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Considerazioni di Oscar Giannino sulla crisi dell'euro

Attenti a credere che la Germania paghi tutto, per una volta rileggiamo Keynes. E attento Monti a non fare come Schumpeter, ministro “tecnico” delle Finanze nell’Austria del 1919 gravata dal debito pubblico: propose tasse e patrimoniale, e finì travolto lui col suo Paese. Tra le pistolettate. Dissociate. Scisse. In armi l’una contro l’altra. L’Europa reale e l’Europa del male. L’economia reale di imprese e famiglie da una parte e quella dei soloni pubblici – governi e regolatori, ma anche sistema del credito e banche centrali – sembrano correre in direzione opposta. Ma sullo stesso binario. O si trova lo scambio giusto, nel poco tempo rimasto, oppure lo scontro e l’esplosione dell’euro sarà ancora più sanguinoso del suo doloroso preavviso, che si dipana da due anni e mezzo.
In Grecia, in Spagna, in Portogallo, in Italia. Quando 11 milioni di soli giovani sono senza lavoro, uno su due in Grecia e Spagna e uno su tre in Italia, quando da noi supera ormai le mille unità al mese il numero di aziende fallite, i tempi lenti e gli esiti inconcludenti dell’europolitica e l’autotutela del sistema bancario sono come due lame di una forbice. Che si chiude implacabilmente, trinciando continuità e sostenibilità di reddito e patrimonio di famiglie e imprese. E che scatena scenari politici sempre più fuori controllo, tra esasperazione e protesta. Senza che sia più facile distinguere.
Perché se assalti e pacchi bomba a Equitalia e spari ai manager del nucleare sono atti criminali di pazzi pericolosi da arrestare, la protesta di massa contro lo Stato italiano ladro che prende e non paga è invece e assolutamente non solo comprensibile, ma sacrosanta. L’intera filiera dell’edilizia italiana ha appena deciso di portare lo Stato alla sbarra, di chiedere ai tribunali i decreti ingiuntivi contro il presunto custode della legalità che si è fatto invece bandito da strada. E’ la giusta risposta a uno Stato ladro. Ma intanto la politica e i regolatori pubblici non capiscono, che la risposta a mezza Europa che esplode nella protesta deve avere tempi rapidi, per essere efficace. Innanzitutto, il bradipo pubblico sta in Europa. E attenti a sbagliare il calcolo, su quello che può pagare o non pagare la Germania. È un problema su cui l’Europa ha più volte sbattuto contro il muro la testa. E non solo quella.

“Nell’Europa continentale la terra trema, e nessuno sembra accorgersi del brontolio. Non è solo una questione di sperpero delle risorse, o di ‘problemi del lavoro’; è una questione di vita e di morte, di fame e di sopravvivenza, nonché delle spaventose convulsioni di una civiltà in agonia… Noi tendiamo a considerare anche i più singolari e temporanei dei nostri più recenti avanzamenti come un fatto naturale, permanente, e a dipenderne, e a fare progetti, di conseguenza. Su tali fondamenta false e sabbiose costruiamo i nostri progetti di miglioramento sociale e prepariamo le nostre piattaforme politiche, inseguiamo le nostre animosità e le nostre ambizioni individuali, e ancora pensiamo di avere sufficienti margini di manovra per alimentare, non per placare, il conflitto civile in senso alla famiglia europea”.

