversi. Con un'iniezione di 400 milioni l'anno, è stato inoltre rifinanziato il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. L'obiettivo è mettere a disposizione garanzie per circa 20 miliardi di credito.
PIL: il Brasile scavalca la GB (27 dicembre 2011).
Il Brasile ha scavalcato il Regno Unito ed è diventato nel 2011 la sesta potenza economica mondiale per Prodotto interno lordo (Pil). L'Italia resta all'ottavo posto. Lo ha annunciato l'istituto di ricerca Cebr, un istituto britannico indipendente, con sede a Londra. Nella sua ultima classifica, la World Economic League Table 2011, il Centre for Economics and Business Research (Cebr) ha inserito il Regno Unito al settimo posto tra le economie mondiali, dietro gli Stati Uniti (al promo posto), la Cina, il Giappone, la Germania, la Francia e il Brasile. L'Italia resta all'ottavo posto, come nel 2010 davanti a Russia e India. «Il Brasile ha battuto per anni i Paesi europei al calcio, ma sconfiggerli sull'economia è un nuovo fenomeno. La nostra classifica mostra come stia cambiando la mappa economica del mondo, con Paesi asiatici e produttori di materie prime che danno la scalata ai primi posti e l'Europa che resta indietro», ha detto il direttore del centro Douglas McWilliams in un'intervista radiofonica alla Bbc. McWilliams ha aggiunto: «Si vede inoltre che nazioni che producono generi di prima necessità, come i prodotti alimentari e l'energia, ne escono molto bene e salgono gradualmente nella graduatoria economica». Il Cebr ha pubblicato anche i pronostici per il 2020 nel quale (invariate le prime tre posizioni) si evince che la Russia risalirebbe al quarto posto, seguita dall'India e dal Brasile, la Germania scenderebbe al settimo posto e la Gran Bretagna all'ottavo. La Francia scivolerebbe al nono posto e l'Italia al decimo. Per il ministro dell'economia del paese sudamericano, Guido Mantega adesso l'obiettivo è la Francia: «Per fortuna il Brasile è riuscito ad attraversare l'anno con un'eccellente risultato economico. Dopo aver precisato che il ritmo della crescita del paese sudamericano «è inferiore solo a quello della Cina», il ministro ha sottolineato che l'espansione del Brasile è superiore a quello degli Usa, della Germania e del Giappone ma ha ammesso: «Per raggiungere gli standard europei di uguaglianza e sviluppo umano ci vorranno tra i dieci e venti anni».
Monti: la fase due (29 dicembre 2011).
«Eravamo arrivati sull'orlo del burrone senza parapetto e con forze che ci spingevano alle spalle: abbiamo puntato i piedi con tutte le forze per non cadere e credo che ci siamo riusciti». È la metafora del Paese immaginata dal premier Mario Monti nella conferenza stampa di fine anno. Sullo sfondo dell'incontro la certezza che nell'anno nuovo arriverà anche la fase due del suo governo, quella che dovrebbe puntare sullo sviluppo dopo una manovra sbilanciata sul fronte del rigore. «Una soluzione alla crisi non poteva essere neanche affrontata senza il consolidamento dei conti pubblici effettuato con il decreto Salva-Italia» ha esordito il presidente del Consiglio. «Con il decreto legge ci siamo occupati di conti pubblici, ma l'abbiamo fatto cercando di curare l'equità sociale. Questi due punti saranno presenti nella cosiddetta fase due. Non occorre un'altra manovra, ma la fase della crescita non implicherà larghezza finanziaria. Serviamo la fase del consolidamento puntando alla crescita facendo crescere il Pil. Non faremo molto uso del denaro pubblico, ma dell'equità come leva. Attraverso liberalizzazioni, concorrenza e la riforma del mercato del lavoro limeremo i privilegi e le rendite che frenano i meccanismi economici a danno dei giovani» ha aggiunto Monti. «Abbiamo introdotto un avanzo primario del 5% nei prossimi anni, tali da portarci al pareggio di bilancio nel 2013. Stiamo dando piena attuazione ad impegni già presi dal precedente governo. Era un atto dovuto. L'atto voluto comincia oggi. Il nuovo pacchetto si può chiamare "Cresci-Italia"» ha sottolineato Monti. «I tempi saranno piuttosto veloci, l'Europa ci attende con ulteriori provvedimenti per l'Eurogruppo del 23 gennaio e per il Consiglio del 30 gennaio. Ci sarà uno sforzo sul fronte concorrenza e liberalizzazioni, poi il cantiere del lavoro e degli ammortizzatori sociali, riducendo la segmentazione del mercato del lavoro. Gli ammortizzatori vanno ammodernati perché le tutele ci siano e siano rafforzate ma in prospettiva di una maggiore flessibilità economica» ha spiegato il premier. Poi scommette: «Sono sicuro che il Paese ci capisce e che non ci saranno tensioni sociali». «Sulle operazioni di riduzioni dello stock del debito stiamo riflettendo. Non escludo niente, ci sono delle ipotesi interessanti, ma vanno fatte dopo gli interventi sui flussi di cassa» ha spiegato poi Monti. «La riforma del catasto è molto importante per adeguare la tassazione alla realtà effettiva. Non ci sarà un aggravamento dell'imposizione sulla casa ma una maggiore equità sull'imposizione», l'aliquota per la prima casa nel nuovo sistema Imu è dello 0,4% e il numero delle case esenti è di 6 milioni. Non si può dire che la pressione fiscale in questo settore crescerà rispetto a prima del 2008» ha detto il premier. Che poi ha fatto anche una battuta sul suo governo: «Sono sorpreso che il nostro indice di popolarità non sia sceso a zero». «Per quanto riguarda i tempi delle riforme del mercato del lavoro verranno divise in due parti una per gennaio e una per febbraio» ha spiegato ancora Monti. In particolare il governo punta a «superare il dualismo del mercato del lavoro italiano», oltre a «superare una regolamentazione» sui vari contratti di lavoro con «forti incertezze interpretative», e a fare in modo che le tutele previste per i lavoratori ne favoriscano «la riallocazione nel mercato del lavoro, in un contesto mondiale comunque caratterizzato da una continua evoluzione della produzione», incentivandone «il reimpiego». Il presidente del Consiglio ha voluto sottolineare che il suo governo non intende «considerare il lavoro una risorsa al pari di prodotti e servizi» ma vuole «trovare misure più moderne per valorizzare il lavoro e rendere l'uso del lavoro più incoraggiato». «Sulla riforma delle pensioni interverremo a favore dei lavoratori che erano stati messi in mobilità con le vecchie regole e affronteremo tutti quei casi in cui i lavoratori con le nuove regole si possano trovare in particolare difficoltà» ha poi aggiunto Monti. «Non ho complessi nei confronti dell'opinione pubblica tedesca» ha poi risposto il presidente del Consiglio a chi gli chiedeva dei rapporti con Berlino. «Dobbiamo meritarci giorno per giorno la loro stima ma anche loro devono guadagnarsi la nostra fiducia», ha aggiunto Monti che scherza sul suo ruolo: «io mi chiedo se non sono stato nominato in parte per dare un segnale all'opinione pubblica tedesca ma questo non dovete chiederlo a me. L'opinione pubblica tedesca segue questo governo con partecipe palpitazione, ho ricevuto il più bel complimento mai ricevuto», da un quotidiano tedesco, ovvero, riferisce Monti, «"è il genero ideale" perché parla poco, veste in modo serio e banale, non è molto rumoroso: credo che agli occhi dei tedeschi il più è fatto. Per il resto quando ero libero cittadino ho mandato messaggi chiari, ho chiesto ad esempio a Merkel di spiegare ai tedeschi i vantaggi dell'euro». Non sono mancate domande di politica estera. Per quanto riguarda la questione iraniana Monti ha detto che «Sul nucleare siamo vicini al punto di non ritorno per questo l'Italia insieme ad altri Paesi è favorevole a rafforzare l'embargo petrolifero». Infine nelle due ore e 35 minuti non sono mancati momenti divertenti. Infatti il premier Mario Monti cita la parodia di Maurizio Crozza, che rappresenta il presidente del consiglio come un robot. «Questo è un governo fatto di persone: efficacemente rappresentate in tv come robot ma pur sempre persone». Corriere.it.
