Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

I passi della crisi 2008 - 2012. Parte XVI


Un banchiere è una persona che ti presta l'ombrello quando splende il sole e lo rivuole quando piove
Mark Twin


L’articolo è  il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 - Parte VI
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VIII
I passi della crisi 2008 - 2010 - ParteIX
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte X
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XI
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XII
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XIII
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XIV
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XV

Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il terzo trimestre del 2012,  l’analisi delle performance economico-finanziarie degli stati sovrani e delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi. L’articolo viene aggiornato quotidianamente.

Olanda e Finlandia contrari ai risultati del summit (2 luglio 2012)
I mercati azionari proseguono in rialzo dopo lo sprint di venerdì seguito alla conclusione del Summit dei paesi dell'Eurogruppo del 28 e 28 giugno. Adesso gli operatori si aspettano una mossa della Banca centrale europea che il 5 luglio si riunirà per orientare la politica monetaria. Cè chi ipotizza che la BCE possa far scendere per la prima volta nella storia dell'euro il tasso di riferimento sotto l'attuale minimo storico dell'1%. Le decisioni della Bce sono una delle prossime incognite su cui si interrogano investitori e risparmiatori. A questa si unisce il ruolo di Finlandia e Olanda. Dal Nord Europa, infatti, questa mattina sono arrivate dichiarazioni che rischiano di indebolire l'efficacia dei risultati ottenuti nel vertice Ue quando, tra le varie novità:
- unione bancaria europea con sorveglianza che passa alla Bce,
- Esm, meccanismo di stabilità permanente, con poteri di ricapitalizzare direttamente le banche,
- unione economica e pacchetto crescita da 120 miliardi),
- decisione di potenziare il ruolo del neonato Esm (inaugurato il 1 luglio in sostituzione del fondo salva-Stati, al momento, con una dotazione finanziaria da 500 miliardi) dotandolo della capacità di acquistare titoli di Stato per frenare eventuali scorribande all'insù degli spread, senza l'autorizzazione della Troika (Ue-Bce-Fmi, come attualmente previsto) ma con un intervento delle banche centrali dei singoli Paesi membri, coordinate dalla Bce.
In una nota il governo finlandese ha comunicato di non essere d'accordo con l'intervento dell'Esm per acquistare bond sovrani sul mercato secondario, ritenendolo «un'inefficiente via per stabilizzare i mercati». Della stessa opinione l'Olanda. Niels Redeker, portavoce del ministro delle Finanze olandese, ha ribadito che il Paese «non è a favore dell'acquisto di obbligazioni» da parte dell'Esm. I nodi sullo scudo anti-spread - come è stato definito il piano di intervento dell'Esm sui bondi sovrani che al vertice di Bruxelles del 28-29 giugno ha ricevuto l'ok della cancelliera tedesca Angela Merkel - dovranno essere sciolti all'Eurogruppo del 9 luglio. Ma serve l'unanimità dei 17 Paesi dell'areo euro. Ed è per questo che, salvo che non si tratti di pretattica geopolitca, il no di Finlandia e Olanda potrebbe rappresentare un problema, l'ennesimo, da risolvere per far tornare a girare l'Europa.

Parte la spending review (3 luglio 2012).
L'ipotesi di ricorrere a una deroga alla riforma Fornero per ridurre i perimetri occupazionali della Pa, pre-pensionando dirigenti e dipendenti che hanno maturato i vecchi requisiti, dovrebbe garantire l'efficacia del provvedimento anche sulle Regioni, le Province, i Comuni, gli enti di ricerca e le università, le cui piante organiche non potrebbero viceversa essere amputate per decreto. È uno dei "punti fermi" cui sarebbero giunti ieri i tecnici della Funzione pubblica dopo l'ennesimo incontro con i colleghi dell'Economia e un successivo vertice interministeriale. Una strada che consentirebbe di applicare subito, per l'intera Pa, la riduzione strutturale del 20% delle dotazioni organiche dei dirigenti (che potrebbe essere praticata subito) e del 10% dei dipendenti dei vari comparti (che seguirebbe in una seconda fase). Il "pacchetto statali" si completa con tutte le misure finora anticipate: il tetto sui buoni pasto, i permessi, i distacchi, le consulenze e (forse) anche agli incarichi dirigenziali a contratto, per concludere con le consulenze e le auto blu.
Altro punto fermo del decreto che si va stabilizzando in vista del Consiglio dei ministri di fine settimana riguarda la sanità. In questo settore di spesa si prevede una stretta per l'acquisto di beni e servizi sopra quota di asl e ospedali e i nuovi tetti sulla spesa farmaceutica, con la conferma anche dell'adozione di prezzi di riferimento per le forniture principali. Il controllo sugli acquisti è l'altro cuore del provvedimento messo a punto dal commissario Enrico Bondi e che punta su una razionalizzazione degli acquisti della Pa con il passaggio al «metodo Consip» generalizzato, mentre oggi la «spesa presidiata» di questa società del Mef non supera un terzo del totale.
Ieri fonti di palazzo Chigi confermavano anche l'intervento di ridisegno della geografia giudiziaria con il taglio di 33 Tribunali, 37 Procure e 220 sezioni distaccate, anche se si tratta di uno dei dossier su cui si concentrano le tensioni maggiori da parte della maggioranza parlamentare che ha già bloccato il taglio di 674 uffici dei giudici di pace decisi a gennaio.
Altro intervento pronto e ora al vaglio politico finale è quello sulle province. Dovrebbero esserne cancellate almeno 42 su 107. Il taglio però potrebbe essere più pesante. A scomparire dovrebbero essere tutte quelle prive di almeno due dei tre criteri fissati dai tecnici: popolazione oltre i 350mila abitanti; estensione superiore ai tremila chilometri quadrati; presenza di almeno 50 municipi. Ma si valuta anche l'ipotesi di arrivare a una sessantina, convincendo le Regioni a statuto speciale e inglobando le 10 città metropolitane.
L'altra operazione «già chiusa», stando alle conferme circolate ancora ieri, riguarda poi il giro di vite sulle società interamente controllate dallo Stato. Con la riduzione a soli 3 membri dei consigli di amministrazione di tutte le società non quotate il Governo procederà al taglio di circa il 30% delle attuali poltrone. E il conto potrebbe essere anche più elevato se si considera che la stretta prevede che almeno due dei tre consiglieri siano nominati tra il personale interno dell'amministrazione vigilante. Solo il presidente potrà arrivare dall'esterno. A queste società verrà chiesto poi di adeguarsi ai limiti di assunzioni già in vigore per le amministrazioni vigilanti, così come di sterilizzare ai valori 2011 le buste paga dei dipendenti. A completare il quadro ci sarebbe infine la messa in liquidazione di tutte le società "in house" che svolgono servizi esclusivamente per l'amministrazione vigilante.
Naturalmente sono già partite raffiche di critiche da parte dei ministeri e dei sindacati e l'approvazione del decreto sulla spending revew avrà un percorso molto accidentato.
In questo Portale abbiamo detto più volte che se Monti avesse aggredito la lotta agli sprechi della PA tra i suoi primi provvedimenti, quando era osannato da tutti come il salvatore, qualcosa di molto serio avrebbe potuto ottenerlo. Ora mi sembra tutto molto più difficile. L'Italia delle sinecure, delle poltrone, dei campanili, delle parrocchie e parrocchiette ricorrerà a tutti i mezzi per mantenere privilegi e ingiustizie, a scapito dei cittadini e delle imprese. Un altro aspetto poco gradevole è che s'è parlato di interventi peer evitare l'innalzamento dell'IVA, per la soluzione del problema degli esodati e per interventi per il terremoto dell'Emilia; quando si inizierà a parlare di riduzione delle tasse unico vero motore perr la ripresa dell'economia? Quando si inizierà a parlare di dismissioni del patrimonio pubblico? C'è qualcuno che possa dubitare di quello che ha detto il consulente del governo, Enrico Bondi? Cioè che alla voce «acquisto beni e servizi» della pubblica amministrazione ci sono 60 miliardi di euro sui quali si potrebbero tagliare gli sprechi dal 20 al 60%, risparmiando tra 12 e 36 miliardi? C'è qualcuno pronto a giustificare che una siringa sia pagata 3 centesimi da una Asl e 65 da un'altra? O che una protesi all'anca possa variare da 284 a 2.575 euro? Così come tutti sappiamo che i dipendenti pubblici, pur non essendo troppi rispetto ai Paesi nostri concorrenti, sono mal distribuiti, hanno un'età media elevata e sono, spesso non per colpa loro, indietro nell'uso delle tecnologie. Risultato: abbiamo nel settore pubblico tanti posti di lavoro che potrebbero essere cancellati senza che il servizio ne risenta. «Posti finti» li definì già nel '93 l'allora presidente del Consiglio, il socialista Giuliano Amato. Due anni e mezzo fa (governo Berlusconi) Renato Brunetta, nel pieno del suo impeto riformatore, annunciò la riduzione di 300 mila dipendenti pubblici nell'arco di un quinquennio (2008-2013). Quattro anni prima, Nicola Rossi, ex consigliere di Massimo D'Alema a Palazzo Chigi, aveva proposto il prepensionamento di 100 mila statali. Ma ogni volta veti politici e resistenze sindacali hanno bloccato qualsiasi intervento. Tutti fanno a gara nel denunciare gli sprechi della spesa pubblica e nell'invocare tagli, a patto che riguardino qualcun altro. Adesso il governo tecnico ha la possibilità di agire al di sopra degli interessi di parte e delle resistenze corporative. I partiti sbaglierebbero se si mettessero di traverso. Tanto più che Monti promette una gestione non traumatica degli esuberi nel pubblico. I licenziamenti saranno evitati e, come avviene nelle grandi aziende private, giustamente interverranno gli ammortizzatori sociali e i prepensionamenti. La manovra di revisione della spesa deve però essere equilibrata e credibile.

Scandalo nella finanza (3 luglio 2012).
Le chiacchiere sul Libor (il tasso che regola i prestiti fra le banche, ma detta anche quello sui mutui di milioni di contribuenti) regolato ad arte s'accavallano dal 2007, ma abbiamo dovuto attendere il 2012 per vedere esplodere uno scandalo che ha travolto il presidente della Barclays, Marcus Agius e l'ad Bob Diamond. Da allora, quando la Commodity futures trading commission annusò odore di bruciato, ad oggi, non solo sono passati cinque anni, ma anche uno tsunami sul mondo finanziario che si sperava avesse indotto a mutare i comportamenti. La storia di Barclays ci dice una volta di più che non è così. Anzi la storia del Libor coinvolge potenzialmente una ventina di banche, da Londra a New York fino a Zurigo e Tokio.
Ma basta guardare i titoli dei giornali per leggere in rapida successione storie che si ripetono. Da quelle di Fred il dissipatore, ovvero sir Alfred Goodwin, il ceo che portò Royal Bank of Scotland al Tesoro di Sua Maestà oggi legittimo possessore di quel che resta di una banca, a quelle di oggi. Chasing Alpha, la caccia al massimo profitto magistralmente narrata da Philip Augar, banker pentito, resta sempre l'obiettivo ultimo, anche a costo di inaccettabili manipolazioni dei mercati. Prima di Lehman e dopo Lehman. Nei comportamenti delle grandi banche che spesso sono dettati da piccoli banchieri. O almeno così si vuol far credere. Chi è nella storia del credito the London Whale, al secolo Bruno Iksil, trader francese soprannominato la Balena di Londra per l'enorme esposizione sui derivati? Nessuno, eppure s'è giocato circa 9 miliardi di dollari di JP Morgan. E chi è Kweku Adoboli trentunenne, ambizioso oltre il lecito, trader di Ubs? Conta molto meno di Iksil, ma s'è giocato 2 miliardi, ancora una volta su contratti derivati, facendo saltare il banco di un istituto che oggi ha cambiato tutta la squadra di vertice. E prima di loro? Non possiamo dimenticare SocGen e le magie di Jerome Kerviel che hanno volatilizzato 5 miliardi circa di euro. Fattucchiere del terzo millennio, con soldi (spesso) nostri. Abili talvolta anche nell'incantare gli inquirenti. Kweku Adoboli e Jerome Kerviel hanno conosciuto la galera, ma nel caso Libor fino ad ora è stato detto che «non è possibile individuare responsabili diretti». Li cercano e forse li troveranno, a guidare la caccia è lo stesso Bob Diamond che così si sfila dal ruolo di responsabile ultimo. Inchieste interne a Barclays, Lloyds, Rbs dovranno svelare se ci siano responsabilità in altri due scandali, considerati minori: polizze assicurative piazzate a clienti privati e a Pmi. In entrambi i casi prodotti di fatto inesigibili, affibbiati per incompetenza o, più probabilmente, per eccessi di avidità.
Le storie di malafinanza, figlie di regole lasse nell'approccio dei regolatori, sono molto british. Non solo british. London Whale non avrebbe potuto fare quello che ha fatto se il desk americano non avesse chiuso un occhio. Insider trading, si narra nella City, era il bonus che i banchieri si davano quando il bonus - e la legge - non esisteva, ma Raj Rajaratnam fondatore dell'hedge fund Galleon ha pensato bene di continuare a darselo. Fino a quando, dopo aver accumulato 53,8 milioni di dollari illecitamente sfruttando informazioni riservate per investire in Borsa, Rajaratnam è stato condannato a 11 anni di reclusione. L'accusa, messa nero su bianco l'ottobre scorso, è appunto di insider trading.
Ma di scandali sempre uguali, che ogni volta producono nuove regole e nuovi modi per aggirarle, se ne trovano a centinaia negli anni. La madre di tutte le inchieste fu, tra la fine degli anni '90 e i primi del nuovo millennio, quella condotta a New York dalla Procura e dalla Sec di Arthur Levitt. Erano i tempi del boom della Borsa, quando qualunque società si quotasse a Wall Street veniva accolta con rialzi eclatanti. L'inchiesta scoprì che molte banche d'affari assegnavano le azioni "d'oro", prima del loro sbarco in Borsa, ai clienti che pagavano extra-commissioni. Insomma: chi pagava una sorta di "pizzo", sapeva di avere una priorità quando le banche d'affari decidevano a chi assegnare le azioni pronte a sbarcare a Wall Street. L'inchiesta coinvolse tutte le maggiori banche, molte delle quali chiusero le vertenze con transazioni milionarie.

BCE: taglio del tasso di interesse (5 luglio 2012).
Il Consiglio direttivo della Bce presieduto da Mario Draghi ha deciso di abbassare il tasso di riferimento principale di Eurolandia di 25 punti base portandolo allo 0,75%, minimo storico di sempre. L'intervento della Bce arriva nello stesso giorno in cui anche la Bank of England e la Banca della Cina hanno messo in atto misure di espansione economica. Draghi ha indacato che la crescita economica nell'area euro «resta debole e con elevati livelli di incertezza che pesano sul clima di fiducia». Un quadro che è peggiorato rispetto a solo un mese fa: «ora vediamo un indebolimento della crescita in tutta l'area euro, compresi i Paesi che prima continuavano a crescere». La Bce sarà «rigorosa e indipendente» nel suo nuovo impegno di supervisore unico del sistema bancario che l'Unione Europea progetta di affidarle nei prossimi mesi. Ha proseguito Draghi ponendo cinque punti per la proposta sulla quale si «aspetta un forte impegno politico» dei leader europei. La decisione di iniziare il cammino verso l'unione finanziaria, ha detto Draghi, «è stato un passo molto importante» da parte del vertice europeo della scorsa settimana. I leader politici europei, ha sottolineato Draghi, «hanno messo in campo un grande capitale politico in questa decisione e ci aspettiamo che le proposte che saranno avanzate dalla Commissione Ue al riguardo, perché é di sua competenza, in consultazione con il Parlamento europeo e la Bce saranno tanto forti quanto l'impegno politico mostrato dai leader politici, e pensiamo che sarà così». La situazione «non è» così cattiva come nel 2008, ha tuttavia assicurato Draghi secondo cui «non siamo assolutamente a quel punto». Draghi spiega anche che la Bce «non può incanalare i fondi alle banche verso una specifica categoria di aziende, o di risparmiatori. È un'idea sbagliata anche quella di chi dice che la Bce dovrebbe assicurarsi che le banche non comprino titoli del debito pubblico. Non posso rispondere alle domande sulle misure non convenzionali decise dalla Bce per sostenere il settore bancario dell'Eurozona» ha detto Draghi rispondendo alle domande su un possibile terzo Ltro (Long term refinancing operation, prestito agevolato alle banche europee). «Abbiamo sempre detto che sono misure temporanee e non prendiamo mai impegni ex ante». Per Draghi, « ... non possiamo aspettarci che gli effetti dei due Ltro siano immediati, specialmente considerando la trasmissione dei Ltro in flussi di credito più alti. Ora però sono passati alcuni mesi e possiamo notare che i flussi di credito sono deboli in questo momento e restano deboli. La crescita del credito, riflette l'attuale situazione critica, una crescente avversione per il rischio e l'aggiustamento in corso nei bilanci dei risparmiatori e delle imprese, che pesano sulla domanda del credito. Penso che i fondi salva Stati Efsf e Esm sono appropriati rispetto ai rischi, agli avvenimenti che possiamo prevedere». La Bank of England lascia i tassi fermi allo 0,5% ma attua una nuova mossa di espansione monetaria. L'istituto centrale britannico, infatti, ha incrementato il programma di acquisto di asset (principalmente bond) di 50 miliardi di sterline, da 325 a 375 miliardi. Dopo la decisione del 7 giugno scorso, oggi la Banca Popolare Cinese ha annunciato una sforbiciata dello 0,25% ai depositi ad un anno (scendono al 3%) e una dello 0,31% al tasso sui prestiti (scendono al 6%). Lo riporta l'agenzia Bloomberg. A sorpresa la Cina ha quindi deciso un nuovo taglio dei tassi di interesse, il secondo nell'arco di un mese, per i timori di rallentamento dell'economia del Dragone. L'impatto sull'interbancario del taglio dei tassi deciso oggi dalla Bce dovrebbe essere limitato, secondo quanto indicato dagli analisti, che parlano di un gesto quasi simbolico dell'Eurotower che si schiera così apertamente a favore della crescita economica. L'azzeramento del tasso sui depositi overnight presso la Bce era una mossa che gli esperti ipotizzavano da tempo e dovrebbe servire a disincentivare le banche dal parcheggiare liquidità presso la Bce. I volumi depositati dagli istituti di credito dell'Eurozona sono da tempo elevati e, dopo i record storici toccati subito dopo l'asta a tre anni varata dalla Bce in febbraio, sono saliti martedì a un nuovo massimo da due mesi circa di 806,5 miliardi in concomitanza con lo scadere del periodo di mantenimento delle riserve. Numeri che confermano la scarsa propensione delle banche dell'Eurozona a prestare soldi alle controparti per la crisi di fiducia che sta attraversando l'area dell'euro.
Chi si chiedesse perché calano le borse, dopo i «positivi» accordi di venerdì a Bruxelles, e soprattutto si domandasse perché mai i rendimenti dei Btp e dei Bonos siano ritornati pressoché ai livelli precedenti il vertice dei capi di Stato, troverebbe la risposta in una serie di episodi accaduti negli ultimi giorni. L'ultimo è il pronunciamento di 160 insigni economisti tedeschi, capitanati da Hans-Werner Sinn, presidente dell'istituto Ifo, contro la decisione di creare una Unione bancaria europea. Dicono i centocinquanta: «Siamo profondamente preoccupati per questo passo verso un'Unione bancaria che renderebbe collettivi i debiti delle banche». La voce di questi economisti si somma a quella della Cdu tedesca, alleata della Merkel, decisa ad ostacolare l'uso del fondo Esm per salvare le banche. E, infine, si confonde con quella della Spd, secondo la quale il fondo non deve essere utilizzato prima d'aver creato una Unione bancaria. Trionfando questo genere di ragionamenti anche presso i politici e l'opinione pubblica di altri Paesi "virtuosi" e con una banca centrale che non può prendere iniziative "non convenzionali", come invece fa la Fed, è legittimo chiedersi a cosa serva l'euro. Il mercato, andando al ribasso, si fa ancora meno domande.

Spending review: le news (6 luglio 2012).
Oggi a Roma si è svolta l'assemblea Abi, alla quale ha partecipato anche il premier Mario Monti. Il presidente dell'associazione bancaria, Giuseppe Mussari, è tornato sulla necessità di sciogliere il nodo della valorizzazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in mano soprattutto alle banche. Bene la spending review, ha detto, ma tutti i risparmi vanno destinati alla riduzione della pressione fiscale, insostenibile per imprese e famiglie. «L'Italia ha iniziato un percorso di guerra durissimo», ha ricordato il premier Mario Monti, nel suo intervento all'assemblea. «Un percorso di guerra - ha continuato il presidente del Consiglio - contro i pregiudizi diffusi e contro le più ciniche valutazioni». Il percorso di guerra, «se pur molto pacifica non é finito» ma, ha concluso il Professore, «si può ragionevolmente sperare, non so in quale mese del 2013 e chi sarà al Governo, di vedere i primi risultati di questa presa di coscienza collettiva da parte della società italiana». Il presidente del Consiglio si è detto dunque sicuro sulla ripresa di crescita e occupazione. Intanto però il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco ha sottolineato che l'economia italiana «é ancora in recessione» e quest'anno il Pil diminuirà di quasi il 2 per cento. Ecco la diretta della giornata. Ore 13,41. Ghizzoni: segnale importante la riduzione dei tassi da parte della Bce La riduzione dei tassi da parte dalla Bce «in un momento come questo è un segnale importante», È la valutazione dell'Ad di Unicredit Federico Ghizzoni, a margine dell'assemblea dell'Abi. Per l'Italia «il problema non è tanto l'Euribor ma lo spread» e il taglio dei tassi «consentirà alla fine di recuperare liquidità leggermente meno cara, con beneficio all'economia reale». videoMonti: «L'Italia è in guerra contro pregiudizi, cinismo e debito pubblico» Monti: «Al G20 di Cannes Berlusconi prossimo all'umiliazione» Ore 13,38. Di Pietro: da Monti un grave attacco alla concertazione «Le affermazioni di Monti sulla concertazione rappresentano un gravissimo attacco ai lavoratori e alle imprese», ha affermato Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, facendo riferimento alla frase del premier sulla concertazione. «In questo modo, il presidente del Consiglio ignora la partecipazione di tutte le parti in causa al necessario processo di uscita dalla crisi. Con le sue parole, nega che il confronto tra i rappresentanti dei lavoratori e le imprese, soprattutto quelle medio-piccole, sia utile alla soluzione dei problemi. Forse Monti pensa di essere l'unico illuminato dal Signore o peggio auspica modelli come quello cinese, in cui esistono un partito unico e un unico sindacato, dove vengono sistematicamente violati i diritti civili e umani, dove non c'è democrazia e i lavoratori non possono dire la loro. Per evitare l'aumento dell'Iva il Governo è costretto a rigiocare il "jolly" del taglio alle agevolazioni fiscali. A prevederlo è il decreto sulla spending review esaminato fino a tarda notte dal Consiglio dei ministri che "congela" fino al 30 giugno 2013 l'innalzamento di due punti delle aliquote del 10 e del 21% e limita a un solo punto il loro aumento a partire dal 2014. A meno che dal riordino delle uscite statali e dal giro di vite sui «regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale», definite con la legge di stabilità per il 2013, non arrivino i 6,6 miliardi necessari a evitare dall'anno prossimo la stangata sui consumi. I cambiamenti del Dl destinato sin dal nome alla «revisione della spesa pubblica, ad invarianza dei servizi ai cittadini» non si esauriscono qui. Durante la maratona notturna di ieri a Palazzo Chigi sarebbe infatti saltata la stretta sui piccoli ospedali, la riduzione di 200 milioni del fondo di finanziamento (Ffo) degli atenei e la soppressione di alcuni enti minori. Quest'ultima misura sarebbe stata rimandata agli inizi di agosto o al massimo a settembre quando arriverà il provvedimento con le norme di carattere ordinamentale (soppressione di 61 Province, nascita di 10 Città metropolitane, sfoltimento del 20% delle agenzie locali, riordino delle funzioni fondamentali dei Comuni con meno di 5mila abitanti). Un'altra novità di rilievo riguarda i pagamenti dei debiti della Pa. Oltre al piano di monitoraggio che gli uffici pubblici dovranno avviare nel triennio 2013-2015, arriva lo slittamento dal 28 giugno al 27 luglio per la presentazione dell'istanza da parte delle imprese per ottenere il pagamento in titoli di Stato previsto dal Dl liberalizzazioni di gennaio. Nel frattempo anche il fronte giustizia si sarebbe placato con l'ok dei ministri a una nuova versione del decreto legislativo che cancella 37 tribunalini, 38 procurine e 220 sezioni distaccate. Per il resto il provvedimento ricalca quello ampiamente anticipato nei giorni scorsi su questo Portale. A cominciare dal giro di vite sugli acquisti di beni e servizi previsto nel piano messo a punto dal commissario straordinario Enrico Bondi. Per realizzare economie di spesa il decreto prevede la decadenza immediata di tutti i contratti di fornitura stipulati senza il ricorso al metodo adottato da Consip. Stesso discorso per le locazioni attraverso un abbattimento automatico (e immediato) del 15% di tutti i canoni di locazione con i privati. Corposa è anche la parte dell'articolato destinata al pubblico impiego. Dove spicca la riduzione, a partire dal 1° ottobre, del 10% di tutte le piante organiche che sale al 20% per i dirigenti. Per il personale in esubero si ricorrerà alla «messa a disposizione» (l'equivalente della mobilità per i lavoratori privati) per 24 mesi con uno stipendio pari all'80% di quello attuale. L'arco temporale potrà essere raddoppiato e arrivare a 48 mesi per accompagnare alla pensione coloro che matureranno i requisiti previdenziali previsti prima dell'entrata in vigore della riforma Fornero. Senza dimenticare il taglio del 50% delle auto blu, l'adeguamento a 7 euro di tutti i ticket restaurant e il perdurare del turn over al 20% fino al 2015 quando si salirà al 50 per cento. L'anno successivo dovrebbe invece essere disposto lo sblocco delle assunzioni così come potrebbero tornare i concorsi per posti dirigenziali di prima fascia. Nonostante il rinvio delle disposizioni di carattere ordinamentale anche il comparto delle autonomie viene ampiamente toccato dal provvedimento varato ieri. In primis nella dotazione finanziaria a causa dei 7,2 miliardi di tagli in agenda per il biennio 2012-2013. Il sacrificio maggiore toccherà alle Regioni (3,2 miliardi tra ordinarie e speciali) che si vedranno diminuite le risorse ricevute a qualsiasi titolo dallo Stato, al secondo posto i Comuni (2,5 miliardi) che precedono le Province (1,5 miliardi). Enti locali che vedono anche cambiare le regole per le assunzioni sulla base di specifici parametri di virtuosità affidati a un futuro Dpcm. Un accenno lo merita pure l'istruzione. Le scuole perderanno il 50% dei bidelli e dovranno esternalizzare i servizi di pulizia. Quanto ai docenti le classi di concorso varranno fino a un certo punto. Per gli insegnanti a tempo indeterminato rimasti senza cattedra scatterà la mobilità su altri insegnamenti, gradi di istruzione diversi o posti di sostegno. Ma nel conto, stavolta con il segno «+» va messo anche il rifinanziamento delle scuole private per 200 milioni, dei libri di testo per 103 milioni e dei prestiti d'onore per 90. Le finalità del provvedimento: al primo posto il problema dell'Iva, poi quello dei 55mila esodati che si sommano ai 65mila tutelati dal decreto salva-Italia e che costeranno all'Erario 4,1 miliardi spalmanti lungo il periodo 2014-2020. Un esborso a cui bisogna aggiungere un miliardo nel 2013 e un altro nel 2014 per la ricostruzione post sisma in Emilia. Oltre a un corposo elenco di spese indifferibili: autotrasporto (400 milioni); missione di pace (1 miliardo); 5 per mille (500 milioni); università non statali (10 milioni); operazione strade sicure (72,8 milioni); 8 per mille per l'emergenza neve (9 milioni).
Poche ore di sonno, dopo il Consiglio dei ministri di ieri, conclusosi all'una del mattino per l'esame del decreto legge sulla spending review, e il Governo è tornato a riunirsi per deliberare all'unanimità l'annunciato taglio di 37 tribunali e 38 procure di piccole dimensioni. All'ordine del giorno, infatti, l'esame del Dlgs sul taglio degli uffici giudiziari in attuazione della delega attribuita al Governo dalla legge per la stabilizzazione finanziaria (148/2011) varata dal governo Berlusconi. Con la revisione delle circoscrizioni giudiziarie - riforma attesa, discussa e sollecitata da anni, ma anche osteggiata in nome di mille campanilismi - prevista anche la soppressione di tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale e la ridistribuzione sul territorio del personale amministrativo e dei magistrati restanti, la cui pianta organica non subirà alcun ridimensionamento. La riorganizzazione territoriale non risparmierà la magistratura onoraria: individuate anche 674 uffici dei giudici di pace da sopprimere. Dopo il via libera del Cdm, il provvedimento passerà al vaglio delle commissioni parlamentari di Camera e Senato per un parere obbligatorio ma non vincolante e tornerà quindi a Palazzo Chigi per l'approvazione definitiva. Se in questo passaggio non ci saranno modifiche significative al provvedimento varato stamani, il ministero della Giustizia potrà contare su risparmi per spese di gestione e funzionamento delle strutture per 51 milioni di euro da qui al 2014.

