Autorità, cari Amici e Colleghi, Signore e Signori, benvenuti alla nostra Assemblea annuale. Saluto i Presidenti delle Confederazioni con le quali condividiamo la fruttuosa esperienza di Rete Imprese Italia: Casartigiani, Confcommercio, Confesercenti, CNA. Rivolgo al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il profondo ringraziamento di Confartigianato per le sue parole che ci spronano in un momento così difficile in cui tutti dobbiamo saper dare prova di responsabilità e di coraggio. Responsabilità e coraggio sono virtù preziose che noi imprenditori conosciamo bene e pratichiamo. Coraggio e responsabilità le sta mostrando la popolazione emiliana così duramente provata dal terremoto che ha colpito una delle aree del Paese dove le imprese lavorano più intensamente per resistere alla crisi e dove l’impresa artigiana conta più di centomila addetti. Responsabilità e coraggio, dicevo, sono doti che oggi tutti dobbiamo custodire con cura per non perdere la speranza nel futuro delle nostre aziende e dell’Italia. Viviamo una crisi economica e sociale che fa vacillare le certezze, che si diffonde generando depressione e disorientamento negli imprenditori, nei lavoratori, nelle famiglie. E quando il disagio e la fragilità si tramutano in gesti estremi, come troppo spesso accade in questi mesi, è una sconfitta per tutto il Paese. La crisi economica si trasforma in crisi sociale e la crisi sociale in crisi del singolo imprenditore, lavoratore, padre di famiglia, in una epidemia di negatività che chiama con forza la necessità di attenzione, di ascolto e di riferimenti certi: economici, ma anche sociali e di solidarietà. Ma non possiamo, non vogliamo arrenderci!
Noi ci battiamo in tutte le sedi per offrire agli imprenditori le ragioni e le opportunità per resistere, per reagire allo smarrimento. Nessuna crisi può giustificare la perdita di fiducia in noi stessi e nello Stato, nella comunità in cui tutti ci riconosciamo e dobbiamo continuare a riconoscerci. Per questo oggi siamo qui a dire che si devono ricostruire i pilastri che collegano il “pavimento” dell'economia reale con il “tetto” dei decisori nazionali ed internazionali. Purtroppo, in questi tempi, una politica in stand by non riesce a creare le connessioni necessarie tra le persone – che soffrono sotto il peso della crisi e degli oneri del risanamento – e le scelte di governo che appaiono sempre più generate dalle istanze della finanza internazionale. Una politica che abdica al proprio ruolo condanna il Paese al vuoto di prospettiva. Abbiamo bisogno, invece, di una politica fatta con passione, abbiamo bisogno di una classe dirigente motivata e preparata, che ascolti le persone e si faccia carico dei loro problemi. Oggi siamo qui a portare la voce di milioni di imprenditori, delle loro famiglie, dei loro dipendenti: è questo il Paese reale, composto da gente reale e non dai banchieri di Londra, Francoforte o Wall Street. Noi non rinunciamo a rappresentare le istanze dell'impresa. E a coloro che hanno il compito di governare il Paese, alle forze politiche, dico: ascoltate la nostra voce! I nostri imprenditori, le persone che noi rappresentiamo e che rappresentano il Paese che combatte ogni giorno per ripartire e riprendere a crescere, dicono che la misura è colma, che dobbiamo reagire con forza alla “sindrome del declino” che sta pervadendo la nostra Italia. Dobbiamo anche reagire al pensiero di non poter fare nulla per ridare il primato all'economia reale rispetto ai poteri finanziari sovranazionali. Proprio perché è vero che le borse in poche ore possono “bruciare” un patrimonio produttivo costruito con anni di fatica e sacrifici, si devono ricostituire le connessioni tra l’economia reale e la finanza, quelle strutture verticali, quei pilastri di cui dicevo prima, perché si riprenda quel circuito di alimentazione reciproca che negli ultimi anni ha perso la sua essenza e fallito i suoi obiettivi. A questo proposito, è fondamentale il ruolo che ha finora giocato e potrà giocare nel futuro l’Europa, sia intesa come Istituzioni dell’Unione, sia come singoli Stati. Siamo infatti convinti europeisti, e proprio per questo non possiamo accettare supinamente decisioni distanti anni luce dagli interessi dell’economia italiana e che invece la condizionano pesantemente. Dobbiamo essere consapevoli che la trasformazione in corso nella società e nell’economia mondiale ha dei tratti completamente nuovi e che non possiamo ancora interamente comprendere ciò che cambia sotto i nostri occhi. Per molti decenni, nell’analisi storico-economica si era pensato alla crescita mondiale come a un processo convergente verso un unico modello. Invece ora il panorama è estremamente frammentato, a geometrie variabili, mobili, sovrapponibili rapidamente nel loro comporsi. Anche il declino economico e politico dell’Europa, accompagnato dalla sua crisi demografica, non è omogeneo e diverge dalla crescita impetuosa dell'area asiatica che pure è molto differenziata socialmente ed economicamente.
