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L'economia italiana dal dopoguerra al 2012


E' molto difficile prevedere, specialmente il futuro.
Niels Bohr


I GOVERNI DI COALIZIONE (1946-1953) - De Gasperi
LA REPUBBLICA – LA COSTITUENTE (2 giugno 1946)


Il periodo post-bellico è caratterizzato dall'esigenza della ripresa economica; fortunatamente il sistema produttivo italiano non ha subìto grandi danni, essi ammontano, infatti, al solo 8% del valore che esso aveva nel 1938. Sul finire della guerra gli industriali del Nord avevano, inoltre, mantenuto contatti con gli anglo-americani al fine di avere salve le proprie fabbriche. Il Paese gode, peraltro, di un enorme bacino di manodopera essendo, al termine della guerra, gli occupati nell'agricoltura ben il 50% di tutta la forza lavoro. I primi governi furono retti da Alcide De Gasperi, laureatosi all’Università di Vienna e giovanissimo membro del Parlamento austriaco. I primi passi dell'economia italiana vengono guidati da Luigi Einaudi che, grazie al grande prestigio di cui gode in Italia e all’estero, riesce a ribaltare la politica inflazionistica dei primi governi di coalizione e causata dall’emissione delle AM-Lire e a imporre come obiettivo prioritario la stabilità della moneta. Con una severa restrizione del credito, nel 1948, l'inflazione è domata (1946, 18%; 1947, 62%; 1948, 5,7%; 1949, 1,46%, 1950, -0,6%). L'operazione anti inflattiva che rallenta, inizialmente, lo sviluppo facendo crescere il numero dei disoccupati, avrà effetti positivi nel corso degli anni e sarà alla base della sorprendente crescita economica degli anni cinquanta e sessanta, poggiando sulle basi solide di una moneta solida. Nel 1950, la produzione industriale è tornata ai livelli prebellici e gli anni successivi sono caratterizzati da un progresso continuo dell'economia con ritmi che l'Italia non aveva mai toccato. I primi governanti del Paese sono convinti della necessità di una liberalizzazione degli scambi, come reazione agli anni del dirigismo e dell'autarchia fascista, ma sono anche convinti della necessità di una forte presenza dello stato nel sistema produttivo e nei servizi. Al liberismo monetario fa, quindi, da contraltare la volontà politica della pianificazione degli snodi strutturali e una difesa degli elementi caratteristici dello statalismo. Fortunatamente, le imprese pubbliche si trovano a essere gestite, in genere, da buoni manager che consentono di ammorbidire il principio della pianificazione in un più moderato capitalismo manageriale di stato, che produrrà, inizialmente, buoni risultati. Nel giugno 1949, durante il terzo congresso della Dc, i dossettiani propongono la pianificazione dello sviluppo economico del Paese, che troverà la prima teorizzazione con Saraceno, nel 1948, e, successivamente con il ministro Ezio Vanoni nel 1954. Il documento pianificatorio di Vanoni prevede forti investimenti nell'edilizia popolare e nelle opere pubbliche, da realizzarsi attraverso le imprese di stato, interventi che si sommano a quelli attuati sulla base del documento Saraceno e cioè la riforma agraria e la costituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Il Parlamento, nel 1950, sconfiggendo il partito del notabilato meridionale, approva una legge che, come più importante provvedimento, prevede l'espropriazione di una parte dei grandi latifondi, quelli meno produttivi, e la relativa ridistribuzione ai contadini. La riforma agraria finanziata in parte dal Piano Marshall rappresenta il primo tentativo, nella storia d'Italia, di colpire la proprietà fondiaria assenteista, responsabile dell'immobilismo del Sud, e di favorire i contadini. Secondo Mack Smith fu «forse il più ardito tentativo di riforma agraria compiuto nei paesi non comunisti» . All'interno del sindacato unico, la Cgil, i contrasti, tra comunisti, socialisti, cattolici e repubblicani, sono aspri, la componente comunista sostiene che la situazione economica è in continuo peggioramento perché «adattata e subordinata alle esigenze dell'economia americana». L'unità sindacale si pezza, il 22 luglio '49 la CGIL si spacca e successivamente nascono la Cisl e la Uil.

I GOVERNI CENTRISTI (1953-1960) - De Gasperi, Pella, Fanfani, Scelba, Fanfani, Segni, Zoli, Segni, Tambroni, Fanfani

Gli anni cinquanta, anche se sono stati caratterizzati da una grande instabilità politica, con la contrastata transizione dai governi di coalizione a quelli centristi, sono anche quelli del miracolo economico, con tassi di crescita del reddito vicini al 6%, secondi nel mondo dopo il Giappone, e con tassi di crescita delle esportazioni, superiori al 10%. Inizia a essere evidente un fenomeno che caratterizzerà la storia economica del Paese; imprese e imprenditori sono vaccinati contro le turbolenze e i corporativismi della classe politica. Vengono bruciate le tappe, secondo un modello di sviluppo centrato sulla produzione di beni di consumo durevoli (negli anni '60 l'Italia è al primo posto in Europa nella produzione di frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie), sulla costruzione delle infrastrutture di base, sull'edilizia, sull'industria petrolchimica e sulla produzione dell'acciaio. Anche la politica monetaria è premiata, infatti, nel gennaio del 1960, il Financial Times attribuisce l'Oscar della moneta più stabile alla lira italiana. Inoltre fino a circa il 1965 il rapporto tra debito e Pil si mantiene sotto la soglia del 35%. Questo modello di sviluppo, dovuto a una felice combinazione di fatti in "circolo virtuoso", ha però in sé una crisi latente, esso infatti - a esclusione della chimica, che, con il premio nobel Giulio Natta, ci vede all'avanguardia nella produzione del polipropilene e dei polimeri pregiati - non riesce a sviluppare una endogena capacità di innovazione, in particolare, nella grande industria di stato. Cosicché, quasi compiuta la rincorsa ai paesi più industrializzati, quando alla fine degli anni sessanta si presenta una crisi economica mondiale, diversi settori industriali incontrano serie difficoltà a tenere il passo dei competitori esteri e cercano protezione tra le braccia dello stato. Enrico Mattei capostipite dei grand commis dell'industria pubblica, grazie agli ingenti utili derivanti dal monopolio del gas, finanzia partiti, correnti, giornali, uomini e corrompe tutto quanto può ostacolare la sua marcia. Con Mattei l'operazione di finanziamento clandestino dei partiti assunse proporzioni ciclopiche, e fu il punto di partenza della gigantesca corruzione che ha caratterizzato il sistema Italia fino ai giorni nostri. Da parte sua Mattei ammetteva «I partiti? Sono come i taxi. Li chiamo quando servono, perché mi portino dove voglio. Io pago la corsa!». Personalmente incorruttibile, fu uno dei maggiori corruttori della storia della Repubblica. Proprio perché l'Eni si identifica con Mattei, alla morte del suo ideatore, l'azienda perde slancio; i partiti si vendicano per essere stati considerati dei taxi e i democristiani, prima, e i socialisti, dopo, mettono il guinzaglio al cane a sei zampe. L'azienda perde di vista il proprio core business e diventa, lentamente, una “”corte dei miracoli, non per scelte industriali interne, ma per volontà dei partiti, un guazzabuglio di politica, intrighi e vecchi merletti””. Il miracolo economico degli anni cinquanta e sessanta è anche frutto di una politica sindacale moderata sul fronte delle rivendicazioni salariali: La moderazione all’interno delle fabbriche è compensata da un attivismo politico molto accentuato: I sindacati rappresentano infatti una potente cinghia di trasmissione della volontà dei partiti.