MONTI: difficoltà per l'Italia (12 luglio 2012).
Oggi a Roma si è svolta l'assemblea Abi, alla quale ha partecipato anche il premier Mario Monti. Il presidente dell'associazione bancaria, Giuseppe Mussari, è tornato sulla necessità di sciogliere il nodo della valorizzazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in mano soprattutto alle banche. Bene la spending review, ha detto, ma tutti i risparmi vanno destinati alla riduzione della pressione fiscale, insostenibile per imprese e famiglie. «L'Italia ha iniziato un percorso di guerra durissimo», ha ricordato il premier Mario Monti, nel suo intervento all'assemblea. «Un percorso di guerra - ha continuato il presidente del Consiglio - contro i pregiudizi diffusi e contro le più ciniche valutazioni». Il percorso di guerra, «se pur molto pacifica non é finito» ma, ha concluso il Professore, «si può ragionevolmente sperare, non so in quale mese del 2013 e chi sarà al Governo, di vedere i primi risultati di questa presa di coscienza collettiva da parte della società italiana». Il presidente del Consiglio si è detto dunque sicuro sulla ripresa di crescita e occupazione. Intanto però il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco ha sottolineato che l'economia italiana «é ancora in recessione» e quest'anno il Pil diminuirà di quasi il 2 per cento.
La riduzione dei tassi da parte dalla Bce «in un momento come questo è un segnale importante», è la valutazione dell'Ad di Unicredit Federico Ghizzoni, a margine dell'assemblea dell'Abi. Per l'Italia «il problema non è tanto l'Euribor ma lo spread» e il taglio dei tassi «consentirà alla fine di recuperare liquidità leggermente meno cara, con beneficio all'economia reale».
«Le affermazioni di Monti sulla concertazione rappresentano un gravissimo attacco ai lavoratori e alle imprese», ha affermato Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, facendo riferimento alla frase del premier sulla concertazione. «In questo modo, il presidente del Consiglio ignora la partecipazione di tutte le parti in causa al necessario processo di uscita dalla crisi. Con le sue parole, nega che il confronto tra i rappresentanti dei lavoratori e le imprese, soprattutto quelle medio-piccole, sia utile alla soluzione dei problemi. Forse Monti pensa di essere l'unico illuminato dal Signore o peggio auspica modelli come quello cinese, in cui esistono un partito unico e un unico sindacato, dove vengono sistematicamente violati i diritti civili e umani, dove non c'è democrazia e i lavoratori non possono dire la loro.

Austerità in Spagna (12 luglio 2012).
Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha annunciato il taglio delle tredicesime per il 2012 di parlamentari, impiegati e alte cariche dell'amministrazione pubblica. Gli addetti del pubblico impiego la recupereranno nei fondi pensione del 2015. I dipendenti pubblici avranno anche meno giorni di ferie e verranno ridotti i permessi sindacali. Il numero dei consiglieri degli enti locali scenderà di circa il 30%. Dimuiranno anche le indennità per i sindaci. Ma intanto a Madrid va in scena la protesta. Migliaia di persone in piazza. Scontri con la polizia: 76 le persone ferite di cui 33 tra gli agenti. Otto gli arrestati. «Viviamo in un momento cruciale che determinerà il nostro futuro e quello dei nostri giovani, del nostro welfare. Dobbiamo uscire da questa voragine. E dobbiamo farlo il prima possibile: non c'è spazio per fantasie o improvvisazioni, perché non c'è scelta». Il premier spagnolo ha presentato così in Parlamento il piano di austerità spagnolo. «Le nuove misure di bilancio della Spagna sono un passo importante per rispettare gli obiettivi» ha commentato il portavoce del commissario europeo Olli Rehn. L'annuncio di Rajoy si è verificato meno di 24 ore dopo il via libera dell'Ue a 30 miliardi di euro per la ricapitalizzazione delle banche spagnole in cambio di una serie di misure urgenti di austerità. Dalle misure prese, il premier si attende risparmi per 65 miliardi di euro entro il 2014. Secondo Rajoy le nuove misure di austerità appena varate - insieme all'aumento dell'Iva e i tagli prospettati nella spesa della pubblica amministrazione - permetteranno di raggiungere questo obiettivo in due anni e mezzo circa. Lo ha spiegato lo stesso Rajoy in Parlamento a Madrid, precisando che l'obiettivo delle misure è di «liberare la Spagna» dal peso del deficit e del debito pubblico, e «rispettare l'impegno con l'Europa». La misura più significativa è l'aumento dell'IVA dal 18 al 21% e di quella ridotta dall' 8% al 10%, mentre si mantiene al 4% quella sui beni di prima necessità. E mentre il governo continua con la linea dell'austerità, in piazza sono scese migliaia di persone. Una protesta animata dai minatori delle Asturie che da oltre un mese sono in sciopero per i tagli contro i sussidi per le miniere del carbone. E così mercoledì mattina, arrivati dopo una marcia di oltre 400 chilometri, sono scesi in piazza nella Capitale per far sentire la loro voce. Ma davanti al ministero dell'Industria la tensione si è fatta altissima. Soprattutto dopo l'arrivo della polizia. I manifestanti hanno lanciato bottiglie e banane contro gli agenti che hanno risposto con proiettili di gomma. Poi le cariche. Almeno 76 persone sono rimaste ferite. Stessa scena a poche centinaia di metri di distanza, un altro gruppo di manifestanti, all'esterno dello stadio del Real Madrid (il Santiago Bernabeu). Cinque persone sono state arrestate.

Moody's declassa l'Italia (13 luglio 2012).
Moody's declassa il debito sovrano italiano: titoli di stato giù di due gradini, nel giudizio dell'agenzia di rating, da A3 a Baa2. Appena due punti sopra il livello «junk», quello cioè dei titoli «spazzatura». È la seconda bocciatura in cinque mesi, dopo il taglio del rating a febbraio (che ha coinvolto, insieme all'Italia, anche Spagna e Grecia). Una doccia fredda per il governo italiano che sorprende i mercati, dopo che l'asta dei Bot a un anno di giovedì ha registrato risultati positivi e a poche ore dall'asta dei titoli a medio termine, in particolare dei Btp, di venerdì. È probabile che l'Italia vedrà crescere ancora i costi di finanziamento del proprio debito, spiega l'agenzia americana, che non esclude un ulteriore declassamento. La fiducia nel mercato è fragile - è la valutazione di Moody's - per cause che hanno origine all'estero, in primis il rischio di contagio da Grecia e Spagna, e per temi squisitamente nostrani, come il clima politico che si va surriscaldando, generando instabilità, in vista delle scadenze elettorali. È diminuita la disponibilità degli investitori stranieri a comprare bond italiani. Moody's sottolinea il «deterioramento delle prospettive economiche nel breve termine»; disoccupazione in aumento e crescita debole. In particolare l'economia italiana deve fare i conti con una contrazione del 2% che renderebbe difficile per il Paese centrare gli obiettivi fiscali e di bilancio. L'agenzia riconosce che le misure adottate dall'esecutivo guidato da Mario Monti sono state positive: «Un programma di riforme che ha davvero le potenzialità per migliorare notevolmente la crescita e le prospettive di bilancio». Ma l'outlook negativo dell'Italia risente «anche del clima politico», che «specialmente con l'avvicinarsi del voto della prossima primavera, è fonte di un aumento dei rischi». Per questo Moody's non esclude un ulteriore declassamento: «Il debito pubblico italiano potrebbe essere declassato ancora in caso di un ulteriore concreto deterioramento delle prospettive economiche del Paese o di difficoltà nel mettere in atto le riforme». Se dovesse riscontrare difficoltà a finanziare il proprio debito, l'Italia sarebbe «costretta a richiedere un aiuto esterno». Ma la pressione sull'Italia arriva anche dall'esterno. Dalla possibilità che la Grecia esca dall'euro e che la crisi delle banche spagnole possa peggiorare. Questo nonostante le misure discusse nei vertici di Bruxelles: a meno di una settimana dall'intesa sulla prima tranche di aiuti da 30 miliardi per gli istituti di credito iberici; e in vista del vertice della riunione del 20 luglio, quando saranno definite ulteriormente le misure antispread.
A poche ore dal declassamento dell'Italia da parte di Moody's, scatta l'analisi sul provvedimento. Il premier, da parte sua, commenta: «È una disgrazia, però il mercato ci ha premiati - ha detto Mario Monti durante la conferenza dei big dei media e della new economy riuniti a Sun Valley. Le parole di Monti sono state riferite dall'imprenditore Gianfranco Zoppas, che ha assistito all'intervento di Monti insieme, tra gli altri, al presidente della Fiat, John Elkann. Siamo virtuosi e invece di premiarci ci puniscono» ha aggiunto il presidente del consiglio. Il sistema bancario italiano è solido, ha spiegato Monti al conclave di Sun Valley, mentre sul fronte della riforma del lavoro «si è appena cominciato e occorre fare di più». La Commissione Ue ha invece considerato inappropriato il «timing» dell'annuncio dell'agenzia di rating. Lo ha detto il portavoce Simon O' Connor ribadendo il giudizio positivo di Bruxelles sugli «sforzi senza precedenti» che l'Italia sta facendo per le riforme e il risanamento dei conti pubblici. «Penso che ci si possa legittimamente porre delle domande sull'appropriatezza della tempistica - ha detto O' Connor - di questo declassamento e non è la prima volta che si pone questa questione». «È un giudizio del tutto ingiustificato e fuorviante perché non tiene conto del grande lavoro che il nostro Paese sta facendo» commenta il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera. «Moody's non riconosce le azioni concrete che sono state prese ed avviate e non riconosce l'impegno dimostrato nella gestione dei nostri conti pubblici - aggiunge Passera - ma credo che i mercati questo riconoscimento lo daranno nel tempo perché il lavoro del governo continuerà forte, come è stato fino ad adesso». «L'Italia e il nostro sistema manifatturiero sono molto più forti di quello che appare dal giudizio di Moody's» è la reazione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. «Non ci ha mai convinto, anche in passato, la tempistica delle osservazione delle agenzie di rating nei confronti del nostro paese tuttavia, in un'economia globalizzata e sottoposta ogni giorno ai giudizi dei mercati» è invece il commento del leader della Cisl Raffaele Bonanni. «Il giudizio di Moody's non convince, serve un'agenzia di rating europea indipendente» sostiene infine il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani. «Non sono convinto che le osservazioni delle agenzie di rating siano sempre vere e trasparenti - spiega - non si sa per conto di chi lavorano. Fino ad ora quelle delle agenzie di rating sono state osservazioni a orologeria. Dobbiamo impedire che ci siano attività che danneggino la moneta unica e l'Europa». «Il nostro Paese è solido, l'Italia è la sesta economia ad alto reddito del mondo. La sua capacità di generare prodotto è basata sul robusto contributo del secondo settore manifatturiero d'Europa, che ha subito forti contraccolpi dalla recessione ma che rimane vitale e in profonda trasformazione». Anche le Associazioni imprenditoriali - come Abi, Ania, Alleanza delle Cooperative Italiane, Confindustria e Rete Imprese Italia - replicano «all'ennesima valutazione destabilizzante» dell'agenzia Moody's.

Il debito cresce (16 luglio 2012).
Secondo il Supplemento Finanza pubblica di Bankitalia, il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 17,1 miliardi rispetto al mese precedente, raggiungendo un nuovo massimo storico pari a 1.966,3 miliardi di euro. Con il debito aumentano anche le entrate tributarie grazie, tra l'altro, alle tasse sulla benzina. Nel complesso nei primi 5 mesi il fabbisogno complessivo (53,1 miliardi) è stato superiore di 5 miliardi rispetto a quello registrato nel corrispondente periodo del 2011 (48,2 miliardi) - spiega ancora la Banca d'Italia - Vi hanno influito principalmente gli esborsi in favore degli altri paesi dell'area dell'euro (pari, nel periodo di riferimento, a circa 16,4 miliardi, a fronte dei 4,7 nel 2011); in senso opposto hanno invece operato le misure relative alla tesoreria unica, che hanno comportato il riversamento da parte degli enti decentrati presso la tesoreria centrale di 9 miliardi, precedentemente detenuti presso il sistema bancario. Escludendo questi due fattori, l'aumento del fabbisogno rispetto al corrispondente periodo del 2011 è di circa 2,3 miliardi. In altre parole, via Nazionale spiega che l'incremento è «attribuibile principalmente all'aumento delle disponibilità liquide detenute dal Tesoro (di 8,3 miliardi, a 35,8), al fabbisogno (6,2 miliardi), a scarti di emissione (2,3 miliardi) dovuti all'emissione di titoli sotto la pari, alle variazioni del cambio (0,2 miliardi)». Pesano anche le garanzie italiane sulle emissioni dell'European financial stability facility (Efsf), che hanno aumentato debito e fabbisogno di circa 1,8 miliardi. Le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono aumentate a maggio di 1,4 miliardi (+4,6%) rispetto allo stesso mese del 2011. Lo rileva la Banca d'Italia nel Supplemento sulla finanza pubblica. Nei primi cinque mesi le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono aumentate dell'1,1% (1,6 miliardi) rispetto al corrispondente periodo del 2011, «trainate dalla crescita dei proventi delle accise sulle risorse energetiche».

FMI: taglio sulla crescita (16 luglio 2012).
Il Pil italiano si contrarrà dell'1,9% quest'anno e dello 0,3% il prossimo. La stima è del Fondo monetario internazionale che nel suo aggiornamento estivo conferma le previsioni sulla nostra economia fatte ad aprile. Promossa la situazione dei conti pubblici. Il deficit per i prossimi due anni, affermano i tecnici dell'Fmi, «continua a essere largamente in linea con le attese» e «l'aggiustamento fiscale» previsto «per i prossimi due anni consentirà al Governo di ottenere un piccolo avanzo strutturale nel 2013». L'Italia riuscirà a riportare i conti in nero nel 2013, mettendo a segno un piccolo attivo strutturale di bilancio, pari allo 0,7% del Pil, che tuttavia non sarà ancora sufficiente a imprimere una traiettoria discendente al rapporto debito/Pil (che salirà dal 125,8% al 126,4%), gravato dalla recessione in corso e dal consistente contributo di Roma al fondo salva-stati. Lo storico risultato per i conti pubblici è previsto dagli economisti del Fmi, che nell'ultimo aggiornamento del rapporto "Fiscal Monitor" descrivono un risultato migliore rispetto all'area euro. Lo 0,7% di attivo strutturale italiano (che non depurato dagli effetti del ciclo economico si tradurrebbe in un passivo dell'1,5%), si confronta infatti con un "rosso" dello 0,5% del Pil previsto per quest'anno, mentre per i Paesi della moneta unica, presi nel loro complesso, il rapporto migliorerà in maniera più contenuta da un deficit del 2% a uno dell'1,4%. «Il deficit generale e quello depurato dagli effetti del ciclo per il 2012-13 - si legge nel rapporto - continua a essere largamente in linea con le previsioni. E le correzioni di bilancio dei prossimi due anni consentiranno alle autorità di governo di conseguire un piccolo attivo strutturale nel 2013 (a fronte di un obiettivo di un bilancio strutturale in pareggio)". Va notato, ed è un dettaglio importante, che il saldo strutturale di bilancio è equivalente al saldo depurato dagli effetti del ciclo sottraendo anche le misure una-tantum. Misure queste ultime che non sono incluse nelle proiezioni del Fondo e che rendono i due aggregati equivalenti. Il Fondo Monetario, nel suo giudizio, dà anche conto di come proprio il pareggio strutturale dei conti italiani sia contemplato dal disegno di legge costituzionale che introduce il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale. E sottolinea come il Governo stia pensando a usare il meccanismo della spending review per identificare nuove fonti di risparmio per i conti pubblici italiani: già in una prima fase, approvata questo mese, sono stati approvati tagli di spesa per riequilibrare il precedente pacchetto di misure di risanamento allontanando ulteriori aumenti dell'imposizione fiscale. Il Fondo monetario mette inoltre in guardia da un «nuovo indebolimento» della crescita globale, mentre le tensioni dei mercati sui paesi periferici dell'area euro «sono risalite vicine ai picchi di fine 2011». L'istituzione ha limato le previsioni sulla crescita mondiale al più 3,5 per cento sul 2012 e al più 3,9 per cento nel 2013: rispettivamente 0,1 e 0,2 punti percentuali in meno rispetto a tre mesi fa. Pesante revisione al ribasso anche per il Regno Unito (-0,6%), mentre la Germania è invece uno dei pochi Paesi con un segno positivo. In generale, rispetto ad aprile «sono cresciuti» i rischi per la stabilità finanziaria, ma le azioni aggressive decise dalle autorità europee «hanno fatto guadagnare tempo prezioso per rimettere in sesto i conti delle banche e dei Paesi». Spagna e Italia hanno compiuto «importanti passi nella giusta direzione», afferma il capo economista del Fmi, Olivier Blanchard. In ogni caso «il tempo sta per finire, è ora di agire», fa eco José Vinals, responsabile del Dipartimento mercati. Le borse europee accrescono le loro perdite. Pesano le incertezze dell'Europa di fronte alla crisi del debito, con le decisioni sul meccanismo anti-spread procrastinate a settembre, e inquietano le parole del premier cinese Wen Jiabao, che ha paventato un periodo di «difficoltà» per la seconda economia mondiale, inducendo la borsa di Shanghai ai minimi da tre anni. Pesano anche i negativi dati sulle vendite al dettaglio negli Usa. Giù Francoforte (-0,23%) e Londra (-0,31%), Parigi perde lo 0,53%, Milano arretra dello 0,9%. Più pesante Madrid, giù del 2,34% a causa delle vendite sui bancari. Non si ferma la corsa tra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi che torna a un passo da quota 500. Al momento il differenziale con i bund è a 495 punti base, segnando i massimi dal 16 gennaio scorso. Il rendimento dei nostri Btp a dieci anni passa così al 6,15%. Su anche lo spread fra Bonos spagnoli e Bund che torna sopra quota 558 : il valore attuale di 552 riporta il rendimento dei titoli di Madrid al 6,80%.

La scure di Moody's ancora sull'Italia. Valutazioni imparziali? (17 luglio 2012).
L'agenzia Moody's taglia il rating di 23 enti locali italiani, fra i quali le province autonome di Bolzano e Trento, la Lombardia, il Lazio e le città di Milano e Napoli. Il downgrade degli enti locali segue quello dell'Italia, deciso da Moody's la scorsa settimana. «Le prospettive» per gli enti locali «restano negative in linea con quelle» dell'Italia, afferma l'agenzia internazionale in una nota. Il rating della provincia di Bolzano è stato tagliato da A1 ad A3, così come quello della provincia di Trento. Il rating della Lombardia è stato ridotto da A2 a Baa1, con Milano declassata da A3 a Baa2. Il rating del Lazio è stato tagliato a Baa3 da Baa2. Napoli è stata tagliata a spazzatura, a Ba1. Moody's ha anche tagliato di uno o due livelli il rating a lungo termine e sui depositi di 10 banche italiane e quello emittente di 3. Il voto di Cassa depositi e prestiti e Ismea è stato allineato a quello sovrano. Tra i principali istituti, Unicredit scende a Baa2 con outlook negativo. Stesso rating per Intesa Sanpaolo e le sue controllate, Bnl, Cariparma, Friuladria. A Baa3 va Credito Emiliano. L'agenzia ha tagliato anche il rating di Terna e Acea. Moody's sottolinea che il downgrade riflette il taglio del rating dell'Italia che invece non ha conseguenze su Enel, Edison, A2A e Aeroporti di Roma. Il rating di Snam è stato messo sotto osservazione per un eventuale downgrade. Moody's taglia anche il rating di Poste Italiane da A3 a Baa2 con prospettive negative. Il downgrade riflette «l'esposizione di Poste Italiane alla difficile situazione macroeconomica in Italia e l'ampio portafoglio di titoli di stato». Moody's taglia il rating di Eni ad A3/P-2.
La situazione del Paese è critica, in questi giorni si sente dire che la Sicilia tra poco non avrebbe i fondi per pagare i dipendenti regionali, ma i rating sono del tutto liberi e imparziali? La Procura di Trani potrebbe diventare il sassolino negli ingranaggi delle attività di Moody's e Standard and Poor sospettate sia per i contenuti che per la tempistica di molti loro giudizi. I pm di Trani hanno chiuso le indagini su Standard and Poor's e la prossima settimana chiuderanno anche quelle su Moody's, concludendo - secondo le anticipazioni - per una richiesta di rinvio a giudizio che punterà sull'ipotesi di aggiottaggio, per la tendenziosità speculativa dei loro rating. I magistrati contestano la “scelta mirata nei tempi" del report sull’Italia, diffuso il 6 maggio 2010 a borse aperte, che suggeriva “intenzionalmente” ai mercati “una relazione tra il rischio Grecia e la rischiosità delle banche italiane: relazione e rischiosità a quella data inesistenti e tuttavia, proprio in diretta conseguenza dell’annuncio, percepite come realmente esistenti”. Si vedrà quale giudizio si formerà il tribunale di merito sulle accuse istruite dalla Procura. Ma il verdetto della politica contro Moody's e Standard and Poor's è già stato pronunciato da molte autorevolissime fonti istituzionali: la Commissione Europea, Bankitalia e la stessa Bce. Quel che sarà difficile dimostrare è il movente: perchè a pensare male s'indovina, ma le prove sono un'altra cosa. Moody's e Standard and Poor's davvero diramano i loro giudizi per far guadagnare le banche d'affari che sono i loro azionisti? Chi mai potrà documentarlo? Certo, tra i soci delle due case di rating ricorrono gli stessi nomi dei “big” della finanza che controllano anche Goldman Sachs, JP Morgan e Morgan Stanley, le tre banche d'affari più sospettabili di intenti speculativi sui mercati, visto che speculare fa parte dei loro mestieri riconosciuti. Sono fondi come Black Rock, Fidelity, Vanguard, Capital World, banche come State Street. Azionisti sia delle due società di rating che delle tre grandi banche. Intanto, però, il mercato ha iniziato a trarre le conseguenze da tanto sospetto e da tanto strano tempismo, per cui il downgrading dell'Italia annunciato da Moody's non ha minimamente danneggiato il buon esito dell'asta dei Bpt e il buon andamento delle Borse: come se i listini ormai sapessero che spesso questi giudizi delle società di rating sono le classiche “previsioni del giorno dopo”. Le “big” del rating avevano lasciato la tripla “A” alla Lehman Brothers fino al giorno del fallimento; non avevano capito niente del cancro finanziario da 14 mila miliardi di vecchie lire che la Parmalat di Calisto Tanzi stava covando in pancia; anche la Enron prima di fallire, aveva ancora un Baa1; l'Argentina, l'unico grande Paese del mondo ad aver fatto default, era classificata alla vigilia dell'annuncio come BB, rischio alto ma non ai livelli greci; le due banche immobiliari americani, Fannie Mae e Freddie Mac, poi entrambe fallite e nazionalizzate, avevano entrambe una tripla A; e il mega-truffatore Madoff, prima di essere smascherato, poteva a sua volta fregiarsi della tripla A. Cosa aggiungere? Un altro magari marginale ma significativo antidoto potrebbe arrivare ancora dal mercato, perchè a settembre inizierà ad operare in Europa, con base operativa a Milano, la Dagong, agenzia di rating governativa cinese, da anni criticissima verso le consorelle americane, convinta di poter conquistare una grossa quota di mercato.

FMI: tagliare le spese (18 luglio 2012).
«L'Italia deve tagliare la spesa per diminuire le tasse e distribuire in maniera migliore il peso della correzione dei conti, oltre che aiutare la crescita». E' questa la raccomandazioni che l'Fmi rivolge a Roma. Il Fondo monetario, nel nuovo rapporto sull'Eurozona, chiede un surplus strutturale dell'1% del Pil «come ancoraggio alle nuove regole di bilancio Ue. L'Italia inoltre deve «aumentare la produttività nei servizi attraverso l'accelerazione delle riforme nel settore energia e nei servizi professionali per ridurre i costi nel fare imprese e aumentare la competività». Secondo il Fondo monetario occorre poi «limitare il coinvolgimento dello stato nell'economia e attuare la riforma del lavoro». L'Fmi guarda poi all'Europa e chiede «un deciso passo verso una unione più completa, necessario ora per dimostrare l'inequivocabile impegno dei politici a sostenere la zona euro». La prima priorità «è l'unione bancaria per spezzare il legame debito sovrano-banche». La zona euro prosegua sul cammino delle riforme che daranno risultati importanti a medio termine ma sono necessari anche «provvedimenti nel breve». La zona euro prosegua sul cammino delle riforme che daranno risultati importanti a medio termine ma sono necessari anche «provvedimenti nel breve». È quanto afferma l'Fmi secondo cui la risposta deve avvenire in primis dalla Bce attraverso diverse misure quali tagli dei tassi, quantitative easing, acquisto titoli di stato e liquidità.

