Ci sono sette modi per far sì che la gente abbia fiducia in voi. Mostrarsi sinceramente interessati all'altro. Sorridere. Ricordarsi il nome dell'altro. Essere buoni ascoltatori. Incoraggiare l'altro a parlare di sè. Parlare in base agli interessi dell'altro. Far sì che l'altro si senta importante.
Dale Carnegie
Le Hawaii, insieme alla Polinesia e ad altre belle isole tropicali, sono una tradizionale meta per i viaggi di nozze. Alle Hawaii ci si va però in aereo e gli aerei usano un carburante derivato dal petrolio. Nel 2008, con il greggio che saliva verso i 145 dollari, i siti ispirati alla teoria del Peak Oil ospitarono studi anche molto seri sulle possibilità di sopravvivenza di questa o quell’area geografica in un mondo avviato all’esaurimento delle fonti di energia fossile. Lo studio sulle Hawaii era il più disperato. Le Hawaii non hanno né gas, né carbone, né petrolio e, come l’isola di Pasqua, sono lontane da tutto. L’isola di Pasqua deve però mantenere solo 5mila abitanti, mentre gli hawaiiani sono un milione e mezzo.
Lo studio, che animò un dibattito di parecchi giorni, arrivava alla logica conclusione che le Hawaii andavano abbandonate e che i piani di evacuazione dovevano essere predisposti fin da subito. Questo era il clima tre anni e mezzo fa, quando il capo di Gazprom diceva che il greggio sarebbe salito rapidamente verso i 250 dollari e veniva preso dai mercati come fonte di verità assoluta.
Le crisi energetiche provocano recessioni. Le recessioni, provocando un abbassamento dei consumi, risolvono e risolveranno tutte le crisi energetiche tranne l’ultima, quando davvero non sarà rimasta più una goccia di petrolio.
Non stupisce, quindi, che in questi tre anni non ci si sia più preoccupati del petrolio se non nei mesi della guerra di Libia. Ben altri problemi hanno agitato le nostre notti e in tempi di Grecia, crisi finanziaria e presunto atterraggio duro cinese, l’esaurimento delle fonti fossili è scomparso dai nostri pensieri. Anche l’apocalisse di riserva, quel riscaldamento globale che sembrava attenderci se le fonti fossili non si fossero esaurite e avessimo quindi potuto continuare a usarle, sembra non interessare più a nessuno.
Ora però il paradigma sta cambiando. Gli economisti sono i più scettici (Feldstein dice che gli Stati Uniti cresceranno esattamente alla stessa velocità dell’anno scorso e l’ottimo Ethan Harris sostiene che si è partiti forte e si finirà piano), ma i mercati, che fino a un mese fa vedevano solo il mezzo bicchiere vuoto, vedono oggi il solo mezzo bicchiere pieno. Molti strategist finora cautissimi stanno capitolando e parlano adesso di un bull market in formazione. Solo Adam Parker rimane glaciale e parla di un effetto gennaio destinato a rientrare. A noi pare che l’effetto gennaio, vista l’esperienza di quasi-morte e resurrezione che abbiamo provato, possa prolungarsi a febbraio, ma non è di questo che vogliamo parlare, bensì del petrolio come possibile guastafeste in un eventuale bull market e in un ancora più eventuale ciclo economico in accelerazione.
Il petrolio è come quando si vince una grossa somma alla lotteria. Non si fa in tempo a stappare lo champagne che già alla porta si presentano parenti lontani e mai incontrati che dichiarano di avervi sempre voluto bene e di essere però oggi assai bisognosi di aiuti finanziari. Non si fa in tempo a congratularsi gli uni con gli altri per il rafforzamento del ciclo economico ed ecco che il petrolio prende a salire a grandi balzi. Le prime settimane, nell’euforia generale, non ci si bada. Il petrolio che sale viene addirittura considerato un amico invitato alla festa, dal momento che fa salire i titoli dell’energia e quindi contribuisce al rialzo degli indici. Solo dopo qualche tempo ci si accorge che i soldi in più per la benzina sono soldi in meno per tutto il resto. Se poi il greggio continua a salire, ecco arrivare puntualissima la Bce (sempre timorosa a sproposito degli effetti secondari inflazionistici e mai degli effetti depressivi) ad alzare i tassi più che può.
Questa volta potrebbe essere diverso. E’ già diverso, se si pensa che in queste quattro settimane, in cui siamo passati dall’attesa angosciosa della fine all’attesa fiduciosa del recupero, il Brent è addirittura sceso. Stava a 114 il 4 gennaio ed eccolo adesso a 110, esattamente come tre, sei, nove e undici mesi fa. Il tutto mentre l’Europa rinuncia al greggio iraniano, come aveva già fatto da tempo l’America, e deve andarselo a cercare sul mercato.