È solo in questo più ampio contesto che la crisi dell’Euro appare per ciò che è: un’incompiuta convergenza verso l’unità politica dell‘Europa. Un’Europa che non deve essere un “ufficio complicazione affari semplici”, con una burocrazia che moltiplica invece di semplificare, ma un’Europa che abbia rappresentatività di Parlamento, efficacia di Governo e soprattutto utilità di azione. Noi pensiamo che solo così potrà essere superata la crisi dell’euro: dando cioè alla moneta unica ed alla Banca che la governa il senso politico che deve derivare dall’essere espressione dell’Europa dei Popoli, in nome della solidarietà e del bene comune del nostro continente. Per questo la Grecia non deve uscire dall’Euro: per un motivo politico prima che economico.
Via dunque alle azioni per la crescita ed a governi che costruiscono, incoraggiano e sostengono la ripresa. Ma questo vuol dire prima di ogni altra cosa ritorno alla Politica come costruzione del bene comune. La vita dell'impresa, infatti, ha bisogno non di meno politica ma di più politica: una politica che rappresenti tutte le anime del nostro Paese e del suo immenso patrimonio umano, che sappia ascoltare e decidere e sappia mediare e comporre gli interessi in una prospettiva di più lungo periodo e di più lungo sguardo.
Oggi l'Italia è ad un bivio, la politica è ad un bivio. Le decisioni del Governo tecnico, rigorose e indispensabili, dovranno lasciare il posto a scelte politiche altrettanto indispensabili per ridurre quei divari che si fanno sempre più ampi e ci allontanano sempre più dai Paesi avanzati.
Le ricette per il risanamento dei conti pubblici e le soluzioni per il rilancio dello sviluppo devono andare di pari passo, devono essere il frutto della partecipazione e del consenso più ampio possibile delle parti sociali. Come sempre, noi artigiani, noi piccoli imprenditori non ci tiriamo indietro.
Abbiamo fatto la nostra parte e continueremo a farla. Ma siamo persone concrete e diciamo che si può riagganciare la ripresa economica a patto di liberare l’Italia dai tanti primati negativi che ne condizionano lo sviluppo.
Ne abbiamo abbastanza di impegni, di promesse, di tavoli, di commissioni, che sottraggono tempo e risorse senza produrre alcun cambiamento. Quante volte, in questi anni, abbiamo sentito annunciare il taglio delle spese improduttive, la riduzione delle tasse, la soluzione dei problemi della malaburocrazia? Quante volte nel passato recente e meno recente abbiamo sentito evocare riforme epocali poi cadute nel vuoto?
Nel frattempo, come risulta dai dati del Rapporto annuale del nostro Ufficio Studi, tra il 2000 e il 2012 la spesa pubblica italiana è aumentata di 250 miliardi, alla straordinaria velocità di crescita di oltre 2 milioni di euro all'ora.
Negli ultimi 18 anni si sono succedute 5 proposte di riforma fiscale ma, contemporaneamente, il peso delle tasse è cresciuto di oltre 4 punti, passando dal 40,8% del PIL nel 1994 al 45,1% nel 2012. E, al netto dell'economia sommersa, la pressione fiscale effettiva è lievitata al 53,7%. Sono numeri impressionanti: basti pensare che quest’anno il PIL cresce di 8 miliardi, le entrate fiscali di 46!