Piano Gavazzi: addio agli incentivi alle imprese (19 luglio 2012).
Un taglio agli incentivi che non creano investimenti aggiuntivi per spostare le risorse a riduzione del cuneo fiscale. È questo il piano messo a punto da Francesco Giavazzi, il consulente incaricato dal Consiglio dei ministri lo scorso 30 aprile. Il rapporto «Analisi e raccomandazioni sul tema di contributi pubblici alle imprese» contiene anche uno schema di decreto legge in 6 articoli. Il tema è stato al centro di un incontro tra Monti, Passera e lo stesso Giavazzi: si valuta di trasformare il piano, o almeno alcuni dei suoi principi, in norme nella terza fase della spending review che potrebbe arrivare subito dopo la pausa di agosto a meno di improvvisi peggioramenti dello scenario economico internazionale che impongano segnali forti da dare in tempi stretti. Nel rapporto, circolato finora solo a Palazzo Chigi, il docente della Bocconi va subito al cuore del progetto: «Solo una riduzione della spesa per finanziare una corrispondente diminuzione della pressione fiscale favorisce la crescita». Incrociando diverse stime e dati in possesso della pubblica amministrazione, Giavazzi stima «in un valore non lontano da 10 miliardi all'anno» l'ammontare dei contributi eliminabili nel lungo periodo, considerando esclusivamente i contributi alle imprese in senso stretto ed eliminando dall'oggetto del rapporto sia gli incentivi finanziabili con fondi europei sia quelli diretti a compensare l'adempimento di obblighi di servizio pubblico (trasporto, sanità, istruzione). Tra gli aincentivi eliminabili figurano contributi in conto interessi, aiuti per emittenti locali, per l'agricoltura, crediti di imposta, Far, bonus occupazionale, fondo finanza d'impresa, incentivi assicurativi e all'aeronautica. Per Giavazzi il taglio degli incentivi alle imprese sarebbe comunque da accompagnare a un intervento compensativo con sensibili benefici sul Pil. «Un taglio della spesa, se utilizzato per ridurre la pressione fiscale, può far crescere il reddito in modo più che proporzionale». L'abrogazione di contributi per circa 10 miliardi annui «produrrebbe, nell'arco di due anni circa, un aumento del livello del Pil di 1,5%». I risparmi dovrebbero andare in parte a incentivare le poche attività per le quali si può dimostrare un effetto aggiuntivo degli investimenti (ad esempio la ricerca e sviluppo) ma, soprattutto, dovrebbero portare alla riduzione della pressione fiscale mediante «una riduzione del "cuneo fiscale", la differenza tra il costo del lavoro per l'impresa e il salario netto per il lavoratore», da stabilire con decreto del ministro dell'Economia. In questo modo, aggiunge il consulente incaricato da Monti, i trasferimenti ad alcune imprese si trasformerebbero in un vantaggio per tutte le imprese, «creando un ampio consenso favorevole a questi interventi». L'aspetto importante di questa iniziativa è che è stata accolta con molto favore da Confindustria, a dimostrazione che il mondo dell'impresa sottende una maggiore comsapevoleza dei problemi veri del Paese più della politica e della PA.

Intervento salva Spagna (20 luglio 2012).
L'Eurogruppo dovrebbe approvare dopo settimane di difficilissime trattative il pacchetto di aiuti alle banche spagnole, in gravissima difficoltà finanziaria. Il contratto firmato dal Governo madrileno con il fondo di stabilità europeo Efsf introduce alcuni elementi di flessibilità: prevede che il denaro messo a disposizione dai partner europei possa essere utilizzato anche per altri scopi, previo il benestare di tutti i Paesi della zona euro e un nuovo protocollo d'intesa. La riunione dei ministri finanziari della zona euro avverrà oggi in teleconferenza. Già il 9 luglio, l'Eurogruppo, riunito a Bruxelles, aveva dato il suo «accordo politico» al memorandum che precisa una serie di misure per permettere alla Spagna di convogliare il sostegno finanziario europeo alle proprie banche. L'obiettivo dei Governi della zona euro è di mettere mano al sistema finanziario spagnolo e non solo ad alcune banche in difficoltà. È stato appena pubblicato sul sito del Bundestag il contratto firmato dal Governo madrileno con l'Efsf, il fondo finanziario che darà i soldi alle autorità spagnole, le quali poi li trasmetteranno alle singole banche in crisi finanziaria. È interessante notare che secondo il documento (chiamato in inglese Financial assistance facility agreement) il denaro, fino a 100 miliardi di euro, può essere usato per vari scopi, e non solo per la semplice ricapitalizzazione degli istituti di credito. I soldi potranno essere utilizzati per «acquisti di titoli obbligazionari sul mercato primario», per «acquisti di titoli obbligazionari sul mercato secondario», per prestiti al Governo spagnolo. Per molti versi, si tratta di una novità, se è vero che ancora in questi giorni i membri dell'Eurogruppo hanno ribadito più volte che il pacchetto spagnolo è solo bancario, nel tentativo disperato di spezzare il legame tra bilanci bancari e bilancio sovrano. Ieri la Commissione ha voluto precisare la valenza di questa novità: «La somma che può arrivare fino a 100 miliardi di euro, e che la zona euro è pronta a dare alle banche spagnole, è valida solo per le banche spagnole e non per altri scopi», ha affermato Simon O' Connor, portavoce del commissario agli Affari monetari Olli Rehn. «Non vi è alcun legame tra l'assistenza per la ricapitalizzazione delle banche e qualsiasi altra assistenza che la Spagna potrebbe chiedere in futuro». Riferendosi alla stampa spagnola, O' Connor ha aggiunto: «Gli articoli di stampa si sono basati su una interpretazione erronea del documento legale». La differenza tra la posizione della Commissione e l'interpretazione dei giornali spagnoli sta in una clausola del contratto: «Le parti - si legge - riconoscono e accettano che i termini di utilizzo dei soldi nelle diverse fattispecie potrebbero prevedere diversi compensi, livelli di compensi, condizionalità politiche e altre condizioni». «Entro i limiti del protocollo d'intesa» e purché ci sia il benestare delle parti e dei direttori dei Tesori della zona euro, il denaro che non viene utilizzato per un determinato scopo può essere usato per altre ragioni. Ieri un diplomatico commentava la novità con il desiderio di evitare eventuali nuovi e difficili ratifiche nazionali: «Se la Spagna ha bisogno di denaro per motivi che vanno oltre le banche bisognerà immaginare un nuovo protocollo d'intesa, ma almeno i soldi saranno già stati approvati». La novità spagnola è forse un primo passo verso uno scudo anti-spread, in qualche modo automatico, come richiesto dall'Italia? In realtà, consapevoli dei rischi che la Spagna possa avere bisogno di ulteriori aiuti europei, i Governi hanno deciso di giocare d'anticipo, inserendo le varie ipotesi fin da ora nel contratto firmato con il Governo madrileno, anche se acquisti obbligazionari richiederanno comunque un protocollo d'intesa e il denaro a disposizione dell'Efsf per la Spagna è veramente poco per un intervento credibile sui mercati finanziari.

Al primo posto nella tassazione agli ultimi posti nei servizi (20 luglio 2012).
Nel 2012 la pressione fiscale effettiva o legale in Italia, cioè quella che mediamente è sopportata da un euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato, è pari al 55%. Lo indica l'Ufficio studi di Confcommercio, precisando che si tratta di un record mondiale, e che la pressione fiscale apparente è al 45,2%. Il valore della pressione fiscale effettiva, precisa Confcommercio nel rapporto "Una nota sulle determinanti dell'economia sommersa", «non solo è il più elevato della nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto». «C'è una maggioranza silenziosa che non evade, che sopporta una pressione fiscale del 55% e in qualche caso anche di più». È quanto ha affermato il direttore dell'agenzia delle entrate, Attilio Befera, aggiungendo, nel corso di un convegno alla Confcommercio, che «qualche imprenditore mi ha parlato anche del 70%». Chi paga le tasse «lo fa per il senso del dovere, che è una delle nostre virtù». Quindi, ha proseguito Befera, «per tanti che evadono ci sono tantissimi che non evadono». L'Italia si posiziona infatti al top della classifica davanti a Danimarca (48,6%), Francia (48,2%)e Svezia (48%). Fanalino di coda Australia (26,2%) e Messico (20,6%). Giova sottolineare che i paesi del Nord Europa, noti, un tempo, per l'elevato livello della pressione fiscale, negli ultimi cinque anni hanno ridotto la tassazione con valori tra il 2 e il 5%, puntando sullo sviluppo. «Non solo l'Italia è al primo posto» nel mondo, «ma è difficile che in un futuro prossimo saremo scavalcati» dagli altri Paesi, ha detto il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella, spiegando che «gli altri paesi alle spalle dell'Italia non solo stanno riducendo la pressione fiscale, ma hanno un sommerso economico molto ridotto rispetto a noi». «Sotto il profilo aritmetico - si legge nel rapporto - il record mondiale dell'Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall'elevato livello di sommerso economico che dall'elevato livello delle aliquote legali». L'Italia si classifica ai vertici della classifica internazionale anche per la pressione fiscale apparente, quella data dal rapporto tra gettito e Pil: con il suo 45,2% il nostro Paese è al quinto posto su 35 paesi considerati, dietro a Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia e Belgio (entrambi 45,8%). Il dato è il livello più alto del periodo per il quale si dispone di statistiche attendibili, precisa il rapporto, spiegando che il balzo del 2012 «è dovuto alla strategia di restrizione fiscale che dovrebbe portare il nostro Paese al close to balance nel 2013». Tra il 2000 e il 2012, mentre la pressione apparente media è scesa di nove decimi nell'area euro e di un punto nell'Ue27, l'Italia è tra gli unici Paesi europei "grandi" ad aver innalzato il prelievo: +3,4 punti percentuali, insieme al Portogallo (+3 punti) e Francia (+0,4 punti). E anche nel mondo, dove prevale la tendenza alla riduzione, l'Italia guida la classifica, seguita dal Giappone (+2,9 punti). Si vuole sottolineare che a fronte del record mondiale nella tassazione, l'Italia, tra i paesi dell'Ocse, figura all'ultimo posto per qualità ed efficienza dei srvizi. Siamo oramai un popolo di sudditi.

Italia e Spagna nel mirino dei mercati (20 luglio 2012).
Venerdì nero per le Borse europee, con Italia e Spagna nel mirino dei mercati: il Ftse MIib ha concluso la seduta perdendo il 4,38%, l'Ibex spagnolo il 5,82%. A Parigi l'indice Cac a fine giornata segna -2,14%, a Francoforte il Dax -1,90% e a Londra il Ftse -1,09%. In rosso anche Wall Street. Il tutto nonostante il via libera dell'Eurogruppo sul piano di aiuti a favore della Spagna, centrato sul supporto alle ricapitalizzazioni delle sue banche. I mercati ritengono che l'aiuto dell'Eurogruppo abbia effetti solo nel breve termine, considerando che la Spagna ha abbassato le stime sul Pil 2013 e la regione della Valencia ha chiesto al governo aiuti finanziari per risanare il debito. A Milano le vendite colpiscono soprattutto i titoli finanziari, in particolare Bper, Generali, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Danni limitati per Exor, grazie al giudizio positivo di Goldman Sachs su Fiat, e Tenaris. Acquisti su Fondiaria - Sai e Unipol: ieri la compagnia bolognese è salita all'81% del capitale di Premafin, conquistando il controllo della ex galassia Ligresti. Proseguono le vendite sui Bonos decennali facendone lievitare i rendimenti al 7,15 per cento mentre lo spread rispetto ai Bund della Germania si allarga ad un nuovo massimo storico a 598 punti base nuovo massimo storico e che sfiora la soglia psicologica dei 600 punti. Da ieri le tensioni si sono riacutizzate sulla Spagna mentre il ministro del bilancio Cristobal Montoro affermava che ormai mancano i soldi in cassa per pagare i servizi mentre nelle strade si moltiplicano le manifestazioni di protesta. Nel corso della notte vi sono stati anche scontri con le forze dell'ordine. Lo spread tra Btp italiani e Bund torna a sua volta a salire a 498 punti base, a un soffio dai 500 punti, con i rendimenti sulla scadenza decennale in risalita al 6,15 per cento. Chiusura in flessione per la piazza finanziaria giapponese, complice la crescita dello yen sull'euro e i timori per la salute dell'economia statunitense. L'indice Nikkei archivia la seduta con un ribasso dell'1,43%.
Da giorni la Spagna è al centro di una gravissima crisi di fiducia. Qualcuno si è spinto a dire che ci potrebbe essere una vera crisi sistemica se il Tesoro spagnolo non riuscisse a finanziarsi sul mercato. L’economia spagnola al momento soffre di alta disoccupazione, presenta un deficit pubblico ancora alto e un sistema bancario molto fragile. Nel 2011 il deficit pubblico in Spagna era pari all’8% del pil. I progetti del governo sono di ridurre il deficit al 5,3% nel 2012 e per realizzare questo obiettivo sono stati annunciati tagli alla spesa pubblica, un aumento delle tasse, misure per l’emersione di capitali esportati illegalmente e lotta all’evasione fiscale. La disoccupazione spagnola è a livelli del 24,4 per cento, un vero record in Europa. Basti pensare che la disoccupazione era all’8,3 per cento solo cinque anni fa. Ma forse l’elemento più preoccupante è rappresentato dalla fragilità del sistema bancario iberico. Il Santader e la BBVA sono la prima e la terza più grande banca per capitalizzazione in Europa, si tratta di colossi che se fallissero causerebbero effetti dirompenti sul sistema bancario di tutto il continente. Il sistema bancario spagnolo ha finanziato senza riserve il boom immobiliare e la caduta dei prezzi delle case dal 2009 in poi sta mettendo a rischio la sopravvivenza delle banche spagnole. Nel 2011 sono state vendute solo 360.000 case in Spagna, la metà rispetto al numero di immobili venduti nel 2007. Le banche spagnole sono esposte per quasi 470 miliardi di euro sul mercato immobiliare i cui prezzi sono in caduta da anni, senza prospettive di ripresa a breve termine. Anche i mutui inesigibili sono in forte aumento. Si impone quindi la necessità di una ricapitalizzazione delle banche. Secondo la Banca di Spagna sarebbero necessari 29 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche e 15,5 miliardi di nuova liquidità per mettere il sistema in condizioni di sicurezza. Ma in realtà le richieste di rifinanziamento da parte delle banche sono dell’ordine di 152 miliardi di euro. La Spagna è la decima più grande economia del mondo e la quarta nell’area dell’euro. La Spagna ha forti legami con gli altri paesi europei ed è il più importante investitore in molti paesi dell’America Latina. Il sistema bancario spagnolo si è spinto lungo la pericolosa strada della speculazione immobiliare molto di più di quello italiano. La crescita spagnola è stata drogata per anni dalla bolla immobiliare e oggi i nodi vengono al pettine. A differenza dell’Italia la Spagna non ha un’industria manifatturiera molto sviluppata e soprattutto non ha quattro milioni di solide piccole imprese come l’Italia. La situazione attuale quindi è molto più difficile per la Spagna. Ma vi è un rischio di contagio. La caduta dei corsi dei titoli pubblici spagnoli, l’aumento della sfiducia sulla solvibilità dello Stato iberico, l’impennata dei tassi sui titoli pubblici spagnoli sta contagiando anche i titoli italiani. In questo scenario tuttavia l’Europa è pericolosamente ferma. I leader europei giocano pericolosamente con il fuoco. I tedeschi e altri paesi del nord Europa vorrebbero che prima i paesi del Sud Europa realizzassero le riforme necessarie per risanare il deficit e per avviare un rientro dal debito pubblico. Ma nel frattempo si rischia una crisi di liquidità che potrebbe trascinare tutto il continente nell’abisso.

Un altro lunedì nero. Outlook negativo per la Germania. (23 luglio 2012).
Fitte vendite su tutti i listini. La settimana in Borsa è iniziata proprio come era terminata quella precedente: con smottamenti da allarme rosso. Milano ha guidato i ribassi peggiori con crolli arrivati fino al 5% intorno alle 12 per poi riprendere fiato e limitare il danno in chiusura al 2,76%. Un argine alle forti perdite italiane è arrivato con la decisione della Consob – a inizio pomeriggio - di far scattare subito il divieto di vendite allo scoperto sui titoli finanziari che resterà in vigore per tutta la settimana. Nel frattempo anche la Spagna prendeva un provvedimento analogo della durata di tre mesi però. Il tutto mentre sono nuovamente lievitate le tensioni sui titoli di Stato dei paesi ritenuti più a rischio nell'area euro. Il rendimento dei titoli di Stato dell’Italia è schizzato alle stelle. Mentre lo spread dei titoli decennali italiani ha chiuso a 516 punti base dopo aver visto quota 530 nel corso della seduta. La Spagna in chiusura viaggiava a quota 632. In crescita il rendimento dei Btp a dieci anni che ora offrono un rendimento del 6,3375% mettendo di nuovo in difficoltà il Tesoro. «I rendimenti sui Btp a questi livelli non potrebbero essere sostenuti a lungo. Sul quadro hanno pesato tutte le notizie negative che arrivano sul fronte Grecia e Spagna e che stanno tentando di affondare anche l’Italia. Ieri i timori si sono riaccesi sulla Grecia sull’onda delle indiscrezioni riportate dal settimanale Der Spiegel, secondo cui il Fondo monetario internazionale avrebbe intenzione di sospendere gli aiuti visti i timori sul raggiungimento del target debito/Pil al 120% entro il 2020. La Spagna ha invece attirato su di sé il faro degli operatori con la Banca centrale spagnola che ha fatto sapere che il Pil del secondo trimestre potrebbe scendere dello 0,4%. Pesano anche le indiscrezioni che vedrebbero altre regioni spagnole richiedere aiuti a Madrid, dopo Valencia. Un nuovo elemento di incertezza per i mercati che in questa fase sono a caccia di stabilità. In settimana ci saranno appuntamenti importanti. Domani la Spagna andrà in asta con Letras a 3 e a 6 mesi fino a 3 miliardi di euro, mentre giovedì e venerdì il Tesoro italiano andrà in asta con Bot e Btp fino a 18 miliardi di euro. Si spera in un affievolimento dello spread in vista di questi appuntamenti pena il ritorno dei rendimenti sui livelli record dello scorso anno. I mercati non dànno fiducia all'Italia perchè non vedono inizuative serie e sostanziali per la riduzione del debito, che, d'altro canto, continua a salire. Declassamento anche per la Germania. Moody's ha tagliato l'outlook a Germania, Olanda e Lussemburgo. Secondo l'agenzia di rating americana infatti il peso del mantenimento dell'eurozona ricadrà tutto sulle spalle dei tre paesi. Il rating di Germania, Olanda e Lussemburgo è rimasto AAA, ma l'outlook è passato dunque da stabile a negativo. L'unico paese il cui outlook è stato considerato stabile è la Finlandia, con rating tripla A. La decisione di Moody's è stata presa anche a causa dell'aumento del rischio per l'Europa, con Spagna e Italia che secondo l'agenzia di rating potrebbero essere vicine a una richiesta di aiuti. A provocare la misura anche la situazione greca, con il paese che sembra di nuovo valutare un'uscita dall'eurozona. «Riaffermiamo il nostro impegno a garantire la stabilità dell'Eurozona nel suo insieme». È quanto ha affermato il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker dopo la revisione del'outlook di Germania, Olanda e Lussemburgo da parte di Moody's, in una nota nella quale precisa che "i fondamentali di questi paesi sono sani".

Ancora bufera sulle borse (24 luglio 2012).
Piazza Affari chiude ancora in negativo (-2,7%) e la Spagna anch'essa in calo del 3% sulle attese che la Catalogna sia costretta a chiedere aiuti al governo di Madrid. Un'immediata attuazione degli accordi raggiunti al Consiglio Ue di fine giugno sull' introduzione, tra le altre cose, del cosiddetto scudo contro le eccessive oscillazioni dello spread, sono stati chiesti nel corso del Consiglio Affari Generali dell'Ue da Francia, Italia e Spagna. I tre paesi mediterranei chiedono l'immediata applicazione degli accordi presi il 28 e 29 giugno scorsi. È quanto si apprende da una nota congiunta emessa dal segretario di Stato spagnolo per l'unione europea, Íñigo Méndez de Vigo, dal ministro francese per gli Affari europei, Bernard Cazeneuve, e dal ministro italiano per gli Affari europei, Moavero Milanesi, riuniti a Bruxelles. «La rapidità - ha affermato Méndez de Vigo - è una condizione essenziale per il successo di qualsiasi azione europea». Lo spagnolo ha poi aggiunto che «esiste un divario preoccupante tra le decisioni che prende il Consiglio europeo e la messa in atto di questi accordi». «È ora che l'Europa dia un segnale» ha detto da parte sua il ministro per lo Sviluppo, Corrado Passera. Il differenziale tra Btp decennali e Bund tedeschi, ha viaggiato a quota 530 punti, con un massimo di 547, i livelli del 17 novembre 2011, il giorno del passaggio di consegne tra Silvio Berlusconi e Mario Monti alla guida del governo. I Btp decennali tornano a pagare un rendimento del 6,5% per la prima volta dallo scorso gennaio e preoccupano parecchio anche le scadenze brevi con il Btp a due anni che rendono più del 2%. I titoli con scadenza residua pari a nove anni hanno superato il rendimento di quelli irlandesi. Anche la regione autonoma della Catalogna ha chiesto il salvataggio allo Stato centrale. Dopo la richiesta avanzata venerdì scorso dalla regione autonoma di Valencia, ora come temuto la richiesta di supporto finanziario si estende a quella che è la seconda maggiore regione autonoma della Spagna per peso economico, dopo quella di Madrid, con una rilevanza analoga a quella del Portogallo. A annunciare la richiesta è stato un responsabile del governo locale alla Bbc. Il presidente dell'Eurogruppo, Jean Claude Juncker, dopo il taglio delle prospettive del debito pubblico di Germania, Olanda e Lussemburgo da parte di Moody's, ha ribadito il suo «fermo impegno ad assicurare la stabilità della zona euro nel suo insieme». Juncker in un comunicato ha spiegato che i fondamentali di questi tre paesi sono «sani».

La ricetta della Bce per frenare la crisi (26 luglio 2012).
È bastata una frase del governatore della Banca d'Austria, Ewald Nowotny, per ridare fiato ai mercati. «Vedo buone ragioni per dare una licenza bancaria al fondo salva-Stati Esm», ha detto Nowotny, normalmente annoverato fra i "falchi" del consiglio della Banca centrale europea, e, nonostante la misura sia ancora tutta da discutere, presenti molti ostacoli di natura legale, e la sua attuazione richieda tempo, potrebbe essere un tassello decisivo di una sequenza di interventi per stabilizzare i mercati dell'area euro. Tale sequenza, secondo un'ipotesi delineata da fonti monetarie e di mercato, dovrebbe partire dalla imminente richiesta della Spagna dell'attivazione del cosidetto scudo anti-spread varato dal vertice europeo di fine giugno. A questo si riferisce il richiamo alla rapida attuazione di quelle decisioni nei comunicati diffusi dopo gli incontri del ministro spagnolo Luis de Guindos con i suoi colleghi di Berlino e Parigi. La Spagna si assoggetterebbe a una serie di impegni non molto diversa da quella già elaborata nel memorandum of understanding sottoscritto per ottenere i 100 miliardi di euro di prestiti a favore del suo sistema bancario, ma non a un salvataggio come quelli cui hanno dovuto ricorrere Grecia, Irlanda e Portogallo. È possibile che venga introdotta qualche condizione addizionale, ma l'impianto resterebbe lo stesso, consentendo una decisione in tempi brevi, dopo il parere della Banca centrale europea. A questo punto, il fondo salva-Stati Efsf (l'unico al momento funzionante, dato che l'Esm è bloccato fino al 12 settembre dall'attesa della pronuncia della Corte costituzionale tedesca) potrebbe intervenire acquistando titoli di Stato spagnoli. La Bce farebbe semplicemente da agente, come previsto dagli accordi europei. Secondo una fonte, l'Efsf agirebbe di preferenza sul mercato primario, potendo in questo modo limitare a priori l'importo necessario, considerato anche che la Spagna, come l'Italia, ha limitato le emissioni nel mese di agosto. L'Efsf soffre infatti di una carenza di risorse, accentuata dal fatto che gravano sulle sue casse gli aiuti alle banche spagnole fino a che non entrerà in funzione l'Esm: resta una cifra stimata fra i 110 e i 140 miliardi di euro. Un punto da chiarire è se gli interventi dell'Efsf avrebbero bisogno di un ulteriore passaggio al Bundestag, come imposto lo scorso anno dalle Corte suprema a ogni decisione europea che gravi sul contribuente tedesco. Il ruolo dell'Efsf sarebbe comunque temporaneo: una volta sbloccato l'Esm dalla Corte di Karlsruhe, sarebbe il fondo permanente a subentrare negli interventi. L'Esm ha a sua volta il problema di una "potenza di fuoco" limitata, insufficiente a proteggere sia la Spagna sia eventualmente l'Italia. Per questo, si ripropone la questione di consentire al fondo, in un secondo tempo, di accedere ai finanziamenti della Bce attraverso una licenza bancaria. L'Esm utilizzerrebbe come collaterale presso la Bce i titoli acquistati. Una proposta finora sempre respinta apertamente dall'Eurotower, e sulla quale graverebbe comunque l'incertezza dei passaggi in Parlamento e alla Corte tedesca. Il fatto che sia stata ripresa da Nowotny indica che qualche apertura è possibile. Finora l'idea è stata considerata, anche dal presidente dell'istituto di Francoforte, Mario Draghi, e soprattutto da un parere legale espresso dalla Bce lo scorso anno, in violazione del Trattato che proibisce il finanziamento monetario dei deficit pubblici. Dovrebbe certamente essere sottoposta a una severa condizionalità, senza la quale sarebbe inaccettabile per la Germania, ed eventualmente alla possibilità di revocare la licenza una volta che non ce ne sia più bisogno. Secondo fonti di mercato, il solo annuncio della possibilità che l'Esm si approvvigioni (in linea teorica illimitatamente) presso la Bce ne aumenterebbe l'effetto deterrente e quindi limiterebbe la necessità di utilizzarla per grandi importi. Il vantaggio dell'operazione in tre stadi (interventi prima dell'Efsf, poi, dopo settembre, dell'Esm, senza e con licenza bancaria) per la Bce sarebbe di evitare una ripresa dei suoi acquisti di titoli in base al programma Smp, controverso fin dalla sua creazione, e un probabile nuovo scontro con la Bundesbank. L'Eurotower potrebbe quindi concentrarsi sulla politica monetaria convenzionale, con l'ipotesi, oggi data per molto probabile sui mercati, di un altro taglio dei tassi d'interesse dopo quello di luglio, presumibilmente alla riunione di settembre. Ogni segnale di rischi di deflazione, come sottolineato di recente da Draghi (che ha ricordato come la stabilità dei prezzi vada salvaguardata «nei due sensi») darebbe alla Bce motivo di agire. I dati diffusi ieri nell'indagine sul credito nell'eurozona nel secondo trinmestre indicano che le condizioni sono continuate a peggiorare, seppure non a un ritmo accelerato rispetto al primo, e che la domanda di finanziamenti da parte delle imprese resta molto debole.

