Secondo autorevoli scienziati il calabrone non può volare a causa della forma e del peso del suo corpo in rappporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e continua a volare.
Jigor Sicorsky
Una nuova lunga notte di trattative, ma l'accordo ancora non c'è. E il rischio che la 17esima conferenza sul clima in corso a Durban, in Sudafrica, si concluda senza un nulla di fatto è altissimo. La presidenza
sudafricana ha infatti rinviato alle 17 locali (le 16 in Italia) la riunione dei ministri dei 50 Paesi che stanno mediando per conto dei 195 presenti e questo significa che la riunione plenaria conclusiva si terrà solo nel tardo pomeriggio, quando molti ministri saranno già rientrati in patria. Si affaccia quindi l'ipotesi peggiore: quella di un rinvio totale dell'assemblea al summit Onu del prossimo anno a Rio de Janeiro (Rio+20) sullo sviluppo sostenibile. Un nuovo documento per la decisione finale di Durban era atteso alle sei di questa mattina ora locale (le 5 in Italia) ma è uscito solo alle 11,30. Si tratta di un testo più corposo di qullo circolato nella giornata di ieri dove si continua a prevedere la formula combinata del Kyoto2 e dell'accordo globale ma si aggiunge un impegno legale per questo trattato planetario salva-clima. E questo è uno dei nodi maggiori. Poi c'è la questione tempo. Da parte di Francia e Germania arriva l'accusa alla presidenza sudafricana della Cop17 di una «gestione non ordinaria del tempo in questo genere di negoziati. Si rischia un fallimento a causa di un problema di gestione del tempo». Il nodo è sempre lo stesso: la scadenza del 2020 come data ultima per l'entrata in vigore di un nuovo trattato da firmare entro il 2015. Il commissario Ue per il clima, Connie Hedegaard, non nasconde la preoccupazione che Durban segni un nuovo stallo nel percorso di salvaguardia del clima. «Il tempo che rimane è estremamente breve». Sul tavolo, come detto, c'è una bozza di ipotesi di un Kyoto2 da varare tra quattro anni per mantenere la validità del protocollo e puntare al lancio del processo dopo il 2020. Ma le divisioni tra i grandi paesi rende molto complicata la quadratura del cerchio. L'Unione Europea sta cercando di superare l'impasse e ha avviato un'alleanza con le piccole isole e il gruppo dei paesi poveri: una rete di 120 Stati che potrebbe arrivare a includere anche due grandi potenze come Cina e Brasile . Si tratta della cosiddetta "coalizione dei volenterosi" - lanciata dal commissario Hedegaard insieme ai ministri dell'Ambiente della Danimarca, Martin Lidegaard, e del Gambia, Jato Sillah - che raggruppa l'alleanza delle piccole isole (Aosis) e i paesi più poveri (LDCs), oltre che l'Ue, e che sta raccogliendo anche il sostegno di molti paesi africani e latino-americani. Un'alleanza trasversale, quindi, che punta a convincere Cina, Brasile e India ad abbandonare il gioco dei veti contrapposti e costringere gli Stati Uniti ad approvare un mandato a sottoscrivere entro il 2015 un accordo globale. Il protocollo di Kyoto andrebbe così avanti senza Canada, Russia, Giappone e gli Usa, che comunque non hanno mai ratificato la vecchia intesa per il clima. L'accordo così congegnato terrebbe così fuori alcune grandi potenze, ma al momento appare l'unica via per giungere alla firma di un'intesa. Il documento su cui i ministri si stanno confrontando rimanda per una decisione alla prossima conferenza in Qatar e sostiene che il processo per l'accordo globale sul clima «deve iniziare subito» e il testo «dovrà essere pronto non più tardi del 2015». Nel documento sono riportate 8 proposte, tra cui quella di portare a 1,5 gradi (dagli attuali 2) l'aumento della temperatura media globale. Aggiornamento dell'11 dicembre 2011. Alla conferenza di Durban è stato raggiunto in extremis un accordo sulla tabella di marcia per arrivare a un trattato globale sulla lotta ai cambiamenti climatici entro il 2015, che entrerà in vigore nel 2020. Dopo una maratona di 13 giorni di negoziati, nelle prime ore di domenica è arrivata l'intesa che per la prima volta impone a tutti i grandi inquinatori di intraprendere iniziative per ridurre i gas serra. Il presidente