Sul costo del lavoro italiano pesa una tassazione pari al 47,6%, vale a dire 12 punti in più rispetto alla media del 35,3% registrata nei Paesi Ocse.
La semplificazione della burocrazia, poi, è una bandiera agitata non si sa più quante volte; eppure oggi gli oneri amministrativi pesano sulle imprese italiane per 23 miliardi l'anno, pari a 1 punto e mezzo di PIL.
Ogni impresa deve dedicare a pratiche e scartoffie 86 giorni l'anno. Soltanto in questa legislatura sono state varate 222 norme fiscali ad alto tasso di complicazione, 1 ogni 6 giorni.
E inoltre, parlando di assurdità burocratiche, non si può non citare quello che è diventato ormai un simbolo delle cose da non fare: il SISTRI, il famoso sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti. Il SISTRI non va cambiato: va eliminato! E va sostituito con un sistema sostenibile, aderente alla realtà, flessibile, semplice e poco costoso. Si può fare, noi abbiamo fatto le nostre proposte concrete: solo così si potranno raggiungere gli obiettivi della tracciabilità dei rifiuti e della tutela dell’ecosistema, che sono anche i nostri obiettivi. Settanta milioni di contributi, invece, sono stati finora versati dagli imprenditori per un servizio che non esiste: un fiume di denaro che ha finanziato solo i costi interni di un sistema mai reso operativo. Utilizziamoli, allora, per aiutare le imprese così duramente colpite dal terremoto!
Fiducia: ecco ciò di cui abbiamo più bisogno. Abbiamo necessità di credere che le forze politiche e chi guida il Paese realizzino davvero ciò che promettono e agiscano in nome del bene comune. Che si passi dalla democrazia delle aspettative, in cui si promette senza avere la possibilità di mantenere, alla democrazia della responsabilità: sobria e, soprattutto, concreta. È fondamentale porre in atto riforme strutturali che leghino più strettamente prelievo fiscale, riduzione di spese improduttive e restituzione di servizi pubblici efficienti. Abbiamo bisogno di credere in un rapporto corretto e leale con il fisco. La fiducia in una Amministrazione fiscale giusta è essenziale affinché ciascuno senta legittima e moralmente doverosa la propria partecipazione all’adempimento tributario, con l’obiettivo di alimentare uno Stato al servizio di tutti. Il patto di fiducia tra contribuente e fisco è alla base di ogni proficua politica fiscale. Prelievo, riduzione delle spese improduttive ed efficienza dei servizi pubblici sono il vero cuore del problema fiscale. Come pure è necessario porre in essere un'efficace lotta all'evasione anche per evitare la concorrenza sleale messa in atto da chi le tasse non le paga, ma è altrettanto necessario restituire, riducendo la pressione fiscale, i frutti della lotta all'evasione a chi il proprio dovere lo fa. Vogliamo un fisco semplice, in cui lo Statuto del contribuente sia rispettato sino in fondo ed il cittadino non sia trattato da suddito, ma in cui prevalga sempre la ragionevolezza dei comportamenti. Oggi, nella realtà, spesso le cose non vanno così, anche per via di una produzione ipertrofica di norme fiscali e di una giustizia, non solo tributaria, che non funziona.
Dobbiamo farne ancora di strada, oltre a quella già fatta dall’Amministrazione finanziaria, per riuscire a far prevalere il buon senso e la fiducia. Ma recuperare la fiducia non è facile se proprio lo Stato, per primo, non onora i suoi debiti nei confronti delle imprese. Mi riferisco all’annoso problema dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione per lavori già svolti, servizi già resi, forniture già effettuate. Stiamo parlando di somme elevatissime e che gli imprenditori attendono da troppo tempo: l’ammontare complessivo è stimato in oltre sessanta miliardi, ma l’importo preciso non è conosciuto, e questo è un altro indice della difficoltà del problema! In questi giorni ci sono stati passi in avanti per cominciare a sbloccare una situazione paradossale in cui noi imprenditori facciamo da banca agli Enti pubblici. Abbiamo condiviso la soluzione individuata dal Governo per certificare i crediti e ottenere dalle banche parte di quanto ci è dovuto, confidando che comunque una iniezione di liquidità, non altrimenti realizzabile, nel sistema delle imprese possa dare un colpo di manovella al volano della ripresa.