Gli imprenditori italiani e la crisi. Fondazione Nord-Est (26 luglio 2012).
La depressione è, se possibile, ancor più pericolosa della recessione. Se alle difficoltà oggettive del fare impresa, si somma anche un immaginario collettivo marcato da una visione negativa, allora diventa urgente dare segni di discontinuità. In particolare quando queste percezioni vengono riverberate da chi dovrebbe essere ottimista per natura: gli imprenditori. Purtroppo, in questa fase turbolenta non è così. Dialogando con industriali, ristoratori, artigiani alla fine fa sempre capolino la stessa domanda: “Che senso ha lavorare così tanto ed essere (tar)tassati? Dare un (piccolo) aumento ai propri dipendenti e poi ascoltare le loro lamentele perché in busta paga se ne trovano di meno? Qual è il futuro per il nostro Paese?”. È il bisogno di dare un senso e una direzione ai sacrifici che si stanno facendo, la necessità di avere un orizzonte e un futuro minimamente definito. Invece, si vive all’impronta, alla giornata. Quasi di ora in ora, con un clima sempre più convulso e incerto. D’altro canto, non potrebbe essere diversamente, considerato quanto si sta muovendo sotto il cielo europeo e italiano. Sul versante esterno, l’economia internazionale tende a rallentare. L’UE è divisa e il suo cammino appare costantemente incerto sulle misure e sulle azioni da intraprendere. A giorni alterni si parla di fuoriuscita della Grecia, di crisi spagnola e di quella incombente dell’Italia. Sul versante interno, il quadro politico è assolutamente volatile, imperscrutabile negli scenari futuri: voto in autunno o nel 2013? Con quali leader? Con quali programmi? Nel frattempo, i consumi sono bloccati, le imprese che non hanno sbocchi sui mercati esteri e operano solo su quello locali sono sempre più alle prese con una liquidità scarsa. Insomma, un quadro che definire preoccupante appare eufemistico. I risultati di una ricerca nazionale sugli imprenditori in Italia testimoniano una condizione e un sentiment segnato da forti aspetti negativi.
1. Le prospettive dell’economia per i prossimi 6 mesi portano saldi pesantemente negativi, sia per quella regionale (-51,2), sia per quella nazionale (-61,6). Ma la novità problematica viene dalle previsioni su quella internazionale che, per la prima volta dall’inizio del 2000, ha un segno negativo (-33,5). Come a dire che anche le imprese che hanno una proiezione sui mercati esteri non annusano nulla di buono per il futuro prossimo. Considerato che l’export è l’àncora di salvataggio della nostra economia, è fondamentale quanto prima sostenere efficaciemente le nostre PMI sui mercati esteri.
2. A questo si aggiunge la previsione della durata della crisi, quando si uscirà dal tunnel. Gli imprenditori italiani anno dopo anno spostano sempre più in là nel tempo l’orizzonte della fine delle difficoltà. Nel 2011 poco più di un terzo riteneva che la crisi sarebbe durata oltre 1 anno e mezzo (37,5%). Poiché la rilevazione era avvenuta a giugno, oggi dovremmo cominciare a intravedere la luce in fondo al tunnel. Invece, a un anno da allora, la medesima prospettiva è sostenuta dalla maggioranza: 51,2%. La crisi diventa una condizione permanente, assume la connotazione della normalità. L’incertezza è una certezza.
3. Un contesto economico così problematico è accompagnato a (alimentato da?) una forte caduta nella fiducia nelle istituzioni politiche ed economiche, oltre che nei mondi della rappresentanza. I segnali nei mesi precedenti (si veda l’esperienza delle elezioni amministrative recenti) appaiono ulteriormente amplificati presso gli imprenditori. Lo stesso Presidente della Repubblica, che negli anni precedenti era l’unica istituzione politica a ottenere un consenso maggioritario, per la prima volta scende sotto la soglia della sufficienza (44,8%, era al 64,2% nel 2011). Tutte le istituzioni (dall’UE, alle Associazioni imprenditoriali; dalla BCE alle Regioni) conoscono un crollo. Solo il Governo Monti, rispetto al suo predecessore Berlusconi (13,6% nel 2011), cresce in termini di consensi, ma si ferma al 22,1%.
Nello stesso tempo, però, è possibile individuare, nelle opinioni degli imprenditori italiani, anche alcuni elementi di positività o di minore criticità.
1. Nonostante un basso grado di fiducia accordato all’Esecutivo, ciò non di meno la grande maggioranza degli imprenditori ritiene che non ci fossero alternative alla formazione del Governo Monti (62,2%) e il 14,3% dichiara comunque di condividerne la direzione delle scelte finora realizzate. Il governo dei tecnici, quindi, viene considerato come l’unico in grado di riformare lo Stato. Per questo motivo, un’analoga maggioranza (72,2%) vorrebbe che proseguisse la sua azione fino al termine naturale della legislatura (2013). Ma, nonostante ciò, il 61,9% non auspica che Monti si candidi come premier alle prossime elezioni.
2. Se la fiducia nei confronti della UE conosce il suo picco più basso (23,8%), nello stesso tempo la prospettiva di un’uscita dell’Italia dall’euro viene rigettata. Certo, l’euro non ha mitigato gli effetti della crisi (62,3%), ma sarebbe controproducente uscire perché troppo rischioso (49,6%) e, soprattutto, perché i nostri problemi non dipendono dall’euro (34,4%). Presso gli imprenditori c’è la consapevolezza che un passo indietro dell’Italia rispetto all’euro potrebbe avere effetti esiziali. E dovremmo curare innanzitutto le cause che frenano la nostra crescita.
3. Lo scenario futuro, previsto dagli imprenditori italiani, è sempre più caratterizzato dall’affermarsi di nuovi modelli di consumo (46,9%, era il 31,3% nel 2011). È la consapevolezza che nuovi spazi di mercato si stanno aprendo, per i quali le imprese italiane dovranno avere la capacità di saper anticipare e presidiare. È, implicitamente, un segnale di speranza che una via d’uscita alla crisi è possibile. In una fase di così grande incertezza, c’è sicuramente bisogno di costruire fiducia presso gli investitori internazionali, di mettere il nostro Paese al riparo dalle turbolenze e dalle speculazioni finanziarie. C’è un’asimmetria fra i nostri fondamentali economici e il valore dello spread. Ma c’è lo spread della fiducia del Paese cui bisogna dedicare altrettanta attenzione: fra l’economia reale e le prospettive del Paese. Anche la fiducia non si costruisce per decreto, ma con azioni di responsabilità e decisioni non solo dell’Esecutivo, ma anche dei partiti e di tutti gli attori sociali. Se il livello di tassazione non potrà scendere, almeno nel breve termine – e neppure aumentare, però – sarebbe già un passo avanti avviare una più decisa semplificazione burocratica e un forte snellimento delle procedure: darebbe un pizzico di fiducia alle imprese e ai cittadini. Daniele Marini della Fondazione Nord-Est.

Draghi dà una scossa ai mercati (26 luglio 2012).
«Ho un messaggio chiaro da darvi: nell'ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il necessario per preservare l'euro. E credetemi: sarà abbastanza». Lo ha affermato il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, intervenendo alla Global Investment Conference a Londra alla vigilia della cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Paesi come Italia e Spagna hanno fatto «progressi notevoli» su risanamento dei conti pubblici e riforme, ha affermato Draghi, aggiungendo che «bisogna continuare in questa direzione». Draghi ha aggiunto: «Non è possibile immaginare la possibilità che un paese esca dall'Eurozona. I firewall sono pronti a funzionare meglio che in passato» ha continua il numero uno dell'Eurotower che ha anche ricordato la necessità di «uscirne dalla frammentazione finanziaria» e che il mercato interbancario non sta funzionando al meglio. «Negli ultimi sei mesi l'area euro ha mostrato dei progressi straordinari», ha continuato Draghi che ha ribadito che l'Euro «è irreversibile e lo renderemo irreversibile. L'Eurozona è più forte di quanto si pensi». Draghi non ha risparmiato alcune stoccate ad alcune tra le principali economie. «L'area euro ha fatto meglio di Stati Uniti e Giappone sul terreno dell'inflazione - ha indicato Draghi - e vanta un livello di coesione sociale rispetto a Stati Uniti e Giappone». Il presidente della Bce ha quindi messo in rilievo i progressi degli ultimi sei mesi. «Sono stati rimarchevoli i risultati conseguiti su conti pubblici e riforme negli ultimi sei mesi». La soluzione del problema degli spread, e quindi di rendimenti troppo elevati sul debito sovrano di alcuni Paesi dell'Eurozona, «rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria», prese dalla Banca centrale, ha concluso Draghi. Durante il proprio intervento il numero uno dell'Eurotower ha utilizzato una curiosa metafora per indicare la necessità di cambiamento. L'euro, ha detto, è «un bombo che adesso deve evolversi in un'ape». «Anni fa - ha aggiunto - alcune persone dicevano che l'euro era un bombo (bumblebee) che riusciva a volare senza che si sapesse bene come». «Per molti anni l'euro, questo bombo ha volato bene senza che si sapesse come. Ma ora - ha proseguito Draghi - è venuto il momento di evoleversi e l'euro deve diventare una vera ape». Sul mercato dei cambi, le parole di Draghi hanno sostenuto l'euro che torna prepotentemente sopra quota 1,23.Il differenziale Btp-Bund è sceso da 517 fin sotto 480 punti (472 il minimo) tornando poi a 481 con rendimenti dei BTp decennali al 6,12%, mentre i Bonos spagnoli sono scesi fino a 554,7 con rendimento sotto il 7%. Petrolio in rialzo dell'1,6% a 90,3 dollari al barile al mercato di New York.

Ossigeno per le Borse (3 agosto 2012).
Dopo il discorso di Draghi del 26 luglio le borse mondiali hanno giocato alle montagne russe su e giù ad ogni sternuto della Merkel o un sorriso di Draghi. Il giorno dopo il controverso Direttivo della Bce, gli investitori hanno espresso delusione ieri, mentre sono euforici oggi???? Volatilità non sorprendente in agosto, ma va detto che forse a una seconda lettura di quanto accaduto ieri a Francoforte in molti si devono essere convinti che non di marcia indietro del presidente Mario Draghi si sia trattato, quanto di un passo in avanti verso un Eurotower più vicina al ruolo di vera banca centrale dell'Unione. La Bce, in effetti, ha pronta una linea guida che, previa una mobilitazione da parte dei governi dei fondi salva Stati Efsf e Esm, potrebbe spianare la strada a provvedimenti calmieranti anche dell'istituizione monetaria. Ieri la reazione dei mercati era stata pesantemente negativa: una brusca inversione di rotta delle Borse che erano tornate a crollare assieme a forti vendite sui bond della periferia dell'area euro. Vola, oggi, Piazza Affari, con il FTSE MIB in crescita del 6% (dopo il -4,64%) di ieri, acquisti incoraggiati anche dall'ottimo andamento di Wall Street - che ha accolto con favore il dato sull'incremento degli occupati, il maggiore da febbraio - e, sul fronte interno, dai bancari Intesa Sanpaolo (+8,1%) e Unicredit (+6,76%), dopo i risultati trimestrali di entrambi i gruppi, che ridanno fiducia al mercato. Sugli scudi Mediolanum, in crescita del 3,4% dopo essere salita fino al 15%. Lo spread tra Btp decennali dell'Italia e Bund tedeschi, che ieri era risalito fino a 510 punti base, torna al di sotto dei 500 punti fino a quota 475. Anche l'euro, che ieri era caduto fin sotto 1,22 risale oltre gli 1,23 dollari (cambio EUR/USD in tempo reale). Mediolanum guadagna il 18% agganciando quota 3 euro. Il titolo del gruppo è certamente favorito dalle ottime performance del comparto bancario, che oggi trascina il Ftse Mib. Ma anche e soprattutto, sottolineano dalle sale operative, dal crollo dei rendimenti dei Btp a due e cinque anni vista la presenza, nel portafoglio della società, di titoli di Stato a breve termine. I tassi di Btp a due anni, dall'apertura di stamattina, sono calati dal 3,8% al 3% e quelli del Btp a cinque anni dal 5,4% al 4,9%. Lunedì scorso, Mediolanum aveva anche diffuso i dati del primo semestre che vedono un utile netto di 217,5 milioni (+125%) su masse gestite e amministrate di 49,085 miliardi (+5%). L'economia americana ha creato 163.000 posti di lavoro in luglio. Il tasso di disoccupazione è salito all'8,3%. Si tratta del maggiore incremento di posti creati dal febbraio di quest'anno. Il dipartimento del Lavoro ha rivisto al ribasso il dato di giugno a 64mila nuovi impieghi da 80.000 ma ha alzato le stime di maggio da 77mila a 87mila unità, con effetti dunque praticamente nulli sul computo totale da inizio anno ad oggi. A livello di comparti, in luglio il settore manifatturiero ha aumentato il proprio numero di addetti di 25mila unità mentre nei servizi sono stati assunti 49mila nuovi lavoratori. In crescita inoltre di 12.000 unità il numero di addetti del comparto sanità mentre nel settore utility é stata registrata una riduzione di 8mila dipendenti. Continua, invece, la crisi delle imprese dell'area euro all'avvio del terzo trimestre: l'indice dei responsabili degli approvvigionamenti di luglio è rimasto sostanzialmente invariato ai valori recessivi del mese precedente. Questo a riflesso di un lieve miglioramento della dinamica, comunque recessiva, nel settore dei servizi, che è stata bilanciata da un peggioramento nell'industria manifatturiera. Il dato definitivo del Purchasing managers index ha segnato 46,5 punti, riporta la società di ricerche Markit Economics, dai 46,4 di giugno e a fronte di una stima preliminare che aveva indicato sempre 46,4 punti. In queste indagini i 50 punti sono la soglia tra crescita e calo dell'attività. Per le imprese del terziario tuttavia l'indice Pmi è risalito a 47,9 punti a luglio, dai 47,1 di giugno, e il dato definitivi si è rivelato migliore della stima preliminare di 47,6 punti. La crisi continua anche in Italia, dove il relativo indice Pmi sul terziario si è attestato a 43 punti, quasi invariato dai 43,1 punti di giugno. Nel pomeriggio sono attesi i risultati di indagini analoghe sulle imprese dei servizi negli Usa, con l'indice Ism.

Critiche a Monti dalla Germania (6 agosto 2012).
Critiche in Germania, all'intervista del premier Mario Monti pubblicata domenica da Der Spiegel. Ai politici tedeschi non sono piaciute, in particolare, le considerazioni sull'autonomia dai parlamenti nazionali che i governi dovrebbero essere in grado di esercitare nelle trattative a Bruxelles. Molto duri gli attacchi dai falchi della coalizione di maggioranza, i liberali dell'Fdp e i bavaresi della Csu, mentre appare più conciliante la posizione della Cdu della cancelliera Angela Merkel. Addirittura di attacco alla democrazia» parla il segretario generale della Csu, Alexander Dobrindt: «Il signor Monti ha evidentemente bisogno di una chiara presa di posizione. Noi tedeschi non siamo pronti a cancellare la nostra democrazia per finanziare i debiti italiani», ha detto. Per il capogruppo liberale Rainer Bruederle bisogna «fare attenzione» che nel necessario processo di riforme «l'Europa rimanga sufficientemente legittimata dal punto di vista democratico». Sul portafoglio dei tedeschi punta invece l'euroscettico liberale Frank Schaeffler, secondo cui «Monti vuole risolvere i suoi problemi facendoli pagare ai contribuenti tedeschi». Più morbido il parlamentare della Cdu Michael Grosse-Broemer, per cui se pure resta decisiva la capacità d'agire dei governi, «ciò non giustifica in nessun modo il tentativo di limitare il necessario controllo parlamentare». Sul fronte dell'opposizione, nette le parole della socialdemocratica Spd che, sempre a proposito dell'autonomia dei governi dai parlamenti nazionali invocata dal premier italiano, per bocca del vicecapogruppo al Bundestag, Joachim Poss, ha considerato come «l'accettazione dell'euro e del suo salvataggio viene rafforzato dai parlamenti nazionali e non indebolito». Monti non è stato attento nella sua intervista e il suo comportamento è tipico del professore universitario che, comunque, deve insegnare qualcosa. Ciò non toglie che in Germania il governo si trincera dietro il parlamento quando deve prendere una decisione.

Draghi e la Merkel (7 agosto 2012).
Di fronte alle critiche, provenienti anche dai Cristiano-democratici bavaresi, il portavoce della cancelliera Angela Merkel ha precisato che l'esecutivo «non è preoccupato», delle scelte della Bce, ora pronta ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, sia pure a condizioni stringenti. Il presidente Mario Draghi, «nel suo comunicato la scorsa settimana ha indicato la priorità della politica nella crisi di Eurolandia e il Governo tedesco non ha dubbi sul fatto che qualunque cosa la Bce faccia, la farà nei limiti del suo mandato», ha spiegato il portavoce Georg Steiner, cercando di isolare la Bce dalle polemiche sorte dopo l'intervista di Mario Monti al Der Spiegel. «Potete trarne la conclusione - ha poi aggiunto il portavoce - che ciò che sta accadendo ha il sostegno del Governo». L'appoggio della Merkel a Draghi non è una novità, ma è stato necessario ribadirlo, ieri, dopo la pioggia di critiche giunte dai parlamentari, e in particolare dagli esponenti della Csu, alleati storici del partito della cancelliera, che già avevano chiesto la settimana scorsa, attraverso il segretario Alexander Dobrindt un potere di veto per la Bundesbank all'interno del consiglio Bce. Ieri Hans Michelbach, rappresentante del partito nella commissione Finanze del Bundestag, ha chiesto alla Bce di fornire dettagli sul suo piano di acquistare bond, auspicando che riduca la sua attuale esposizione. «Abbiamo bisogno di chiarezza - ha poi aggiunto - e sapere quali titoli, di quali Stati, in quale momento e a quale prezzo la Bce li ha iscritti sui suoi conti. E vogliamo sapere se i titoli sono stati già rivenduti, se ne sono derivate perdite e dove queste perdite siano state contabilizzate», ha aggiunto Michelbach, secondo il quale «Draghi distorce l'indipendenza della Bce per scardinarne i principi». Buona parte delle informazioni chieste da Michelbach sono note, o ricavabili, dai resoconti settimanali della Banca centrale: è evidente l'uso "elettorale" di queste parole, che non sono però rimaste isolate, all'interno della coalizione. Il ministro degli Esteri, il liberale Guido Westerwelle, ha fatto eco alle preoccupazioni della Csu sul peso della Germania nella Bce, quando domenica ha detto che «in alcuni organismi e in alcune situazioni il nostro peso economico e demografico non è adeguatamente rappresentato»; e persino il capogruppo parlamentare della Cdu, il partito della Merkel, si è espresso domenica a favore della linea della Bundesbank, contraria agli acquisti e, ancora ieri, ferma nella sua opposizione. «È stato un bene che Weidmann abbia assunto quella posizione», ha detto Voler Kauder riferendosi alle riserve espresse dal presidente della Bundesbank nel consiglio Bce di giovedì: «Occorre sempre una persona ragionevole per impedire che le cose vadano fuori controllo». È questo, in realtà, più un sostegno al ruolo di contrappeso che svolge Jens Weidmann, ma è evidente che il discorso di Kauder è al limite della critica esplicita alla "linea Draghi". Anche se queste dichiarazioni vanno lette sullo sfondo delle parole di sostegno espresse nei giorni scorsi da altri esponenti della Cdu, come Elmar Brok, membro del comitato esecutivo ed europarlamentare («gli acquisti di bond sono una saggia via di mezzo»), e quelle di Norbert Barthle, portavoce per il Bilancio, che ha ricordato il potere di veto dei politici sugli interventi del fondo salva-Stati. Senza dimenticare che il liberale Philipp Rösler, ministro dell'Economia, considera gli acquisti di titoli «una possibilità per le banche centrali nell'ambito della loro indipendenza», anche se «bisogna sempre aver cura di mantenere l'equilibrio» per evitare l'inflazione, la grande paura dei tedeschi. La Bce, intanto, continua a costruire il consenso attorno alle sue decisioni. Il francese Benoît Coeure, del consiglio direttivo, ha spiegato che occorre far scorrere la liquidità verso aziende e famiglie, mentre il collega belga Peter Praet ha invitato i Governi a chiedere presto l'intervento del fondo salva-Stati: la situazione è «molto seria», ha detto, e «il problema, per i mercati, è che le cose si muovono troppo lentamente». E' evidente che in Germania si gioca più sul piano della politica interna che su quello dell'economia; in queste settimane, però, la Germania sta giocando la propria credibilità sul piano di nazione leader. Se è vero che quando i paesi del Sud Europa favevano le cicale e la Germania faceva la formica è anche vero che l'Italia ha bisogno di sostegno morale e non finanziario, che finora di aiuti ne ha dati all'Unione e non ne ha mai incassati. Che il debito italiano sarebbe al 120,3% e non al 123,4% se quei soldi non fossero stati versati. Che le banche francesi e tedesche hanno beneficiato degli aiuti dati alla Grecia, quelle italiane no, con il risultato che di fatto Roma ha dato di più di Parigi e Berlino. Che con gli alti tassi che oggi paga sui titoli di Stato l'Italia di fatto sovvenziona i bassi tassi tedeschi.

Crolla il Pil italiano (7 agosto 2012).
Crolla il Pil nel secondo trimestre, segnando il calo peggiore dalla fine del 2009. Nel secondo trimestre, secondo quanto comunicato dall'Istat, il Pil è diminuito del 2,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, in forte peggioramento dal -1,4% di gennaio-marzo. È il calo più rilevante dagli ultimi tre mesi del 2009, quando c'è stato un -3,5%, ed è il terzo trimestre consecutivo con il segno negativo. Nel confronto con gennaio-marzo, nel secondo trimestre c'è stato un pesante -0,7%, anche se leggermente migliore rispetto al -0,8% dei primi tre mesi dell'anno e comunque il calo è in linea con le attese. Il calo congiunturale del Pil del -0,7%, ha spiegato l'Istat, è dovuto a una diminuzione del valore aggiunto in tutti e tre i grandi comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi. Il secondo trimestre ha avuto due giorni lavorativi in meno rispetto ai tre mesi precedenti e un giorno in meno rispetto ad aprile-giugno del 2011. Per il quarto trimestre consecutivo c'è quindi una dinamica negativa, a conferma della recessione tecnica dell'economia italiana. "Il dato preliminare del Pil italiano nel secondo trimestre del 2012 conferma i timori che la recessione attuale del Paese è molto profonda e peggiore di quella del 2009", sostiene Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo, sottolineando che la contrazione dell'attività economica è guidata dalla crisi della domanda interna. "Incrociando i dati di oggi con gli altri indicatori congiunturali, ancora non ci sono segnali di inversione e di ripresa". A seguito infatti della pesante caduta del prodotto interno lordo nel secondo trimestre, peggiora il Pil acquisito per il 2012. Con il -2,5% su base annua e il -0,7% congiunturale segnato ad aprile-giugno, la crescita acquisita per quest'anno (quella che si avrebbe con gli ultimi due trimestri a crescita zero) è pari a -1,9% rispetto al -1,4% segnato alla fine del primo trimestre. "L'ulteriore diminuzione potrebbe portare l'espansione economica italiana a livelli inferiori a quelli registrati nel 2009, facendo quindi perdere tutto il terreno guadagnato tra la metà del 2009 e quella del 2011". Guardando al di là del risultato più debole del previsto nel secondo trimestre, Chiara Corsa, economista di Unicredit, nota che le prime indicazioni per il terzo trimestre provenienti dalle inchieste presso le imprese non sono affatto incoraggianti, non mostrano praticamente alcun miglioramento rispetto al secondo trimestre. "E' prematuro definire la nostra previsione per il terzo trimestre e per l'anno nel suo insieme, ma c'è il rischio che le nostre proiezioni di una contrazione del Pil dell'1,9% nel 2012 siano chiaramente inclinate al ribasso", prevede l'esperta. Il Codacons, preoccupato, ha chiesto al premier Monti un dl salva famiglie che aiuti il ceto medio a salvaguardare la sua capacità di acquisto, spostando la tassazione verso chi se lo può permettere, ad esempio ripristinando il contributo di solidarietà immaginato da Tremonti nella manovra di agosto 2011: 5% per chi dichiara più di 90.000 euro e 10% sopra i 150.000 euro. Il dato sul Prodotto interno lordo di oggi "dimostra infatti che tutte le previsioni sul Pil rese note ad oggi, per quanto drammatiche, sono persino ottimistiche". Nonostante il pessimo dato, lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi ora scende sui minimi a quota a 446 punti base con un rendimento al 5,91%. Scende a 532 anche il differenziale calcolato sui Bonos spagnoli con il tasso al 6,77%. Il Ftse Mib di Piazza Affari prima è indietreggiato dai massimi della mattinata a 14.561 punti, ma ora accelera (+1,45% a 14.550 punti). In questo momento "il Pil non è il driver principale del mercato obbligazionario sovrano dell'Eurozona, in quanto gli investitori sono molto attenti alle dichiarazioni dei politici dell'area euro", commenta Giorgio Filipetto di Alpe Adria sim. Di sicuro effetto sono le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Mario Monti, che, da buon professorino, in un'intervista concessa al Wall Street Journal, sostiene "Penso che se il Governo precedente fosse ancora in carica, lo spread italiano sarebbe a 1.200 punti o qualcosa del genere" osservando che gli spread sono ancora alti perché il nostro debito è oggettivamente molto elevato, e i mercati hanno iniziato a capire in maniera drammatica che la governance dell'Eurozona è debole. La Francia ha fatto molte meno riforme di noi, ma i suoi differenziali sono più bassi". Questo perché, secondo Monti, "le persone ritengono che la Germania non lascerà mai andare la Francia". Il premier ha anche riconosciuto che le riforme fatte sinora non sono abbastanza, perché devono "radicarsi nel comportamento degli italiani in misura sufficiente a sopravvivere ai Governi di vecchio stampo".