IL CENTRO-SINISTRA (1961-1976) - Fanfani, Leone, Moro, Leone, Rumor, Colombo, Andreotti, Rumor, Moro
LO STRAGISMO – LO STATO PARALLELO


Negli anni sessanta-settanta l'impresa pubblica conosce il massimo sviluppo in termini quantitativi e di legittimazione, ma incominciano ad essere erogati i cosiddetti “fondi di dotazione”; inizia il declino dell’impresa pubblica che da risorsa del paese diventa lentamente un problema. L'Iri svolge un ruolo da protagonista nella siderurgia, nei trasporti (linee aeree e autostrade), nella telefonia, nei settori bancario, minerario, della metallurgia primaria, del cemento, dell'elettronica. L'Eni, superata la crisi conseguente alla morte di Mattei, impone al Paese un modello di sviluppo basato sugli idrocarburi. Nel 1958 viene istituito l'Egam (Ente autonomo di gestione per le aziende minerarie), una sinecura della Dc veneta, che si rivelerà un pozzo di perdite senza fondo (non si è mai saputo quanto abbia succhiato dei fondi di dotazione, ma, la sua liquidazione nel 1977 costò 550 miliardi di lire), Nel 1962 viene creato l'Efim (Ente Partecipazioni e Finanziamento Industrie Manifatturiere) che si lancia in progetti industriali sempre più rischiosi e nei campi più disparati (nel 1990 arrivò a controllare più di 100 imprese). Nel 1971 nasce la Gepi (Gestione esercizio partecipazioni industriali) allo scopo di razionalizzare le azioni di salvataggio di aziende destinate al fallimento. …..Per non parlare degli enti per la gestione delle acque termali e per il cinema Nella gestione delle imprese pubbliche la logica imprenditoriale viene accantonata per privilegiare la logica spartitoria. Le imprese pubbliche si trovano a dipendere in maniera consistente dai trasferimenti pubblici. Se, negli anni '50, l'impresa pubblica aveva conseguito buoni risultati, il quadro cambia negli anni '60. Priva di strategie, nel periodo '63-'76, l'impresa pubblica perde, di fatto, la capacità di produrre profitti: i bilanci dell'Iri iniziano a segnare rosso nel ’63 (la siderurgia è fonte di perdite vertiginose), quelli dell’Eni nel ’69. Di converso, gli anni sessanta vedono un forte incremento della ricchezza prodotta dal settore produttivo privato, specie della piccola e media impresa, che, grazie agli elevati profitti e alla ridotta tassazione, dispone di mezzi propri per l'autofinanziamento; ne conseguono sensibili aumenti dei redditi; le performance del settore privato consentono di compensare le perdite del settore pubblico. Alla fine degli anni sessanta l'economia ha compiuto numerosi e duraturi progressi. In vent'anni il reddito è cresciuto più che in tutti i precedenti cento, la lira è una delle monete più forti del mondo, la bilancia commerciale registra un consistente avanzo, il numero di lavoratori agricoli è sceso a meno di quattro milioni. Zanussi, Ignis e Indesit primeggiano, in Europa, nel settore degli elettrodomestici, Olivetti è leader europeo per la fornitura di macchine d'ufficio, il settore turistico ha il maggior giro d'affari del mondo, l'industria automobilistica produce, nel 1967, un milione e mezzo di autovetture, la Montedison è una delle maggiori imprese chimiche d'Europa e, nel 1969, l'Italia dispone della maggior industria di raffinazione a livello europeo ed è uno dei maggiori produttori di energia elettrica da fonte nucleare. Inoltre, tra il '62 e il '74, l'incidenza delle esportazioni sul prodotto interno lordo passa dal 12 al 20%. Questo periodo sarà il più lungo in cui il saldo delle partite correnti con l'estero resta positivo. La storiografia economica fissa al 1964 la fine del miracolo economico. Esso, peraltro, non si esaurisce per morte naturale, ma alla sua conclusione contribuisce, in modo determinante, la stretta messa in atto, proprio nel 1964, per allentare la tensione sui prezzi manifestatasi tra la fine del '62 e il '64. L'inflazione è stroncata, ma la "cura da cavallo" cui è stata sottoposta l'economia del Paese interrompe un'espansione che ha avvicinato l'Italia alle economie dell'Europa occidentale. Una concausa della fine del grande periodo espansivo è stata la nazionalizzazione dell'energia elettrica del 1962; questa, infatti, si abbatte come un ciclone su un'economia ancora debole e in fase di strutturazione. I soldi degli indennizzi sono investiti in settori nei quali le ex aziende elettriche non sono competenti: ad esempio Edison e Sade investirono nella chimica, la Sme nell’alimentare. . Dopo gli aumenti salariali degli anni '69 - '70, va maturando una crisi economica che il primo shock petrolifero del ’73 rende manifesta.. Gradualmente, si evidenziano le prime incrinature; con incrementi dei prezzi dovuti alla rigidità delle grandi imprese, al costo delle materie prime e al costo del lavoro; l'inflazione inizia a radicarsi stabilmente (1973,10,8%; 74, 19,2%; 75, 17%: 76,17%: 77, 17%; 78, 17%; 79, 16%; 1980, 21,2%). In questo quadro, il secondo shock petrolifero del ‘79 sarà particolarmente duro e colpirà maggiormente, sia l'Italia, per l'acerbità del sistema produttivo che il Regno Unito per la sua obsolescenza. La crisi si abbatte sulle aziende pubbliche con effetti catastrofici. La flessione della domanda provoca perdite nei bilanci che diventano strutturali quando il management di stato e i politici che li proteggono teorizzano che è possibile produrre in perdita. Con la riduzione delle entrate fiscali aumentano i trasferimenti dello stato per coprire il disavanzo di bilancio: il risultato è che alla fine degli anni settanta il rapporto debito/pil ha raggiunto il valore del 66%.

IL COMPROMESSO STORICO (1977-1980) I GOVERNI DELLA SOLIDARIETA’ NAZIONALE - Andreotti, Cossiga – Omicidio Moro.

Come già viso, il quadro economico del Paese è sconvolto dalla crisi relativa allo shock petrolifero del ’79; la dipendenza della nostra economia dagli idrocarburi rivela tutto il suo costo e la sua pericolosità. Si tenta una programmazione industriale, ma alle chiacchiere non seguono i fatti se non nel salvataggio di industrie e banche in crisi. Nella politica di salvataggio viene coinvolta principalmente la chimica di base (Montedison, Sir e Liquichimica finiscono all'Eni), l'Efim persegue autonome politiche espansive creando gravi squilibri economici e finanziari, i fondi di dotazione rappresentano un peso insostenibile per i bilanci dello stato. L'intervento di sostegno alle imprese si caratterizza, quindi, per una forte componente "assistenziale" a società non più remunerative, in settori obsoleti. Le stime sui ritorni economici che sarebbero entrati nelle casse dello stato dalla nazionalizzazione del settore elettrico si rivelano utopistiche, anzi, anche l'Enel entra in una crisi finanziaria di tale gravità che impone, nel 1973, la costituzione di un fondo di dotazione. Il settore, in mano privata produceva "vergognosi" utili per gli azionisti, in mano pubblica produce "democratici" debiti a carico del Paese. A seguito della prima crisi petrolifera tutti i maggiori paesi industrializzati avviano politiche di diversificazione delle fonti energetiche, per ridurre la dipendenza dall'estero; l'Italia che è il Paese con la massima dipendenza tra tutti quelli industrializzati, vara una serie di piani energetici, che prevedono ambiziosi programmi nucleari. Ma tutto resta solo sulla carta. Il solo centro di potere, del Paese, che spinge per un "ritorno al capitalismo puro" è Mediobanca che tenta di rimettere in linea di navigazione «le due uniche corazzate di cui disponeva il nostro asfittico sistema imprenditoriale: Fiat e Montedison». I primi risultati Cuccia li ottiene a Torino; prima, in collaborazione con la Deutsche Bank, porta, nel 1976, agli Agnelli superindebitati 415 milioni di dollari di investitori libici, e, poi, suggerisce di affidare i pieni poteri della Fiat a Cesare Romiti cui viene affidato il compito di riportare ordine e produttività nelle fabbriche gestite tra lo strapotere del sindacato e l'inefficienza del management. Nel 1981, Mediobanca conduce in porto l'operazione "privatizzazione della Montedison", contando sull'appoggio di Mario Schimberni al quale è stato affidato, nella Montedison, lo stesso incarico di Romiti alla Fiat. Un gruppo di privati (Agnelli, Carlo Bonomi, Marzotto, Orlando, Pirelli) acquista, da Montedison, Gemina (una scatola vuota riempita delle quote Iri ed Eni di Montedison), che, con meno del 20% del capitale, diventa il socio di riferimento. Nel 1986 Raul Gardini, alla guida dell'impero dei Ferruzzi, si impossessa della Montedison e, da quel momento, iniziano, per il "corsaro di Ravenna", una serie di eventi negativi, che culmineranno con il fallimento di Enimont, la joint-venture pubblico-privato, lo scandalo delle tangenti e il disastro del gruppo Ferruzzi. Nel decennio degli anni settanta, nei paesi più industrializzati i modelli keynesiani dell'economia entrano in crisi e si affermano le teorie liberiste dei Chicago-boys che ispireranno le politiche di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Il centralismo economico e i "dinosauri" di stato hanno invece grandi estimatori in Italia, dove nell'indifferenza di un'opinione pubblica rassegnata e drogata da media compiacenti si realizza un colossale spreco di risorse umane e materiali che non ha uguali nel mondo. Il 14 ottobre 1980 migliaia di impiegati e quadri della Fiat scesero in piazza per protestare contro le violente forme di picchettaggio che impedivano loro di entrare in fabbrica a lavorare, da ormai 35 giorni. La manifestazione segnò un punto di svolta nelle relazioni sindacali: il sindacato capitolò e chiuse la vertenza con un accordo favorevole alla Fiat, iniziando una progressiva perdita di potere ed influenza che si protrasse non solo in Fiat ma nel paese.