Altro che Peak Oil e shock da offerta negativo. Quello in corso sull’energia è un grande shock da offerta positivo di cui i mercati stanno solo cominciando a prendere le misure. In questi anni i progressi tecnologici hanno reso economica l’estrazione di grandi quantità fossili non convenzionali che un tempo non venivano nemmeno conteggiate tra le riserve. L’area tra il Dakota e il Saskatchewan ha riserve pari a quelle di tutto il golfo Arabico-Persico. Per restare negli Stati Uniti, si è scoperto gas naturale quasi ovunque e si sono alzate di molto anche le stime sul carbone. La Polonia e Cipro hanno scoperto di sedere su imponenti giacimenti di gas.
Il petrolio convenzionale sta più che compensando il declino di Messico e Indonesia con le immense potenzialità dell’Atlantico del sud, tra Brasile e golfo di Guinea. La Groenlandia e l’Artico sono dietro l’angolo.
La fratturazione idraulica (fracking) ha fatto miracoli nel gas naturale e si prepara a farne di ancora più grandi nel petrolio. Campi che sembravano esausti rinascono a nuova vita se perforati orizzontalmente invece che solo verticalmente.
L’offerta potenziale è così abbondante che ci si possono permettere comportamenti altrimenti incomprensibili. Il gas vale ormai così poco che in certe situazioni lo si brucia, come si faceva mezzo secolo fa quando il gas che fuoriusciva insieme al petrolio veniva buttato via. L’amministrazione Obama si può permettere scrupoli ecologisti (che rientreranno in larga misura dopo le elezioni) e blocca lo sfruttamento dell’Alaska e delle acque profonde del golfo del Messico, boicottando inoltre il grande oleodotto progettato per portare greggio canadese nelle raffinerie texane. Il fracking, odiato degli ecologisti anche se finora non si è dimostrato niente sui danni presunti all’ambiente, comincia a essere ostacolato. La Francia, per stare sicura, lo ha proibito del tutto, rinunciando a vaste risorse per proteggere il nucleare. Se vince Hollande, d’altra parte, lo stesso nucleare, grande orgoglio nazionale francese, verrà radicalmente ridimensionato. Gas ed etanolo, un tempo amati dagli ecologisti, vengono oggi rifiutati per proteggere le rinnovabili, le cui potenzialità sono nel frattempo cresciute.
Insomma, come si vede c’è l’imbarazzo della scelta. Nel frattempo si creano immense possibilità di arbitraggio. Il gas, come ripete instancabile il suo apostolo T. Boone Pickens, costa 2 dollari in America, 15 nel golfo Arabico e 13 in Europa. Un giorno qualcuno in Europa si sveglierà e deciderà di comprare gas americano portato dalle navi invece del gas russo che arriva con i tubi. Il Qatar, dal canto suo, manderà il suo gas alla Cina, ma a un prezzo più basso rispetto a oggi. Qualcuno, poi, si sveglierà e riconvertirà tutto il settore automobilistico americano (e non solo) da benzina (e diesel) a gas. C’è chi ha già cominciato.
Gli Stati Uniti hanno già perso il primato industriale ma, oltre che prima potenza agricola, diventeranno prima potenza energetica (insieme a Canada, Brasile, Arabia e Russia). Il dollaro, a un certo punto, prenderà ad assomigliare a una petrovaluta. Il disavanzo delle partite correnti americano scomparirà. La Russia dovrà fare i conti con un gas meno caro e dovrà trovare altre cose da esportare. Il petrolio non scenderà di prezzo, perché il consumo dei paesi emergenti continuerà ad aumentare, ma per la prima volta, se tutto va bene, potremo vedere un ciclo di espansione economica prolungato (quando avrà la grazia di presentarsi tra noi) con un greggio tendenzialmente stabile.
La cornucopia energetica è manna dal cielo e arriva giusto in tempo per compensare lo shock da offerta negativo cinese. Per due decenni la Cina ci ha fornito manufatti di ogni genere a prezzi molto più bassi di quelli cui eravamo abituati. Non sarà più così. Non è già più così. I lavoratori cinesi costano un quarto di più ogni anno (da loro ci sono gli aumenti salariali, quelli che una volta avevamo anche noi) e il renminbi continua a rivalutarsi. I negozietti Tutto a un Euro diventeranno presto Tutto a due Euro e via crescendo. In compenso la Cina avrà più soldi per comperare i nostri prodotti, che diventeranno più competitivi perché i nostri salari continueranno a scendere e il nostro welfare verrà tagliato.
L’Europa ha poca energia e boicotta in tutti i modi quella che ha. Probabilmente, direbbe Niall Ferguson, è perché ha già deciso, più o meno consciamente, di diventare un grande campo da golf per ricchi cinesi. Le trivelle, sui campi da golf, ci stanno proprio male.
Alessandro Fugnoli
La presente pubblicazione è distribuita da Kairos Partners SGR.
2 febbraio 2012
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