Spending review: è legge (8 agosto 2012).
L'aula di Montecitorio ha approvato definitivamente il testo della spending review con 371 voti a favore, 86 contrari e 22 astensioni, dopo il sì alla fiducia arrivato in mattinata. Il decreto che taglia la spesa pubblica - 4,5 miliardi quest'anno, 10,5 il prossimo e 11 nel 2014 - non ha subìto modifiche rispetto al Senato. E' stato comunque un voto "difficile": il Pdl, irritato nei confronti del presidente del Consiglio per la sua intervista al Wall Street Journal, come 'avvertimento' ha infatti mandato sotto il governo su un ordine del giorno. "Lo abbiamo fatto apposta - ha spiegato il tesoriere del gruppo Pietro Laffranco - per protesta contro le parole di Monti su Berlusconi. Ha detto una sacrosanta sciocchezza e noi abbiamo voluto lanciare un segnale". Ma non ci sono stati solo i mugugni del Pdl. "Qualche imperfezione c'è, alcune cose vanno riviste sul fronte della spesa sociale" ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. "In autunno, con la legge di stabilità chiederemo che vengano fatte delle correzioni, perché va bene tagliare gli sprechi, ma non la spesa sociale". Parole chiare anche da Giorgio Merlo, sempre del Partito democratico: "Il nostro partito vigilerà affinché i servizi di base non vengano messi in discussione. Il servizio sanitario dovrà rimanere universale. Dopodiché i tagli sono tanti, ma sui servizi alla persona, garantiremo la tutela dei diritti". Il leader dell'Idv è intanto tornato ad attaccare il capo dello Stato. "Questo sconosciuto Presidente della Repubblica...! Dico sconosciuto perché queste parole oggi non le riconosco più", ha detto Antonio Di Pietro intervenendo nell'aula della Camera durante le dichiarazioni di voto sulla spending review. L'ex pm ha criticato il ricorrente uso dei decreti da parte del Governo e per farlo ha scelto di citare i messaggi di Napolitano alle Camere sulla decretazione d'urgenza, snocciolando i rilievi del Colle sull'abuso dei decreti. Per tutta la durata delle votazioni, le categorie del pubblico impiego Cgil e Uil hanno manifestato il loro dissenso, organizzando un presidio con flash mob a Piazza Montecitorio. Per i sindacati, la spending review è una "mannaia del Governo che taglia in modo insensato e iniquo le risorse destinate ai servizi pubblici, mina alla base le radici dello stato sociale, determinando le condizioni per una completa destrutturazione della pubblica amministrazione a vantaggio dei privati senza scrupoli". I sindacati hanno esposto bandiere, palloncini e cartelloni con l'immagini della mannaia su cui campeggia la scritta "nuovi strumenti di Governo". Tra le principali novità introdotte durante l'esame parlamentare, le tasse universitarie più alte per i fuoricorso, compensato dal blocco delle tasse per i meno abbienti fino al 2016; l'addizionale irpef più cara per le regioni in deficit sanitario; il tetto a 300mila euro per gli stipendi dei manager e dei dirigenti delle aziende partecipate dello Stato. Nella sanità, tagli ai posti letto negli ospedali: 3,7 ogni 1000 abitanti (oggi è 4). Nella PA, riduzione del 20% dei dirigenti pubblici, -10% del personale non dirigente. Buono pasto non oltre 7 euro. Arrivano poi 800 mln per i comuni e l'austerity entra anche in Bankitalia: buoni pasto da 7 euro, dal 1 ottobre, e stop alle consulenze esterne ai dipendenti in pensione. RESTA SEMPRE IN SOSPESO LA DOMANDA DI QUEL PARLAMENTARE TEDESCO CHE SI CHIEDEVA COME MAI IL DG DI BANKITALIA GUADAGNI IL DOPPIO DEL PARI GRADO DELLA BUNDESBANK!!!!!!!!!! Non saranno più retribuite, inoltre, ferie, permessi e riposi non fruiti. Taglio del 50% alla spesa per il noleggio delle auto blu e per i buoni taxi rispetto al 2011. Per quanto riguarda i farmaci, resta l'obbligo per il medico di indicare il principio attivo nella ricetta, ma avrà anche la facoltà di indicare il nome del farmaco, motivando la scelta. La scelta sarà vincolante per il farmacista. Niente accorpamento, invece, ma 'riordino' per le province. Restano invariati i criteri minimi: dimensione territoriale non inferiore a 2.500 chilometri quadrati e popolazione residente non inferiore a 350mila abitanti; aiuti per i terremotati: 6 mld destinati a imprese e cittadini. Buone notizie per la ricerca: salta, infatti, il taglio previsto di 30 mln ai fondi.

Lasciano l'Italia anche gli extra comunitari (8 agosto 2012).
La crisieconomica colpisce alla cieca. Al 1° gennaio 2012 gli extra-comunitari regolari in Italia erano 3,6 milioni: si calcola che complessivamente gli stranieri presenti sul territorio nazionale siano poco più di 5 milioni. Al netto degli arrivi, il saldo migratorio (cioè la differenza tra chi arriva e chi parte) è ancora positivo: secondo l'Istat, tra il 2011 e il 2012 il numero di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti è aumentato di circa 102 mila unità. Ma questa grandezza va contestualizzata: tra il 2005 e il 2010 il saldo migratorio si attestava mediamente sulle 330mila unità, con picchi di mezzo milione per anno nel 2007 e nel 2008: questo significa che - nonostante le nuove leve migratorie provocate dalla "primavera araba" e l'emigrazione crescente dei nostri connazionali - arriva in Italia solo uno straniero su quattro rispetto a poco meno di un lustro fa. Un altro segnale di questo fenomeno è che nel 2011 sono stati rilasciati 361.690 nuovi permessi, quasi il 40% in meno rispetto al 2010. Un quadro che interessa soprattutto le regioni del Nordest, dove le autorizzazioni concesse tra il 2010 e il 2011 si sono praticamente dimezzate (da 170 a 83mila). E soprattutto, i nuovi permessi rilasciati per motivi di lavoro sono crollati del 65%. Inoltre, secondo i primi dati del censimento, al 9 ottobre 2011 sono scomparsi quasi un milione di stranieri rispetto all'iscrizione anagrafica. Probabilmente, sono tornati a casa. Secondo un'analisi della Fondazione Ismu, in Lombardia dieci immigrati su cento dichiarano l'intenzione di trasferirsi dall'Italia entro 12 mesi: se applicassimo questi numeri a livello nazionale, significherebbe un rientro potenziale, ogni anno, di 150mila stranieri. E visto che l'analisi riguarda la regione che ospita oltre un quinto degli immigrati in Italia e una tra le tre che offre più lavoro agli stranieri, significa che sono le intenzioni di medio e lungo periodo ad essere mutate. «Abbiamo registrato un aumento significativo delle domande per l'ammissione al programma di rimpatrio volontario assistito - conferma Carla Olivieri, responsabile della Rete italiana per il ritorno volontario assistito (Rirva) - che ha portato l'autorità responsabile del ministero dell'Interno ad aumentare i posti disponibili: oggi sono addirittura quintuplicati rispetto al 2009». Rirva, capofila del consorzio "Idee in rete", fa parte di un progetto cofinanziato dal Fondo europeo rimpatri e ministero dell'Interno, attuato in partnership con Cir, Oxfam, Gea. Il suo compito, come quello di altre realtà come l'Organizzazione internazionale per la migrazione, è di agevolare il ritorno a casa degli immigrati che ne abbiano intenzione. Nel 2012 gli stranieri che aderiranno al programma saranno appena un migliaio ma l'incremento di richieste è notevole: tant'è che per la prima volta il governo italiano «ha deciso di assegnare il 50% dei fondi dell'Unione europea destinati ai rimpatri (circa 12 milioni di euro, da dividersi tra rimpatrio forzato e volontario) a quelli di natura volontaria, mentre fino all'anno scorso i rimpatri forzati assorbivano il quintuplo delle risorse», precisa la Olivieri.

Crolla la produzione industriale (14 agosto 2012).
Rileva Eurostat che la produzione industriale italiana è crollata a giugno, del -8,2% rispetto allo stesso mese del 2011. E' il dato peggiore dell'intera Europa a 27 (-2,2%) e dell'Eurozona (-2,1%). In Germania la flessione è stata dello 0,4%, in Francia del 2,6%, nel Regno Unito del 4,6%. Eurostat conferma inoltre che il Pil dell'Italia è calato dello 0,7% nel secondo trimestre 2012 rispetto al primo quarto dell'anno e una contrazione del 2,5% rispetto al secondo trimestre 2011. In Germania invece in 12 mesi è stato registrato un aumento dell'1%. Nel mese di giugno 2012, rispetto a maggio 2012, la produzione di beni strumentali è diminuita dell'1,3% sia nella zona dell'euro che dell'UE a 27. I beni non durevoli di consumo sono diminuiti dello 0,7% e dell'1,0% rispettivamente. I beni intermedi sono diminuiti dello 0,4% nella zona euro e dello 1,0% nella Ue27. I beni di consumo durevoli sono cresciuti dello 0,2% nella zona euro, ma sono diminuiti dell'1,1% nella Ue27. La produzione di energia è aumenta dello 0,4% nella zona euro, ma è diminuita dello 0,2% nella Ue27, continua Eurostat. Tra gli Stati membri per i quali sono disponibili dati, la produzione industriale è scesa in sedici ed è aumentata in cinque. Le maggiori diminuzioni sono state registrate nel Regno Unito (-2,5%), Polonia (-2,0%), Estonia (-1,7%) e Italia (-1,4%), mentre gli aumenti più alti in Lituania (+18,6%), Slovenia (+2,9%) e Irlanda (+2,7%). Nel mese di giugno 2012 rispetto a giugno 2011, la produzione di beni intermedi è scesa del 3,7 % nella zona euro e del 3,5% nella Ue27. I beni di consumo durevoli sono diminuiti del 2,0% e 2,5% rispettivamente. I beni non durevoli di consumo sono diminuiti del 2,0% nella zona euro e dell'1,5% nella Ue27. I beni strumentali sono diminuiti dello 0,9% e dell'1,0% rispettivamente. La produzione di energia è diminuita dello 0,4% nella zona euro e dell'1,7% nella EU27, prosegue Eurostat. Tra gli Stati membri per i quali sono disponibili i dati, la produzione industriale è diminuita in dodici, mentre è aumentata in otto ed è rimasta stabile in Grecia. Le maggiori diminuzioni sono state registrate in Italia (-8,2%), Spagna (-6,3%), Regno Unito (-4,6%) e Portogallo (-4,4%), mentre gli aumenti più alti in Irlanda (+9,5%), Lettonia ( +5,4%) e Slovenia (+2,8).

Spending review: la nuova ricetta medica (16 agosto 2012).
Arriva la ricetta del medico con l'indicazione del principio attivo al posto del del nome commerciale del farmaco. La novità è prevista dalla spending review, in vigore da Ferragosto. Cosa cambia? Il medico deve indicare sulla ricetta la denominazione del principio attivo del farmaco. Questa indicazione (accompagnata dagli altri elementi identificativi del medicinale: dosaggio, forma farmaceutica e, se necessaria, via di somministrazione) è necessaria e sufficiente per ottenere la consegna, da parte del farmacista, del medicinale con onere a carico del Servizio sanitario nazionale. Il farmacista è tenuto a fornire al paziente il medicinale con il prezzo più basso fra quelli a base del principio attivo indicato dal medico. Se più medicinali hanno il prezzo più basso, potrà essere consegnato uno qualsiasi di essi, eventualmente secondo la preferenza dell'assistito. Il paziente può comunque chiedere al farmacista un farmaco a prezzo più alto (questa possibilità era già prevista dal decreto Cresci Italia), ma in questo caso dovrà corrispondere al farmacista una somma pari alla differenza fra i due prezzi. La norma (articolo 15, comma 11-bis, inserito dal Senato in sede di conversione in legge del provvedimento) prevede che il medico di medicina generale, in caso di prima diagnosi di una patologia cronica o in presenza di un primo episodio di patologia non cronica e a fronte del possibile utilizzo di più medicinali equivalenti (sono quelli non coperti da brevetto), debba indicare sulla ricetta del Ssn la denominazione del principio attivo utilizzabile, senza indicare alcun farmaco specifico. Il medico può comunque indicare un medicinale specifico a base dello stesso principio attivo: in questo caso, però, perché il farmacista prenda in considerazione la segnalazione del medico, questi deve spiegare, in maniera sintetica, i motivi che lo spingono a considerare quel determinato farmaco insostituibile. E indicare nella ricetta, per l'appunto, che il farmaco non è sostituibile. Il farmacista è sempre tenuto a sostituire il medicinale prescritto con un medicinale corrispondente di prezzo inferiore, ma ci sono tre eccezioni. La prima è quella, già presa in considerazione, che il medico dichiara nella ricetta la non sostituibilità del farmaco (aggiunge una "clausola di non sostituibilità" del medicinale specificato). La seconda è che ci sia una diversa richiesta del paziente; il terzo caso è che non siano in commercio medicinali a prezzo più basso. Il ministero della Salute ha fornito dei chiarimenti sulla ricetta con principio attivo. Le nuove regole, ha sottolineato, riguardano le prescrizioni effettuate su ricetta del Ssn per pazienti trattati per la prima volta per una patologia cronica o per un nuovo episodio di patologia non cronica (ad esempio, per un nuovo episodio di tonsillite, a distanza di tempo da altro episodio analogo). L'obiettivo è evitare che il passaggio, nel corso di una terapia già iniziata, dall'impiego di un medicinale all'altro - anche se di composizione analoga - possa determinare qualche spiacevole inconveniente. Nuove ricette con principio attivo già da ora? I medici di famiglia rispondono: no, non è così. In una lettera inviata ai suoi iscritti la Fimmg (federazione italiana medici di medicina generale), un sindacato di medicina generale, spiega che in realtà ci sono trenta giorni di tempo per adeguarsi alle novità sulle ricette: lo prevede, infatti, il contratto dei medici di medicina generale, o meglio la Convenzione con il Servizio sanitario nazionale. Il sindacato chiede al ministero di convocare un tavolo. Finalmente - affermano in una nota le associazioni dei consumatori Federconsumatori e Adusbef - entra in vigore la normativa che permette anche nel nostro paese l'utilizzo dei farmaci equivalenti (ex generici) in misura maggiore di quanto fatto colpevolmente sin d'ora attraverso una pessima informazione, a volte intenzionalmente voluta. La percentuale di fruizione di questi farmaci - si legge nella comunicazione - oggi si attesta in Italia attorno un 16-18% contro quelle di altri paesi ben più elevate e con punte del 40-50%: tutto ciò - concludono le due associazioni - provoca maggiori spese e, quindi, con la nuova normativa, si potranno avere risparmi per 6-700 milioni di euro annui».

Moody's: Italia, Spagna e Portogallo sulla buona strada (21 agosto 2012).
La crisi del debito europeo è solo a metà strada «nel miglior dei casi» e paesi come Grecia e Irlanda potrebbero richiedere fino al 2016 per completare il loro programma di risanamento dei conti. Italia, Spagna e Portogallo potrebbero invece uscire dall'attuale stato di cose entro il 2013 se sapranno applicare compiutamente le riforme adottate sino ad ora. È quanto sostiene Moody's in un rapporto sugli squilibri esterni dell'eurozona. Secondo l'agenzia di rating, tutti e cinque i paesi hanno già varato le difficili, ma necessarie, riforme per uscire rafforzate dalla crisi, tuttavia «questa fase di aggiustamento è completa a metà nel migliore dei scenari e a seconda del paese in questione». Secondo Moody's l'attuale situazione di squilibrio vissuta dai paesi più deboli dell'eurozona ricorda «un simile periodo di crisi e di aggiustamento» in Finlandia e Svezia tra il 1990 e il 1993. Alla Svezia occorsero tre anni per far tornare il pil ai livelli pre-crisi mentre per la Finlandia ce ne vollero sei. «Su base comparativa - spiega Moody's - le contrazioni registrate nei due paesi iberici e in Italia sono relativamente modeste (almeno fino ad ora), simili a quelle della Svezia mentre i casi di Irlanda e Grecia (e qui la crisi non sembra aver ancora toccato il punto più basso) sono più simili a quello della Finlandia». Moody's ricorda la lunga lista di difficili riforme varate dai paesi nordici durante gli anni della loro crisi e osserva come i casi di Svezia e Finlandia dimostrano che «il successo, qualora ci sia impegno ad attuare in maniera seria ed efficace le riforme, è realmente possibile». Svezia e Finlandia avevano peraltro un vantaggio che i paesi europei oggi non hanno, ammette Moody's, vale a dire la carta della svalutazione valutaria. Le riforme strutturali rimangono tuttavia di importanza fondamentale per aumentare la competitività dei paesi periferici e permane il pericolo che queste riforme non verranno implementate pienamente. In questo caso «gran parte della responsabilità cadrà sui governi nazionali piuttosto che sui programmi esterni di aiuto» «C'è un considerevole livello di rischio associato con l'implementazione di queste riforme - conclude Moody's - che può essere mitigato solo da una forte impegno a livello nazionale e dalla capacità di controllare e dirigere il processo di riforma» con l'aiuto di un processo esterno di riforma, a livello di istituzioni comunitarie, ed eventualmente, anche di sostegno finanziario.

Samaras in cerca di appoggi (23 agosto 2012).
Il premier greco Antonis Samaras chiede più tempo ai creditori internazionali per fare le riforme strutturali. In un'intervista al quotidiano Süddeutsche Zeitung promette: «I tedeschi riavranno i loro soldi, lo garantisco personalmente». La promessa arriva dopo le dichiarazioni fatte dallo stesso premier greco alla Bild: «Chiediamo soltanto un po' più di respiro per far girare l'economia e aumentare gli introiti statali. Più tempo non significa automaticamente più soldi». Alla vigilia del suo viaggio a Berlino, dove Samaras incontrerà la cancelliera Angela Merkel, il premier greco ha voluto inviare un messaggio preciso alla Germania e all'Europa intera. E ha sottolineato come, l'uscita di Atene dall'euro, sarebbe disastrosa per i greci ma anche «un male per l'Europa». «La Grecia sanguina, davvero» ha ribadito. E il persistere delle ipotesi di un'uscita di Atene dall'euro danneggia anche i tentativi di salvare e riformare l'economia greca: «Come potrei privatizzare le imprese pubbliche, quale imprenditore accetterebbe di investire da noi in euro per riavere indietro dracme?». Quanto alla richiesta di maggior tempo per attuare i tagli promessi in cambio degli aiuti internazionali, Samaras ha spiegato come sia necessario dal momento che «la nostra economia si è ridotta del 27%». Resta comunque cruciale l'erogazione della nuova tranche di aiuti da 11,5 miliardi di euro, senza la quale, conclude Samaras nell'intervista che apparirà su Süddeutsche Zeitung, «la Grecia finirà in bancarotta». Nel pomeriggio, il presidente greco ha anche incontrato il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker. «Stiamo facendo progressi, stiamo riducendo il numero complessivo dei dipendenti pubblici - ha sottolineato Samaras, che ha prospettato - presto un servizio pubblico ridimensionato, in miglior salute e decisamente più efficiente». Ma alla fine dell'incontro è lo stesso Juncker a gelare gli entusiasmi di Atene: «La verità - ha detto il presidente dell'Eurogruppo - è che la Grecia soffre una crisi di credibilità, e per quanto riguarda l'immediato futuro, la palla è nel campo della Grecia: è la loro ultima possibilità». Juncker però si è detto anche «totalmente contrario» all'uscita della Grecia dall'eurozona sottolineando che il consolidamento delle finanze di Atene rappresenta «la priorità numero uno». Illustrate, nell'incontro con Samaras, «le priorità delle prossime settimane»: «Nessuna decisione sugli aiuti alla Grecia - ha precisato il presidente dell'Eurogruppo - verrà presa prima di ottobre. Aspettiamo il rapporto della Troika». Concetto ribadito anche dalla cancelliera Angela Merkel, prima dell'incontro di venerdì con il premier greco. Un incontro, ha fatto sapere la Merkel, da cui non bisogna aspettarsi alcuna decisione perchè è necessario prima leggere il rapporto degli inviati di Ue, Bce e Fmi sui progressi compiuti dalla Grecia. Il programma di riforme concordato con i creditori internazionali è comunque la condizione per la continuazione degli aiuti al Paese. Giova notare che l’Economist ha pubblicato la bozza di un finto memorandum in 32 punti sottoposto all’attenzione della cancelliera tedesca. Un memorandum che avanza due ipotesi. La prima è quella dell’uscita della sola Grecia, ipotesi che alla Germania costerebbe fatti tutti i conti circa 120 miliardi, il 4,5% del suo Pil. La seconda è invece l’uscita di cinque euromembri, Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Cipro: che ai tedeschi costerebbe circa 385 miliardi, cioè il 15% del Pil. La seconda ipotesi è preferibile, sostiene il memorandum, perché farebbe piazza pulita una volta per tutte dell’idea di continuare a chiedere agli eurodeboli nuovo tagli e disoccupati che non possono realisticamente sostenere. Si tratterebbe per ciascuno di fissare una fascia di oscillazione della propria valuta rispetto all'euro senza farli uscire dall’Ue, ma il cuore dell’Unione Monetaria ripartirebbe molto più forte. Sono due le cose da notare. La prima è che anche il memorandum dell’Economist salva l’Italia, non tanto per le manovre del governo Monti ma perché la posizione netta di indebitamento sull’estero del nostro Paese come somma della componente pubblica e privata è pari solo al 21% del nostro Pil – meno degli Usa che stanno al 27%, e sideralmente meglio degli altri 5 euromembri candidati a uscire, che stanno tra l’80 e il 100% e oltre del loro prodotto interno lordo. La seconda è che l’Economist esclude che la Merkel abbia il fegato di scegliere la strada dell’uscita di 5 euromembri.

Scontro Bundesbank Draghi (27 agosto 2012).
Sostenuta dalla Cancelliera Angela Markel, la Bundesbank di Jens Weidmann è di nuovo all'attacco della Bce. Non è compito della Banca centrale europea, ha detto il numero uno della Bundesbank, «garantire la permanenza di un Paese nell'Eurozona a qualunque costo. Finanziando uno Stato in crisi si corre il rischio di creare una dipendenza come da una droga». La Merkel conferma l'appoggio a Weidmann e si compiace per l'influenza nella Bce del banchiere che considera «scabrosa» l'idea di stabilire un tetto agli spread e per il quale finanziare i Paesi in crisi attraverso l'acquisto di bond equivale a somministrare droga a un tossicodipendente. Le parole vanno pesate quando si parla di un'uscita della Grecia dall'Eurozona, ha detto la Cancelliera in un'intervista televisiva. «Ciascuno dovrebbe pesare le parole» ha detto riferendosi alle richieste di uscita di Atene avanzate da alcuni esponenti della Csu. Il premier greco Antonis Samaras sta facendo «sforzi molto importanti» e tuttavia Merkel non raccoglie l' apertura dell'Austria, disposta a concedere più tempo al governo greco. «Attendiamo la Troika», si è limitata a dire dopo aver sostenuto la linea dura espressa da Weidmann. Giova, però, sottolineare che il giro delle parrocchie da parte di samaras non ha ottenuto, al momento, alcun riscontro. «Non bisogna sottovalutare il pericolo che il finanziamento da parte della banca centrale possa rendere dipendenti come una droga», ha affermato il presidente della Bundesbank. aggiungendo che «una tale politica è assimilabile a un finanziamento degli Stati stampando moneta». Per Weidmann «in democrazia devono essere i Parlamenti, e non le banche centrali, a decidere di una tale condivisione dei rischi». «La manna delle banche centrali attirerà avidità senza fine» ha sostenuto ancora il presidente della Banca centrale tedesca. Il governo italiano sta lavorando bene, ma non tocca alla Bce fissare un tetto allo spread, ha detto ancora Weidmann. «Irlanda e Portogallo hanno già ottenuto rimarchevoli progressi con le loro riforme, valuto positivamente anche le misure prese in Spagna e in Italia» ha detto Wiedmann. «Ciò su cui non sono d'accordo - ha precisato - è il fatto che in questa crisi qualcuno vuole far credere che sia solo la banca centrale a poter impedire un aumento dei tassi di interesse considerato critico. Il modo migliore per ridurre durevolmente lo spread è la decisa applicazione delle promesse e degli accordi». Perchè, in definitiva, «fissare i tassi di inflazione per i titoli di Stato è per me un'idea scabrosa. Non credo di essere il solo ad avere mal di pancia al riguardo». Il voto del presidente della Buba è stato l'unico contro la possibile attivazione di un piano di acquisto illimitato di bond nell'ultimo direttivo della Bce. Weidmann ha escluso che il contrasto con Draghi porti alla scelta delle dimissione dal board di Francoforte, come è stato per i suoi ex colleghi Axel Weber e Juergen Stark: «Il modo migliore di svolgere il mio compito è di restare in carica. Voglio lavorare affinché l'euro resti forte come era il marco».

La storia dell'Alcoa (28 agosto 2012).
Ieri nella Sezione Editoriali abbiamo pubblicato un lungo articolo con la storia delle miniere di carbone del Sulcis, oggi dobbiamo tornare ancora in Sardegna per la propesta degli operai dell'Alcoa.
Quella dell’Alcoa è una classica storia di profitti privati e perdite pubbliche. Una storia di aiuti di Stato e di Stato incapace, di privatizzazioni che alla fine presentano il conto. Come nel caso dell’Ilva. Anche lo stabilimento di Portovesme, in Sardegna e quello di Fusina in Veneto, vengono dalle partecipazioni pubbliche. Si chiamavano Alumix e appartenevano all’Efim, struttura nata per guidare le industrie meccaniche, poi diventato un carrozzone con perdite miliardarie. E così, con la sua liquidazione nel 1995 la produzione di alluminio passa alla multinazionale statunitense, l’Aluminum Company of America, Alcoa, terzo gruppo mondiale, un colosso da 61mila dipendenti nel 2011, 25 miliardi di dollari di fatturato, 614 milioni di utili nel 2011. Alcoa, però, comincia nel 2008 a lanciare l’allarme sui costi della produzione in Europa, soprattutto per l’alto costo dell’energia. L’allarme si traduce poi in dramma quando, nel novembre del 2009, arriva la doccia fredda: si chiude, produrre nel Sulcis non è più conveniente. I dipendenti, già allora, mostrano una grande capacità di resistenza e di opposizione alle scelte aziendali. Manifestano per ben due volte a Roma, il 26 novembre dello stesso anno e poi di nuovo a febbraio del 2010. E riescono a ottenere il ritiro delle decisioni aziendali. Ma non è una vittoria perché si tratta soprattutto di una dilazione dei tempi: il governo si impegna di nuovo a garantire provvedimenti di agevolazione nella fornitura di energia elettrica e l’azienda fa buon viso a un gioco che, sotto banco, è sempre più cattivo. Perché le decisioni sono già prese e hanno a che fare con la sanzione che la Commissione europea commina ad Alcoa, e all’Italia, per gli illeciti “aiuti di Stato” concessi nel 2004 e poi nel 2005 dal Berlusconi. Aiuti che consistono nel rimborso della salata bolletta elettrica. La storia è poco nota ma è ben spiegata nella decisione della Commissione del 19 novembre 2009 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale europea. Quando rilevò gli stabilimenti dalla Alumix, Alcoa beneficiò di uno sconto per dieci anni, dal ‘95 al 2005, che non fu catalogato come aiuto di Stato perché si inseriva nel processo di privatizzazione. Nel 2004 e nel 2005 il governo italiano proroga gli aiuti contro i quali, però, si esprime la Commissione che li giudica “illegittimi”. Nel documento pubblico vengono anche indicate le somme che Alcoa riceve, come rimborso, dall’ente pubblico Cassa conguagli: 172 milioni di euro per il 2006, 158 milioni per il 2007, 210 milioni per il 2008 e 16 milioni limitatamente al 31 gennaio del 2009. Calcolando anche gli anni successivi sarà il ministro Sacconi a parlare di un miliardo di euro di aiuti. Per i dieci anni precedenti si possono così stimare circa 2 miliardi. Alcoa, quindi, per produrre alluminio in Italia ha usufruito di un sostegno dallo Stato di circa tre miliardi. “La tariffa contestata – scrive la Commissione – è sovvenzionata mediante un pagamento in contanti da parte della Cassa conguaglio che è un ente pubblico. Le risorse necessarie sono raccolte mediante un prelievo parafiscale applicato alla generalità delle utenze elettriche mediante la componente A4 della tariffa elettrica”. Nonostante queste cifre, la somma che Alcoa è chiamata a restituire è di 300 milioni di euro, ancora non versata. Quando capisce che la pacchia è finita la multinazionale Usa inizia a guardarsi intorno. E, infatti, già a dicembre del 2009 viene siglata l’alleanza con la saudita Ma’aden per la costruzione di un enorme sistema integrato di produzione di alluminio sulla costa orientale dell’Arabia Saudita con un investimento di circa 11 miliardi di dollari. La produzione si trasferisce, quindi, laddove la manodopera e l’energia costano molto di meno. La vertenza si trascinerà per mesi e solo a maggio del 2010 si arriverà a un primo verbale di intesa con il quale il governo italiano, stavolta nel rispetto delle normative europee, garantisce ad Alcoa con il decreto 25 gennaio 2010 la “sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori” consentendo la riduzione del costo del servizio. L’azienda si impegna a mantenere aperta la produzione ancora per qualche tempo. Ma a gennaio del 2012 si ferma di nuovo tutto. Ai sindacati non resta che accettare l’accordo del 27 marzo di quest’anno con il quale l’azienda, in assenza di formali lettere di intenti, si impegna a mantenere la produzione fino al 31 agosto e la fabbrica in funzione fino al 31 ottobre per le operazioni di spegnimento. In presenza di acquirenti, questo limite slitterebbe al 31 dicembre. Ma l’acquirente non si trova. Il fondo Aurelius, l’unico a farsi avanti, si è sfilato il 1 agosto lasciando i lavoratori con la sensazione di essere stati beffati. Potrebbe avviarsi una trattativa con il fondo Klesh o con la multinazionale svizzera Glencore che ha già un sito nel Sulcis. Ma non c’è nulla di concreto. Eppure, la Commissione Attività produttive della Camera ha votato, all’unanimità, una mozione in cui si conferma “la valenza strategica nazionale del settore dell’alluminio” in un Paese in cui la produzione “copre solo il 12 per cento del fabbisogno interno, il valore più basso tra i paesi industrializzati”. L’Italia importa quasi il 90 per cento e si priva di stabilimenti che ha già. Appunto, una storia di sprechi e di regali a una multinazionale Usa che ora va via.