I RAMPANTI ANNI OTTANTA (1981-1990) - Forlani, Spadolini, Fanfani, Craxi, Fanfani, Goria, De Mita, Andreotti
IL PENTAPARTITO Craxi Vs De Mita


Nel 1979, riesplode la tensione sui prezzi del petrolio a causa della rivoluzione in Iran. L'inflazione nel Paese supera il 20% e occorre un'altra dura recessione per riguadagnare la stabilità dei prezzi; la recessione '80 - '84 è assai più pesante di quella del periodo 73-76 e costa al Paese una forte perdita occupazionale. Nel frattempo la dipendenza energetica dall'estero è aumentata, nel 1987 gli idrocarburi coprono l'80% dei consumi di energia del Paese, cosicché, a seguito della seconda crisi petrolifera, le perdite di bilancio dell'Enel, nel 1982, arrivano a 2.200 miliardi. A partire dal 1985 si assiste ad un progressivo deterioramento dei saldi di finanza pubblica, con l'esplosione del debito; dal 1983 al 1991 il rapporto debito su Pil subisce un’impennata: 70,8; 76,3; 82,7; 86,5; 90,6; 92,9; 95,8; 97,2; 100,5. La pressione fiscale aumenta vertiginosamente (dal 1981 al 1991 dal 31.1% al 39,2% del Pil) la spesa corrente resta fuori controllo e gli interessi per pagare il debito pubblico innescano un pericoloso circolo vizioso. GLI ITALIANI VIVONO AL DI SOPRA DELLE PROPRIE POSSIBILITA’ DILAPIDANDO L’EREDITA’ LASCIATA DALLA GENERAZIONE DEL DOPOGUERRA. La gestione delle aziende pubbliche ha completamente perso di vista i criteri dell'efficienza e della competitività. Un altro elemento distorcente dell'economia è rappresentato dai trattamenti retributivi dei dipendenti delle aziende pubbliche: la difesa corporativa dei salari di queste aziende prevale sulla difesa dei milioni di italiani che pagano bollette (elettricità, gas, acqua, telefono) gonfiate a causa di trattamenti retributivi altamente superiori alla media e nessuno pensa di porre un limite allo scandalo di stipendi del 30 - 40% più alti degli stipendi delle aziende private. Si dovrà aspettare il 2010 per un serio tentativo di equiparare normativamente e contrattualmente dipendenti del pubblico impiego e dipendenti privati. Nell'arco di quarantacinque anni la struttura dell'economia italiana è cambiata profondamente, ma quello che avrebbe dovuto essere il punto di forza del capitalismo e cioè il rafforzamento della competitività ha subìto i cambiamenti meno significativi, quando non negativi. La grande impresa è rimasta debole e il sistema finanziario cristallizzato in un immobilismo patologico, cosicché, i vecchi limiti del capitalismo, dell'essere senza capitale, della scarsa attitudine a rischiare, dell'abitudine ad adagiarsi sull'investimento dello stato sono rimasti una costante della politica industriale italiana. Dalla crisi degli anni settanta alcune aziende hanno tratto la forza per un rilancio e una rigenerazione; le piccole e medie imprese, reinvestendo gli utili, sono state in grado di affrontare le sfide dell'innovazione tecnologica se non addirittura della diversificazione dell'area di business, la grande impresa, per lo più, ha visto, invece, aggravati tre aspetti: il rapporto industria-finanza, la cultura imprenditoriale, la struttura familiare. Negli anni ‘80 si verifica , inoltre, un’esplosione della corruzione a livello dei vertici della politica e la nascita di quel sottobosco di faccendieri, politici locali falliti e corrotti, malavitosi, che resisterà a tangentopoli e che ritroviamo anche oggi nella politica e nell’economia del Paese.