Ma non basta: bisogna proseguire abbattendo ogni onere per l’impresa creditrice e ampliando la casistica della compensazione tra debito e credito. Si tratta di una battaglia di civiltà, che deve continuare anche per sanare la situazione dei crediti insoluti tra aziende private, per altri quaranta miliardi circa. Non fermiamoci, perché il segnale più importante e concreto deve ancora arrivare: il recepimento, finalmente, in Italia della Direttiva europea sui tempi di pagamento.
Ma non si riparte solo con i soldi. Si riparte anche e soprattutto con le persone che lavorano nell’impresa, che ne sono la risorsa essenziale di professionalità, competenza e progettualità. Abbiamo partecipato con attenzione, vigilando e proponendo, al confronto sulla riforma del mercato del lavoro, ora in Parlamento dopo una lunga e complessa fase di elaborazione. Una cosa va detta subito: per noi, per tutte le piccole imprese, il problema non è mai stato l’articolo 18: il nostro problema non è licenziare, ma tornare ad assumere! Il nostro interesse è quello di avere nelle nostre aziende giovani motivati e formati e che vivano il loro ingresso nel mondo del lavoro come occasione di crescita personale. Per questo ci siamo battuti per mantenere e garantire la valenza formativa dell’apprendistato, conservandone la forza originaria che unisce teoria e pratica nel percorso di formazione, un percorso spesso difficile e che incorpora non solo nozioni tecniche, ma esperienza di lavoro concreto. Accanto all’apprendistato, abbiamo rivendicato – e con successo – l’esperienza degli Enti bilaterali, strumento di mutualità che mette insieme imprenditore e dipendente in un rapporto di welfare integrato che costituisce il frutto ed il valore aggiunto di venti anni di relazioni sindacali nell’artigianato.
Buona occupazione e occupazione stabile: questo è ciò che vogliamo ed è ciò che contribuiamo a creare.
Tra il 2002 e il 2010 le piccole e medie imprese europee hanno fatto nascere l'85% dei posti di lavoro nell'Ue, con un tasso medio annuo di crescita dell’1,1%. E si deve alle micro imprese fino a 10 addetti, il maggiore contributo, pari al 58%, alla crescita netta complessiva dell'occupazione nell’Ue. Se poi si osserva la fotografia dell'Italia, vediamo che dal 2002 al 2010 gli addetti nelle micro imprese sono aumentati ad un ritmo dell’1% annuo, a fronte dello 0,5% delle piccole e medie, mentre le grandi aziende hanno fatto registrare un tasso di crescita degli occupati pari allo 0,4%. Sono risultati di cui andiamo orgogliosi. Anche durante la crisi non è venuta meno la capacità dell'artigianato italiano di innervare il sistema economico e sociale. Il Paese reale è quello in cui ancora oggi ogni giorno nascono 400 imprese artigiane.
Aziende dietro le quali ci sono persone normali che, insieme alle proprie famiglie, scommettono su un’idea, su un progetto di vita. Aziende giovani, che puntano sull'innovazione. L’Italia è fatta di artigianato, 1 milione e mezzo di imprese: non esiste una comunità locale, anche piccola e sperduta, che non abbia tra sé un’azienda artigiana. Dall’Italia dei campanili ai mercati internazionali, questo è il made in Italy, immagine del nostro Paese nel mondo.
Confartigianato intende operare ancor più attivamente per la valorizzazione dell’artigianato, perché l’Italia sia più convintamente orgogliosa di questo suo patrimonio, così come sono fieri del loro artigianato i Paesi forti dell’Europa, Francia e Germania, che contano ognuno un milione di imprese artigiane.