Draghi: la stabilità passa attraverso il cambiamento (30 agosto 2012).
In tutta Europa è in corso un dibattito sul futuro dell'euro. Molti cittadini sono preoccupati per la direzione che sta prendendo l'Europa, ma le soluzioni proposte appaiono insoddisfacenti; la ragione è che queste soluzioni offrono solo scelte aut/aut: o torniamo al passato o avanziamo verso la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. La mia risposta è: per avere un euro stabile non è necessario scegliere fra due soluzioni estreme. La ragione di questo dibattito non è l'euro in quanto valuta. Gli obbiettivi della valuta unica rimangono importanti oggi come lo erano quando fu decisa la nascita dell'euro: estendere a tutti i cittadini europei stabilità dei prezzi e crescita sostenibile; raccogliere i frutti del più grande mercato unico del pianeta e rendere irreversibile il processo storico di unificazione dell'Europa; rafforzare la posizione dell'Europa – non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista politico – in un mondo globalizzato. La ragione di questo dibattito sta nel fatto che la zona euro non ha avuto pieno successo in quanto polis. Le valute dipendono, in ultima analisi, dalle istituzioni che hanno dietro. Quando venne proposta per la prima volta la creazione di una moneta unica c'era chi diceva che una misura del genere doveva essere preceduta da un lungo processo di integrazione politica, perché avere un'unica valuta comportava mettere in comune molte decisioni. I Paesi membri sarebbero stati una Schicksalsgemeinschaft, una comunità del destino, e avrebbero necessitato di robusti puntelli democratici su scala continentale. Ma negli anni 90 fu scelto espressamente di non dare all'euro caratteristiche di questo tipo. L'euro fu lanciato come una «moneta senza uno Stato», per preservare la sovranità e la diversità dei Paesi membri. Fu questo l'approccio alla base del trattato di Maastricht, che gettò le fondamenta istituzionali dell'euro. Ma, come i recenti avvenimenti hanno dimostrato, il quadro istituzionale ha lasciato la zona euro senza gli strumenti necessari per garantire politiche economiche valide e una gestione efficace delle crisi. È per questo che la via d'uscita non può essere un ritorno allo status quo ante. La crisi ha chiaramente messo in evidenza i gravi problemi legati al fatto di avere un'unica politica monetaria da un lato e politiche di bilancio, politiche economiche e politiche finanziarie scarsamente coordinate dall'altro. Come disse Jean Monnet, il coordinamento «è un metodo che favorisce la discussione, ma non porta a una decisione». E per gestire la seconda valuta mondiale per importanza è necessario prendere decisioni forti.

Occupazione giovanile (2 settembre 2012).
Nuovi allarmanti dati sull'occupazione giovanile. Nel secondo trimestre 2012 gli occupati di età compresa tra i 15 e i 34 anni sono diminuiti di quasi un milione e mezzo di unità (1.457.000) rispetto allo stesso periodo del 2007, passando da 7.333.000 a 5.876.000, con un crollo del 19,9%. E' quanto emerge dal confronto delle statistiche Istat. Nell'ultimo anno la riduzione è stata di 230.000 unità. La crisi ha quindi colpito duramente gli under 35 e negli ultimi cinque anni è diminuito drasticamente il numero dei giovani che hanno un posto di lavoro. Una tendenza confermata anche nel secondo trimestre del 2012, basti pensare che tra aprile e giugno 2011 gli occupati tra i 15 e i 34 anni erano ancora più di sei milioni (6.106.000). Allo stesso tempo, invece, sempre dai dati Istat emerge una tendenza opposta per gli occupati nella classe d'età tra i 55 e i 64 anni, che sono aumentati del 26% nell'arco di cinque anni, dal secondo trimestre del 2007 allo stesso periodo del 2012. Nel dettaglio, gli occupati più adulti (55-64 anni) sono saliti di 626 mila unità, passando da 2.403.000 del 2007 a 3.029.000 del 2012. Nel giro di un solo anno, dal secondo trimestre del 2011 allo stesso periodo del 2012, il rialzo è stato di 226.000 unità (+8%).

La classifica mondiale sulla competitività (5 settembre 2012).
La classifica 2012-2013 sulla competitività stilata dal World Economic Forum di Davos conferma che è il Nord Europa a trascinare il resto del mondo. Tra i primi dieci Paesi, sei sono europei: dopo la Svizzera che si conferma la primo posto, e Singapore che rimane al secondo, troviamo Finlandia, Svezia, Olanda, Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Hong Kong e Giappone. Nel grado di competitività per la prima volta la Germania scavalca gli Stati Uniti che perdono due posti, dal 5° al 7°. Nel rapporto gli esperti del World Economic Forum hanno analizzato la situazione economica in 144 Paesi e ne hanno misurato la capacità di crescita nel medio e lungo periodo, escludendo le previsioni del prossimo biennio. Per questo motivo la Cina è stata posizionata al 29° posto, come altri Paesi dei Brics Brasile (48°), Sud Africa (52°), India (59°) e Russia (67°). Per la prima volta la Francia è esclusa dalla prime venti posizioni, quest'anno è ventunesima, e tutti i Paesi dell'area mediterranea scivolano oberati dai deficit e si collocano più in basso: Spagna (36°), Italia (42°conquista una posizione dallo scorso anno ma è tallonata dalla Turchia che è al 43° e guadagna 16 posizioni), Portogallo (49°), Grecia (96°). A zavorrare la penisola sono in particolare la rigidità del mercato del lavoro, voce sulla quale si piazza solo 127esima su 144 Stati. Un posizionamento molto basso nonostante la riforma appena varata. Ma pesa anche il sottosviluppo del mercato finanziario (111esimo posto), e varie debolezze di natura sistemica tra cui la diffusa corruzione e «la percepita non indipendenza della magistratura - afferma il Wef - che aumentano i costi a carico delle imprese e minano la fiducia». Il dossier che viene pubblicato dagli organizzatori della conferenza annuale di imprenditori, politici e artisti a Davos si basa su 12 misure di competitività e su un sondaggio d'opinione tra gli imprenditori.

Le decisioni del board della BCE (6 settembre 2012).
Faremo tutto il necessario per l'euro che è irreversibile. Timori fondati su reversibilità sono quello che sono, e cioè paure non fondate. E ciò rientra pienamente nel nostro mandato». Lo ha detto il governatore della Banca centrale europea nel discorso al termine del direttorio che ha lasciato invariato il costo del denaro allo 0,75%. Una decisione non presa all'unanimità, con un voto contrario. L'inflazione resterà sopra il 2% per tutto 2012 per scendere nel 2013. Draghi ha confermato i rumors delle ultime ore indicando che la Bce è pronta ad acquisti illimitati sul mercato secondario di bond sovrani con scadenza da 1 a 3 anni dei Paesi che ne faranno richiesta. «Quella dei 3 anni ci è sembrata la cadenza più efficace da prendere di mira, perché è vicina ai tassi usati per il credito alle imprese e perché in un certo senso è simile alla scadenza dei nostri Ltro», i prestiti straordinari a lungo termine che la Bce eroga alle banche. In generale «dobbiamo rompere le aspettative negative che riguardano tutta l'area euro, e questo giustifica l'intervento della Banca centrale». Questa azione rappresenterà «una garanzia effettiva» contro distorsioni di mercato che dovranno essere eliminate. Con questo piano, denominato "Transazioni monetarie dirette" restiamo rigorosamente entro i limiti del nostro mandato». Il Consiglio direttivo della Bce deciderà «sull'avvio, la continuazione e la sospensione» degli acquisti di bond sovrani di Stati dell'Eurozona in difficoltà «in piena discrezionalità e in linea con il suo mandato di politica monetaria». Draghi ha spiegato che il nuovo piano di acquisti di bond sostiuirà il vecchio Smp. Il contributo dell'Fmi «sarà richiesto per disegnare le condizioni specifiche di partecipazione al programma per singoli Paesi e per il controllo del programma». Come emerso da indiscrezioni di stampa, il programma di acquisti è stato battezzato «Outright Monetary Transactions». Il primo aspetto citato dal banchiere centrale è stato la sua «stretta condizionalità»: le manovre della Bce partiranno solo dopo che al Paese o ai paesi beneficiari sarà stato attivato o un piano di aiuti vero e proprio, con un piano di aggiustamenti e riforme, o una sua versione ammorbidita che comunque implichi acquisti calmieranti di bond alle aste di emisisone da parte dei fondi anti crisi Efsf e Esm. Peraltro la Bce potrà decidere eventuali sospensioni dei suoi interventi nel caso in cui il Paese fbeneficiario non rispetti gli impegni presi. Il secondo aspetto, cruciale su questo piano è quello delle coperture: «le Omt riguaderanno i futuri casi di piani di aggiustamento», o le versioni di piani ammorbiditi ma potranno riguardare anche i paesi che hanno piani già in corso posto che ritrovino l'accesso al mercato dei bond. L'acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario da parte della Bce a condizione di un programma di aggiustamento macroeconomico non sono «affatto» considerabili come un «salvataggio soft» nei confronti di Italia e Spagna, ha detto Draghi. «Siamo sicuri che non stiamo violando il nostro mandato» con l'acquisto di bond sul mercato secondario. La Banca centrale europea ha deciso di ampliare le garanzie che le banche possono fornire in cambio di liquidità. Infine, oggi la Bce ha deciso di modificare (o meglio di sospendere) la "soglia minima di rating" fissata per i titoli forniti come garanzia dai governi dei paesi oggetto di acquisti Omt o di un programma Ue-Fmi. Inoltre, la Bce torna ad accettare come collaterali anche titoli in valute diverse dall'euro, ovvero dollari, sterline e yen. «La politica monetaria europea appare frammentata in molte aree e gli squilibri ai quali si assiste in molti Paesi sono legate a un'errata applicazione delle politiche». Immediata l'euforia dei listini dopo la conferma dell'impegno dell'Eurotower ad acquistare titoli di Stato. Il FTSE MIB di Milano e l'IBEX 35 di Madrid sono i migliori con guadagni di oltre tre punti percentuali. Immediata anche la reazione sul mercato secondario dei titoli di Stato. Il differenziale di rendimento tra i titoli di stato decennali italiani a quelli tedeschi é sceso sotto 380 punti, quasi venti in meno rispetto alla chiusura di ieri.

L'Italia in profonda recessione (10 settembre 2012).
Il calo del pil del 2,6%, registrato nel secondo trimestre 2012 rispetto allo stesso trimestre del 2011, è il dato peggiore dal quarto trimestre 2009, quando il calo era stato del 3,5%. Su base congiunturale il calo dello 0,8% invece era stato registrato anche nel primo trimestre dell’anno. L’economia italiana si colloca dietro alle grandi economie del pianeta. "Nel secondo trimestre, in termini congiunturali, il pil - comunica l’Istat facendo un raffronto internazionale - è aumentato dello 0,4% negli Stati Uniti, dello 0,3% in Germania e in Giappone, è rimasto stazionario in Francia, mentre è diminuito dello 0,5% nel Regno Unito". In termini tendenziali, si sono registrati incrementi del 3,6% in Giappone, del 2,3% negli Stati Uniti, dell’1,0% in Germania e dello 0,3% in Francia, mentre nel Regno Unito il pil è diminuito dello 0,5%. Nel complesso, l’Eurozona ha registrato un calo dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,5% in confronto allo stesso trimestre del 2011. L'istituto di statistica ha rivisto al ribasso il dato sul pil nel secondo trimestre 2012: il calo è stato dello 0,8% rispetto al trimestre precedente e del 2,6% nei confronti del secondo trimestre 2011, rispetto alla stima preliminare, diffusa ad agosto, che indicava un calo congiunturale dello 0,7% e su base annua del 2,5%. Nel secondo trimestre del 2012 tutti i grandi comparti di attività economica registrano una diminuzione congiunturale del valore aggiunto: -1,9% per l’agricoltura, -1,6% per l’industria e -0,5% per i servizi. In termini tendenziali il valore aggiunto è aumentato dello 0,9% nell’agricoltura, mentre è diminuito del 6% nell’industria in senso stretto, del 6,5% nelle costruzioni e dell’1,1% nel complesso dei servizi. A preoccupare è soprattutto la forte contrazione dei consumi. Secondo l'Istat, infatti, la spesa delle famiglie sul territorio nazionale nel secondo trimestre 2012 ha registrato un calo del 3,5%, dovuto a diminuzioni del 10,1% degli acquisti di beni durevoli, del 3,5% per quelli non durevoli e dell’1,1% per gli acquisiti di servizi.
Come andiamo affermando da tempo l'Italia è sempre più in recessione e false si rivelano le previsioni ottimistiche del governo. Il Paese fa acqua dovunque e ai casi conclamati di gravi crisi industriali come Ilva, Sulcis, Alcoa e mettiamoci anche Fiat si somma la crisi del settore turistico. Giungono dati sconfortanti da tutta Italia; inoltre,le norme populistiche con la tassazione del superlusso ha fatto "emigrare" le imbarcazioni dai nostri porti turistici in Croazia, Slovenia, Grecia, Francia e ha messo in crisi l'industria cantieristica; il settore dell'aereotrasporto privato è crollato a un terzo di quello spagnolo, dopo gli spettacolari blitz della GdF i "ricchi" hanno disertato le stazioni turistiche più rinomate. Questo disastro economico in cambio di qualche decina di milioni di tasse in più.

La Corte Costituzionale di Karlsruhe dice sì al piano salva stati (12 settembre 2012).
La Germania appoggia la politica di Mario Draghi e ha deciso di collaborare al fine di agevolare il cammino verso la ripresa e la ricerca di un nuovo equilibrio in Europa. Il piano della Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà non è più tabù. Può contare sul placet di Angela Merkel. Quello della Merkel è un atteggiamento motivato dalla presa di coscienza della posta in gioco, troppo alta, per tirarsi indietro. Per far sopravvivere l’euro adesso è più che mai necessario avere un'Europa unita e nessuno che remi contro. La Corte costituzionale tedesca, riunitasi oggi per esprimersi sulla congruità o meno del fondo salva-stati con i salvataggi previsti dai trattati europei, ha dato il suo via libera, sia alla creazione dell'Esm (European Stability Mechanism), seppur condizionato a un'esposizione per la Germania non superiore a 190 miliardi (nel caso serviranno ulteriori risorse per aiutare i Paesi dell'Eurozona in difficoltà, sarà necessario passare per il Bundestag), sia al fiscal compact. L’apertura della Germania e di Angela Merkel è maturata nel corso dell’Eurogruppo di giugno; la Merkel era stata messa in una posizione difficile dall'accordo tra Mariano Rajoy, Francois Hollande e Mario Monti e ha deciso di fare un passo indietro, il rischio era quello di rimanere isolata. D'altra parte sono evidenti anche i vantaggi per i tedeschi. Innanzitutto significa salvare l’euro, quindi fare pagare in futuro alla Germania un po' meno in termini di costo di eventuali salvataggi del Sud Europa. Le banche tedesche sono fortemente esposte sui titoli di stato ellenici, la Germania è il paese con le più forti esportazioni nell’eurozona e un crollo della moneta unica o una sua spaccatura avrebbe avuto un effetto boomerang per la Germania. Inoltre, con la decisione di oggi la Germania ha rafforzato il suo peso politico nella Ue. In particolare, la concessione di un ruolo più potente alla Banca Centrale può aver avuto come contropartita che per i salvataggi vengano imposte condizioni più rigorose che in passato o comunque molto rigide. In altre parole solo cercando di rinsaldare il progetto dell’euro Berlino può mantenere i suoi primati e proporsi come l’ago della bilancia nella fase di uscita della crisi. Con un vantaggio, in primis, per Angela Merkel, che potrà ripresentarsi come favorita nella corsa alla Bundestag nel 2013. Oggi è stato anche il giorno del discorso a Strasburgo di Barroso. L'Unione europea deve «muovere verso una federazione di stati-nazione», per la cui creazione «servirà un nuovo trattato» ha detto il presidente della Commissione Ue davanti alla plenaria del Parlamento europeo. Barroso ha fatto poi riferimento al sentimento di antieuropeismo, denunciato pochi giorni fa anche da Mario Monti. «L'indifferenza di chi si professa a favore dell'Europa è ancora più pericolosa dello scetticismo degli antieuropeisti. Non ci devono essere muri che dividono gli Stati, dobbiamo evitare il provincialismo nazionale e non possiamo permettere che l'ordine del giorno europeo sia scritto dai nazionalisti». Ha poi aggiunto: «Tutti devono rispettare l'indipendenza della Bce che non può e non intende finanziare i governi» ha sostenuto Barroso, plaudendo alla decisione della Banca centrale europea di intervenire sui mercati secondari. Un'azione, afferma, dettata dal fatto che la Bce «ha il dovere di ripristinare l'integrità della politica monetaria quando gli altri canali non funzionano propriamente».

Italia: crollano i consumi (13 settembre 2012).
L'economia italiana resta in profonda recessione, e i segnali di inversione del ciclo sono ancora confusi. I consumi degli italiani subiranno quest'anno la flessione più grave dal dopoguerra: -3,2% procapite. L'anno prossimo torneranno ai livelli del 1997 con una frenata nella caduta che porterà i consumi a -1 per cento. É l'allarme lanciato dal Centro studi di Confindustria (Csc) nel suo ultimo rapporto "Le sfide della politica economica", che prevede ancora il segno meno per l'economia nazionale nel 2013. La stima sul Pil del Csc rimane infatti invariata per il 2012 rispetto a quella di giugno scorso, con una flessione del 2,4%, mentre quella del 2013 viene rivista al ribasso, con un Prodotto interno lordo in calo dello 0,6%; la precedente stima era di un -0,3% per il 2013, mentre ad aprile il governo ad aprile aveva stimato -1,2% nel 2012 e +0,5% nel 2013. «Siamo ancora in recessione», sottolinea il coordinatore del Rapporto, Luca Paolazzi, ripercorrendo gli indicatori che sottolineano i passi indietro dell'economia mondiale, «e i paesi emergenti rallentano la loro crescita». Anche il commercio mondiale «è in panne, in discesa. Non c'è una svolta dietro l'angolo, o una attenuazione della caduta, per l'Italia. Da noi, la caduta dell'economia è molto lunga, 7 trimestri consecutivi. Le famiglie tengono nella spesa per i servizi, e penalizzano l'acquisto di beni. Il Pil continua a scendere, anche se l'indicatore Ocsce ci dice che la caduta rallenta». Sul fronte del lavoro, «la disoccupazione in Italia è in crescita», fattore che «incide anche sul Pil potenziale del Paese». Come evidenzia il rapporto, in Italia in un anno, dal secondo trimestre 2011 al secondo trimestre 2012, i disoccupati sono cresciuti di 758mila unità. Il dato si spiega anche alla luce del fatto che sempre più persone sono in cerca di occupazione. «Se prendiamo i dati trimestrali - si legge nel documento - osserviamo che essendo l'occupazione rimasta pressoché stabile (-0,2% annuo nei dati grezzi e addirittura +27mila unità in quelli destagionalizzati) è il sostanzioso aumento della forza lavoro che è iniziato nel terzo trimestre del 2011 e che è arrivato a + 710mila unità in dodici mesi (+2,8%) che si è tradotto in, e insieme è spiegato da, un maggior numero di persone in cerca di impiego (+758mila ossia +38,9%)». Nel suo intervento in occasione della presentazione dello studio, il ministro del Lavoro Elsa Fornero chiarisce: «nei prossimi sei mesi lavorerò affinché l'apprendistato diventi la via normale per il mondo del lavoro». L'apprendistato, osserva, non è mai stato preso sul serio.
La situazione è veramente grave, si sommano infatti, alta inflazione, crollo di Pil e consumi; qualcuno dice ma i ristoranti sono pieni!

FED: stime dati macroeconomici (14 settembre 2012).
La Fed prevede che quest'anno il tasso di disoccupazione sarà compreso tra l'8 e l'8,2 per cento, in linea con la stima precedente. Per quanto riguarda l'inflazione, invece, la Banca centrale si aspetta che sarà tra l'1,7 e l'1,8 per cento, contro l'1,2-1,7 per cento stimato inizialmente. Per il 2013 la Fed prevede invece un aumento del Pil a 2,5-3 per cento, un tasso di disoccupazione tra il 7,6 e il 7,9 per cento e un'inflazione tra l'1,7 e il 2 per cento. Per il 2014, infine, il Pil è atteso tra il 3 e il 3,8 per cento, la disoccupazione tra il 6,7 e il 7,3 per cento e l'inflazione tra l'1,8 e il 2 per cento. La Federal Reserve lascia come previsto i tassi a zero e annuncia nuove misure di stimolo all'economia. Al termine del consiglio direttivo, la banca centrale americana ha annunciato che continuerà l'operazione twist, cioè l'allungamento della vita media del debito, e lascerà i tassi di interesse su livelli eccezionalmente bassi fino ad almeno la metà del 2015, termine spostato più avanti dalla precedente guidance che era di fine 2014. «Per sostenere una ripresa economica più vigorosa e aiutare ad assicurare che l'inflazione, nel corso del tempo, si stabilizzi a un livello più coerente con il suo duplice mandato, il Comitato ha deciso di aumentare la sua politica accomodante mediante ulteriori acquisti di cartolarizzazioni di mutui al ritmo di 40 miliardi di dollari al mese. Queste azioni dovrebbero esercitare pressione al ribasso sui tassi di interesse a lungo, fornire sostegno al mercato dei mutui e rendere più accomodanti le condizioni dei mercati finanziari più in generale».

La Fiat e la Fabbrica Italia (17 settembre 2012).
Infuriano le polemiche dopo che la Fiat ha annunciato di dover rinunciare al progetto "Fabbrica Italia, dopo le dure parole di Diego della Valle contro Marchionne: «Il vero problema della Fiat è lui. Sono solo furbetti cosmopoliti» e l'apprezzamento di Cesare Romiti alla politica della Fiom.
Solo sei mesi fa, a metà marzo, i vertici Fiat fecero visita a Monti entrando a Palazzo Chigi a bordo di un nuovo modello Panda, con l'ad Fiat Marchionne che affermava: «continueremo gli investimenti secondo i nostri programmi. Non ci sono novità. Non chiederò nulla. Non voglio assolutamente niente». Nel frattempo si è avuto il crollo del mercato dell'auto e il mancato arrivo di nuovi modelli Fiat, culminati nell'annuncio di un ripensamento dell'azienda sul piano incentrato su 20 miliardi di investimenti al 2014. Gli ultimi sviluppi mettono in allarme l'ex ministro del Lavoro e capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, che davanti alla cancellazione del piano Fabbrica Italia, sottolinea come «il governo non può limitarsi ad auspicare un incontro di chiarimento con Fiat, lo deve pretendere». Quando diciamo che vorremmo in Italia una politica industriale a sostegno dei settori strategici, aggiunge, «non stiamo parlando della luna, ma di quanto è stato fatto da Obama, Merkel e Hollande a difesa dei rispettivi settori dell'auto. A questo punto il paese deve sapere quale è il nuovo progetto della Fiat: quali investimenti, quali nuovi prodotti, in quali stabilimenti e con quanta occupazione». Il fronte sindacale ha visto anche la netta presa di posizione di Claudio Angeletti (Uil): «Non possiamo accettare riduzioni della capacità produttiva. Noi crediamo ancora che la Fiat possa restare una casa automobilistica competitiva ma perché ciò sia possibile bisogna crederci e fare gli investimenti necessari». Attenzione alle divisioni tra sigle sindacali, mette in guardia Giovanni Centrella, segretario generale Ugl, che raccomanda un maggiore impegno «per superare un oggettivo andamento del mercato recuperando le quote perse». Tutti, spiega, devono fare attenzione «a non dare alibi a Fiat di andarsene dall'Italia. Se il Paese dovesse perdere Fiat, anche se non crediamo che il Lingotto abbia voglia di lasciarlo, a rimetterci saranno principalmente i lavoratori del Centro-Sud». Parole di fuoco, dopo le dure critiche di ieri, sono arrivate in giornata anche dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che in serata parteciperà ad un incontro, proprio su Fiat e il futuro di "Fabbrica Italia". Il tema, spiega, «non è il calo di produzione che riguarda tutti, il tema è che non c'è alcuna politica industriale che contrasti quel calo di produzione e permetta di immaginare di recuperarlo. Sulla Fiat si è giocata una partita anche molto pesante nel Paese sul piano della democrazia sindacale, degli accordi sindacali in ragione di quel piano. Pare evidente che oggi il problema è sapere che quel modello non funziona, che non c'è un piano industriale, che c'è un Paese che è stato preso in giro». Le scelte del Lingotto agitano anche la politica locale, a cominciare dal sindaco di Torino, Piero Fassino, che incita Monti ad agire «il governo non sia solo notaio», seguito dal governatore del Piemonte, Cota, che sul suo profilo Facebook gioca la carta dei legami con il territorio. «La Fiat non è un'azienda come un'altra. Per Torino e per il Piemonte è un simbolo. La famiglia Agnelli ci ha sempre tenuto a essere un riferimento per il territorio, adesso non può scappare alla chetichella». Sul tavolo, Cota mette anche i finanziamenti all'azienda da parte delle Autonomie: Fiat, sottolinea nel suo post, «ha ricevuto, negli anni, molte attenzioni dalle amministrazioni locali; si ricordi, ad esempio, la operazione Tne dove si sono impiegati soldi pubblici per alleggerire Fiat dal peso di una dismissione industriale complicata. Allora, non possiamo essere trattati come un territorio qualsiasi, facendo un mero calcolo ragionieristico sulla convenienza a produrre». Da Roma, molti tornano a chiedere chiarimenti. Il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, rivendica gli sforzi della politica per favorire il rilancio del Lingotto: «Siamo stati del tutto consenzienti ad assicurare condizioni di gestione del lavoro che consentissero di affrontare la concorrenza mondiale, ma fra gli obiettivi di questa scelta c'era anche quello di mantenere decisive fabbriche in Italia oltre a conseguenti 20mld di investimenti. Il discorso diventa assai diverso se invece la Fiat malgrado ciò e anche altri tipi di aiuto chiude fondamentali fabbriche in Italia. Marchionne non andava osteggiato per ragioni ideologiche quando ha definito il piano denominato "Fabbrica Italia", ma non va certo preso a scatola chiusa adesso che sembra smantellarlo». Da sinistra, esprime perplessità anche il candidato alle primarie del Pd Matteo Renzi, dindaco di Firenze. «Ho detto sì al referendum Fiat per il progetto Fabbrica Italia, spiega nel corso di un'intervista, ma oggi che Marchionne dice di no, bisogna andare a chiedere a lui il perché ha cambiato idea e non a noi, che abbiamo detto di sì al referendum».
Il comparto dell'automobile è il più strategico in assoluto per uno stato; esso coinvolge quasi tutti i settori manifatturieri ed è di stimolo per l'innovazione tecnologica a tutto campo. Non è un caso che Obama, Hollande, Merkel abbiano preso provvedimenti incisivi e immediati per evitarne il tracollo. Qui non sono in gioco le politiche liberali o protezionistiche in gioco c'è la sopravvivenza dell'Italia come potenza industriale e il governo deve inventarsi qualcosa per sostenere il settore. Certamente non aiuta il fenomeno per cui appena compri un'auto nuova il tuo comune informa l'agenzia delle entrate che corre a farti "visita".