CROLLO DEL REGIME TARGATO CAF (1991-1993)
– Forlani, Amato, Ciampi
TANGENTOPOLI


Nel gennaio del '93, nasce il mercato unico. Le leggi comunitarie stabiliscono un limite agli interventi di sostegno dei singoli stati, cosicché il potere pubblico italiano non potrà più coprire le perdite delle imprese statali e, quindi, deve rinunciare a mantenere quella ridondante struttura parastatale che è sempre stata il perno del sistema clientelare e la causa principale del debito del Paese. Molti commentatori ed economisti dell’epoca prevedevano che l’Italia non sarebbe entrata nell’Euro tra i primi paesi, essi trascuravano il fatto che in Italia non è mai mancata la disponibilità a seguire una politica economica rigorosa; era necessario, però, che qualcuno gliene offrisse la possibilità e questa possibilità nasce dopo tangentopoli dalle ceneri del vecchio sistema. La cura da cavallo alla quale sono sottoposti gli italiani, tra il '92 e il '98, sortisce l'effetto voluto, e l'Italia, nel 1999, entra nell'Euro con i primi paesi. Giova ricordare che nel luglio 1992 si scatena una violenta speculazione sulla lira. Il 17 settembre 1992, la lira deve essere svalutata del 7% e successivamente deve uscire dal sistema monetario europeo; la lira, una volta uscita dal serpente monetario perderà fino al 30% del suo valore. In particolare Amato e Ciampi sono costretti a forti imposizioni su retribuzioni e patrimoni per cercare di contrastare il violento incremento del rapporto debito/Pil che nel 1994 raggiunge il massimo storico del 121,8%. Per avere un’idea del carico delle PPSS sul debito giova ricordare che nel 1991 gli apporti dello stato all'IRI, ammontano (a moneta 1990) a 41.776 miliardi, e che sull’Istituto grava un indebitamento di 55.000 miliardi di lire. Che la liquidazione dell’EFIM costa allo stato per il solo indebitamento 18.000 miliardi di lire. Non si può dimenticare che la Cassa del Mezzogiorno dal 1951 la 1992 ha drenato fondi per 279.000 miliardi di lire. Nell’agosto del 1992 Amato decide la trasformazione di tutte le aziende pubbliche in SPA e l’azzeramento di tutti i consigli di amministrazione; è questo il primo passo verso la privatizzazione delle PPSS. Il 7 febbraio 1992, nella cittadina olandese di Maastricht viene firmato il Trattato sull'Unione europea che da allora sarebbe stato conosciuto come Trattato di Maastricht. Il 1º gennaio 1999 nasce la Banca centrale europea (BCE)n che avrebbe coordinato la politica monetaria unica. Venivano distinte due ulteriori tappe: nella prima le moneta nazionali sarebbero continuate a circolare pur se legate irrevocabilmente a tassi fissi con il futuro Euro; nella seconda le monete nazionali sarebbero state sostituite dalla moneta unica. Per passare alla fase finale ciascun Paese avrebbe dovuto rispettare cinque parametri di convergenza: • Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%. • Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60% (Belgio e Italia furono esentati). • Tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi. • Tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio. • Permanenza negli ultimi 2 anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale Alcuni economisti previdero che con i vincoli del trattato l’Italia avrebbe avuto anni difficili. Un timore giustificato e che fu aggravato dall’accettazione di un cambio lira /euro insensato a causa del timore del presidente del consiglio Romano Prodi che francesi e tedeschi lasciassero la lira fuori dall’euro. La Bce ebbe come unica missione quella di combattere l’inflazione senza preoccuparsi dello sviluppo. Per anni l’Italia, anche prima della crisi del 2008 è stata praticamente ferma e senza uno sviluppo significativo dovendo competere con il fardello del debito pubblico più grave d’Europa. L’Italia era impreparata ad affrontare un regime di cambio fisso in Europa, il quale già di per se comportava una limitazione della crescita dopo anni di svalutazioni competitive della moneta. Se finora ho analizzato le disfunzioni del capitalismo di stato, posso affermare che anche il capitalismo privato ha sofferto e soffre di gravi carenze. Va innanzi tutto osservato che le grandi famiglie del capitalismo italiano si reggono su un «equilibrio sbilanciato», che consente un enorme potere di controllo a fronte di un modesto impegno patrimoniale, grazie all'utilizzo del meccanismo delle scatole cinesi. Questi «furbi», come li chiamava Luigi Einaudi, «sono più interessati al mantenimento di un potere di controllo, ma anche di immagine e presenzialismo sui media, che non all'aumento di valore delle aziende controllate». Ancora negli anni '90, con la tecnica dei controlli a cascata e incrociati i grandi gruppi familiari controllano senza mettere troppi quattrini: a esempio, De Benedetti controlla il suo gruppo con solo il 2% di reale possesso, mentre il possesso della famiglia Agnelli nel gruppo Fiat è pari al 6%. La Banca d'Italia effettua, negli anni, diverse ricerche sul sistema imprenditoriale del Paese e arriva sempre alla conclusione che «l'obiettivo prioritario e assoluto del capitalismo privato italiano è l'assicurare la persistenza del controllo familiare e la difesa da possibili scalate». Le aziende così blindate, al riparo da mani ostili, sono veri e propri oligopoli indifferenti alle leggi del mercato e della concorrenza. Il quadro del sistema economico italiano non è completo senza uno sguardo alle rovine di quella che si definisce la stampa italiana. I grandi giornali italiani non fanno capo a editori puri, ma a gruppi industriali; Stampa e Corriere, alla Fiat, Repubblica a De Benedetti, Il Giornale a Berlusconi, Il Tempo e Il Mattino ai Caltagirone, Il Sole24 Ore alla Confindustria.

L’ASSETTO POLITICO DAL 1994 al NUOVO MILLENNIO
– Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, Amato, Berlusconi

In tutto l'arco degli anni novanta il leitmotiv della cronaca economica italiana è stata scandita da due teoremi la new economy e le privatizzazioni Obiettivamente va osservato che un evento di sicura valenza degli anni novanta è l'estromissione dalle aziende di stato dei vecchi boirdi, espressione dei partiti, e la sostituzione con un nuovo management (Demattè, Bernabè, Cimoli, Tatò, Gros-Pietro, Passera, Spaventa, Visentini, Celli). Questo evento segna sicuramente una svolta, perché pone al nuovo management l'obbligo di eliminare il vincolo del "ruolo sociale" dell'impresa pubblica e di rendere efficienti aziende fondamentali per il sistema economico di qualunque Paese. Telecom. Le modalità della privatizzazione erano state decise dal governo Ciampi; il controllo della Telecom sarebbe dovuto passare a un nucleo stabile, a maggioranza italiana. L'altro fronte di attività, per Maccanico (ministro poste e tlc), è quello della costituzione di un'Authority unica per Tlc e Tv. Rai e Mediaset si mettono d’accordo per evitare ogni forma di interferenza sullo status quo. Il 3 novembre 1998, la lussemburghese Bell, controllata da un gruppo di bresciani, riuniti attorno a Emilio Gnutti e Roberto Colaninno, annuncia di avere il controllo di Olivetti con la quale avvia la scalata alla