Gli operai della Carbosulcis hanno occupato la miniera di Nuraxi Figus, a Gonnesa, nel Sulcis. Una trentina di minatori si è asserragliata a 373 metri di profondità. L'accesso ai pozzi è stato bloccato da cumuli di carbone e mezzi meccanici. La protesta è esplosa per convincere il Governo a sbloccare il progetto di rilancio della miniera con la produzione di energia pulita dal carbone attraverso la cattura e lo stoccaggio di CO2 nel sottosuolo. I lavoratori chiedono una risposta rapida ai rappresentati delle istituzioni affinché venga fissato un incontro con i leader dei partiti che appoggiano il governo Monti.. L'obiettivo è quello di indurre l'esecutivo a dare il via libera al progetto integrato carbone-miniera-centrale elettrica. In passato la miniera, che occupa attualmente 463 lavoratori, è stata occupata altre tre volte: nel 1984, nel 1993 e nel 1995, quando i lavoratori rimasero asserragliati in galleria per 100 giorni. «Con questa decisione si apre la guerra più dura per il lavoro e il futuro del Sulcis - commenta il deputato sardo del Pdl Mauro Pili, che si dice al fianco alla protesta dei minatori -. Ho sperato fino alla fine che questo gesto estremo venisse evitato ma l'arroganza del Governo nazionale e dell'Enel, che in tutti i modi si stanno contrapponendo al progetto integrato, ha superato ogni limite. L'esecutivo - incalza Pili - venga immediatamente convocato dalla Camera per riferire quanto sta avvenendo. Non sono tollerabili ulteriori ritardi e silenzi».
Conosco bene la storia delle mimiere del Sulcis perchè negli anni ottanta fui coinvolto in uno studio di fattibilità mirato all'utilizzo del carbone-sulcis, attraverso la sua gassificazione. Allora mi resi conto che qualunque soluzione (al di là di qualche modesto prototipo sperimentale), sarebbe stata un'enorme ecatombe di risorse umane e finanziarie e che si sarebbe risolta nell'ennesima forma di passivo assistenzialismo statale. Da allora il carbone del Sulcis ha fatto la fortuna di università e centri di ricerca grazie ai finanziamenti elargiti dallo stato al fine di trovare una soluzione che consenta di utilizzare il carbone sardo per produrre energia elettrica.
Giova fare un passo indietro e ricordare che la produzione di carbone ebbe un forte sviluppo nel dopoguerra, quando il carbone-sulcis diede il suo contributo alla ricostruzione. Ma già nei primi anni Cinquanta la nascita della Comunità Europea Carbone e Acciaio rese antieconomico l'utilizzo del carbone sardo (carbone ad alto tasso di impurezze, specie zolfo e basso potere calorifero che lo classificano carbone sub-bituminoso) e iniziò una lenta ma inarrestabile crisi del settore. I privati avevano abbandonato la speranza di fare affari col carbone sardo. Rimaneva lo Stato con le sue aziende pubbliche, ma rimanevano soprattutto i minatori e una intera comunità che col carbone era praticamente nata e di carbone aveva vissuto.
A seguito della pressione di un intero territorio lo Stato decise di gestire direttamente le miniere di carbone. Gli anni Sessanta furono gli anni della svolta pianificatrice dei governi italiani, della programmazione economica, della nazionalizzazione delle produzioni strategiche, dell'intervento diretto dello Stato in economia attraverso le cosiddette partecipazioni statali. In Sardegna questa svolta prese la forma del Piano di Rinascita. I governi di quegli anni decisero di affidare le miniere di carbone sarde prima all'Enel (negli anni Sessanta-Settanta), poi all'ENI (negli anni Ottanta). Ma entrambe le aziende si dimostrarono riluttanti. Lo sfruttamento del settore minerario sardo non faceva parte dei piani delle due società. Entrambe ritenevano le miniere di carbone una palla al piede. Traccheggiarono e dilapidarono i finanziamenti pubblici. Gli unici che riponevano ancora le proprie speranze sulle miniere erano i minatori.
I minatori erano sempre di meno, in verità, ma sembrava che a mano a mano che diminuivano di numero aumentassero di combattività. Gli scioperi, le manifestazioni, le marce, le occupazioni scandivano ormai i passaggi cruciali della via sarda al carbone. Da allora questa storia non fu più solo quella di un'impresa economica, ma quella del movimento operaio del Sulcis. Sui minatori del Sulcis nacque e crebbe un movimento sindacale e politico deciso a non arrendersi; sui minatori del Sulcis nacquero carriere politiche e sindacali. Il carbone era ormai considerato l'unica risorsa su cui basare un possibile sviluppo economico industriale della Sardegna. Gli anni Settanta, Ottanta, Novanta furono per i minatori anni di lotta sempre più disperata. Le lotte erano sempre meno inserite in una prospettiva di speranza per lo sviluppo industriale di un'intera regione. Nel marzo del 1973 si svolse a Cagliari la Conferenza Mineraria Nazionale. È la sede in cui con maggiore sistematicità il movimento minerario sardo (che non comprendeva solamente minatori, ma anche politici, economisti, esponenti del mondo accademico e scientifico) operò il tentativo di inserire le sue lotte in un contesto di maggiore respiro: la salvaguardia dei settori minerari carboniferi e metalliferi sardi doveva contribuire a minimizzare la dipendenza dell'Italia dall'estero di materie prime strategiche per il nostro apparato industriale. Nella metà degli anni Settanta l'Enel si sganciò definitivamente dal settore e venne sostituita da una nuova società, la Carbosulcis, le cui quote di capitale facevano capo alla società statale Ente Gestione Aziende Metallifere (E.G.A.M.) e alla società regionale Ente Minerario Sardo (E.M.Sa). In seguito, alla fine degli anni Settanta, l'EGAM venne assorbita dall'ENI, che affidò le miniere alla sua consociata Società Azionaria Minerario-Metallurgica (SAMIM). Inoltre l'ENI acquisì anche la partecipazione regionale, a cui rimase solamente un simbolico 1 per cento. Le miniere erano in stand by. Si operavano ricerche, sondaggi e progetti di fattibilità. Si provvedeva alla manutenzione dei cantieri perchè fossero pronti alla ripresa dell'attività estrattiva che si riteneva imminente. Ma ci vollero l'occupazione dei pozzi e innumerevoli manifestazioni in Sardegna e a Roma perchè si arrivasse alla legge mineraria del 1985. La legge stanziava 505 miliardi di lire per la riattivazione del bacino carbonifero del Sulcis. La produzione vera e propria riprese il 3 Marzo 1988, nella miniera di Seruci, dopo sedici anni di fermata delle produzioni.