La FIAT all'estero (17 settembre 2012).
Secondo Della Valle la crisi della Fiat è da attribuirsi alle responmsabiltà di Marchionne; ma vediamo cosa fa la Fiat fuori dai nostri confini. La fabbrica gioiello polacca di Tychy con i suoi circa 6mila addetti nel 2011 ha prodotto da sola 468mila vetture, ossia poco meno delle 472mila vetture sfornate da cinque impianti italiani con oltre 24mila operai (per l'anno scorso sono da calcolare anche le ultime 37mila auto assemblate a Termini Imerese prima della chiusura). Ma è il Brasile il paese nel quale i numeri del confronto si fanno incredibili: nell'impianto di Betim la Fiat l'anno scorso ha prodotto 745mila veicoli (quasi il 60% più che in Italia) con 15.374 dipendenti diretti (il 62,5% in meno che in Italia) più 8.200 dell'indotto, per un totale di 23.500 addetti complessivi. Nell'agosto scorso Fiat ha incassato, contemporaneamente, il record storico di produzione e vendite in Brasile, con oltre 98mila immatricolazioni: in un solo mese più di un terzo di quanto venduto in Italia in due quadrimestri. Nel nostro Paese ad agosto Fiat ha consegnato 16.699 vetture (-20,59%), mentre da gennaio le immatricolazioni sono state 290.840 (-20,2%). Impari anche le stime sul mercato nel 2012: quello italiano quest'anno è destinato probabilmente a restare intorno a 1,37 milioni di auto, mentre in Brasile ci si avvicinerà a 4 milioni (+11,5%). In Brasile la domanda record si deve alle misure governative di stimolo all'economia, con i consumi corrono grazie al calo del costo del denaro e alla maggior offerta di finanziamento. Fondamentale anche la riduzione dell'incidenza di imposte federali sui prodotti industrializzati strategici per il Brasile (per i veicoli lo "sconto" è stato applicato da maggio ad agosto). Stimoli economici al mercato auto, insomma, che in Italia sono scomparsi. Ma anche se ci allarghiamo all'Europa il confronto col Brasile è perso in partenza: nel Vecchio Continente nei primi sei mesi dell'anno le immatricolazioni sono calate di quasi mezzo milione di unità, con una flessione del 6,3%, mentre in Brasile sono aumentate del 18,7%. Con il mese scorso il mercato dell'auto italiano ha ormai messo in fila nove flessioni consecutive a due cifre. Agosto si è infatti chiuso con 56.447 immatricolazioni e una contrazione del 20,23%. Volumi che, secondo Jacques Bousquet, presidente dell'Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), riportano il mercato indietro di cinquant'anni. Ma con prospettive assai meno brillanti di allora.

La risposta di Marchionne (18 settembre 2012).
«In questa situazione drammatica, io non ho parlato di esuberi, non ho proposto chiusure di stabilimenti, non ho mai detto che voglio andar via, non mollo. Mi impegno, ma non posso farlo da solo. Ci vuole un impegno dell'Italia». Così sostiene Sergio Marchionne in un'intervista a Repubblica. «Non sono l'uomo nero, ma l'Italia dell'auto è precipitata in un buco di mercato senza precedenti, abbiamo perso di colpo quarant'anni e qualcuno vorrebbe che la Fiat si comportasse tranquillamente come prima? O è un'imbecillità pensare a questo, o è una prepotenza, fuori dalla logica Tutti parlano a cento all'ora, perché la Fiat è un bersaglio grosso, più delle scarpe di alta qualità e alto prezzo che compravo anch'io fino a qualche tempo fa: adesso non più. Ci sarebbe da domandarsi chi ha dato la cattedra a molti maestri d'automobile improvvisati. Ma significherebbe starnazzare nel pollaio più provinciale che c'è. Fintanto che attaccano, nessun problema. Ma lascino stare la Fiat». L'amministratore delegato del Lingotto risponde anche alle critiche di Romiti: «Il mondo Fiat che abbiamo creato noi non è più il suo». Marchionne si dice disponibile a incontrare il governo, ma sottolinea: «E poi? Sopravvivere alla tempesta con l'aiuto di quella parte dell'azienda che va bene in America del Nord e del Sud, per sostenere l'Italia, mi pare sia un discorso strategico. Fiat sta accumulando perdite per 700 milioni in Europa, e sta reggendo sui successi all'estero. Sono le due uniche cose che contano. Se vogliamo confrontarci dobbiamo partire da qui: non si scappa. Il progetto fabbrica Italia era basato su cento cose, la metà non ci sono più. Io allora puntavo su un mercato che reggeva, ed è crollato, su una riforma del mercato del lavoro, e ho più di 70 cause della Fiom. Tutto è cambiato. E io non sono capace di far finta di niente. Anche perché puoi nasconderli ma i nodi prima o poi vengono al pettine. Ecco siamo in quel momento. Io indico i nodi: parliamone. Chi se la sentirebbe di investire in un mercato tramortito dalla crisi, se avesse la certezza non soltanto di non guadagnare un euro ma addirittura di non recuperare i soldi investiti? Con nuovi modelli lanciati oggi spareremmo nell'acqua: un bel risultato. Se io avessi lanciato adesso dei nuovi modelli avrebbero fatto la stessa fine della nuova Panda di Pomigliano: la miglior Panda nella storia, 800 milioni di investimento, e il mercato non la prende, perché il mercato non c'è». Le prospettive per le vendite - afferma Marchionne - non sono buone: «Non vedo niente, nessun cambio di mercato fino al 2014. Per questo investire nel 2012 sarebbe micidiale».
Marchionne è convinto di due cose: la crisi del mercato europeo è strutturale, e la Fiat in quest'area non è in grado di competere a tutto campo. Partiamo dal primo punto. Il mercato europeo è maturo: l'elevato numero di automobili in circolazione e la bassa crescita demografica lo rendono un mercato cosiddetto "di sostituzione". Niente crescita, dunque, nel lungo periodo. A fronte di un mercato stagnante e oltretutto colpito da un forte calo congiunturale, c'è una capacità produttiva che negli ultimi dieci anni non solo non è scesa, ma è aumentata . La sovracapacità produttiva è il primo termine dell'equazione che tutti i costruttori devono risolvere, perché provoca una feroce guerra dei prezzi e quest'anno in Europa porterà in rosso i conti non solo di Fiat ma anche di Ford, Opel, Peugeot e Renault. Perfino Volkswagen, con la sua Golf prodotta a Wolfsburg, produce utili risicati (quelli del gruppo vengono soprattutto dall'Audi e dalla Cina). Sono i cosiddetti costruttori generalisti, ovvero quelli che producono una gamma completa di auto (dalle piccole alle grandi) a prezzi medi per il cliente medio. Non a tutti va così male: resistono, o addirittura fanno buoni utili, le case che producono a costi bassi o vendono a prezzi alti. Nella prima categoria ci sono la Dacia e la Skoda, ma anche le coreane Hyundai e Kia; nella seconda il lusso sportivo di Ferrari e Porsche, e l'alto di gamma delle tre big tedesche Audi, Bmw e Mercedes. Tra i vincenti avrebbe potuto esserci l'Alfa Romeo. A giudizio di molti osservatori e di molti manager torinesi l'Alfa sarebbe l'unica chance per Torino di competere a tutto campo con i tedeschi. Ma servirebbero, come dimostra il caso di Volkswagen con Audi, miliardi di euro di investimenti con un orizzonte temporale di almeno dieci anni e con probabili perdite per i primi cinque. Marchionne non se l'è mai sentita; non solo: già nel 2007 era pronto a vendere l'Alfa a Volkswagen, se gli avessero offerto il prezzo giusto. Ora i tedeschi restano alla finestra e a otto anni dall'arrivo di Marchionne al Lingotto, dopo una giostra di sei amministratori delegati, l'Alfa Romeo resta nel limbo. In questo caso come in altri la logica di Marchionne è stata finanziaria e di breve periodo. Una logica che gli ha permesso di riportare i conti Fiat in nero dopo la grande crisi, ma che non sempre permette di sostenere una strategia a lungo termine. Una logica per smentire la quale Marchionne cita l'investimento a Pomigliano: «Sulla base di considerazioni puramente economiche, nessun altro lo avrebbe fatto». Tornando all'equazione che tutti devono risolvere, una delle soluzioni possibili è chiudere stabilimenti; Peugeot lo ha annunciato a luglio, Opel è in trattative con i sindacati e anche Ford – scrive un report di ieri della banca Ubs – potrebbe fermare la fabbrica di Genk, in Belgio. Nel 2012 Fiat venderà meno di 900mila auto in Europa (contro gli 1,2 milioni del 2009), di cui la metà circa prodotte in Italia. Come ha fatto amaramente notare in questi giorni un sindacalista, per un volume del genere basterebbe la fabbrica di Melfi a pieno regime. Marchionne promette che non chiuderà stabilimenti purché ci sia «un impegno dell'Italia». Un impegno non meglio precisato, ma che potrebbe comprendere un sostegno a una cassa integrazione prolungata. Basterà? Nel lungo periodo il numero delle fabbriche Fiat in Italia dipenderà dalla ripresa del mercato europeo e dalla quota che Fiat riuscirà a mantenere in Europa. Per questo il blocco degli investimenti è preoccupante. Come scrive Fabiano Schivardi, «la strategia di "passare attraverso la crisi in apnea" rinviando l'introduzione di nuovi modelli a tempi migliori rischia di portare l'impresa all'asfissia»; tanto più che i concorrenti continuano a investire. Proprio questo è il paradosso dello scontro competitivo in atto in Europa: nessuno può far soldi finché qualcuno non lascia liberi spazi di mercato, ma chi decide di farlo fa un favore agli altri. Nella battaglia per l'Europa, rispetto agli altri generalisti il Lingotto ha più di uno svantaggio: ha la quota di mercato più piccola e più concentrata in un solo Paese, un'immagine di marca non brillante e la gamma di prodotti più ristretta. Se guardiamo al segmento C (quello della Bravo), il secondo in Europa per dimensioni, Fiat compete con 3 vetture (Bravo, Delta e Giulietta) dello stesso tipo - berline a due volumi e cinque porte -, ma non dispone di una station wagon (modello che in Italia è tradizionalmente più venduto) né di un Suv o crossover, quegli ibridi come la Nissan Qashqai che negli ultimi 5 anni hanno mostrato la crescita maggiore. Viste le indubbie difficoltà nel segmento C dei decenni precedenti - ultimo caso, quello della Stilo - Marchionne ha prima cassato la Bravo SW e bocciato la proposta dei manager di sostituire la Bravo con un crossover; poi ha accettato l'idea, che è però fa parte degli investimenti rinviati sine die. Nel 2012 in Europa le vendite di Bravo sono per ora scese di oltre il 40% e quelle di Delta di più del 35 per cento. Marchionne è convinto che battersi per restare sul mercato Ue con una gamma completa sia un investimento rischioso e con scarse probabilità di successo; anche da questo, non solo dalla congiuntura, viene il freno tirato sugli investimenti in Europa. Il manager è anche convinto che il marchio Fiat sia debole e che rianimarlo costerebbe troppo. Non a caso pensa di vendere in alcuni Paesi - a cominciare dagli Usa - le auto direttamente con il brand della Fiat 500. La Fiat del futuro, in Europa, non sarà dunque più una marca generalista, se non forse nel nostro paese. Potrebbe diventare una sorta di Seat, gamma relativamente ampia ma con presenza debolissima fuori dalla Spagna, o di Suzuki, concentrata sui segmenti A e B e sui Suv (che Fiat potrebbe sviluppare agevolmente con Chrysler). L'export verso gli Usa potrà dare un aiuto molto limitato. Il piano del 2010 prevedeva 105mila unità esportate nel 2014 di cui 20mila Fiat e 85mila Alfa Romeo; ora sappiamo che le Fiat arriveranno dalla Serbia e le prime Alfa (Giulia) saranno prodotte negli Usa. Per quanto riguarda l'Italia, il primo esperimento potrebbe essere quello della Jeep destinata a Mirafiori; ma l'investimento è per ora congelato, ed è una delle risposte che Marchionne dovrà dare nell'incontro con Mario Monti.

Buone notizie sul fronte dell'export (19 settembre 2012).
Tra tante cattive notizie una molto buona viene dall'avanzo commerciale di luglio, schizzato a 4,5 miliardi di euro, il massimo da ben 14 anni. Ma il boom dell'avanzo commerciale deriva anche dal crollo delle importazioni, in calo del 4,3% su base tendenziale, uno stop del resto visibile in tutta Europa e legato alla flessione della domanda interna. Riduzione dei consumi apprezzabile ad esempio nel crollo del 32,9% degli acquisti di auto estere, capitolo che da solo spiega la metà della frenata delle importazioni verso l'Italia e che si aggiunge al crollo a doppia cifra degli acquisti di prodotti petroliferi raffinati, altro chiaro sintomo delle difficoltà di imprese e famiglie. Anche sul fronte dell'export italiano l'Europa manifesta tutta la sua debolezza e il mostro exploit di luglio è legato a due trend ben diversi: da un lato il balzo del 9,5% per i paesi Extra-Ue, dall'altro stop per l'Europa, con una variazione nulla sia nel mese di luglio che dall'inizio dell'anno. Dato non trascurabile, perché nonostante il progressivo affrancamento delle nostre aziende dai paesi più vicini, le vendite nell'Unione Europea rappresentano ancora più della metà dei valori globali realizzati oltreconfine. Così, in termini assoluti la crisi della Spagna "costa" nel mese al nostro export 162 milioni di vendite in meno ma il dato in prospettiva più preoccupante è quello del nostro primo partner commerciale, la Germania, in calo dell'1,7%, con cento milioni in meno di prodotti acquistati nel mese. E tuttavia, pur nel momento peggiore dell'economia europea nel dopoguerra, l'Italia difende le posizioni e le aziende lottano su ogni commessa. Per tutti i distretti italiani esportare è ormai diventata una necessità assoluta e questo cambiamento di mentalità è visibile anche nella qualità di ciò che vendiamo: i valori medi unitari crescono del 4,5% dall'inizio dell'anno (del 4% al netto dell'energia) mentre i volumi sono in lieve calo, giù dello 0,3%. C'è quindi un innalzamento qualitativo progressivo, in atto ormai da molti mesi, probabile segnale di un riposizionamento delle produzioni sulla fascia alta del mercato, nei segmenti a maggiore valore aggiunto. E se l'Europa soffre, per nostra fortuna gli ordini continuano ad arrivare copiosi dai paesi extra-europei, in particolare dagli Stati Uniti, paese che da solo garantisce all'Italia un avanzo commerciale di oltre otto miliardi di euro da gennaio, il massimo tra tutte le aree geografiche. Macchinari ed apparecchi sono tra i prodotti più gettonati dagli Usa ma la tecnologia italiana si afferma in più settori, come dimostra l'ordine annunciato ieri da Beretta per nuove forniture all'esercito statunitense. In forte crescita su base tendenziale anche Turchia e Brasile, mentre il resto dei Bric's resta pesantemente in rosso, con uno scenario che ormai si replica da molti mesi. Le nostre vendite in Cina arretrano a luglio per il settimo mese consecutivo e il calo dall'inizio dell'anno per le nostre esportazioni è pari al 12,4%. Situazione simile per l'India, dove l'arretramento fatto registrare in sette mesi, da gennaio a luglio è di oltre dieci punti percentuali. Traducendo i segni meno in valori assoluti significa che in questi due paesi abbiamo venduto dall'inizio dell'anno un miliardo di euro in meno, e vista la fase di rallentamento delle due economie, questo quadro non pare destinato a modificarsi a breve. Analizzando i settori di vendita, invece, nella manifattura le performance migliori del nostro paese sono per farmaceutica, autoveicoli e alimentare, quest'ultimo comparto in crescita del 7,8% tra gennaio e luglio. Numeri sottolineati da Coldiretti, che stima ormai le vendite estere di cibo e vino italiani oltre il valore di automobili e rimorchi. Continua a tenere anche un altro nostro punto di forza, il settore dei macchinari e dei robot, in grado di portare uno sviluppo del 5,1% a luglio e un avanzo commerciale impressionante da gennaio: ben 28,2 miliardi di euro, superiore (e di segno opposto) al deficit cumulato nei confronti di Cina e paesi dell'Opec.

Fatturato dell'industria (20 settembre 2012).
L'Istat rende noto che lo scorso mese di luglio il fatturato dell'industria ha segnato un incremento dell'1,2% rispetto al precedente mese di giugno mentre, su base annua, ha registrato un calo del 5,3%. Per quel che riguarda gli ordinativi totali, si registra una crescita congiunturale del 2,9% mentre, nel confronto con il mese di luglio 2011, l'indice grezzo degli ordinativi segna un calo del 4,9%. Nella media degli ultimi tre mesi gli ordinativi totali sono aumentati dell'1,1% rispetto al trimestre precedente. Il fatturato, afferma l'Istat, ha segnato una crescita dello 0,3% sul mercato interno e del 3% su quello estero. Nella media degli ultimi tre mesi, l'indice totale scende del 2,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 di luglio 2011) il fatturato totale diminuisce in termini tendenziali del 5,3%, con un calo del 9,1% sul mercato interno ed un aumento del 2,6% su quello estero. Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano diminuzioni congiunturali per i beni di consumo (-0,6%) e per i beni intermedi (-0,3%) e variazioni positive per i beni strumentali (+4,9%) e per l'energia (+3,8%).L'indice grezzo del fatturato diminuisce, in termini tendenziali, del 2,3%: il contributo più ampio a tale diminuzione viene dalla componente interna dei beni intermedi. L'incremento tendenziale maggiore del fatturato si registra nel settore della fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+8,1%), mentre la diminuzione più marcata riguarda l'estrazione di minerali (-17,4%). Per quel che riguarda gli ordinativi totali la crescita congiunturale del 2,9% é una sintesi di aumenti del 2,3% degli ordinativi interni e del 3,7% di quelli esteri. L'incremento maggiore dell'indice grezzo degli ordinativi, riguarda la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali (+18,3%), mentre la variazione negativa più rilevante si registra nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-11,1%).

La procura blocca l'Ilva (21 settembre 2012).
La Procura dopo i custodi del tribunale boccia il piano da 400 milioni di euro che l'Ilva è disposta a spendere per adeguare gli impianti, e Clini dice: "L'autorizzazione che consente all'Ilva l'esercizio degli impianti compete al ministero. Né il procuratore della Repubblica, né il gip, né il presidente del tribunale hanno l'autorità per autorizzare un impianto industriale. Nel caso in cui si creasse un conflitto o una divergenza credo dovrà essere assolutamente risolto secondo quanto prescritto dalla legge. Io so qual è il mio compito e conosco quelli della magistratura". E' sempre più incerto il futuro dello stabilimento siderurgico nel giorno in cui la procura ufficializza il no agli interventi che l'impresa si è detta disponibile ad attivare per abbattere le emissioni nocive e una cinquantina di lavoratori si sono riuniti in presidio sotto la direzione. Mobilitazione che ha dato vita a un botta e risposta tra il presidente Ferrante e i sindacati, che accusano i responsabili aziendali di "istigare alla rivolta contro la magistratura". E' negativo il parere della procura della Repubblica sul piano di interventi immediati presentato dall'azienda per garantire l'equilibrio tra tutela dell'ambiente e lavoro. "Il parere della procura è in linea con quello dei custodi"; gli incaricati del tribunale che avevano già bocciato le proposte del colosso perché inadeguate a garantire l'abbattimento delle emissioni. Sul piatto c'erano le centinaia di milioni di euro per ammodernare l’area a caldo e ottenere la facoltà d’uso di quei reparti a fini produttivi. Ma "gli interventi sono assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti", è stato scritto nella relazione tecnica. Per l’Ilva è una vera e propria batosta, anche perché i custodi hanno rilanciato le loro soluzioni che prevedono lo spegnimento di due altiforni, un’acciaieria e quasi tutti i forni della cokeria; oltre a richiamare Ferrante alla predisposizione di un piano per l'impiego del personale nelle opere di bonifica. E le brutte notizie per i magnati dell’acciaio non finiscono qui. Perché la procura dice "no" anche alla richiesta di facoltà d’uso, ancorché limitata, ai fini produttivi. Questo è uno dei nodi cruciali della strategia aziendale: "La fabbrica deve produrre per rendere sostenibili gli investimenti". L’istanza è costruita intorno a una considerazione del Tribunale sulla "garanzia per la strategica capacità produttiva dell’azienda". Il punto è controverso. Per dirimerlo il caso Ilva tornerà sulla scrivania del gip Patrizia Todisco, che ha disposto il sequestro del 26 luglio. E poiché da allora nulla è cambiato, il verdetto, atteso per la prossima settimana, appare scontato. La posizione della magistratura però dovrà misurarsi con quella del ministro Clini, pronto a rivendicare le proprie competenze. "Fra pochissimi giorni", dice Clini, saranno pronte le prescrizioni del ministero dell'Ambiente, che potranno, o meno, consentire l'attività dell'azienda. Riguardo all'esito di questa vicenda, il ministro ha detto di non essere "né fiducioso né pessimista. E' comunque il ministro dell'Ambiente ad avere per legge nazionale la responsabilità di autorizzare tale impianto ed è quello che sto facendo". "Entro la fine del mese - spiega ancora Clini - quindi fra pochissimi giorni, avrò il documento conclusivo della procedura e in questo fisserò le prescrizioni che il ministro deve dare per l'attività dell'azienda. Ricordo che né il procuratore della Repubblica, né il gip, né il presidente del tribunale hanno l'autorità per autorizzare un impianto industriale, per cui alla fine andremo a chiarire anche questa diatriba o questo conflitto che si potrebbe creare. Perché mentre la procura della Repubblica deve perseguire i reati, e deve farlo con rigore, le decisioni su come una fabbrica deve essere gestita - ha concluso Clini -, e quali sono le tecnologie che devono essere utilizzate sono di competenza dell'amministrazione". Il tutto mentre un centinaio di lavoratori dell'Ilva si sono radunati all'interno dello stabilimento, nell'area della direzione, sulla statale Appia, e protestano perché l'azienda avrebbe "iniziato a spegnere le luci e a interrompere l'erogazione dell'acqua nei reparti sottoposti a sequestro". Notizie smentite dall'azienda, ma che hanno dato il via a una polemica con il presidente Bruno Ferrante. Non solo. L'Ilva produrrebbe in questi giorni come non mai. "Ieri in azienda si è prodotto l'ennesimo record di 80 colate - ha denunciato Francesco Rizzo, della Unione sindacale di base (Usb) - e oggi l'Ilva esercita pressioni sui lavoratori affinché scendano in piazza". Dalla manifestazione di oggi sotto la direzione dello stabilimento si è dissociata la Fim Cisl, spiegando che la protesta sarebbe stata incentivata dagli stessi responsabili aziendali. Dello stesso tenore le dichiarazioni del segretario provinciale della Fiom Cgil di Taranto Donato Stefanelli. "I capi stanno istigando alla rivolta contro la magistratura e i sindacati stanno dicendo cosa fare". Da parte sua, l'azienda smentisce categoricamente qualsiasi avvio di procedure di spegnimento o di chiusura nei reparti dell'area a caldo e il presidente Ferrante respinge al mittente le accuse: "Prendo la più assoluta distanza dalle parole del segretario della Fiom Cigl Donato Stefanelli che accusa l'azienda di voler istigare alla rivolta contro la magistratura. Sono accuse irricevibili e infondate e sono francamente sorpreso per un utilizzo di parole così gravi, data la delicatezza della situazione che stiamo vivendo". Rizzo, che denuncia come la produzione prosegua a ritmi più che sostenuti, spiega di volersi "dissociare da queste manifestazioni, create ad arte attraverso l'arma del ricatto occupazionale nei confronti dei lavoratori, della città e della magistratura". "Il piano che l'Ilva ha presentato - sottolinea - è lacunoso e deficitario, sia dal punto di vista economico che da quello tecnico. Con la stessa celerità con cui la famiglia Riva ha risposto quando si è trattato di diventare azionisti di Alitalia, dovrebbe ora presentare tutti gli interventi necessari a dare una risposta agli interrogativi posti dalla magistratura e dalla città di Taranto".

Incontro Marchionne Monti (22 settembre 2012).
Vertice a Palazzo Chigi fra Mario Monti e Sergio Marchionne accompagnato da John Elkann. L'incontro si è concluso dopo cinque ore, dalle quali probabilmente dipenderà il futuro del Lingotto in Italia. Fra i presenti i ministri Passera, Fornero e Barca e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà. Attraverso un comunicato congiunto la Fiat dichiara di voler salvaguardare la presenza in Italia grazie all'export negli Usa e in altre aree extra europee. Sostenendo le difficoltà in Europa con gli utili prodotti altrove. Ma si riserva di investire «nei nuovi prodotti al momento più idoneo», quando il mercato europeo si sarà ripreso. Nel frattempo il costruttore lavorerà allo sviluppo di un modello di export per aumentare la capacità degli impianti italiani: fondamentale sarà anche la creazione di un gruppo di lavoro al Ministero dello Sviluppo Economico «per individuare gli strumenti per rafforzare ulteriormente le strategie di export del settore automotive». Una dichiarazione che arriva dopo l'abbandono del costruttore del piano «Fabbrica Italia» che prevedeva investimenti di 20 miliardi di euro nel nostro paese. Elkann e Marchionne ribadiscono, però, che l'azienda ha investito 5 miliardi di euro nel nostro paese negli ultimi 3 anni. Annunciando che la collaborazione con la Chrysler sarà sempre più stretta, grazie all'integrazione delle piattaforme. La Fiat non ha chiesto aiuti, ma «un sostegno per la produttività e una maggiore competitività». E ha espresso «apprezzamento per l’azione governativa che ha giovato alla credibilità dell'Italia e ha posto le premesse, attraverso le riforme strutturali, per il miglioramento della competitività, oltre che per un cambiamento di mentalità idoneo a favorire la crescita». L'Italia resta centrale: «il gruppo inoltre ha manifestato piena disponibilità a valorizzare le competenze e le professionalità peculiari delle proprie strutture italiane, quali ad esempio l’attività di ricerca e innovazione». Per Luigi Angeletti, segretario della Uil: «Dal comunicato congiunto del Governo e della Fiat traspaiono buone intenzioni. Bisogna però vedere nel concreto se i giudizi espressi saranno sostanziati dai fatti». Soddisfatto Rocco Palombella di Uilm: «Apprezziamo la volontà dell'azienda di restare in Italia e di rafforzare competitività tramite ricerca e innovazione». Da Maurizio Landini, leader della Fiom, parte la richiesta al governo affinché «convochi i sindacati il più presto possibile». Fuori dalla sede governativa, i lavoratori di Irisbus hanno protestato contro la chiusura dello stabilimento di Avellino :«A fine anno scade la cassa integrazione - hanno spiegato - ma noi non vogliamo assistenza» Chiediamo a Monti e a Marchionne di dirci se in Italia si devono produrre autobus anche perchè abbiamo mezzi obsoleti e inquinanti. Finora non abbiamo avuto risposte, non ci ricevono nemmeno». A noi di IMPRESA OGGI sembra poco probabile che la Fiat possa produrre in Italia per esportare oltre oceano; sembra più plausibile produrre in Polonia, Croazia o Slovenia.