Telecom: alla resa dei conti gli azionisti si trovano, da una parte l'offerta di 117 miliardi dell'Olivetti, dall'altra la fusione con DT. Il 21 maggio gli investitori premiano Colaninno; a sorpresa Franco Bernabè esce sconfitto. Si concretizza il maggior takeover mai realizzato in Europa. Nel 1993 i gioielli del sistema bancario italiano, Comit e Credito Italiano vengono cedute a Mediobanca (mezza pubblica e mezza privata) per il cosiddetto piatto di lenticchie; in questa occasione Cuccia sconfigge un’altra volta Romano Prodi, che come Presidente dell’Iri aveva più volte tentato di farlo fuori. Sul versante delle Poste, la trasformazione dell'Ente in S.p.A., la scelta di Corrado Passera e l'utilizzo della rete di sportelli più diffusa sul territorio nazionale per entrare, a pieno titolo nel settore del credito, si rivela la strada giusta per rilanciare un "baraccone" alla mercé dei sindacati, dell'indisciplina e dell'inefficienza. Il 30 giugno 2000, segna la data dell'ultima assemblea dell'Iri. Se il contenitore Iri è stato posto in liquidazione, il tesoro ha ereditato, tra le più importanti, la proprietà della Rai, il controllo di Finmeccanica, la Finmare, la Fincantieri, la Tirrenia, l'Alitalia. Queste nuove società si aggiungono alle già controllate Enel, Eni, Ferrovie, Poste, Azienda tabacchi, Poligrafico e a una grande quantità di altre partecipazioni. A Iri, Efim, Egam, Gepi si sostituisce il Ministero del Tesoro la più ricca società conglomerata del pianeta. Fortunatamente la siderurgia di stato, un bubbone che nessun manager di stato era riuscito a sanare, trova acquirenti in grado di assorbirne anche i debiti. La disponibilità dei privati a farsi carico di rami d'azienda strutturalmente deficitari e delle loro 25 mila unità lavorative apparve temeraria, la perdita netta di tutte le imprese ammontava a 1.450 milioni di Euro nel '92, 2.745 nel '93, a 745 nel '94. Ma, dal '95 fino a tutto il 2000 quest'insieme di imprese presenta utili netti tra i 300 e i 600 milioni di Euro all'anno. Nel 1993 era stata realizzata la privatizzazione parziale di Finmeccanica, che controlla industrie aerospaziali, ferroviarie, energetiche, elettroniche, per un incasso di 11.022 miliardi, ma il Tesoro mantiene il 30% del capitale. Il processo di privatizzazione dell'Eni è bloccato, lo stato detiene, infatti, il 35,33% delle azioni. Nel novembre '99, il tesoro cede il 31,74% delle azioni dell'Enel (incassando 31.045 miliardi), mantenendo anche la golden share. In perenne perdita si trovano le Ferrovie dello stato, che dovranno fare anche i conti con l'avvio della liberalizzazione. Infatti la proprietà della rete delle Fs è stata scorporata dal servizio di trasporto passeggeri e merci e sono state già concesse le prime concessioni. Nel 2000, le perdite sono 2.650 miliardi; d'altra parte, la politica corporativa, portata avanti per anni, fa sì che un ferroviere guadagni il 68% in più di un edile, il 62% in più di un addetto al commercio, il 45% in più di un dipendente dell'industria; negli ultimi sette anni lo stato ha destinato alle Fs quasi centomila miliardi per offrire agli italiani un servizio che è ben lontano dallo standard europeo. L'Alitalia continua a dominare il trasporto aereo nel Paese, con una quota di mercato superiore al 70%; nessuna delle grandi compagnie estere è riuscita a sfidarla sui voli interni; il bilancio Alitalia 2001 chiude ancora con una perdita di 907 milioni di euro. Nella stessa disastrosa situazione dell'Alitalia si trovano Swiss Air e Sabena. La situazione non è diversa nel settore del trasporto marittimo, dove il volume dei sussidi concessi dallo stato ostacola l'ingresso di qualunque nuovo concorrente. Non va dimenticata l'industria delle scommesse, che con trentacinquemila miliardi di fatturato, figura al quinto posto dopo Eni, Telecom, Fiat e Montedison.. L'Ente tabacchi continua la sua vita grama, portando nelle casse dello stato, nel 1999, 7 miliardi di utili su un fatturato di 1.778 miliardi, il Poligrafico dello stato perde, nel 1999, 15 miliardi. Sulla Rai un colosso con ricavi per 4.911 miliardi, che, nonostante il canone, produce utili per soli 142,7 miliardi, è meglio non infierire. Di converso, con la Telecom Italia, completamente libera dall'abbraccio pubblico, abbiamo assistito alla definitiva caduta del monopolio telefonico. L'acceso confronto sul mercato ha procurato sensibili benefici ai consumatori; Cheli, presidente dell'autorità delle comunicazioni, ha stimato in 4.000 miliardi i risparmi ottenuti nel 1999 e ne ha previsti altri 6.500 miliardi entro il 2002. La spirale virtuosa della concorrenza ha dato i suoi frutti sul piano della riduzione dei prezzi, sul miglioramento della qualità dei servizi, sull'occupazione. Alla fine del 2000 Telecom figura al primo posto per capitalizzazione di borsa con 138.000 miliardi, al secondo posto troviamo Tim, con 120.000 miliardi (al terzo Eni, con 108.000 miliardi, poi Enel con 102.000 miliardi e Generali con 100.000 miliardi). Seat Pagine Gialle viene privatizzata, nel 1997, per 3200 miliardi. Una cordata capitanata dalla Edizione Holding, la finanziaria della famiglia Benetton, nell'ottobre '99, ottiene dall'Iri, per 5.000 miliardi, il 30% della società Autostrade, con 3.120 chilometri di rete autostradale, società che è stata completamente privatizzata attraverso un'offerta pubblica di vendita delle rimanenti azioni (per un incasso di 8.500 miliardi). Autostrade e Autogrill vengono vendute separatamente, ma il gruppo Benetton, alla guida delle cordate che hanno acquistate entrambe, comprende la straordinaria sinergia che può nascere dall'integrazione delle due società. Il gruppo Benetton entra anche nel business delle Grandi stazioni. Nel giugno del 2000, il 51,18% della società Aeroporti di Roma (AdR) è stato aggiudicato dall'Iri alla cordata Leonardo, guidata da Gemina di Cesare Romiti. Il risanamento dei conti pubblici segue il suo corso, eliminato l'inconveniente del ripianamento dei debiti delle aziende di stato, ridotti gli interessi da pagare sul debito, ridimensionato il meccanismo delle tangenti, nel 1999, il deficit del bilancio pubblico è pari all'1,9% del pil, il più basso dal 1961. Resta enorme il debito pubblico, nel 1999 è pari al 114,9% del pil; più basso del picco del 121,8% del 1994, ma pur sempre molto lontano da quel 60% richiesto dal trattato di Maastricht. Ci sarà una tendenza alla riduzione fino al 103,6% del 2004 per poi riprendere e superare ancora il 120% nel 2011. La crescita del pil continua a scendere 5,7% negli anni sessanta, 3,6% nei '70, 2,2% negli '80, 1,3% nei '90; nella classifica mondiale del pil pro capite, tra il '90 e il '99, siamo scesi dal 13° al 18° posto. Questo dato negativo è, anche, il risultato del basso tasso di partecipazione della popolazione alla forza lavoro: il 41,5% contro valori ampiamente superiori al 50% di tutti gli altri paesi industrializzati. Un elemento negativo resta la bassa competitività; secondo Business international ed Economist intelligence unit, l'Italia figura solo al ventitreesimo posto. In testa l'Olanda, seguita da Gran Bretagna e Stati Uniti.