Il parere di Giuliano Ferrarra sul governo Monti (31 dicembre 2011).
Lo stile del governo italiano e il contesto politico e parlamentare in cui opera sono da un mese completamente rovesciati, e in modo spettacolare. A Silvio Berlusconi non se ne perdonava una, nemmeno un sorriso, a Mario Monti si perdonerebbe tutto, e a Elsa Fornero perfino le lacrime. La maggioranza del Cav era diventata fragile e litigiosa, vistosa e chiassosa, quella di Monti è ingombrante, invasiva, onnipresente ma segreta, pudica, vergognosa di sé e delle circostanze di emergenza che l’hanno incollata insieme. Berlusconi incontrava un’opposizione assolutista, eticizzante, e un circuito mediatico-giudiziario che la nutriva di grandi archetipi morali anti Caimano, e tutta la cultura che fa opinione era sulle barricate (spesso sovvenzionate dallo Stato); Monti invece non ha un’opposizione febbrile e distruttiva, se non mettiamo nel conto minoranze sociali, parlamentari ed extraparlamentari, in generico movimento ma per adesso schiacciate dall’autorevolezza del governo «in stato di eccezione», e dalla necessità per i grandi partiti di riconsiderare il sistema che non produsse né un vero governo di centrodestra né un progetto alternativo di centrosinistra, altro che lotta contro il governo dello spread. Infine, dove al Cav sono mancati imprenditori e cancellerie internazionali, banche, industria e grandi lobby europee e americane sono compatte, schierate con il governo tecnico.
Questo rovesciamento ha portato l’esecutivo a un intervento duro sulle tasse pagate dagli italiani, che completa e aggrava con il rigor mortis manovre di austerity recessiva già varate da Berlusconi e Giulio Tremonti, e gli ha però consentito la riforma delle pensioni con l’abolizione dell’anzianità e l’estensione universale del contributivo, fattore strutturale di riduzione di spesa pubblica e ridimensionamento del «privilegio» retributivo da lungo tempo inseguito invano da tutti i governi. Chapeau, a parte le vessazioni ai contribuenti e ai pensionati, che non sono mai cose belle: se l’obiettivo è una più visibile disciplina fiscale e sostenibilità del debito pubblico, in termini contabili, ci siamo un poco più vicini.
Dico «visibile» perché anche secondo la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea l’Italia non ha nel lungo termine problemi di sostenibilità del debito, si limita a condividere con altri paesi europei, anche più forti, la crisi di liquidità finanziaria del sistema bancario e l’attacco dei tassi di interesse sulle emissoni pubbliche. Un fattore che solo gli eurobond e una nuova politica di prestatore e garante della banca centrale potrebbero rapidamente risanare.
Il problema adesso è questo. Il qualcosa che un governo tecnico e coccolato dalla società che conta poteva fare è stato fatto. Potrà un governo subordinato al direttorio e alla sua politica, dopo l’accordino di Bruxelles rigettato dalla liberale e sovranista Gran Bretagna, fare il resto, il di più, che è poi lo strettamente necessario? La domanda non si pone per i dementi che avevano previsto un calo dello spread di 200 punti alla sola notizia delle dimissioni di Berlusconi. Ma per le persone serie si pone. Un governo tecnico troverà mai la forza, l’anima, la voce per affermare in patria e in Europa una linea non punitiva e ispirata all’imperativo dello sviluppo dell’economia reale? Qui potremmo constatare che i governi politici hanno molti difetti, ma nella difesa di un vero interesse nazionale, in questo caso misure anticrisi che scardinino la tendenza a stagnare o a recedere della creazione di ricchezza nazionale, sono più efficaci e meglio piazzati di un ministero tecnico-contabile.