Auto nuova? Un suicidio fiscale! (24 settembre 2012).
Da tempo in questo Portale andiamo affermando che lo Stato fa di tutto per scoraggiare l'acquisto di un'auto nuova. Riportiamo questo articolo di Manuel Seri tratto da CHICAGO BLOG che evidenzia con i numeri la veridicità di questa nostra affermazione.
""""Il Governo incalza la Fiat perché chiarisca i suoi piani industriali che sembrano incompatibili con una sorta di patto con l’Italia che sarebbe avvenuto ad alto livello. Giusto! La Fiat per decenni ha ricevuto il sostegno dello Stato, anche in considerazione della Sua rilevanza come impulso e traino della produzione interna riferibile a tutto l’ampio indotto e della connessa occupazione; ora deve però chiarire quali saranno le prossime strategie industriali soprattutto per verificarne gli effetti sull’economia e sul lavoro del nostro Paese, … anche se gli affari non vanno molto d’accordo con esigenze di solidarietà sociale o di politica, ma rispondono a logiche di mercato condizionate dal profitto e si orientano là dove si profilano le migliori opportunità. L’occasione mi offre però lo spunto per chiarire un aspetto già trattato in modo un po’ generico in un precedente intervento laddove ho collegato la recessione interna alla “caccia” a chi spende per perseguire con efficacia la lotta all’evasione tributaria. L’acquisto di un auto è l’esempio migliore che può aiutare a capire l’effetto devastante provocato anche al mercato interno delle auto dagli strumenti presuntivi messi in campo dal Legislatore ed utilizzati in maniera (sia pur legalmente) anomala dagli Uffici finanziari con lo scopo di scovare nuova materia imponibile, incrementare il recupero di gettito e speculare sui trattamenti premiali incentivanti. Ipotizziamo una situazione tipo abbastanza frequente di un contribuente, lavoratore dipendente residente in una località delle Marche, con un reddito annuo di € 30.000,00 ed una casa di abitazione di mq 80 per la quale paga una rata annuale di mutuo di € 7.200,00; se alla fine del Marzo 2008, utilizzando i propri risparmi pluriennali avesse acquistato una autovettura nuova Fiat Bravo 1.600 c.c. a gasolio (120 CV) al prezzo di € 20.000,00 (in sostituzione di un’altra auto ormai troppo vecchia da rottamare), la sua posizione nei confronti del Fisco risulterebbe la seguente:

- applicando lo “spesometro” (cfr. art. 38 c. 4 del D.P.R. 600/1973 secondo cui “l’ufficio … può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salvo la prova contraria che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta …”), poiché nell’anno 2008 ha effettuato spese per almeno € 27.200,00 (€ 20.000,00 relative all’acquisto dell’auto ed € 7.200,00 relative al rimborso di n. 12 rate del mutuo sulla casa) che vanno ad aggiungersi a quelle per utenze varie (luce, gas, acqua, telefono, …), assicurazioni, tributi e quant’altro delle quali in Fisco ha diretta conoscenza attraverso la consultazione della sua posizione nell’Anagrafe Tributaria, il nostro Contribuente sarebbe già al limite della situazione di anomalia per aver eroso tutto il suo redito annuale senza considerare la quota destinata al suo mantenimento (alimenti, vestiario, carburante per l’auto, svago, …) e potrebbe essere chiamato dal Fisco a dimostrare dove ha preso il danaro necessario per campare;
- applicando il previgente (ma ancora vigente) “redditometro” (cfr. art. 38 c. 5 del D.P.R. 600/1973 secondo cui “… la determinazione sintetica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva …”, in procinto di essere sostituito con un nuovo modello abbastanza simile concettualmente a quello degli studi di settore basato sull’analisi statistica di situazioni tributarie riferite a contribuenti ritenuti astrattamente virtuosi), il suo reddito complessivo per il 2008 risulterebbe di € 38.315,13 (sulla base dei valori e dei coefficienti reddito metrici rielaborati a norma degli aggiornamenti disposti con Provvedimento n. 20996 dell’11-02-2009 del Direttore dell’Agenzia delle Entrate), pari alla somma di € 27.021,60 per il possesso dell’abitazione e di € 11.293,53 per il possesso dell’autovettura rapportato a 9 mesi, e per il 2009 di € 42,079,64 (influenzato a rialzo per il possesso dell’autovettura rapportato a 12 mesi); in tal caso risulterebbero soddisfatte anche le due condizioni dello scostamento in almeno due periodi d’imposta su tre e della differenza fra il dichiarato e l’accertato superiore al 25% del dichiarato (secondo le regole previgenti) ovvero l’unica condizione della differenza fra il dichiarato e l’accertato superiore al 20% del dichiarato (secondo le regole vigenti);

in entrambi i casi l’Ufficio finanziario è legittimato ad agire nei confronti del suddetto Contribuente scegliendo il criterio accertativo che preferisce e dal quale si attende il miglior risultato, senza minimamente considerare la sua storia tributaria e la sua presumibile capacità di risparmio perché il fine della lotta all’evasione giustifica i mezzi utilizzabili (compresi i risultati del redditometro, incontestabili nel merito del computo).
I “benpensanti” a questo punto direbbero che il nostro Contribuente, se virtuoso, non ha nulla da temere perché potrà dimostrare di aver utilizzato risorse derivanti “… da redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta …” o da “… redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile” (cfr. art. 38 c. 4 del D.P.R. 600/1973); facile a dirsi, ma molto meno a farsi, specie quando hai davanti qualcuno che maliziosamente è convinto che sei un evasore per presunzione di legge, che esige la produzione di documenti specifici sempre mancanti di qualcosa, che pretende anche pretestuosamente prove impossibili da fornire, che col suo accertamento deve contribuire al raggiungimento del budget da parte del suo Ufficio ed alla maturazione dei connessi trattamnti economici incentivanti!
Provare per credere!
Se poi nella famiglia del malcapitato c’è qualcuno che ha la partita IVA e serve esibire qualche estratto conto per dimostrare la legittima provenienza delle risorse utilizzate, la situazione si complica a dismisura: l’Ufficio finanziario avvia subito le indagini finanziarie per poter approfittare delle assai più proficue presunzioni legali che gli consentono di accertare come maggiori ricavi tassabili non solo gli eventuali accreditamenti sui conti privi di una adeguata giustificazione documentale, ma addirittura gli addebitamenti sui conti, costringendo il contribuente ad una defatigante ed onerosa richiesta alle banche di copia fronte/retro degli assegni emessi (minimo € 3,50 per ogni fotocopia), un altrettanto destabilizzante recupero di estratti conto bancari (anch’essi estremamente costosi) e di rendiconti relativi all’utilizzo delle carte di credito (normalmente, dopo sei mesi, nessun gestore rilascia più duplicati) ed infine una forsennata ricerca di bollette, ricevute, fatture e quant’altro (gli scontrini fiscali peraltro non servono a nulla perché non recano l’indicazione del codice fiscale di chi ha sostenuto la spesa). Alla fine di questa sconcertante tortura manca sempre molto di ciò che serve e la vicenda trova il suo epilogo in un bell’accertamento molto più gravoso di quello che sarebbe derivato dallo spesometro o dal redditometro, difficile (per non dire impossibile) da contrastare in sede giudiziale ed estremamente oneroso da definire anche attraverso l’utilizzo degli strumenti deflattivi alternativi (acquiescenza o adesione o conciliazione): una operazione di vera e propria pirateria legale che si conclude con un esproprio in danno del malcapitato contribuente e probabilmente con la prenotazione di un lungo trattamento psicoterapeutico per recuperarlo dalla depressione.
Quanto precede per dimostrare come l’acquisto di un’autovettura nuova, anche solo di media cilindrata, possa avere effetti devastanti per gli ignari contribuenti che, se si informano preventivamente, lo evitano oppure si accontentano di un buon usato a buon mercato. Allora, forse dovrebbe essere la Fiat a chiede al nostro Governo che cosa intende fare per evitare di scoraggiare ulteriormente l’acquisto delle auto nuove nonostante le intriganti offerte attuali e magari aggiustare meglio il patto evocato dal Ministro Passera!
In ogni caso, vale la pena di ricordare che quelli riferiti nel presente intervento sono gli effetti della tanto sbandierata lotta all’evasione che, applicando stime e presunzioni elaborate in maniera del tutto teorica, continua ad enfatizzare l’altissima propensione dei contribuenti all’occultamento degli affari e dei redditi da anni attestata intorno ad € 275.miliardi nonostante i gravissimi strumenti investigativi introdotti nel corso degli ultimi cinque anni, il potenziamento dell’apparato dell’organizzazione fiscale e la preoccupante recessione in atto da tempo con conseguente contrazione dei consumi e degli investimenti e dunque degli affari e dunque dei tributi correlati. Si tratta solo di un grande imbroglio speculativo!
Che cosa si deve ancora verificare prima che la Gente apra gli occhi e reagisca compatta a questi intollerabili soprusi?""""

Indice delle liberalizzazioni (24 settembre 2012).
In Italia il grado liberalizzazione dell’economia, misurato attraverso il grado di apertura di sedici settori rispetto ai paesi più liberalizzati d’Europa, è ancora inferiore alla sufficienza sebbene in miglioramento di tre punti rispetto allo scorso anno: vale infatti il 52%. Questo è quanto emerge dall’Indice delle Liberalizzazioni. L’Indice, pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni dal 2007, intende misurare quanto i sedici settori sono aperti alla concorrenza rispetto a un Paese benchmark sulla base di valutazioni di indicatori qualitativi e quantitativi. Nel 2012 il punteggio dell’Indice sale al 52%, grazie al miglioramento di dieci settori. Dei restanti sei, una metà resta stabile (treni, mercato del lavoro e servizi idrici) e l’altra registra un arretramento (servizi finanziari, televisione e fisco). Si segnala il miglioramento del settore autostradale dal 28% al 40% grazie alla nascita dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali che ha consentito di ridurre i conflitti di interesse nel settore, e quello degli ordini professionali (dal 47% al 52%), per merito, in particolare, della rimozione dei vincoli residui all’esercizio della professione in forma societaria. Il settore più liberalizzato resta quello elettrico (77%), mentre il punteggio peggiore è quello dei servizi idrici (19%). Si iniziano quindi a vedere gli effetti delle manovre del governo Monti e presumibilmente, salvo imprevisti, continueranno a manifestarsi nei prossimi anni. Tuttavia, siamo ancora lontani dalla sufficienza: questo significa che continuano a non essere liberate e valorizzate le risorse per la crescita economica. Su tale risultato influisce spesso una legislazione incerta, i forti conflitti di interesse (si pensi al caso Arenaways, portata al fallimento dalla condotta anti-concorrenziale di Trenitalia), la mancanza di regolatori indipendenti (tra cui l’attesa Autorità dei trasporti, istituita a gennaio ma ancora inesistente) e, in generale, una forte e non sempre giustificata presenza pubblica che tutela i monopoli e non rimuove gli ostacoli alla concorrenza. Commenta Carlo Stagnaro, direttore ricerche dell'Istituto Bruno Leoni e curatore dell'Indice delle liberalizzazioni: "Per la prima volta da quando misuriamo l'Indice nel 2007, quest'anno registriamo una tendenza coerente, anche se moderata, di quasi tutti i settori indagati alla maggiore apertura alla concorrenza. Il merito va attribuito, sia ai decreti Monti, sia al recepimento di direttive europee, ma la strada da fare resta ancora molto lunga, specie perché nuove criticità s'intravvedono all'orizzonte, in particolare nel mercato elettrico dove la parte contendibile dell'offerta si sta restringendo a vista d'occhio a causa del boom della produzione sussidiata. In generale, comunque, il miglioramento osservato deve essere visto come lo stimolo a impegnarsi di più per introdurre concorrenza e intaccare le rendite che azzoppano l'economia italiana".

Marchionne vs Della Valle (24 settembre 2012).
«Non parliamo di gente che fa borse, io faccio vetture. Con quanto lui investe in un anno in ricerca e sviluppo noi non ci facciamo nemmeno una parte di un parafango. La smetta di rompere le scatole». Sergio Marchionne risponde così a Diego Della Valle, a margine del suo intervento all'Unione industriale di Torino in cui ha confermato «l'impegno della Fiat verso questo paese. Come la più grande impresa privata italiana, faremo tutto il possibile per contribuire alla risoluzione dei temi in agenda». Della Valle aveva dichiarato che, sul futuro industriale del Gruppo torinese, «i vertici Fiat ci prendono in giro». «La verità è che non siamo malati. La Fiat nel suo insieme è sana e in ottima forma». L'amministratore delegato di Fiat ha sottolineato il buono stato di salute della Fiat, ammettendo però un insuccesso personale: «Ho cercato costantemente di coinvolgere in questi 8 anni un partner straniero per la Fiat e non ci sono riuscito. In questo ho fallito». In realtà non è tanto Marchionne che ha fallito ma è il sistema Italia; chi infatti verrebbe ad investire in Italia in un settore così nevralgico come quello dell'auto???
Marchionne ha detto che la Fiat prevede di chiudere il 2012 «con ricavi superiori a 77 miliardi di euro, un utile della gestione ordinaria compreso tra 3,8 e 4,5 miliardi che rappresenta il risultato più alto nei 113 anni di storia di una Fiat che includeva la Fiat Industrial, un utile netto tra 1,2 e 1,5 miliardi di euro, un indebitamento netto industriale tra 5,5 e 6 miliardi, liquidità superiore ai 20 miliardi». «La nostra scelta - ha continuato Marchionne - è tra ridurre la capacità produttiva e licenziare migliaia di dipendenti, con danni incalcolabili per il tessuto sociale italiano, oppure cercare insieme di sfruttare le competenze che abbiamo, la nostra conoscenza di prodotto e di processo, il livello tecnico dei nostri impianti per aprirci la strada verso i mercati esteri». «Non dico - ha aggiunto - che la seconda alternativa sia priva di rischi e di sicuro non é né facile né garantita, ma é l'unica strada possibile per evitare una catastrofe. Il governo - ha proseguito - deve fare la sua parte per rimuovere quelle zavorre che stanno ancorando il nostro paese al passato».

Spagna e Grecia nella bufera (26 settembre 2012).
Lo Stato centrale spagnolo ha accumulato un deficit di 50,13 miliardi di euro nei primi otto mesi del 2012, pari al 4,77% del Pil e del 23,8% in più sullo stesso periodo del 2011. Lo ha reso noto il Governo spagnolo che stima tuttavia che il deficit è sotto controllo. «Il deficit annuale é senza dubbio sotto controllo e l'obiettivo di bilancio é applicato» ha assicurato il segretario di Stato al Bilancio, Marta Fernandez Curras, in quanto l'obiettivo per lo Stato centrale é del 4,5% per l'insieme del 2012. Il segretario ha spiegato che i conti continuano a soffrire degli anticipi sulle imposte pagati alle Regioni e che questo impatto «sarà annullato» nell'ultimo trimestre, sottolineando che il deficit é avanzato di poco dopo luglio (4,62% del Pil). Intanto oggi si sono registrati alcuni scontri fra diverse migliaia di "indignati", che hanno manifestato davanti al Congresso dei deputati a Madrid, e le forze di polizia in assetto anti-sommossa. I manifestanti denunciavano una democrazia «sequestrata e assoggettata ai mercati finanziari». Intanto, il presidente della regione autonoma della Catalogna, Artur Mas ha convocato le elezioni anticipate per il 25 novembre prossimo «per esercitare il diritto all'autodeterminazione». Durante il suo intervento davanti al parlamento regionale, riporta il quotidiano El Pais, Mas ha detto di essere arrivato a questa conclusione per due ragioni fondamentali: «L'esplosione indipendentista della festa della Diada (11 settembre) e il rifiuto di Mariano Rajoy (il capo del governo spagnolo) di negoziare il patto fiscale». Secondo gli ultimi sondaggi, un ipotetico referendum sull'indipendenza in Catalogna vedrebbe una vittoria schiacciante del "sì", con un risicato 15-20% di voti a favore dello status quo. La Catalogna risulta attualmente la regione più indebitata tra le 17 comunità autonome in cui è suddivisa la Spagna, con un debito di 44 miliardi di euro, pari al 22% del Pil. A fine agosto il Governo di Barcellona si era visto costretto a chiedere un aiuto di 5 miliardi di euro a Madrid per poter far fronte al rimborso del debito. «L'Andalusia sta valutando la possibilità di ricorrere agli aiuti destinati alle regioni e chiedere 4,9 miliardi di euro». Lo ha annunciato il responsabile della comunicazione del ministero del bilancio Regionale, Antonia Peinado. Il fondo destinato alle regioni dispone di 18 miliardi e deve essere attivato entro questa settimana. «Tutto dipenderà - ha aggiunto - dalla richiesta di chiarimenti che la Regione ha inviato al Governo».
La Grecia oggi è di nuovo al centro delle preoccupazioni della zona euro a causa di uno sciopero generale di 24 ore, il terzo dell'anno e il primo contro il nuovo esecutivo guidato dal conservatore Antonis Samaras. I sindacati hanno indetto la manifestazione per protestare contro le nuove misure di austerità che la troika (Ue, Bce e Fmi) chiede al governo di coalizione per nuovi tagli alla spesa pari a 11,6 miliardi e nuove entrate di 2 miliardi. I creditori internazionali sono profondamente divisi su come affrontare la crisi di un debito greco di 327 miliardi dopo due salvataggi da 110 e 130 miliardi di euro, una recessione al 7% e una ristrutturazione di 100 miliardi a spese dei risparmiatori. Domani Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, sarà ricevuta dal cancelliere tedesco Angela Merkel, per sostenere che la Grecia ha bisogno di più tempo (almeno due anni) per ripagare i suoi debiti e raggiungere gli obiettivi. Anche la Spagna e il Portogallo - dice l'Fmi – hanno bisogno di una maggiore flessibilità. La Lagarde ha già fatto sapere che i ritardi nelle privatizzazioni e il calo delle entrate non consentono alla Grecia di raggiungere gli obiettivi senza un allungamento dei termini previsti dal piano di rientro che prevede ottimisticamente il ritorno al mercato da parte di Atene nel 2015. La Grecia è in ginocchio, un negozio su tre ha chiuso i battenti ad Atene, la disoccupazione è al 25%, e Alba Dorata, un partito di estrema destra con simpatie neo-naziste, è entrato in parlamento a giugno per la prima volta e gli ultimi sondaggi lo danno al 20% della popolarità, un greco su cinque. A rischio non è solo la tenuta economica del Paese ma la sua stessa democrazia, Atene è uscita dalla dittatura dei colonnelli solo nel 1974, dopo sette anni di duro governo militare. I due maggiori partiti del dopo dittatura, Il conservatore Nea Dimokratia, e il socialista Pasok, sono sotto accusa per come hanno devastato le finanze pubbliche e distrutto la credibilità del paese negli ultimi 38 anni. Un clima pesante che potrebbe trascendere in violenze di piazza. Intanto non si sa ancora quando la troika tornerà ad Atene: venerdì scorso i responsabili delle delegazioni sono rientrati a Bruxelles e Washington senza aver chiuso il negoziato sulle nuove misure economiche. Dovrebbero tornare in Grecia nel giro di una settimana. Il via libera del parlamento, atteso a fine mese, é la condizione per lo sblocco della tranche di 31,5 miliardi di euro del prestito Eurozona-Fmi (servirà soprattutto per ricapitalizzare le banche).
In questi giorni domina, anche, la preoccupazione che possa dilagare l'effetto Portogallo: in seguito alla forte protesta popolare il governo lusitano ha dovuto ritirare la decisione di aumentare dal 2013 gli oneri sociali a carico dei lavoratori dall'11% al 18% riducendo quelli a carico delle imprese dal 23,7% al 18%. Se la protesta dei sindacati greci dovesse ottenere lo stesso effetto sarebbe un disastro.
Il ministro greco delle Finanze, Yannis Stournaras, ha confermato la possibilità di un riscadenzamento dei rimborsi del debito greco detenuto dalla Bce per ridurre il deficit. Sarebbe una operazione da fare su titoli ellenici per circa 28 miliardi di euro che scadranno tra il 2013 e il 2016. Ma il rappresentante tedesco Jorg Asmussen, membro del direttorio della Banca centrale europea, in un'intervista al quotidiano tedesco Die Welt in uscita oggi, respinge l'ipotesi di una ristrutturazione del debito (si tratta di 40 miliardi di bond greci detenuti dalla Bce), e passa la palla ai governi dell'eurozona. «L'eventuale bisogno supplementare di finanziamento della Grecia può solamente essere disposto dai membri della zona euro», ha aggiunto. Asmussen, in qualità di membro tedesco della Bce, é considerato una colomba, a differenza di Jens Weidemann, capo della Bundesbank, ligio al rigore monetario. Così la patata bollente passa oggi a Berlino al cancelliere Merkel e al direttore del Fondo monetario Lagarde.

Mercoledì nero per le borse (26 settembre 2012).
Nulla di confrontabile con il mercoledì nero del 16 settembre 1992, quando Soros divenne improvvisamente famoso avendo venduto allo scoperto più di 10 miliardi di dollari in sterline e avendo costretto la Banca d'Inghilterra sia a far uscire la propria moneta dallo SME, sia a svalutare la sterlina; ma comunque è stata una giornata molto negativa per i mercati. La paura per l'aggravarsi della crisi in Spagna ha depresso le borse europee, con Milano che chiude in calo del 3,29% e lo spread che si allarga di oltre venti punti sfondando quota 380, mentre la Grecia non accenna ad allontanarsi all'orlo del baratro. A tenere in ansia i mercati è il tentennare di Madrid sulla richiesta di un piano di salvataggio che numerosi investitori ritengono necessario. L'esecutivo iberico continua a prendere tempo, affermando di attendere che diventino più chiare le condizioni di un eventuale programma di aiuti, sebbene il premier Mariano Rajoy abbia affermato che chiederà soccorso qualora i costi di finanziamento del debito restino elevati per troppo tempo. Costi di finanziamento che oggi sono cresciuti in modo repentino, con lo spread tra Bonos e Bund che ha superato i 460 punti e il rendimento dei titoli decennali che si e' riaffacciato sopra la soglia critica del 6%, ritenuta insostenibile nel lungo periodo. I mercati sembrano pero' aver gia' perso la pazienza. Oggi a incassare le perdite peggiori è stata la borsa di Madrid, dove l'indice Ibex ha chiuso in calo del 3,92%. A Francoforte (-2%), Londra (-1,56%) e Parigi (-2,82%); sono stati i finanziari a trascinare giu' i listini. Tra i titoli peggiori figurano infatti Commerzbank (-5,37%), Deutsche Bank (-6,21%), Credit Agricole (-6,98%) SocGen (-6,09%) e Lloyds (-4,01%). Banche pesanti anche a Piazza Affari, con Intesa a -4,68%, Unicredit a -5,03%, Bpm a -5,7% e Mediolanum a -5,25%. Ad aggravare le tensioni in Spagna si aggiungono la bomba a orologeria catalana e le proteste di piazza a Madrid. Ieri sera 28 arrestati e 64 feriti nella capitale spagnola, dopo le proteste degli Indignados contro l'austerita' del governo, mentre a Barcellona il presidente della Catalogna Artur Mas ha chiesto l'indipendenza attraverso "l'autodeterminazione" e ha indetto elezioni anticipate per il prossimo 25 novembre. I catalani sono anche pronti a tenere un referendum sull'indipendenza della regione, senza tener conto del fatto che la costituzione spagnola vieta una simile consultazione. La più ricca regione della Spagna si avvia così verso la secessione, mentre il paese è sempre più in crisi e anche l'Andalusia si appresta a chiedere aiuti a Madrid per quasi 5 miliardi di euro. Intanto il governo spagnolo fa la voce grossa contro le proteste di piazza e il premier Mariano Rajoy fa sapere che e' pronto a chiedere un nuovo salvataggio, se i costi di finanziamento resteranno a lungo troppo alti. Rajoy ha anche annunciato la creazione di un nuovo organismo di monitoraggio del deficit e del debito, alla luce delle nuove riforme strutturali che saranno varate questa settimana, con la legge finanziaria. In un'intervista al Wall Street Journal, Rajoy, sulla possibilità che Madrid richieda un salvataggio, precisa: "Al momento non posso dirlo", il governo deve valutare se le condizioni poste per il salvataggio "sono ragionevoli". Tuttavia Rajoy nota anche che se i tassi di interesse sul debito resteranno "troppo alti troppo a lungo vi posso assicurare al 100% che chiederò questo salvataggio". Nel frattempo, da Francoforte, il ministro dell'Economia Vittorio Grilli e il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, al termine di un incontro bilaterale, rassicurano sulla solidita dell'Italia. "Non abbiamo bisogno di aiuti, un aiuto importante è già essere parte dell'area euro" ha spiegato Grilli. "Stiamo cercando di ridurre la spesa pubblica per riuscire a evitare l'aumento delle tasse, a partire dall'Iva", ha poi aggiunto il ministro. "L'Italia è abbastanza forte da risolvere i suoi problemi" ha invece affermato il banchiere centrale tedesco, "L'Italia ha attuato riforme ambiziose e ha conseguito progressi importanti che hanno effetti positivi e di cui beneficerà anche l'area euro; anche se l'Italia ha affrontato delle sfide - ha aggiunto Weidmann - è fondamentalmente sana". Continua intanto a ingarbugliarsi la gia' complessa crisi greca. A quanto emerge da fonti riservate, parrebbe che l'improvvisa sospensione della missione della troika ad Atene possa essere legata a gravi divergenze sorte tra il Fondo Monetario Internazionale e l'Unione Europea sulle soluzioni più adatte per mantenere nell'unione monetaria il paese ellenico, la cui condizione di bilancio si aggrava sempre più anche a causa dell'effetto recessivo delle durissime misure di austerità attuate in cambio degli aiuti. Da una parte l'istituto di Washington sta spingendo per una ristrutturazione del debito detenuto dai paesi europei, mentre Bruxelles preferirebbe concedere ad Atene più tempo per applicare i tagli alla spesa. "L'Europa vuole più tempo per capire cosa accadrà con la Spagna e l'Italia o addirittura attendere le elezioni tedesche nel 2013", spiega una fonte vicina al governo greco, "Il Fondo vuole che l'Europa elabori una soluzione complessiva e immediata per i suoi problemi". Il ministro delle Finanze ellenico, Yannis Stournaras, ha domandato due anni in più di tempo per varare le misure, spiegando che una tale estensione richiederebbe finanziamenti aggiuntivi per 13 o 15 miliardi, che potrebbero essere coperti attraverso l'emissione di titoli a breve termine o un abbassamento dei tassi di interesse dei prestiti attuali. Un'altra ipotesi prevederebbe una ristrutturazione del debito greco detenuto dalla Bce. Un'ipotesi che Francoforte ha però escluso in modo categorico.

LOGO

Luglio - settembre 2012

Eugenio Caruso

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

LOGO


Tratto da

1

www.impresaoggi.com