IL PRIMO DECENNIO DEL 2000
– Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti


Negli ultimi dieci anni tutti i maggiori paesi industrializzati hanno visto crescere in modo esponenziale l’indebitamento delle famiglie, specialmente negli Usa. Debiti che sono stati contratti per comprare di tutto dalle case alle automobili, dagli elettrodomestici ai mobili, dalle vacanze all’abbigliamento. I consumi consentono alle imprese di ampliare le produzioni e le banche sono il motore di questa economia taroccata. Infatti, con il tempo è andata accumulandosi, nel pianeta, una massa impressionante di debiti. Banche e assicurazioni, nel timore che i debitori non possano onorare i loro impegni, utilizzano gli strumenti della "finanza creativa" scambiandosi l’un l’altra i rischi dei propri crediti e distribuendoli negli investimenti dei risparmiatori. Il mercato mobiliare statunitense registra, dal 1997 al 2006, un incremento dei prezzi impressionante: il prezzo delle abitazioni cresce del 125%. Dal 2007 il valore delle abitazioni inizia a diminuire: del 10% circa nel 2007 e del 15% nel 2008. Intanto, dal 2004 al 2006 la Federal Reserve, al fine di contenere l’inflazione, alza progressivamente il costo del denaro, portandolo dall’1 al 5,25%, facendo lievitare vistosamente gli interessi dei mutui. L’aumento delle rate e il forte calo del valore delle abitazioni mandano in crisi le famiglie americane indebitate. Prima quelle che hanno sottoscritto i mutui subprime, concessi ai clienti meno solvibili, poi le famiglie più abbienti. Le banche, inizialmente, non si rendono conto del’elevato grado di insolvenza dei mutui perché essi sono stati quasi tutti cartolarizzati, cioè impacchettai in obbligazioni (Asset backed securities, Abs) vendute a investitori istituzionali. Per diluire il rischio, gran parte di questi Abs sono stati, a loro volta, impacchettati in altre obbligazioni (i Collateralised debt obligations, Cdo). Quando scoppia la bolla immobiliare Usa tutti cercano di sbarazzarsi di Abs e di Cdo, i prezzi crollano anche più dell’80% e inizia a manifestarsi il panico nelle borse mondiali. Dopo la crisi di Abs e Cdo è la volta delle polizze usate dagli investitori per assicurarsi contro l’insolvenza delle obbligazioni, i Credit default swap (Cds). Posso ora illustrare, con un esempio, in dettaglio, il meccanismo della leva finanziaria che consentirebbe di fare moneta con la moneta. Supponiamo che Mr. Johnson abbai stipulato un mutuo da 100.000 dollari con la Banca 1; l’istituto di credito cartolarizza il credito che ha con Mr. Johnson e lo inserisce in un’Abs. L’obbligazione viene acquistata dalla Banca 2 che la inserisce in un Cdo che vende alla Banca 3, la Banca 3 vuole assicurarsi per il rischio di quell’obbligazione e si rivolge alla Banca 4 per una polizza per un eventuale default del Cdo, la Banca 4 utilizza un Cds per tale copertura. I 100.000 dollari di Mr. Johnson sono diventati, in breve tempo, 300.000 dollari con una sorta di gioco delle tre tavolette. Ma, dal momento che le obbligazioni sono sul mercato si attivano gli investimenti con altri derivati (forward, future, esotici, strutturati, interest rate swap) che possono portare la massa degli investimenti a venti-quaranta volte il valore degli iniziali 100.000 dollari. L'inconsapevole Mr. Johnson non avrebbe mai immaginato che l'acquisto della sua casa avrebbe innescato una sorta di reazione a catena nucleare i cui frammenti di fissione si sarebbero diffusi in tutto il sistema bancario mondiale. Il virus della sfiducia rapidamente si diffonde in tutto il pianeta e gli istituti di credito temono di essere contagiati dal virus dei crediti inesigibili; le banche europee non si fidano più l’una dell’altra e non si prestano soldi sul mercato interbancario, oppure lo fanno a tassi altissimi, con effetti negativi sui mutui ipotecari che, in Europa, sono legati all’Euribor, a sua volta legato proprio al tasso di interesse interbancario; partendo dalla crisi dei mutui americani si arriva, quindi, alla crisi dei mutui europei, e, conseguentemente, alla crisi del settore immobiliare di tutto il pianeta. Inizio della debacle. La mancanza di liquidità delle banche manda in crisi la banca d’affari usa Bear Stearns che viene salvata grazie a 30 miliardi di dollari messi a disposizione dalla Federal Reserve. Ma si tratta del primo segnale di una tempesta e di un pericoloso ritorno alle statalizzazioni. I mesi di settembre-ottobre 2008 passeranno alla storia statunitense per la drammaticità degli eventi finanziari. Il 7 settembre è annunciata la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, le finanziarie che controllano metà dei 12.000 miliardi di dollari di mutui statunitensi. Il 14 settembre 2008 fallisce la Banca d’Affari Lehman Brothers, schiacciata dai debiti, dai titoli del mercato immobiliare e dai derivati. La Federal Reserve non interviene nel salvataggio commettendo un errore; il fallimento dell’importante banca d’affari, infatti, trasforma le preoccupazioni in panico che spinge i risparmiatori a vendere tutto ciò che sia monetizzabile. Lo stesso giorno Merrill Lynch viene salvata dalla Bank of America che la acquista per 50 miliardi di dollari contro i 100 della capitalizzazione di pochi mesi prima. Il 16 settembre il segretario del tesoro Paulson, con un prestito da 85 miliardi di dollari, annuncia il salvataggio di Aig, la più grande compagnia di assicurazioni degli Usa, rovinata dalle speculazioni con i nuovi prodotti finanziari. Il 21 settembre le banche di investimento Goldman Sachs e Morgan Stanley ottengono l’approvazione della Federal Reserve a diventare banche ordinarie; possono, perciò, accedere anch’esse ai prestiti di emergenza della Fed e salvarsi dal fallimento. Il 25 settembre le autorità americane annunciano il fallimento della cassa di risparmio Washington Mutual, il maggiore della storia bancaria statunitense, e ordinano il trasferimento delle attività bancarie al gruppo Jp Morgan Chase. Il 28 settembre, Wachovia, la quarta banca statunitense, passa di mano a Wells Fargo. Il 29 settembre il gruppo bancario belga-olandese Fortis viene parzialmente nazionalizzato. Fortis è la prima grande banca di Eurolandia sulla quale si interviene per sottrarla dai colpi della crisi dei mercati internazionali. Il 3 ottobre democratici e repubblicani usa, pur occupati nella dura campagna elettorale, raggiungono un accordo per un piano da 850 miliardi di dollari che si somma alle iniziative già prese. I mercati non dànno fiducia al piano statunitense e si arriva al lunedì nero del 6 ottobre, una giornata borsistica delle più drammatiche di tutti i tempi. Parigi perde il 9,04%, Milano l’8,24%, Londra il 7,85%, Francoforte il 7,07%, New York il 3,86%; vengono bruciati, in 24 ore, 2.200 miliardi di dollari; gli indici toccano il minimo dal maggio 2003. L’8 ottobre Aig ottiene un nuovo prestito da 38 miliardi di dollari dalla Fed. La settimana dal 6 al 10 ottobre sarà ricordata come la peggiore dai tempi della grande depressione; alla fine della settimana si rileva che dal primo gennaio 2008 la borsa di Tokio perde il 51,77%, Milano il 51,64%, Parigi il 45,81%, Francoforte il 43,06%, New York il 42,55%, Londra il 40, 56%, portando a una perdita di valore complessiva di 25.000 miliardi di dollari. Gli investitori istituzionali, come i piccoli risparmiatori cercano sicurezza nell’unico porto sicuro, i titoli di stato, i cui rendimenti, peraltro, sono calati ai minimi storici sotto la spinta della domanda. Il 9 ottobre la Commissione Europea dà il via libera al piano di salvataggio del gruppo Dexia. L'11 novembre la Cina annuncia l'immissione di liquidità per 586 miliardi di dollari nel sistema bancario del paese. Il 14 novembre, Bank of Scotland annuncia il licenziamento di 3.000 dipendenti, nonostante il piano di sostegno varato dal governo britannico. Il 24 novembre il governo Usa inietta 20 miliardi di dollari in Citigroup, il colosso finanziario sull'orlo del fallimento. L'11 dicembre Bank of America, il primo istituto statunitense in termini di depositi e di capitalizzazione, annuncia di volere ridurre il proprio organico di 30-35 mila unità nel successivo triennio, non si esclude che la banca debba essere nazionalizzata. Il 12 dicembre viene scoperto il più grave scandalo della storia di Wall Street, Bernard Madoff, 70 anni, ex presidente del Nasdaq, viene arrestato con l’accusa di aver ideato una frode da 50 miliardi di dollari. Madoff ammette che il business della sua società di consulenza finanziaria era una «frode», e che «tutto era una grande menzogna»: si trattava, in sostanza, di un «gigantesco schema di Ponzi. Gli organi di controllo dove erano? I clienti di Madoff erano per lo più grandi istituti finanziari e investitori istituzionali, sui quali ricadranno le conseguenze delle truffa. Diverse banche in tutto il mondo dichiarano di essere esposte verso il fondo di Madoff sia direttamente, sia attraverso fondi da loro gestiti. L'industria del risparmio