Combattere e vincere cento battaglie non è prova di suprema eccellenza: la suprema abilità consiste nel piegare la resistenza del nemico senza combattere.
Sun Tzu
Quando, nel dicembre 2008, scoppiò lo scandalo Madoff, Paul Krugman si chiedeva in che cosa lo schema Ponzi, praticato da Madoff, differisse da quanto si faceva abitualmente a Wall Street. Una domanda che trova una risposta quando Greg Smith, della Goldman Sachs, la più potente Investment Bank del mondo, si dimette dalla banca perché ritiene che essa sia venuta meno ai suoi fondanti principi etici e che, oggi, miri solo all’interesse proprio a danno dei clienti trattati come pupazzi.
Certamente Greg Smith non scopre niente di nuovo: la Goldman Sachs ha una lunga storia di violazione di leggi in tutto il mondo. Qualcuno si chiede come mai molti dei nostri politici escono dalla Goldman?
Giova ricordare che nel 2001 la Goldman Sachs offriva al governo greco la possibilità di far sparire 2,8 miliardi di obbligazioni pubbliche attraverso un derivato orchestrato con altri colossi di Wall Street. In pratica le banche usa anticipavano al tesoro di Atene gli incassi futuri della lotteria nazionale e delle tasse aeroportuali con un prestito che, avendo quel sottostante, usciva dalla contabilità nazionale e consentiva alla Grecia di migliorare la rappresentazione dei conti pubblici per ottenere l’ingresso nell’euro. In pochi anni i 2,8 miliardi di euro divennero oltre cinque e i governi greci, con la complicità delle stesse banche, continuarono nella finanza allegra, portando l’Europa sull’orlo del baratro.
Il Financial Times azzarda di chiamare “omertà” l’impegno al silenzio delle banche d’affari che Smith avrebbe squarciato. Il comportamento di Greg Smith ha avuto un’eco notevole proprio grazie all’importanza del quotidiano newyorkese che sembrerebbe aver lanciato una sfida politica e morale contro i sedicenti padroni dell’universo, ma non è chiaro se sia una battaglia snobistico-culturale o in grado di fare chiarezza nel mondo della finanza.
Tornando alla domanda non tanto retorica di Krugman, l’inchiesta del Congresso usa, sulle cause della crisi, ha ricostruito che le banche commerciali davano credito anche a quanti, imprese e privati, non sarebbero stati in grado di rimborsarlo. Perché maggiori volumi di prestito generavano più interessi e più commissioni e dunque più profitti per gli azionisti, alti bonus ai banchieri e alti stipendi ai bancari. Il rischio di insolvenze era oscurato da una domanda tanto artefatta quanto virtualmente infinita, ma in economia l’infinito non esiste. Le banche potevano gonfiare a dismisura i crediti senza aumentare il capitale perché i crediti erano ceduti a speciali società veicolo, promosse dalle banche stesse, ma al di fuori dai bilanci. Le società veicolo pagavano i crediti con il ricavato di obbligazioni sempre più complicate vendute in tutto il mondo, in particolare anche a quelle stesse banche dalle quali avevano acquistato il credito. Una serie di cerchi concentrici protetta da complesse forme di assicurazione di cui le banche stesse erano i principali erogatori.
Ma lo schema Ponzi salta sempre perché c’è sempre un momento in cui le sottoscrizioni (in questo caso le richieste di mutui e i pagamenti delle rate) rallentano e vengono a mancare le risorse per remunerare l’enorme massa di obbligazioni esistenti; la piramide rovesciata dell’economia del debito (che alimenta valori finanziari fino a dieci volte il Pil mondiale) si è sbriciolata quando un certo numero di debitori subprime ha cessato di pagare le rate del mutuo.
Come mai queste emulazioni del sistema Ponzi hanno ancora successo e come può nascere un’economia del debito? Questa ha favorito l’arricchimento senza precedenti delle élites ed ha alimentato la loro bramosia di potere e al tempo stesso ha permesso a tutte le comunità di migliorare il proprio tenore di vita vivendo al di sopra delle proprie possibilità.
La crisi è stata, pertanto, gestita come se non fosse successo nulla di anomalo e che tutto potesse tornare come prima; dal 2008 ad oggi, infatti, non si fa altro che parlare di exit strategy. Ed è stato commesso il grave errore di pagare con denaro pubblico il costo dell’azzardo privato. Nel 2008 le principali banche globali erano fallite e i governi le hanno salvate riversandovi fiumi di denaro pubblico, ingigantendo all’inverosimile il debito. Cinque anni fa i governi avrebbero potuto fare di tutto ma intrapresero la strada indicata dal potere finanziario, come sostiene Tremonti, “comprare tempo, fare finta di cambiare le regole e caricare sui pubblici bilanci le perdite accumulate dalla finanza”. Prevalse la logica di salvare le banche sistemiche, cioè quelle fondamentali per la sopravvivenza dell’economie degli stati, ma ad essere sbagliata fu la metodologia del loro salvataggio. Cinque anni fa le banche potevano essere nazionalizzate, riorganizzate, prevedendo la netta separazione tra l’attività industriale e quella finanziaria, in modo da lasciare agli speculatori i costi e i rischi dei loro azzardi e infine ridimensionate, in modo che non si potesse più dire “to big to fail”. Negli Usa le Banche sistemiche sono passate da 15 a 9 rimpinzate dal denaro pubblico hanno gonfiato i debiti sovrani così che ora possono speculare contro quei governi che le hanno salvate; i debiti pubblici non sono più la medicina ma sono ora la malattia. Al dunque, il settore privato è stato salvato dagli stati, che per farlo hanno aumentato il debito pubblico, dando un’arma colossale in mano dei privati: la possibilità di speculare contro gli stati stessi.
Eugenio Caruso
20 giugno 2012
Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.