Quella che si aprì alla fine degli anni Ottanta tra i minatori e l'ENI fu una breve luna di miele. L'ENI pareva avere un progetto che comportava assunzioni, acquisto di macchinari, grandi lavori di adeguamento dei cantieri all'attività estrattiva. Ma si trattò di un breve fuoco di paglia. In realtà l'ENI stava semplicemente eseguendo di malavoglia ordini che le venivano dal governo e dai politici locali, e spendeva senza molto criterio quei soldi che la legge le aveva messo a disposizione. Agli inizi degli anni Novanta quei soldi erano finiti, e l'ENI, a corto di voglia e di idee, cominciò a preparare la sua fuoriuscita dal settore minerario; intanto nel 1992 il governo Amato avviò il processo di privatizzazione delle ppss e le varie società pubbliche iniziarono a liberarsi delle passività. Le intenzioni dell'ENI si scontrarono, ancora, con le iniziative dei minatori che usarono la sola arma a loro disposizione: l'occupazione. L'obiettivo era sempre quello di riaffermare il carattere strategico della produzione del carbone. L'elemento nuovo era la presenza del consistente polo industriale di Portovesme. Le industrie di Portovesme sono industrie pesanti, fonderie, industrie energivore. L'obiettivo era legare il carbone alla produzione di energia elettrica per le industrie pesanti di Portovesme. Altro elemento nuovo era l'affermarsi dell'idea di estrarre dal carbone il gas per la produzione di e.e.. Nasceva il progetto gassificazione del carbone, progetto che è tuttora in piedi. Il progetto si concretizzò nel 1994 in un decreto del Presidente della Repubblica che prevedeva il passaggio delle miniere a un soggetto privato e la sua stretta connessione alla produzione di energia elettrica tramite gassificazione.
Nell'ottobre del 1995 la prima asta internazionale per la privatizzazione delle miniere di carbone del Sulcis andò deserta. L'ENI mise in liquidazione la Carbosulcis. La risposta dei minatori fu durissima: occupazione delle miniere, occupazione simbolica della centrale Sulcis a Portovesme, manifestazioni a Cagliari, a Roma, all'EUR sotto il palazzo dell'ENI, scontri con la polizia.
Il risultato finale di queste lotte fu la definitiva uscita dell'ENI dal settore carbonifero e la presa in carico delle miniere di carbone da parte della Regione Sardegna per il periodo di transizione verso la privatizzazione (22 Gennaio 1996). Il percorso di privatizzazione è ancora in corso a tutt'oggi. Una prima proposta presentata dalla Ansaldo e dalla Sondel (società del Gruppo Falk) non andò a buon fine perchè le banche non la ritennero "bancabile".
Attualmente esiste il progetto della Sotacarbo: realizzare una centrale a carbone di 350/450 MW, che ricaverebbe il carbone dalla miniera di Nuraxi Figus. L’impianto, inoltre, sarebbe dotato di un sistema Ccs (carbon capture and storage) per catturare e immagazzinare nel sottosuolo le emissioni della centrale, riducendo così l’impatto ambientale della nuova centrale. Il sito carbonifero del Sulcis diventerebbe un vero e proprio laboratorio su vasta scala per sperimentare le tecnologie Ccs; si confinerebbe la CO2 nei giacimenti esauriti del Sulcis, trasportandola dalla centrale termoelettrica dopo averla separata dal resto dei fumi. Nei mesi scorsi, la Sotacarbo aveva presentato i piani di fattibilità al ministero dello Sviluppo economico, da sottoporre in seguito alla Commissione europea. L’idea è impiegare la tecnologia Ecbm (Enhanced coal bed methane) che permette di estrarre il metano dai depositi più profondi, iniettando al suo posto la CO2 generata dalla combustione del carbone, oppure l'iniezione della CO2 negli acquiferi salini sottostanti al giacimento carbonifero. Il problema è che per realizzare questo progetto occorrrerebbero 1,5 miliardi di euro (salvo .... ) che dovrebbe, inizialmente, sborsare lo stato e che alla fine ci ritroveremmo sulla bolletta dell'elettricità.
I casi del carbone sardo, della Alcoa, dell'Ilva, della Fincantieri hanno una morale: credevamo di esserci sbarazzati del fardello dell'industria pesante delle ex ppss, ma i problemi usciti trionfalmente dalla porta delle privatizzazioni è rientrato silenziosamente dalla finestra dell'assistenzialismo pubblico.
Miniera del Sulcis
Eugenio Caruso
27 agosto 2012
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