Sono parole scritte nell’estate del 1919, mentre si firmava il Trattato di Pace di Versailles. Le scriveva John Maynard Keynes, nel suo libro migliore e l’unico profetico, Conseguenze economiche della pace. Avrebbero fatto bene a prestare fede a quel suo unico libro allora, invece di sopravvalutare tutto quanto scrisse dopo. Ma anche allora, a far commettere un gravissimo errore che riavvampò l’Europa per 25 anni, fu un calcolo sbagliato su quello che la Germania avrebbe potuto o meno pagare. Allora, il problema erano le riparazioni postbelliche, dovute alle Quattro potenze vincitrici del primo conflitto mondiale. Oggi, la questione è che cosa la Germania sia disposta a pagare per tenere in piedi l’euro. Keynes vide bene allora ma rimase inascoltato: la Germania si sarebbe sottratta a quelle condizioni capestro, e sarebbe stato un disastro per tutti.
Oggi, il rischio è diverso ma insieme uguale. Non rischiamo la guerra con i tedeschi che sfilano sotto l’Arco di Trionfo. Rischiamo tuttavia una spirale da film del terrore. La Grecia che va a nuove elezioni a giugno pensa di poter ricattare la Germania col grande botto per tutti in cui si risolverebbe la sua uscita dall’euro, se non le allentiamo il collare del troppo rigore. Milioni di greci perderebbero tra il 50 e il 65% di quello che hanno, in termini reali, ma anche per il resto d’Europa fuga dei capitali, blocco dei pagamenti ed esplosione delle bombe negli asset bancari spagnoli e a seguire sarebbero nuovi milioni di disoccupati in più. Riusciranno Hollande, Merkel e Monti a capire che la difesa dell’euro che dichiarano a parole deve contemperare un meccanismo davvero cooperativo da affiancare al rigore, che non passi per la via “i tedeschi pagano per tutti”? Altrimenti, dal ricatto greco si sprigioneranno aspidi e colùbri. I popoli seguono l’antipolitica di chi dice no al rigore, da destra e da sinistra. E sfacciatamente alle obese macchine pubbliche europee la cosa fa un sinistro piacere.
Il bradipo sta nei regolatori bancari. E’ vero, il sistema italiano del credito non se la passa affatto bene. I 270 miliardi che ha portato a casa dal trilione e rotti di euro offerti al mercato a tasso negativo per un triennio da Draghi e dalla sua Bce, servono a malapena a coprire le proprie obbligazioni bancarie in scadenza nell’anno. Nel 2012, la redditività del credito – il Roe – tende a zero e il cost-income sfiora e supera il 70%. E per di più Bankitalia ha chiesto alle banche di riprendere a comprare titoli del debito pubblico, al ritmo di 27-32 miliardi al mese: scelta sbagliata, perché dovendoli valutare nel conto patrimoniale a valore di mercato, con lo spread che risale significa solo bloccare patrimonio a riserva, distogliendolo dal credito a imprese e famiglie che infatti è desertificato. Leggere gli utili trimestrali comunicati dai due grandi istituti italiani fa imbizzarrire le imprese. Come le fa impazzire che, nel provvedimento proposto da Passera per avviare a pagamento una piccola goccia del debito commerciale che lo Stato deve alle imprese si garantiscano le banche tramite fondo di garanzia, mentre le aziende restano esposte loro al rientro bancario, se lo Stato non paga come sinora non ha pagato. Un’altra strada è praticabile, come ho centro volte spiegato, senza creare debito pubblico aggiuntivo tramite Cassa Depositi e Prestiti, e senza lasciare le imprese esposte alle banche, perché in quel caso le aziende non sono riabilitate all’esercizio del castelletto bancario col quale scontavano il circolante in tempo ordinari.
Il bradipo sta infine nel governo Monti. Pochi ricordano che Joseph Schumpeter, il geniale teorico della distruzione creatrice d’impresa, resse per qualche mese nel 1919 da ministro “tecnico” le Finanze nell’Austria, travolto l’Impero di Francesco Giuseppe. Lo Stato austriaco non aveva di che pagare. E la scelta era come fare, rispetto all’oceano di debiti pubblici e di guerra. Ci sono solo cinque modi per farlo, disse Schumpeter. Il primo è ripudiarli, come fece Lenin nel 1918, e avrebbe poi fatto Hitler nel 38. E come ripetono oggi in tanti: funziona però solo se hai in mente di ritirare il tuo Paese dal mercato mondiale per molti anni, e Lenin infatti di Impero voleva solo quello rosso, zio Adolf quello Nero. Il secondo modo è un disconoscimento di fatto, ricontrattandone interessi, scadenza e restituzione del capitale: come ha già fatto la Grecia, e non le è bastato. Il terzo è di abbatterne il valore reale con un’inflazione mostruosa: l’Italia l’ha fatto per anni, e si è ritrovata in ginocchio, due volte peggio di prima. Il quarto è una crescita economica a razzo, che aumenti il Pil. Il quinto, infine, è abbassare la testa e pagare, a qualunque costo, alzando le tasse anche se sono già a livelli rapinosamente record, ammazzando impresa e lavoro. Shumpeter scelse la quinta strada. In un’Austria in ginocchio e bloccata da scioperi e pistolettate, propose la maxipatrimoniale sui ricchi. Fu travolto in poche settimane. E l’Austria dopo qualche anno finì al Terzo Reich. Ci pensi, Monti. Per evitare il cozzo tra l’Europa reale e l’Europa del male bisogna che non sbagli a Bruxelles. Ma bisogna che cambi comunque marcia in Italia, ci sia l’euro oppure no. Per crescere bisogna vendere i mattoni pubblici per abbattere il debito dello Stato, tagliare 100 miliardi di spesa corrente per meno tasse. In tre anni, ma da subito. Spero Monti non pensi di esser migliore di Schumpeter. Perché altrimenti la fine è quella. Se a un cavallo stremato da vent’anni come l’Italia dai di frusta e speroni come fosse in corsa e salute, non hai curato il cavallo. Lo hai ucciso. Tratto da CHICAGO-BLOG di Oscar Giannino



Tratto da

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www.impresaoggi.com