gestito, e, in particolare, quello dei fondi speculativi si basa sulla fiducia e sulla reputazione; ancora una volta il sistema finanziario usa, con i limitati controlli a cui questo settore è assoggettato ne esce a pezzi. Il 17 dicembre l'Opec, per rallentare la discesa del prezzo del barile, decide un taglio record di 2,2 milioni di barili al giorno. Con questo taglio, dunque, l'Opec ha ridotto la produzione di 4,2 milioni di barili dal settembre 2009: di converso il prezzo del petrolio raggiunge il 19 dicembre il minimo di 33$/barile. A fine dicembre, Commerzbank, seconda banca privata tedesca, vara una ricapitalizzazione, con fondi pubblici, da 10 miliardi. Si tratta della prima nazionalizzazione decisa in Germania a seguito della crisi finanziaria globale. Ai primi del 2009, a meno di tre mesi dall'ultimo salvataggio del settore, il premier Gordon Brown annuncia una serie di interventi per allentare la stretta creditizia e aiutare le banche britanniche a superare la fase più acuta della crisi. Londra concede al settore altri miliardi di sterline di aiuti – la cifra è impossibile da calcolare, ha detto il premier – ma con precise e rigide condizioni. Il tono rispetto a ottobre è cambiato: Brown ha parlato della sua "rabbia" per le "decisioni irresponsabili" prese dalle banche in passato e ha insistito sulla necessità di una più rigida regolamentazione del settore concordata a livello internazionale. Sotto i riflettori è soprattutto la Royal Bank of Scotland (Rbs). Il Governo aumenta la sua quota di Rbs dal 58 al 70 per cento. Barclays annuncia che non distribuirà dividendi e rivedrà i meccanismi di retribuzione del management. Ing, Direct. colosso bancario e assicurativo olandese nel quale il governo ha già iniettato liquidità in ottobre, stima di chiudere il 2008 con una perdita netta di circa 1 miliardo di euro e annuncia «severi passi per ridurre rischi e costi» che prevedono, per il 2009, il taglio di 7000 posti di lavoro. Ai primi di gennaio, Bank of America riceve 20 miliardi di dollari in aiuti diretti da parte del governo Usa, oltre a una garanzia per quasi 100 miliardi, per far fronte a perdite potenziali su attivi tossici. L'iniezione di capitale si aggiunge a quella precedente da 25 miliardi di dollari che Bank of America aveva ricevuto a ottobre 2008. L'ultimo salvataggio colloca Bank of America al primo posto, accanto a Citigroup, come beneficiaria di fondi pubblici negli Stati Uniti, dove il governo è impegnato ad arginare gli effetti sui bilanci bancari della crisi nata dalle insolvenze sui mutui. Sempre nel tentativo di offrire respiro agli istituti di credito, l'ente governativo Federal Deposit Insurance Corp ha preannunciato che proporrà l'allungamento da tre a dieci anni del periodo di scadenza del debito bancario che è disposto a garantire. Le banche, in cambio, dovranno concedere maggiori crediti ai consumatori. Perdite per 2,3 miliardi di euro nel solo quarto trimestre 2008 per Dexia. Sempre ai primi del 2009, anche Deutsche Bank annuncia una perdita netta record di 3,9 miliardi di euro per l'esercizio 2008. Il gruppo bancario e assicurativo olandese Ing ha registrato nel quarto trimestre 2008 una perdita netta di 3,7 miliardi di euro. Nel mese di dicembre Ing Group ha ricevuto 10 miliardi di euro come aiuto di stato dal Governo olandese per cercare di superare la crisi finanziaria. La compagnia riassicurativa elvetica Swiss Re, annuncia di attendersi una perdita netta per l'esercizio 2008 di 1 miliardo di franchi svizzeri. Le perdite annuali delle due principali banche svizzere, Ubs e Credit Suisse, raggiungono la cifra record di 29 miliardi di franchi svizzeri (19 miliardi di euro). Il Governo tedesco assume il controllo della banca immobiliare Hypo Real Estate, che si trova sull'orlo del fallimento. La maggiore banca francese per capitalizzazione, Bnp Paribas, ha riportato nel quarto trimestre 2008 una perdita netta di 1,37 miliardi di euro. Blackstone Group, il più grande fondo di private equity al mondo, ha segnato perdite per 827,1 milioni di dollari nel quarto trimestre del 2008. Anche per Warren Buffett, il 2008, è stato un anno terribile. La sua holding Berkshire Athaway, nell'ultimo trimestre del 2008 ha riportato un utile netto di 117 milioni di dollari, in calo del 96% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Il colosso bancario britannico Hsbc lancerà una nuova emissione azionaria per raccogliere capitali, mentre gli utili del 2008 sono scesi del 70%, mentre i cattivi debiti sono saliti a 24,9 miliardi di dollari. La banca francese Credit Agricole ha segnato nel 2008 un calo del 75% dell'utile netto consolidato. Il 2008 si chiude con una debacle per quasi tutte le banche mondiali e una serie di nazionalizzazioni totali o parziali. Il mercato dei Credit default swap (Cds), le polizze che servono ad assicurarsi contro il default delle obbligazioni nel 1999, praticamente, non esiste. Nel 2001 la prima stima parla di 630 miliardi di dollari, poi la crescita diventa esponenziale, nel dicembre 2007, hanno raggiunto la cifra di 55.000 miliardi di dollari, più del Pil di tutto il pianeta; come è noto ne sono contagiate anche le amministrazioni di molti comuni italiani. I Cds sono venduti in mercati al di fuori delle Borse regolamentate, non solo da piccole e grandi banche, ma anche dagli hedge fund e da speculatori improvvisati. Se ai Cds si sommano tutti gli altri prodotti derivati si arriva alla somma di 531.000 miliardi di dollari, dieci volte il Pil del pianeta. Giova notare che gran parte di questi titoli tossici sono "nascosti", in parte, nei cosiddetti paradisi fiscali, pertanto la loro quantificazione non sarà mai precisamente conosciuta. La nota dolente di questo fatto è che in questi cosiddetti "paradisi" sono presenti quasi tutte le principali banche mondiali; solo City Group, la più grande del mondo, ha qualcosa come 427 banche controllate nei paradisi fiscali di tutto il pianeta. Il governatore di Bankitalia dall’inizio della crisi ha sempre sostenuto che la capitalizzazione delle banche italiane era buona, eppure anche le nostre maggiori banche non hanno retto l’ondata della crisi e sono state investite da una pioggia di vendite. La particolarità delle tre maggiori banche UniCredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi è che la crisi finanziaria le ha trovate nel mezzo del guado di grandi fusioni. Unicredit dopo la fusione con Capitalia e le acquisizioni nell’Europa dell’Est e di quote di Bank Austria si ritrova, all’inizio della crisi, con un Core Tier 1 (misura della solidità patrimoniale di una banca) del 5,5%, contro la soglia di sicurezza del 6% e pertanto in una posizione di estrema debolezza. Le azioni Unicredit segnano, il 10 ottobre, un calo di ben il 70% dai massimi dell’aprile 2007. La banca, con il sostegno di Mediobanca, avvia un piano di patrimonializzazione. Intesa Sanpaolo, a maggio 2008 decide, dopo la fusione, di premiare la fedeltà degli azionisti con una maxi-cedola da 4,8 miliardi di euro e il suo Core Tier 1 scende al 5,7%, trovandola impreparata a sostenere l’urto della crisi. Monte dei Paschi nel novembre 2007 acquista la Banca Antonveneta per 9 miliardi di euro e, nonostante un aumento di capitale di 5 miliardi, la banca si trova ad affrontare la crisi con un modesto Core Tier 1 del 5,1%. Nonostante le difficoltà incontrate dalle tre maggiori banche italiane, giova notare che il sistema bancario italiano ha mostrato, nell'insieme, una certa solidità; l'Italia è uno dei pochi paesi nei quali lo stato non è dovuto intervenire per ricapitalizzare una banca; la prudenza del sistema bancario, che è stata più volte considerata una colpa o tacciata di provincialismo, questa volta si è rivelata provvidenziale. Dopo gli attacchi speculativi contro Grecia, Portogallo e Irlanda, nel mese di aprile 2011, iniziano a vedersi primi accenni speculativi contro l’Italia. In tutto il mondo si delinea chiaramente la necessità di far cessare il sostegno straordinario fornito nell'ultimo triennio alle economie dai bilanci pubblici. L'incidenza sul prodotto dei debiti pubblici nei paesi avanzati è aumentata di quasi un quarto ed è insostenibile; i programmi di medio termine di molti governi sono già orientati alla riduzione degli squilibri». Le banche italiane sono quotidianamente colpite da una borsa ribassista, ma il problema delle banche italiane è rappresentato dalla stato italiano che è ritenuto a rischio e gli istituti finanziari hanno in pancia una montagna di titoli di stato. Nell'ultima emissione i Btp sono stati offerti con uno spread di 244 punti base rispetto ai bund tedeschi e ciò non avveniva da anni. Le tensioni sui mercati sono destinate ad aumentare e, nella sostanza, tutto il mondo si sta preparando a uno shock peggiore di quello causato dal fallimento della Lehman: l'insolvenza di uno Stato dell'Eurogruppo. Nel mese di agosto si sviluppa nei mercati mondiali una poderosa speculazione su quasi tutte le borse; essa colpisce alla