L’artigianato deve essere socialmente considerato come elemento fondamentale del nostro sistema economico oltre che della nostra cultura: su questa considerazione e sulla base di questa valorizzazione si innestano le nostre azioni per lo stimolo ed il sostegno all’imprenditoria giovanile, con un progetto integrato a livello nazionale che si somma alle molte iniziative locali messe in atto dalle Associazioni territoriali per avvicinare la scuola all’impresa. Nonostante la crisi, l’artigianato resiste e reagisce: anche da qui passa il binario della locomotiva della crescita, del ritorno allo sviluppo dell’Italia, dal Nord al Sud e dal Sud al Nord. Tanta forza del Paese si deve agli imprenditori: a 4,4 milioni di imprese che danno lavoro a 17 milioni di persone e realizzano un valore aggiunto di 630 miliardi. A loro e a tutti i cittadini vanno date risposte concrete e convincenti. Cominciando dall’esempio da parte di chi ci governa e dei nostri rappresentanti nelle Istituzioni. L’esempio, in questi tempi così difficili, è fondamentale e purtroppo è stato così poco praticato: per questo uno dei primi obiettivi deve essere l’abbattimento dei costi della politica: troppi soldi e nessun controllo favoriscono clientele e corruzione. Chiediamo rigore, trasparenza, impegno, mettere il bene comune innanzi al proprio, abbattere compensi e costi, molto spesso ingiustificati.
Ma attenzione: ridurre il numero dei Parlamentari di qualche decina non serve a nulla senza una trasformazione culturale del motivo per cui si fa politica: “servire la gente”, non “trovare un lavoro”. Mettere a disposizione di tutti le proprie competenze e non cercare solo di occupare poltrone. Questo è anche l’obiettivo del Forum delle Associazioni del mondo del lavoro che si ispirano alla Dottrina sociale della Chiesa, nel quale la Confartigianato è convintamente impegnata e che vede nella buona politica lo strumento per la realizzazione del “bene comune”. Per questo noi chiediamo con forza una nuova legge elettorale attraverso la quale gli eletti tornino ad essere scelti dagli elettori, così da generare una classe dirigente motivata e appassionata, legata ai cittadini e che ascolta e si fa carico dei loro bisogni. Riteniamo necessario che la politica, gli amministratori pubblici, chi ha responsabilità di governo, guardi al Paese reale ed attinga all'esempio della gente normale che ogni giorno lavora malgrado tutte le crescenti difficoltà, mantenendo alto il valore economico dell’Italia nel mondo. Crediamo quindi che ci siano ampi margini per ridurre la spesa pubblica improduttiva, per eliminare gli sprechi e per modificare le condizioni che oggi vincolano le imprese e frenano la ripresa economica.
Concentriamoci su pochi obiettivi, ma realizziamoli!
Realizziamo finalmente e in concreto la semplificazione del sistema burocratico!
Realizziamo sul serio la spending review, superando con determinazione le resistenze degli apparati pubblici (in particolare delle strutture apicali di tutta la PA ndr) e liberiamo così risorse consistenti per alleggerire la pressione fiscale sulle imprese! Realizziamo davvero quelle tante riforme, dai servizi pubblici locali all’energia, dal fisco alla giustizia civile, che possono cambiare la vita ai cittadini e agli imprenditori! Interventi concreti, semplici e ben mirati, che ridiano fiato alle imprese e alle famiglie. Operiamo con realismo per ottenere una dotazione di infrastrutture all’altezza del nostro sistema economico: dalla sicurezza del territorio alla viabilità le nostre opere sono quelle di un Paese arretrato, con intere aree che possono essere messe in ginocchio dall’oggi al domani, e non solo per eventi terribili come quello accaduto in Emilia Romagna.
Siamo convinti, nonostante tutto, che l’obiettivo di riagganciare la ripresa economica e di ritrovare la strada dello sviluppo è alla portata dell’Italia. Ma affinché ciò avvenga servono, lo ripeto, coraggio e responsabilità. Ce la possiamo fare, l’Italia ce la può fare, se lo stesso coraggio e la stessa responsabilità saranno condivisi da tutte le componenti della società e dell’economia, dalla politica e da chi si è assunto il compito di guidare il Paese.
Noi piccoli imprenditori, gli imprenditori di Confartigianato, ce la stiamo mettendo tutta!
Relazione del presidente Giorgio Guerrini
13 giugno 2012