Ottime notizie per i lavoratori tedeschi (2 gennaio 2012).
La Germania chiude il 2011 con il massimo record di occupazione dalla riunificazione del Paese avvenuta nel 1990. Lo ha annunciato oggi l'Ufficio federale di statistica a Wiesbaden, precisando che lo scorso anno erano occupate 41,04 milioni di persone, 535.000 in più rispetto al 2010. L'occupazione è salita dell'1,3 per cento. Il mercato del lavoro tedesco ha beneficiato della ripresa economica goduta dal Paese dopo la recessione del 2009, registrando un tasso di disoccupazione sotto la soglia del 7%, il livello più basso da oltre 20 anni. Gli esperti prevedono che il miglioramento continui anche quest'anno, ma avvertono che sará meno pronunciato a causa del previsto rallentamento della crescita. Nel 2011 il Pil tedesco è cresciuto di circa il 3%, ma la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che nel 2012 fará un ben più modesto 0,5 per cento. Che il 2012 sarà più difficile dell'anno appena passato lo ammette anche il ministro dell'economia, Wolfgang Schauble: «Il 2012 - ha detto Schauble - sarà probabilmente più difficile del 2011, ma l'econimia tedesca é in buona salute». Il ministro ha poi lanciato un appello ai suoi colleghi dell'Eurozona «a fare il necessario per consolidare il loro bilanci e portare avanti le riforme». Su quest'ultimo aspetto è intervenuta Bundesbank. In un'intervista al quotidiano Tagesspiegel, il presidente Jens Weidmann ha detto che la Germania deve proseguire nella sua azione di consolidamento del bilancio pubblico per continuare a dare "il buon esempio" ai suoi partner europei. «L'obiettivo è raggiungere in tempi rapidi un equilibrio di bilancio», ha detto Weidmann aggiungendo di non condividere la decisione del governo di concedersi una "pausa" a tale riguardo. «La Germania ha una responsabilità particolare in quanto pilastro della stabilità dell'unione monetaria», ha aggiunto. Per questo motivo, il Paese «non deve allentare il suo impegno» per ridurre il deficit. Stando alle stime della Bundesbank, il deficit pubblico tedesco è passato dal 4,3% del 2010 all'1,3% nel 2011 e dovrebbe toccare l'1% nel 2012 e lo 0,7% nel 2012. Weidmann si è detto anche prudentemente ottimista riguardo alle prospettive di crescita del Paese: il mese scorso, la Banca centrale ha riferito di un tasso del 3% nel 2011, prevedendo lo 0,6% nel 2012 e l'1,8% nel 2013, «a condizione che non si aggravi la crisi del debito». «Una delle lezioni apprese dalla crisi è che non si può rinviare il consolidamento», ha sottolineato Weidmann. Una buona notizia arriva intanto dalla Süddeutsche Zeitung: secondo i calcoli fatti dal quotidiano stampato a Monaco di Baviera, a partire dal 2012 i lavoratori tedeschi si ritroveranno in tasca 160 euro in più all'anno. Ciò grazie alle facilitazioni entrate in vigore con l'anno nuovo, in particolare la riduzione dal 19,9 al 19,6% dei contributi pensionistici da ripartire a metà tra datori di lavoro ed occupati. Grazie a questa misura ogni lavoratore si ritroverà in tasca al netto 60 euro in più, mentre gli altri 100 euro aggiuntivi derivano dall'aumento delle detrazioni fiscali per vari tipi di previdenza individuale. Ad approfittare di questa somma saranno le persone con un reddito annuo lordo compreso fra 24mila e 66mila euro, mentre per chi guadagna di più il beneficio non supererà i 65 euro all'anno.
Ottobre-dicembre 2011
Eugenio Caruso
Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.
Tratto da