cieca e ha una ragione precisa. Quando negli ultimi mesi del 2007 è partita la crisi, i paesi più industrializzati stavano incubando due virus: una montagna di titoli tossici ed enormi stock di debito privato. Dopo tre anni e mezzo gran parte dei titoli tossici e del debito privato si è trasferito nel debito pubblico; è cambiato il nome degli addendi ma il risultato non cambia. L'immenso debito, che è stato creato per poter vivere al di sopra delle singole possibilità, resta. L'unica soluzione è adottare provvedimenti che vadano nella direzione di ridurre il debito. Intanto il mercato spara, in Europa, all’animale più grosso (in termini di debito pubblico), all’Italia. L'esecutivo, sollecitato dalla Bce, che sta acquistando titoli di stato italiani, ha adottato provvedimenti urgenti con la cosiddetta manovra di ferragosto da 45 miliardi, ma i maggiori quotidiani, la Confindustria e l’opposizione chiedono a gran voce le dimissioni di Berlusconi. Il 20 settembre Standard and Poor's annuncia la decisione di tagliare di un gradino il voto sul debito pubblico italiano. Le prospettive future per l'Italia, spiega l'agenzia americana, sono, inoltre negative. Il 5 ottobre anche Moody’s declassa il debito sovrano dell'Italia. «Sono Italia e Grecia ad aggravare la crisi dell'eurozona e spetta a questi due Paesi fare quello che va fatto, e assumersi le proprie responsabilità. … L'Eurozona è pronta a tendere una mano all'Italia ma gli aiuti non arriveranno se l'Italia non sarà pronta ad assumersi le proprie responsabilità». È questo il messaggio inviato al governo italiano dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, nel corso di una conferenza stampa successiva ad incontri sulla crisi dell'euro. Il 27 ottobre il governo italiano risponde all’UE con una lettera che illustra i provvedimenti in atto per arrestare la speculazione sull’Italia. Ma questa non si ferma e, in novembre, il differenziale tra Btp e Bund tedeschi supera la soglia dei 500 punti base, diffondendo un motivato panico, perché se salgono gli interessi sale anche il debito in un circolo che vizioso che porta al default; tutti chiedono a gran voce le dimissioni del governo, alcuni politici arrivano ad affermare che senza Berlusconi lo spread calerebbe di 200-300 punti base in pochi giorni, alcuni economisti ammiccano consenzienti. Il 12 novembre, anche per le forti pressioni di Napolitano, il premier, con il Pdl in profonda crisi, rassegna le dimissioni e l’incarico, per un governo tecnico da larghe intese, viene affidato al Presidente della Bocconi e nipote del grande banchiere Raffaele Mattioli, Mario Monti, nominato il nove novembre senatore a vita. Il 16 novembre nasce ufficialmente il governo Monti, costituito solo da tecnici. Il 17 e 18 novembre il governo ottiene la fiducia a Senato e Camera da parte di tutti i partiti ad eccezione della Lega. Il 23 dicembre il Parlamento approva il decreto “salva Italia”; la manovra vale 35 miliardi di euro tra il 2012 e il 2014, e si aggiunge agli interventi varati dal governo Berlusconi, portando l'entità della correzione dei conti a una cifra astronomica, una dimensione almeno doppia rispetto alla maxi manovra da 90 mila miliardi di lire varata dal governo Amato nel 1992; con queste manovre si aggrava, però, lo strangolamento fiscale del Paese, che risulta ora il più tassato d’Europa e lo spread tra Btp e Bund viaggia sempre attorno ai 400 punti base. Il problema è che all’estero sono poco sensibili ai viaggi del premier Monti; gli ambienti finanziari conoscono molto bene i dati strutturali del Paese. Un PA che assorbe il 52% del Pil, corruzione e pratiche mafiose all’ordine del giorno, instabilità dei governi, una giustizia che non funziona, un livello di fiscalità inaccettabile, una bassa competitività delle imprese, gli indici delle libertà economiche in costante discesa. Riassumendo: le banche dopo aver commesso dei crimini finanziari drogando i mercati con titoli spazzatura culminati nel tracollo finanziario di questi anni, sono state premiate ottenendo dalla Federal Reserve 7.700 miliardi di dollari tra il 2007 e il 2011 e da Fmi e Bce 2mila miliardi di dollari nello stesso biennio. Se consideriamo i costi umani, questa guerra finanziaria globalizzata ha causato la perdita del posto di lavoro a 30 milioni di persone nel mondo.Il mio commento conclusivo si rifa alla teoria economica di Joseph Shumpeter. Secondo l'economista austraico, «Ogni produzione consiste nel combinare materiali e forze che si trovano alla nostra portata. Produrre altre cose o le stesse cose in maniera differente, significa combinare queste cose e queste forze in maniera diversa» In un'ipotetica economia basata sul modello statico, i beni vengono prodotti e venduti secondo la mutevole domanda dei consumatori, ma i prodotti scambiati rimangono sempre gli stessi e le strutture economiche non mutano. Schumpeter fa notare che questo modello di economia non corrisponde alla realtà e lo supera con il ben noto approccio "dinamico", in cui l'imprenditore, sfrutta le innovazioni tecnologiche, che il mercato della scienza e della tecnologia gli offre, introduce nuovi prodotti, apre nuovi mercati e cambia le modalità organizzative della produzione. La teoria delle innovazioni consente a Schumpeter di spiegare l'alternarsi, nel ciclo economico, di fasi espansive e recessive. Le innovazioni, infatti, non vengono introdotte in misura costante, ma si concentrano in alcuni periodi di tempo - che, per questo, sono caratterizzati da una forte espansione - a cui seguono le recessioni, in cui l'economia rientra nell'equilibrio di flusso circolare. Un equilibrio però, non uguale a quello precedente, ma mutato dall'innovazione. Le fasi di trasformazione sotto la spinta di innovazioni maggiori vengono definite da Schumpeter di "distruzione creatrice", alludendo al drastico processo selettivo che le contraddistingue, nel quale molte imprese spariscono, altre ne nascono, e altre si rafforzano. Seguendo il filo logico della teoria shumpeteriana possiamo ritenere che al termine della crisi esisteranno altri prodotti e altri mercati, che molte imprese saranno decedute, che molte saranno nate e, considerando le basse capitalizzazioni di quasi tutte le medie e grandi imprese che molte di esse si troveranno ad avere nuovi "padroni", A esempio, già il 19 gennaio 2009 Fiat acquisisce il 35 per cento di Chrysler senza sborsare un euro. I primi dati approssimativi dicono che nel solo 2008 gli stati, tra salvataggi, nazionalizzazioni e garanzie, abbiano bruciato più di 1.500 miliardi di dollari, molto più di quanto gli stessi stati abbiano incassato negli ultimi 20 anni dalle privatizzazioni, "lo stato si sta ricomperando il mondo" dice qualcuno. E', pertanto, evidente che da questa "distruzione creatrice" nascerà un nuovo mondo economico. Nel frattempo i produttori di cioccolata e di gomme da masticare hanno avuto un'impennata di vendite e di utili; in tempi di crisi la gente preferisce masticare doce piuttosto che amaro. Gli episodi citati in questo capitolo sono ancora oggetto dell'informazione politica ed economica e non possono ancora ritenersi maturi per una trattazione storica. Peraltro quanto raccontato di più di cinquant'anni di vita del nostro Paese ritengo sia più che sufficiente per conseguire l'obiettivo di questo libro. Mostrare, cioè, che per fattori endogeni ed esterni i grandi dinosauri politici, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il Partito Comunista Italiano e i dinosauri minori come il Partito Liberale Italiano, il Partito Social Democratico Italiano, il Partito Repubblicano Italiano, nell’arco di una decina d’anni siano scomparsi uccisi dalla mancanza del cibo che li manteneva in vita: il consociativismo, la contrapposizione ideologica tra comunismo e capitalismo e la contrapposizione militare tra i blocchi. Contestualmente sono scomparsi i dinosauri economici delle cosiddette “partecipazioni statali”: l’Iri, l’Eni, l’Enel, l’Egam, l’Efim, la Gepi, la Sip,la cui privatizzazione è stata imposta all’Italia da condizioni interne (tangentopoli, Forza Italia, Lega) ed esterne (Unione Europea, Unione Monetaria, concorrenza). Fortunatamente per il nostro paese la scomparsa del sistema delle partecipazioni statali, che ingessava il nostro sistema economico, ha consentito all’Italia di passare quasi indenne attraverso il mare in tempesta della grave crisi economica mondiale. L’ultimo grande dinosauro italiano, quello più duro a morire, è stato il Sindacato; la granitica e trina Triplice è stata sgretolata, gli accordi programmatici tra le cooperative rosse e quelle bianche e con le ultime battagliee perse dalla Fiom centrale contestata e inascoltata dalle stesse organizzazioni territoriali, anche quest’ultimo retaggio della lotta di classe e dell’ideologismo è stato ridimensionato e rifiutato dal pianeta Italia.

Tratto da
Eugenio Caruso
L'estinzione dei dinosauri di stato
Mind Editore

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