della Conferenza, Maite Nkoana-Mashabane: «Abbiamo fatto la storia». Per l'accordo globale si inizierà a lavorare già a partire dal prossimo anno. Per questo è stato incaricato un gruppo di lavoro ad hoc in base alla «piattaforma di Durban». Il documento, che dà mandato al gruppo di lavoro di definire l'accordo globale entro il 2015, sottolinea l'urgenza di accelerare i tempi e di alzare il livello di riduzione. La forma giuridica dell'accordo sarà oggetto di ulteriori discussioni. Per quanto riguarda il Kyoto2 dopo il 2012, riguarderà sostanzialmente l'Europa e pochi altri paesi industrializzati, visto che Giappone, Russia e Canada da tempo hanno annunciato il loro no al secondo periodo del Protocollo. Il Kyoto2 ha la funzione di fare da ponte verso l'accordo globale. Nel «pacchetto Durban» approvato dalla Conferenza, c'è anche il via libera all'operatività del Fondo Verde per aiutare i paesi in via di sviluppo a sostenere le azioni contro il riscaldamento globale. Si tratta di 100 miliardi di dollari al 2020. La tabella di marcia ha come principale obiettivo quello di portare dentro la lotta comune ai cambiamenti climatici le nuove economie come Cina, Brasile e India. La partita è importante anche nei confronti degli Stati Uniti che non hanno mai ratificato il primo periodo di Kyoto. «L'accordo sulla roadmap per il clima è una svolta storica». Lo scrivono Commissione e Consiglio Ue in una nota congiunta. «La strategia dell'Unione Europea ha funzionato», ha detto la Commissaria all'Ambiente, Connie Hedegaard, sottolineando che «molti credevano che Durban non avrebbe potuto fare altro che mettere in atto le decisioni di Copenaghen e Cancun, invece l'Europa voleva di più e ha ottenuto di più». «Kyoto - ha aggiunto Hedegaard - divideva il mondo in due categorie, ora avremo un sistema che riflette la realtà di un mondo reciprocamente interdipendente». «Con l'accordo sulla roadmap verso un quadro legale che dal 2015 coinvolgerà tutti i paesi nella lotta al cambiamento climatico - ha concluso Hedegaard - L'Unione europea ha raggiunto il suo obiettivo chiave nella Conferenza di Durban». Entusiastico anche il commento di Marcin Korolec, ministro per l'ambiente della Polonia, il Paese che detiene la presidenza di turno dell'Unione: «Questo è un momento paragonabile, se non anche superiore, a quello del successo del Cop1 nel 1995 quando, con il Mandato di Berlino, si arrivò all'unico accordo legalmente vincolante noto come Protocollo di Kyoto». «Siamo usciti dal "cono d'ombra" di Copenaghen. L'accordo supera i limiti del Protocollo di Kyoto e ha una dimensione globale» offrendo all'Europa, e soprattutto all'Italia, la possibilità di costituire la "piattaforma" per lo sviluppo con le grandi economie emergenti: Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica. Lo ha dichiarato il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, commentando i risultati raggiunti a Durban. «A Durban dopo lunghi e difficili negoziati si è riuscito ad evitare il fallimento e rinnovare il Protocollo di Kyoto come regime di transizione verso un nuovo accordo globale, che dovrà coinvolgere anche le maggiori economie del pianeta superando l'attuale contrapposizione tra paesi industrializzati e in via di sviluppo». Lo si legge in una nota di Legambiente, che prosegue: «La Piattaforma di Durban prevede infatti la sottoscrizione di un nuovo accordo globale entro il 2015 e la sua applicazione a partire dal 2020. Esito questo non scontato visto l'ostruzionismo degli Stati Uniti, sostenuti da Canada Australia e Nuova Zelanda con Russia e Giappone a dar loro manforte. Ma grazie al ruolo determinante dell'Europa - finalmente con il sostegno convinto anche del nostro governo - è stato possibile dare vita ad una Coalizione di volenterosi tra paesi industrializzati emergenti e in via di sviluppo in grado di spingere India e Cina ad abbandonare il gioco dei veti contrapposti e costringere gli Stati Uniti ad approvare un mandato a sottoscrivere un accordo globale che abbia il Protocollo di Kyoto come architrave».
Corrado Caruso
10 dicembre 2011
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